71- Naufragare
P.O.V.
Caitlin
Ricordo molto bene il giorno in cui ho incontrato Lexie. Eravamo nella hall della società e la prima cosa che ho pensato di lei è che fosse una stronza; una di quelle ragazze, cioè, con un'aria costante di superiorità. Mai avrei pensato che saremo diventate amiche e che tra di noi si instaurasse qualcosa di tanto simile alla fratellanza.
La vedo con occhi nuovi ancora una volta, però, mentre entra in cucina con un'aria piacevolmente stanca.
L'acconciatura ai capelli è completamente distrutta, cosa insolita per lei che risorge in maniera perfetta dal letto ogni mattina, ed il mezzo sorriso dipinto in viso mi sconcerta.
Chi è questa adolescente innamorata, struccata e piena di buon umore, e che fine ha fatto la mia amica?
Mi mordo l'interno della guancia per evitare di ridere e confesso, a me stessa prima ancora che a lei, quanta ragione abbia avuto purtroppo Ethan. Viste tutte le paure che l'avevano vinta entrando in casa non avrei mai potuto immaginarmi che il risultato fosse tanto sorprendente.
«Buongiorno» mormora a voce roca, afferrando una tazza per il caffè latte dalla credenza.
Il mio sopracciglio destro quasi raggiunge l'attaccatura dei miei capelli, ma l'ironia non può certo vincere.
«Buongiorno a te...» non mi è uscita tanto bene. Si percepisce chiaramente che dentro sto ridendo, e questo la spinge a voltarsi e dedicarmi un sorriso radioso, capace di accecare più di questo sole delle undici. «Vedrò uscire Reiner mezzo nudo da dietro quella porta?»
«Vuoi prepararti psicologicamente? Tranquilla, abbiamo deciso di non correre troppo... è tutto nuovo per noi, non avrei mai creduto arrivassimo a tanto.»
Mh, ma Ethan sì. Lui lo dava per scontato. Ruoto il cucchiaio all'interno della tazza per far sciogliere lo zucchero mentre rifletto in merito a quel cordiale pomeriggio passato insieme nella mia camera.
Non potrò più sedermi alla poltrona presente nella stanza senza figurarmelo accomodato lì, a prendermi in giro mentre gesticolo sconvolta la mia ansia per i due che, nell'altra stanza, se la stavano dando alla pazza gioia. Nello stesso modo non potrò più vedere il balcone interno alla finestra, o la zona destinata alle riviste dei grandi marchi che colleziona Lexie.
Nel giro di poche ore si era immedesimato in quello spazio e lo aveva percorso con una calma tale da farmi sembrare gli fosse appartenuto da sempre.
«Volevo ringraziare sia te che Ethan per averci lasciati soli...»
«Figurati, non era nemmeno una mia idea, mi ha trascinata via con la forza» borbotto. «Sapeva dove andare ed è partito come un razzo.»
«Occupi la stanza degli ospiti. Un tempo ci ha dormito anche lui, per questo.»
«Sul mio letto?»
«Ti sei appropriata presto del tuo spazio. Certo, sul letto. Ho cambiato le lenzuola, ovviamente, ma ogni tanto è capitato.»
Non capisco perché mi faccia uno strano effetto e non voglio saperlo. Quel che c'è di certo è che quello spazio è più suo che mio. Bevo un sorso del mio tè, annegandovi i pensieri quasi il contenuto fosse alcolico.
«Che cosa ti metterai questa sera?»
Mi coglie impreparata, non avevo pensato a niente. «Tu metterai qualcosa di particolare?»
«Il mio vestito celeste di payette.»
Sgrano gli occhi. «Quel vestito di payette?» Annuisce con vigore, ed io mostro la mia approvazione. «Allora vuoi proprio ucciderlo, Reiner, stasera.»
«Voglio che non si ricreda sulla scelta fatta.»
«Non lo farà senz'altro. Ad ogni modo... ho tutti i vestiti nella mia vecchia casa. Anzi, non sono nemmeno convinta di uscire, credo che rimarrò qui.»
«Sneg... è il dopo party dell'evento che hai aiutato a creare. Oltretutto, saremo fuori città. Michael non ne saprà niente. Anche tu hai bisogno di un po' di svago. Pensaci, ti prego, puoi pure prendere qualche mio vestito.»
Storco la bocca, affatto convinta dall'idea, ma non posso lasciar cadere la conversazione con un netto rifiuto. «Va bene, Lexy, vedrò stasera cosa fare.»
«Così mi piaci!»
La sua colazione, svoltasi in piedi, si conclude con il furto di una ciambella ed un occhiolino nella mia direzione. Cade nel vuoto, non riesco a ricambiarlo e mentre abbandona la stanza mi lascio vincere dalla malinconia della mia vecchia casa. Dei miei oggetti personali... del mio amore.
P.O.V.
Michael
Ho la gola secca. Gli occhi straordinariamente pesanti e la luce del sole puntata contro come un faro, dal momento che ieri notte mi sono dimenticato di tirare le tende.
Lo faceva sempre Katrina, quando abitava qui.
Punto i gomiti sul materasso e mi sollevo da questo giaciglio inospitale per dirigermi in bagno e cospargere, di acqua gelida, il mio volto intorpidito.
Nel procedere fisso le lancette dell'orologio alla parete. Stanotte sono state tre ore ininterrotte. Una specie di record.
Apro il rubinetto mentre mi fisso allo specchio, valutando la conseguenza della mancanza di sonno.
Le guance sono più scavate e le rughe particolarmente marcate, ma in fin dei conti niente di troppo evidente. Sono abituato a vivere così la giornata, nonostante non dipenda dalla mia sola volontà.
Prendo un profondo respiro e decido di lasciar perdere. Non è questo il giorno per simili pensieri.
L'ossigeno viene bloccato dalla morbida consistenza dell'asciugamano premuto contro e sento, appena, piccole gocce d'acqua discendere lungo il collo arrivando fino al busto nudo.
Ho bisogno di una sigaretta e di un bacio. Sfortuna vuole che, al momento, sia carente di entrambi.
Afferro una maglietta dall'armadio e recupero il pacchetto bianco e nero della mia marca preferita, per poi aprire le portefinestre del soggiorno ed uscire.
Perché mi trovo sempre su questa spiaggia, contro il rumore del mare?
In quella casa, senza di lei, non si respira ma c'è molto di più.
C'è il colore delle onde ed il blu scuro che si estende fino all'orizzonte, partendo da un punto molto vicino alla costa. C'è l'odore del sale che cura e guarisce una ferita che nemmeno sai dove risieda. Oltre a questo, c'è la possibilità di gridare fino a perdere il fiato verso il più vasto niente, perché a un tratto ti rendi conto che è la sola cosa che rimane.
Sorrido. Non lo faccio mai. Mi accendo una sigaretta e fumo, invece, immaginando che alle mie spalle sopraggiunga Caitlin dicendomi che tutto è finito. Che questo litigio è durato fin troppo.
Ed è venuta, sì. È venuta ma non abbiamo che riarso un nuovo fuoco, e questo vento che lo alimenta sembra non esaurirsi mai.
Basta. Basta, per pietà.
Ma non basta mai, non basta mai perché niente è sufficiente, nessuna delle emozioni in grado di farci sentire vivi.
«Michael, che stai facendo?! Posa subito quella cosa!»
Dall'altro capo della strada, mia madre mi fissa con gli occhi sgranati. Non ne conosco bene il motivo, non ho nemmeno idea di cosa sia l'oggetto che ho in mano.
Luccica particolarmente nell'incontro con il sole. Sembra una specie di spilla sopra la quale sono presenti numerose pietre bianche e colorate.
Nemmeno saprei che farmene. L'ho vista brillare dalla tasca di una donna che passava di qui e l'ho presa. Volevo averla, nonostante non sapessi come usarla.
Un oggetto così prezioso, tra le mie mani sporche e scure...
Sopraggiunta fino a me, mia madre me lo strappa di mano. Soffro di un acuto distacco.
«Tieni le mani a posto! Non sono cose per noi!» Mi ordina, lanciandomi uno sguardo inquietante.
Avendomi visto sfilarlo dal cappotto della donna, ancora intenta a guardare una vetrina assieme al marito, con precauzione mia madre lo rimette al proprio posto, facendolo scivolare lento nella tasca.
Una volta che ci è riuscita si allontana a passo svelto, e mi afferra per il colletto della camicia, trascinandomi in avanti.
«Devi finirla, Michael! Sta diventando un vizio! Capisci, almeno, quello che stai facendo? Rubare è peccato!»
Ma é proprio il fatto di rompere una di quelle leggi inviolabili della religione, alla quale tanto tiene, da rendere il gesto così appetibile.
«Scusami, mamma. Non lo farò più» le dico, e sembro rasserenarla. Io invece sorrido apertamente.
Ho tradito persino un'altra delle dieci regole.
Persino gli occhi di Sebastiaen brillavano tanto quanto quella spilla. Mi avevano mosso al desiderio del furto nuovamente all'idea di poterli possedere ma è stato il sorriso di Caitlin a stregarmi.
In quella triste biblioteca, così anonima prima che lei arrivasse.
Mi aveva ridato la vita ed a quel soffio di vita penso, aspirando un'altra boccata di nicotina.
Probabilmente mia madre non sarebbe fiera dell'uomo che sono diventato.
P.O.V.
Ethan
In alcuni giorni sogno di essere su di un'altra terra. Sogno la sabbia che scorre al di sotto dei miei piedi e un clima arido, un sole splendente ed un'afa in grado di risucchiarti, come un demone, i pensieri.
La Paz poteva essere un posto del genere, un luogo torrido, pieno di rumore, ma ultimamente primeggia il maltempo.
Non mi rimane altro che giocare con la fantasia, ed immaginare.
Afferro dalla tasca del cappotto il mio portafortuna, sempre tenendo gli occhi chiusi e ben ricordando il volto di chi me lo aveva donato.
Ghaazi aveva preso confidenza con me prima ancora che lo facesse Naijya, forse soffrendo della mancanza del padre. Non avevo ancora idea che fosse vivo quest'ultimo ma ad ogni modo mi ero presto offerto di essere come un amico, un fratello ed un padre per lui. Tutto ciò di cui avesse bisogno, e lui non si era di certo sottratto.
Questo soldatino inciso nel legno, come gli ho insegnato a fare, è stato il primo dei molti regali che ho avuto da Ghaazi.
Nonostante la povertà nella quale viveva non si dimenticava mai di donarmi qualcosa, anche se piccolo e insignificante per molti... per me acquisiva un valore immenso, perché era stato lui a darmelo.
In questo caso, però, avrei preferito che se lo fosse tenuto.
Magari questo piccolo oggetto sarebbe stato in grado di proteggerlo per quanto sia stato sostituito, secondo il volere di lui, con il mio maglione blu. Un oggetto di valore per un altro, dall'interesse meno radicale ma rafforzato dal nuovo destinatario.
Vorrei avere una tomba sulla quale piangere, parlare e rattristarmi, convinto che Naijya possa sentirmi.
La renderei parte della mia vita e le direi che va tutto bene, più o meno, e che non mi sto dimenticando di niente, di nessun nostro sogno...
Eppure, sento di averla tradita.
La sensazione è così forte da opprimermi il respiro. Come ho potuto divertirmi assieme ad un'altra ragazza, per giunta appena conosciuta, mentre vivo il suo lutto?
Oscillo tra la volontà di rinascere ed il desiderio di annegare all'interno del passato, perché il solo in grado di donarmi conforto. Forse è ridicolo pensarlo. È trascorso molto dall'ultima volta che eravamo insieme, io e Naijya. Il nostro tempo può essere segnalato solo su poche voci del calendario ma, nonostante le bugie da parte di lei in merito alla sua attività, era sincero.
Conosco bene le parole che mi direbbe adesso e non sono certo di poterle accettare.
Mi direbbe di andare avanti, di farmi una nuova vita. Sento di starmela costruendo eppure non riesco a non voltarmi indietro, pregando di non vederla soffrire.
Da sempre, Naijya mi ha nascosto così tanto...
La mia mano recupera il portafoglio e la fotografia di Katrina che vi è nascosta all'interno.
Alla luce del giorno, durante il quale non riesco mai a vedere questo suo ritratto circondato come sono da persone e da occhi, i suoi capelli sembrano di un rosso ancora più scuro di quanto lo siano in realtà, forse a causa della notte che circonda la scena. Anche lei deve star combattendo molto. Il mio senso di inadeguatezza si avvicina forse al suo? Temo di sì, a causa del divorzio che sta affrontando... eppure questo, ieri, non le ha impedito di sorridere più volte in mia presenza. È una donna molto forte. Altri sarebbero già caduti in una profonda depressione.
Mi ricordo, a un tratto, quello che mi ha detto sull'amore, su quanto ci creda e quanto lo desideri.
È più forte di ogni altra cosa, per lei. Ho mai visto un simile coraggio? Solo negli occhi di Naijya, quando ci eravamo amati, nonostante tutto.
Quello che provo al pensiero è un senso di incompiuto. Naijya mi ha dato molto ma lo ha anche sottratto. Nonostante mi fossi aperto a lei senza alcun tipo di maschera questo non l'ha sollecitata a raccontarmi di suo marito, o a deciderla ad arrendersi mentre il capitano le puntava contro una pistola. E l'ho amata, come odiata, per queste scelte. Se solo fosse ancora al mio fianco potremmo vivere questa vita insieme... ma ho stretto il suo corpo morto, nel freddo obitorio dell'ambasciata.
Prendo un profondo respiro e mi accorgo di stare tremando. Non si tratta di freddo ma di una paura che non confesso ancora a me stesso, pur conoscendola.
La foto di Katrina mi fissa dal basso, riuscendo a tranquillizzarmi.
«Ethan, posso sedermi?»
È la voce di Lexie.
In fretta mi asciugo le lacrime e metto via la fotografia, solo che è troppo tardi. Senza ombra di dubbio la mia amica ha visto la seconda delle due, perché il passaggio è stato troppo lento fino al portafoglio ed ora mi fissa, preda della confusione.
Non saprei cosa dire ma può chiedermi quello che vuole. Magari un modo lo trovo per spiegare questo groviglio di strane sensazioni che mi sta uccidendo.
«Prego, siediti pure» mormoro, tornando a fissare la piazza ricolma di bambini che giocano. Per molto tempo mi sono seduto su questa panchina, sognando di aspettare Ghaazi intento a divertirsi con loro.
«Volevo ringraziarti» mi dice.
«Per cosa?»
«Per quello che hai fatto per me e Reiner... ci hai dato coraggio.»
Sì, sono bravo a farlo. Riesco a decidere ed agire, incitando anche altri a farlo... ed è solo il risultato a decretare se si sia trattato di una mossa giusta o di una sbagliata.
«Non è occorso molto, avete fatto tutto da soli...»
«Verrai al party dopo l'inaugurazione?»
«Sì, l'ho promesso a Reiner.»
«D'accordo, allora...»
Si solleva con lentezza dalla sua postazione, quasi volesse tardare il nostro addio. Non appena compie pochi passi in direzione della sua macchina, infatti, riesce a catturare la mia attenzione di nuovo, con poche parole.
«C'è una cosa che penso di te, ma non dovrai mai dirla a Reiner.»
Sorrido. Una simile richiesta di silenzio si è intromessa tra di noi per molti anni.
«Non gli dirò niente, promesso.»
«Sei l'uomo più buono che conosca. Provi rispetto per ogni cosa, anche la più insignificante, e la fai sentire amata. Quando sceglierai a quale donna donare il tuo cuore... saprà, anche solo da me se ancora non è riuscita a capirlo da sola, quanto è fortunata.»
Le sue parole sono una carezza. Lexie non si spinge mai a dichiarazioni di affetto ma questo non vuole dire che non sia capace di farle.
«Grazie, Lexie...»
«Ci vediamo stasera, vestiti bene.»
P.O.V.
Caitlin
Il nervosismo mi ha condotto a far scendere minuscole goccioline di sangue, a causa delle pellicine strappate, lungo le mani ed ha condotto il muscolo del polpaccio a lievi fitte di dolore, a causa della tensione con la quale l'ho fatto oscillare.
Dall'alto dell'armadio, il vestito mi osserva in una presa in giro che si fa beffe della mia indecisione. Mi sollevo dal letto di scatto e lo ripongo al suo posto, presa dalla rabbia. Non posso andare. Non sono fatta per queste cose. Non voglio divertirmi in un momento simile e sono convinta che sia Lexie che Reiner meritino di passare una serata senza preoccuparsi dei miei problemi. Eviterò semplicemente di andarci, quindi, ma proprio mentre lo penso il telefono squilla e il nome di Lexie sullo schermo mi fa sospirare.
«Dimmi, Lexie.»
«Mancano tre ore, hai scelto l'abito?» Picchietto il piede a terra, presa dall'ansia, e mi mordo un labbro. Il mio silenzio parla per me. «Sai, eri una favola con quel vestito dorato, a Los Angeles.»
«Sì, certo, nemmeno l'ho dietro e poi sai quanto sono modificate le foto delle pubblicità. Dove mi hai vista? In qualche vecchia rivista?»
«Per la verità Ethan ha una tua foto nel portafoglio, credo una del set che ti scattò quella notte» mi dice, ed il piede smette di battere a terra. Resto senza fiato, presa da uno strano insieme di reazioni. «Stamattina la fissava. Deve essersi fatto prendere dalla nostalgia.»
Continuo a rimanere in silenzio dall'altro capo del telefono, circondata dai ricordi e da sensazioni che non sono in grado di esprimere ed ecco che lo rivedo al mio fianco, in questa stanza. Ethan sta fissando me, in attesa di una mia reazione.
«Allora, Sneg, verrai?»
Sollevo gli occhi in direzione dell'armadio, prendendo la mia decisione.
P.O.V.
Ethan
Una serie di sorrisi e di battute si affianca al rumore di vetri tintinnanti, in un susseguirsi di continui brindisi. Il locale dove ci troviamo è completamente diverso dalla sala dell'inaugurazione: qui è tutto più informale e non ci importa dell'eleganza, estranea, dei nostri abiti perché stiamo festeggiando insieme. Io, Reiner, Lexie e due ragazze del team della mia amica. Una delle due non mi è estranea ma non ricordo il suo nome, devo averla vista alla società. Durante la serata ci siamo approcciati ad uno scambio di opinioni gentili durante le quali i miei occhi venivano costantemente calamitati dal suo modo, ossessivo, di aggiustarsi i capelli facendoseli passare tra le unghie smaltate di rosso ed ecco che mi ricordo. Proprio mentre mi sta raccontando dei suoi doveri all'interno della Land Art recupero alla mente il suo ricordo ed ecco: l'ho vista al fianco di Katrina, mentre lavoravo alla mia statua della donna intrappolata, la stessa che la rossa aveva distrutto entrando come un tornado nel mio laboratorio.
Bevo un sorso dal mio drink, rimanendo con il gomito appoggiato al bancone del barman.
«Ho visto molti dei tuoi lavori, sei bravo» mi dice, ed io le sorrido cordiale.
«Ti ringrazio.»
«Principalmente sculture. Non ti occupi più di fotografia?»
Un cappio mi stringe al collo mentre continuo a sorridere e quel nodo scorsoio viene strinto maggiormente da Lexie, non appena si approccia all'intromissione.
«Il nostro Ethan ha perso quasi del tutto l'interesse per la fotografia. Se la riserva solo in rari casi» commenta, ed il mio sorriso si fa sinistro. Sapevo che non si sarebbe dimenticata di ciò che ha visto, o che tanto meno perdesse l'occasione di immischiarsi nella mia vita.
«Davvero? Ed in quali?»
Vorrei andarmene e lasciare quelle due parlare mentre Reiner è intento a ridere con l'ultimo membro femminile della nostra equipe, non suscitando la gelosia di Lexie per l'assurdo. Deve conoscere molto bene la sua sottoposta o fidarsi tanto ciecamente da lasciarli dialogare e perdere il suo tempo con me.
«Vedi, Ethan ha una particolare predisposizione per i foto ritratti.»
«Devi smetterla di elogiarmi», Lexie non farlo, «o la nostra amica mi chiederà di fargliene uno...»
«Mi piacerebbe molto» non si perita nel riferire, ed io tento di approcciarmi con garbo.
«Anche a me, ma non scatto più.»
«Da almeno quattro anni» insiste Lexie, e la bocca della nostra collega si apre leggermente.
«Oh...»
«Già» commenta la mia amica, obbligandola a rivolgerci un mesto sorriso.
«Allora credo che non ci sia niente da fare. Un vero peccato, mi sarebbe piaciuto ma potrai mostrarci qualcos'altro di quello che sai fare. Credo che sia il momento di raggiungere la mia amica, vado da Reiner a sentire di cosa discutono» ci dice, e presto ci lascia da soli. Con consumata esperienza, Lexie si appoggia al balcone con entrambi i gomiti, dando la schiena alla sala e volge il viso verso di me, che nonostante tutto sono divertito.
«Che cosa pensi di fare, Le?»
«E tu? Quella ragazza vuole vedere "che altro sai fare".»
«Era una proposta provocante, dici?»
«Non le sai più riconoscere da solo?»
«Avanti, finiscila.»
Il mio drink ormai è arrivato agli sgoccioli, e termina proprio come la canzone dai toni rock che fa compagnia al locale. Disfo il papillon blu, del colore dei pantaloni eleganti che indosso, ed apro i primi bottoni della camicia, respirando dentro abiti che non vestivo da tempo.
«Mi hai seguita alla lettera, questo abito ti calza a pennello» commenta la mia amica, lanciandomi una lunga occhiata.
«Anche a te questo vestito in pailette, sei molto bella.»
«Ci puoi giurare, Reiner non mi ha staccato gli occhi di dosso tutta la sera. È il solo motivo per il quale ora parla con la mia dipendente.»
«Ah, ecco cosa era» dico ridendo, avendo scoperto le carte. Lexie si volta su di un lato, rimanendomi di fronte e fissandomi a lungo. Una persona normale sarebbe imbarazzato dal suo modo sfrontato ma io, ormai, credo di averci fatto l'abitudine, tanto da sapere di dover chiedere direttamente a lei quello che sta accadendo.
«Che cosa c'è?»
«Sei stato giù tutta la sera. Non preoccuparti, arriverà» dice. Il nodo scorsoio si restringe ancora di più attorno alla trachea, e le poche gocce alcoliche contenute nel mio bicchiere cristallizzato non riescono ad allentare le corde.
«Non la sto aspettando» sussurro.
«Vuoi fare questo giochetto con me? Hai anche già capito da solo di chi stessi parlando.»
«Manca solo lei...»
«Perché tieni una sua foto nel portafoglio?»
«Lo hai detto anche tu, si tratta dell'unico scatto che ho fatto in quattro anni» le dico, pronto nell'essermi preparato la risposta.
«Quindi è importante...»
«Lo sai che è così.»
«Sì, lo so, e lo è anche per lei.»
Il ricordo del mio ritratto nella sua agenda torna a tormentarmi. Passo una mano sulla fronte, distendendo con indice e pollice le rughe d'espressione che mi si sono venute a creare e resto in silenzio, lasciandola proseguire.
«Sappiamo tutti quanti che sta affrontando un periodo difficile, suo marito...» la lunga pausa che ne consegue mi trafigge il petto, e mi fa pensare a una chiara verità ovvero che non voglio saperne niente, del marito. «... lui sembra non amarla più nel modo giusto, non saprei dirlo in altre parole. Katrina sta vivendo soffocata dalla sua ombra e per qualche ragione, tra noi tre amici, lei ha deciso di aprirsi con te e parlare. Credi che non sia importante? Posso conoscere più aspetti della sua vita ma lei è te che cerca, ed il motivo è semplice: la fai stare bene.»
«Perché mi dici tutto questo?»
«Perché sei generoso, Ethan, te l'ho detto, sei un uomo buono... ma anche tu meriti di essere felice.»
Forse è così... ma non con una donna impegnata, non è vero?
La mano di Lexie si posa sulla mia, trasmettendomi sicurezza mentre me ne sto andando alla deriva.
«Meriti qualsiasi cosa tu voglia» mi sussurra piano, poi la sua mano mi abbandona e lei si allontana, lasciandomi da solo con le sue parole, a tormentarmi.
La libertà di un individuo finisce quando inizia quella di un altro. Se anche desiderassi la pace, se pensassi che sia in grado Katrina di offrirmela, allora non posso agire con egoismo. Ho bisogno del suo consenso, di alcune certezze... ed il fatto che non si sia presentata qui è già una grande risposta.
Prendo un respiro profondo, e le mani dalla tempia scivolano lungo la faccia, distendendomi la pelle e allentando i muscoli tesi.
Dio, a che cosa sto pensando. È ridicolo oltre che sbagliato, ma Lexie ha ragione nel dire che non penso più a me stesso? Questa domanda mi annienta e tento di dimenticarla. La nascondo in un angolo del mio cervello e la macchio di infamia, perché non è parte del mio carattere eppure è vero... nonostante quanto ci possiamo sforzare di essere la persona che desideriamo diventare il nostro vero animo si affaccia irrequieto, chiedendo il conto.
Non sono ancora riuscito a combattere il mio egoismo, nonostante abbia cercato di soffocarlo per molto tempo è stato impossibile farlo. Quel difetto, del mio carattere, mi aveva spinto a desiderare una Naijya incurante dei doveri, desiderosa solo della mia presenza, e me ne vergogno per aver pensato, nonostante fosse stato per pochi secondi, di privarla di tutta quella forza che aveva fatto da tramite al mio amore.
Non commetterò lo stesso errore con Katrina, mi imploro di non farlo per non precipitare di nuovo nella vergogna. Inoltre ferirei una donna troppo pura, una stupenda anima che ho imparato a conoscere e che non merita i miei difetti.
Allontano la mano e sollevo lo sguardo, quasi avessi percepito il suo ingresso.
E rimango senza fiato. I miei occhi, i ladri più colpevoli, non possono evitare di scorrere lungo la sua figura senza perdersi un dettaglio. Vorrei allontanarli, staccarli da lei ma fa quasi male. La bocca mi si storce quasi avessi ingerito un liquido amaro, ed è il chiaro segnale che me ne dovrei andare, sollevarmi da questo sgabello e uscire dalla sala ma non riesco a farlo... come non riuscivo sul balcone della casa della nostra amica, quando le ho sfiorato la guancia.
Allora mi aveva imprigionato la sua tenerezza, il modo gentile con il quale mi aveva chiesto se potesse restare, ma ora c'è qualcosa di molto più forte perché conseguente agli eventi che sono avvenuti. Il suo essere qui è una risposta mentre questo nuovo collante che ci tiene uniti è la sua certezza.
Si può sbagliare in due?, mi domando, mentre avanzo fino a lei che ormai ha scorto il mio volto tra la folla. Può esserci qualcosa, all'apparenza tanto sbagliata, in grado di apparire così giusta?
Non ho fiato per rispondere o per parlarle, quando la raggiungo. I miei occhi, codardi, enunciano solo una preghiera e fortunatamente la ode.
La sua mano raggiunge la mia ed io la stringo appena, iniziando a camminare in un primo momento all'indietro per mantenere lo sguardo su di lei. Quando raggiungiamo la pista, corpi di persone in movimento ci si affiancano attorno. Sento il ritmo veloce della musica ma è come se stessimo in un altro mondo: siamo fermi, su di un'altra melodia, ed ha tutto un altro ritmo.
Katrina solleva leggermente il volto verso il mio, facendo muovere piccole ciocche di capelli tornati ricci lungo le scapole nude, decorate solo da sottili laccetti di tessuto. L'abito che indossa è blu, in tono con i miei abiti, e ricorda il modello che indossava alla sfilata, oltre che il colore del mare. Quel luogo che tanto desidero vedere ma che non riesco a raggiungere, quell'emozione che non riesco a vivere, a respirare...
Si avvicina a me sollevando la braccia e posandomi i gomiti sulle spalle, accostandosi tanto da permettermi di posare le mani al termine della sua schiena, afferrandole i fianchi.
Il cuore vola in tachicardia, percependo l'odore del suo profumo, mentre il mio volto tenta di rimanere imperturbabile, di fronte al suo. Conosco le emozioni scaturite a contatto con la sua pelle e mi domando se siano le stesse anche nel punto in cui la sto afferrando. Lo strato del suo abito è tanto sottile da farmi percepire il calore della suo corpo, al di sotto, ed è quasi come se le stessi accarezzando direttamente la pelle, tentando di trasmetterle tutta la tranquillità e l'emozione che la sua vicinanza scaturisce in me.
La avvicino ancora di più, non potendo reggere il contatto visivo con il suo sguardo. Le mie mani si posano con maggiore sicurezza su di lei, applicando una lieve pressione anche sulla parte bassa della schiena e lei me lo lascia fare.
Mi domando se non sia il momento di essere egoista.
Vorrei baciarla. Provo quest'impulso da tempo ed è inutile mentire a me stesso. Da quando mi ha rotto la statua o ancora da prima, quando l'ho vista in tutta la sua forza a quella sfilata.
Katrina, devo essere egoista?
La mia voce non riesce a chiederle niente e finisce per vivere nel suo profumo.
Le mie labbra si posano sul lato destro della sua fronte e non si muovono di lì. Una piccola pressione in grado di calmarmi e di permettermi di avere ancora più vicino questo mare nel quale non riesco ad abitare.
Devo provare ad avanzare per me, per noi, Katrina?
Tremo appena, come un adolescente, ad una simile idea. Avverto la sua dolcezza così come la resa e basterebbe davvero così poco per scendere lungo il suo viso. Passare la bocca lungo la tempia, sul suo zigomo, sulla guancia per poi finire contro le sue labbra.
Questi riccioli, questo abito... Katrina...
Che cosa desidera? Tornare indietro nel tempo forse? Finire di nuovo insieme su quella spiaggia o mi sto immaginando tutto?
Qualunque sia la risposta, la voce di Lexie mi tormenta e capisco, a un tratto, che non posso essere egoista affatto.
Non posso essere come suo marito. Non posso prendere da lei così, soffocando l'aritmia contro le sue labbra, deciso a mettere a tacere i pensieri a entrambi. Non voglio farlo ma non riesco ad allontanarmi, perché quella parte egoista di me che sopravvive me lo vieta categoricamente.
Non la bacerò... ma non la lascio.
Il pensiero mi fa stringere appena i polpastrelli sulla sua pelle, rafforzando la stretta senza farle male, e Katrina decide di sorprendermi.
Con slancio annulla la distanza fra noi e finisce contro il mio petto, con il volto nascosto nel mio collo, le braccia più strette dietro la mia nuca ed il corpo premuto contro il mio.
Mi sta abbracciando e la mia bocca non l'ha abbandonata. Da artigli, le mie mani si aprono in conforto e le braccia la stringo, avviluppandosi attorno al suo corpo.
Ogni limite è stato annullato, i nostri corpi non conoscono né inizio né fine. Solo le nostre bocche sono distanti ma i cuori si tengono vicini, battendo allo stesso ritmo.
Vuol dire tanto: che non sono solo, che il coraggio ha un limite ma non un respiro, che il conforto è reciproco... e che non tutto viene espresso a parole. Con noi vince il silenzio ed un'insieme di azioni che compongono frasi, gesti, capaci di riportarti alla vita.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro