53- Il ragno
P.O.V.
Michael
Non c'è pace per l'uomo che cerca, per chi scova tra le macerie. Per chi si macchia di sudore e polvere, di righe di antichi giornali, per scovare una verità che possa renderlo meno schiavo di un controllo che non sente di avere. Per offrire in pasto a un apprensivo dolore l'unica verità in grado di calmarlo e lasciarlo dormire come non gli capita da notti, come desidera tornare a stare...
«Con quale cazzo di coraggio hai frugato tra le mie cose, eh?»
Gli indumenti di Sebastiaen mi vengono spediti contro, e il dolore nemmeno lo sento. Osservo solo i suoi occhi resi più lucidi a causa delle lacrime.
Sul torace non ha niente se non la sua pallida pelle, la stessa che avevo cosparso di baci, la notte prima, affinché la sua bocca potesse tacere ed offrirci a entrambi il riposo. La notte si era preannunciata perfetta, da dopo quella mezz'ora trascorsa a tentare di trovare una nuova ricetta per il suo cocktail speciale, ospitante come primo ingrediente il rossore di un pomodoro.
Durante quelle poche mosse nella nostra cucina, le sue guance non erano state da meno, e ancora come la prima volta una simile tenerezza mi aveva stregato, tanto quanto il bisogno di vedere fino a che punto potesse dimostrarsi reale.
«Calmati» cerco di controllarlo, tenendo tra le mani il suo maglione, un jeans, e tutto ciò che è riuscito a gettarmi addosso.
«Io dovrei calmarmi? Ti sei messo a spulciare nel mio telefono ed hai anche disdetto degli appuntamenti!»
«Se non hai niente da nascondere non capisco perché ti arrabbi tanto» commento, ostentando una conclusione già piena di logica.
«Con te è inutile parlare.»
Tenta di superarmi. Riesce a farlo spintonandomi ma solo perché glielo permetto. Sono più forte di lui, e non ho mai sollevato una mano per dimostrarlo. Tranne quando tiriamo insieme a box, però in quel caso si parla di sforzo fisico, nient'altro.
Decido di seguirlo, solo perché non può andarsene così.
«Hai preso un bel vizio nel fuggire. Complimenti davvero!»
«Pensi che scappi da te?» Mi chiede, a un centimetro dal viso dopo aver accorciato di botto la distanza.
«Che cosa stai facendo, invece?»
«Non sono un codardo, io. Non scappo. Non scopo solo per illudere, in modo da continuare a esercitare il controllo non appena se ne presenta l'occasione!»
«Oh, ti ho illuso?» Povero, piccolo, angelo. Sapesse lui che cosa mi ha fatto, continuando a mentirmi, portando avanti la sua verità.
«Togliti.» Non lo faccio. «Togliti!»
I titoli scorrono veloci di fronte alle iridi che passano in rassegna informazioni inutili, distinguendole da quelle di importanza fondamentale per le quali mi trovo qui. Da...? Ore? Forse tre ore, forse quattro. Ugualmente troppo per ciò che sta subendo la mente.
«A te non te ne frega un cazzo di chi mi fotto al momento.» Sibila la sua voce, vicinissima alla mia faccia, gli occhi che scagliano fiamme. «A te frega solo di avere il controllo.»
Ohhh, Sebastiaen, esci dalla mia mente. Non è il momento, adesso, sto facendo una cosa importante, una cosa che può realmente cambiare le cose e dimostrare quanto le mie preoccupazioni siano costantemente fondate.
La Down Town non mi ha rigettato per le strade, in un odore maleodorante, solo per farmi mendicare. Vomitandomi, mi ha permesso di diventare qualcuno, di correre nelle mie scarpe rotte, di fare carriera. Cosa era servito per riuscirci? L'ingegno. Quella scienza che a tutti fa più paura. L'intelligenza. La lucidità. La scaltrezza. E forse, anche quell'antipatico sesto senso. Sì, sono convinto che sia servito, perché nonostante tutto il tempo che ho sprecato qua dentro finalmente trovo quello che cercavo, ed è a dimensioni cubitali, in un carattere bold che annienta nella sua audacia. Non si risparmia, e vi allega anche una foto.
Finalmente ho trovato il capo della Land Art Society, ed è ironico quanto il Destino voglia a tutti i costi giocarmi brutti scherzi.
Come riportato da queste notizie, dalle foto, dagli articoli di giornale... altri non è che Dominic Lance, proprio il critico d'arte che mi aveva allontanato per sempre dall'Olimpo, tornando a rovinarmi la vita.
Non posso permetterglielo. Cerco di farlo capire a Felip, uscendo. Non posso permetterglielo. Non posso dargli tutto questo potere senza che, in alcun modo, qualcuno glielo abbia chiesto.
Mi riprendo Caitlin, e torno con il giusto mazzo di carte in tavola.
Quando accendo la macchina il motore non funziona. Picchio con forza, a palmo aperto, il bordo del volante senza lasciare al clacson emettere il proprio rumore, disturbando solo la quiete cittadina quando chiudo di botto la portiera, uscendo.
Sollevo il cofano e afferro l'apposito sostegno che lo mantiene al di sopra della mia testa.
«Si è rotta una cinghia di distribuzione del motore. Forse i troppi chilometri percorsi o un eccesso di temperatura» mi dice la voce di Jeremy di fronte agli occhi, in un eccesso di trucco, in un sorriso osceno, finto, creato.
Cat è al mio fianco mentre la macchina rotta è di fronte a noi. Quella di Jeremy a pochi passi.
Col cazzo che è rotta. Col cazzo che ascolto Jeremy.
Sistemo il danno e al rombo del motore la macchina è pronta a ripartire.
L'indirizzo lo trovo sulle carte, e la distanza che separa me e mia moglie si fa sempre più breve. La lancetta del contachilometri sale come una seduta in plastica sulle montagne russe, andando sempre più in alto mentre il sudore mi cola dalla fronte, nonostante il finestrino aperto.
«Vede, sta tutto nella visione che si può avere del teatro. Ci sono attori che utilizzano la recitazione per nascondere sé stessi ed altri che la usano come un riflesso. Lei cosa crede di essere?»
Il polpastrello dell'indice destro è premuto contro la tempia, il gomito appoggiato sulla base del finestrino aperto mentre il volto di Dominic mi si ripresenta davanti.
«Non traspariva alcuna innocenza in lei, dunque non vi era feeling con il personaggio.»
«Innocenza?»
«Da solo non l'ha capito? Era ciò che, in parte, il protagonista richiedeva.»
Di colpo il palmo torna a premere contro il manubrio. Il clacson suona incessante e tre macchine di fronte a me si spostano dalla corsia di sorpasso, virando verso destra, pur non chiedendo loro di muoversi. Era semplice sfogo, ma il piede preme sull'acceleratore, la lancetta sale.
Il vetro abbassato permette a un vento gelido di entrare ma il giubbotto nero antipioggia mi protegge e non lo lascia attraversare. Mi schiaffeggia la faccia, tenta di tenermi sveglio ed io lo sfido aumentando la corsa.
La macchina viene registrata da due contatori della velocità ma non ho tempo di preoccuparmi della multa, penso solo a mia moglie, la mia dolce, innocente moglie che è caduta vittima di un gioco più grande di lei.
Oh, se solo si rendesse conto del fatto che si tratti solo di un'immensa vendetta.
Qualcuno le ha offerto un lavoro, un lavoro importante. Sarei stato dalla sua parte. Avevamo deciso di trasferirci insieme in questa città per il mare che ospita, per rinascere, per lasciarci confortare dal sole costantemente presente di queste spiagge. La Land Art Society distava solo qualche ora di distanza. Quel sogno tanto impossibile dai tempi di Marina era di colpo mutato in qualcosa di tangibile, e non avrei mai potuto non accettare il suo desiderio. Avrebbe significato che quel passo lo avevamo fatto insieme, che era merito di entrambi, nostro, della nostra nuova vita ma quello che le è capitato.... Dolce gatta, era finita in una trappola più grande di lei.
Come potrò distruggere i suoi sogni? Dovrò dimostrarmi inflessibile, altrimenti lei non mi darà mai ascolto. Quella rossa donna che ha avuto il coraggio di innamorarsi di un uomo come me lotterà per avere ciò che crede le possa spettare di diritto, e sarà mio il compito di lasciarla arrendersi in modo che tutto ciò possa avere una fine.
Per tornare a stare bene, io e lei, senza più segreti o false paure.
Nessuno può sapere cosa ci succederà, ma se c'è una cosa che sappiamo fare è reinventarci.
Io e Caitlin siamo stati capaci di volare verso Roma con un preavviso di cinque ore, e amarci con coraggio in una notte di confessioni.
Cambiare casa, andare in affitto, vivere insieme, sposarci, affrontare la malattia e la difficoltà economica. Le discussioni in casa, le lotte d'amore, le urla, qualche pianto, qualche piccola incomprensione, i suoi sbalzi d'umore, i miei... Caitlin ha affrontato qualcosa di grande e non si è tirata indietro. Mi ha sposato nonostante avesse vissuto emozioni troppo forti che Jeremy aveva deciso di sottoporle, mentre ancheggiava nella sua pelliccia marrone e nei suoi tacchi alti, e quel qualcosa deve essere stato qualcosa di grande, qualcosa... come Sebastiaen.
Sono convinto che Sebastiaen si sia presentato al suo cospetto, rovesciandole addosso un mare di fandonie alle quali Cat non aveva creduto. Perché la mia piccola è così brava, così tenera, lei mi ama, mi ama da sempre, ha corso con me, mi ha chiesto di baciarla, mi ha promesso qualcosa che aspettavo da tempo di poterle chiedere.
L'eternità. Cat ha promesso di invecchiare al mio fianco. Di fronte a un dio pagano, di fronte al sindaco che aveva celebrato la nostra unione e di fronte a delle sedie vuote, a simboleggiare una mancanza di legami affettivi passati perché la sola famiglia eravamo noi. Lo aveva fatto. E non potrà tirarsi indietro. Questo anello ci unisce per sempre. Lega i nostri cuori, non può sottrarsi.
Cat... ti amo, ti amo, ti amo. Solo che, a volte, sei così stupida. Credi a tutto quello che i grandi ti costringono a sentire, e lasci che loro ti comandino, e condannino, per sempre. Che cosa era stato Daigher? Solo un'inutile bugia. L'amore di tuo padre, di tuo fratello, di tua madre, di Marina? Tutte fandonie, solo io solo rimasto.
Solo io, che sto correndo da te come un disperato.
Sull'asfalto della superstrada, le gomme della mia macchina stanno quasi lasciando le fiamme ma una simile velocità è necessaria per arrivare a La Paz in tempo e salvarla.
Quello che verrà dopo non mi interessa.
Supero una macchina sportiva e minuti dopo mi accorgo che il tragitto, percorso solitamente in un'ora e mezza, è stato bruciato nella metà del tempo. Sono alla porta del La Paz, l'uscita autostradale me lo dimostra con un cartello. Dannatamente vicino al mio scopo e ancora... ancora troppo lontano.
Nonostante trovi subito parcheggio. Nonostante le gambe siano allenate per correre e sfrecciano veloci verso la loro meta. Nonostante tutto quello che può accadere intorno.
Almeno finché l'insegna della società non mi si presenta in un carattere particolarmente leggibile, incitandomi a superare le porte scorrevoli dell'ingresso.
La ragazza alla reception osserva il mio affanno, ed io le rivolgo la mia domanda.
«Mi scusi, sa dove posso trovare Katrina Flint?»
«Intende la signora Katrina Abrich?»
Il cuore fa una capriola nel sentire il suo cognome da nubile. Per quale ragione l'ha mantenuto sul posto di lavoro? E quel signora... sa almeno che è sposata?
«Sì... lei, sa dove si trova?»
In un déja vu mi rivedo di fronte a un Raimòn laccato di tutto punto, con gel nei capelli e penna stilografica in mano che scorre i nomi dei clienti dell'hotel, in modo da trovare la donna che cerco.
Recupero nel frattempo fiato mentre la ragazza prende tempo nell'offrirmi la risposta.
«Certo, è appena tornata, può chiedere di lei nell'ufficio in fondo a destra. Se vuole che la informi...»
«Non c'è bisogno.»
Sono suo marito, e sto andando a prenderla.
Ignoro i gruppi di persone che mi fissano come si fissa un toro nella sua corrida, procedendo fin dove mi è stato indicato e spalancando la porta.
Trovo Caitlin di spalle, assieme a una ragazza dai capelli mori sfumati in un pallido biondo al termine, entrambe sedute sole a un tavolo ovale. Cat si volta allo scatto del mio ingresso e adesso... mi fissa quasi come se avesse visto un fantasma, con la bocca semiaperta dallo sconcerto e dall'incapacità di pronunciarsi.
Non le offro modo di farlo. Afferro la sua mano e la trascino fuori dall'ufficio.
Le persone ci guardano ma non mi interessa. Il corridoio si dimostra particolarmente lungo, se non affrontato di corsa ma con un'andatura medio veloce, che non rifugge agli sguardi. Il suo polso, invece, è più piccolo di quanto ricordassi, pallido tanto da vedere le arterie al di sotto e debole, molle, quasi arreso.
«Che sta succedendo?»
Un uomo si aggiunge alla mia visuale, comparendo di fronte alla porta di un ufficio molto vicino all'entrata. Alto, capelli scuri, pelle olivastra, vestito in un completo grigio chiaro con tanto di gilet. Niente di meno di Reiner.
«Ce ne andiamo» gli rispondo, superandolo con ancora Katrina alle spalle.
Dopo alcuni passi avverto la protesta di mia moglie alla stretta che ci unisce, quasi una presa di coscienza di quello che sta accadendo.
Intorno ci sono molte persone, forse sta pensando all'umiliazione che sta ricevendo ma se solo fossi lucido, e se fossi certo che in questa sede lei non ci metterà più piede, non agirei così.
A poca distanza da Reiner un altro uomo ci osserva, ed è più alto del precedente. Mi supera di qualche centimetro ed ha i capelli biondi, ricci, la pelle bianca e un giubbotto lungo e marrone, con tanto di cappuccio.
Non ho idea di chi sia, ma il suo aspetto trasandato, esente da abiti formali, non lo fa apparire come uno dei capi di questo posto, o tantomeno come un uomo che potrebbe avvicinarsi a Caitlin, per cui lo supero ed esco in strada, con mia moglie che protesta.
«Michael, mi fai male!»
Lo urla solo una volta che siamo soli, quindi come immaginavo è vero, si è vergognata della mia scenata.
«Stai al passo e non fare capricci.» La mano tirerebbe meno se solo si decidesse a starmi dietro.
Riusciamo a raggiungere la macchina nonostante i suoi miagolii, le sue proteste e tutte quelle mezze frasi sussurrate tramite le quali mi ordina di stare fermo, di calmarmi. Fortuna che non le sento, chiudo la portiera di fronte alle sue proteste e riprendo il posto alla guida, così da arrivare assieme a lei in un luogo isolato.
Non appena ci troviamo il mare di fronte, sento di aver raggiunto il posto giusto.
Proprio sugli scogli di una spiaggia americana ci siamo promessi di ri iniziare tutto da zero, di condurre la vita che stavamo vivendo, quindi dobbiamo ricordarci una simile promessa.
Dobbiamo capire entrambi che se vogliamo qualcosa da costruire ce lo dobbiamo guadagnare.
«Michael, calmati.»
Pessimo modo di iniziare una discussione. Veramente il peggiore.
«Calmarmi? Vuoi che mi calmi?» Intelligentemente tace, capendo che ho tutto il diritto di sfogarmi, adesso che l'ho trascinata via da quel buco di posto. «Perché non mi hai detto un cazzo per tutto questo tempo?»
«Parla bene.»
«CAITLIN!»
Lo urlo con tutto il fiato che ho in gola, tanto forte da arrivare a stringere in due pugni le mani e far voltare delle persone che, a metri di distanza, stavano passeggiando nella loro comodità.
Nonostante la vicinanza con il mio viso furioso, mia moglie non si ritrae, e questo fa onore al suo coraggio perché se solo mi stessi guardando allo specchio, da solo, mi spaventerei. Sapendo quello che ho dentro, tutta la rabbia che sto covando e l'inadeguato sentimento che prova il cuore nell'accorgersi di essere stato tradito.
«Te lo avrei detto.»
«E quando? Da quanto va avanti questa storia, Cat? Due anni? Tre?» Poi con timore continuo a domandare. «Quattro?»
Le lascio la libertà di far coincidere la sua versione con quella fornita da Raimòn, da Irma, mettendola alla prova con la speranza che stavolta la superi.
«Non era niente di serio all'inizio. Conducevo persino due lavori per poter guadagnare a sufficienza per la casa.»
«Quindi i due lavori c'erano... ma hai lasciato l'hotel per dedicarti a questa nuova mansione.» Replico con un'ironia che mi fa drizzare i peli delle braccia dal disgusto, dalla rabbia. Non si lascia scomporre, andando avanti nel far crescere quest'agonia che, sinceramente, mi sta facendo a pezzi.
«Michael, è il lavoro che merito. Si tratta di arte, di non abbandonare la mia passione, lo capisci?»
«Che ti meriti?» Commento, in un mezzo sorriso che non ha niente di ironico. La tristezza mi assale. «Ed io cosa è che merito, eh? Che cosa mi merito, Katrina?» Vittima delle mie emozioni, torno a chinare la testa nella sua direzione, avendola raddrizzata di poco, ed il collo si tende nello sforzo di piegarsi alle mie movenze, al nervoso che si mescola al sangue. «Con tutti i modi che esistevano per tradirmi, hai scelto il peggiore. Mi hai mentito, Cat, pur sapendo quanto per me fosse importante la verità. Mi hai lasciato all'oscuro per anni e, oltretutto, lo hai fatto scegliendo un lavoro simile. Vuoi che dica ad alta voce il nome del tuo capo, così ti dimostro di conoscerlo?»
Tace, ed io sono costretto ad ammettere a piena voce il mio incubo.
«Dominic Lance. Allora, ci ho indovinato?»
Leggo quasi una confusione, nel suo volto. Sembra non capire.
«Che cosa è questa finta innocenza, Cat? Non ricordi? Non sai?»
Chiara testimonianza di quanto l'evento, che trascina con sé la compagnia di questo ultimo nome, sia stata una svolta epocale solo all'interno della mia vita.
«Dominic Lance, Caitlin, è il critico d'arte che mi ha rovinato la vita. Lo stesso capo per il quale lavori, da oltre quattro anni.»
Nel sentire simili parole, proprio come era accaduto nel suo ufficio, la sua bocca si spalanca appena, lasciandomi intravedere la lingua. Gli occhi si allargano e quei cieli, che per molto tempo sono divenuti la mia dimora, mi accolgono in loro con un misto di preoccupazione e d'ansia, a seguito della nuova scoperta.
«Vuoi dirmi che non lo sapevi, Cat? Che non lo hai fatto per battermi e ferirmi? Dominic che ti accetta sotto la sua ala, solo per farmi un torto e tu che glielo concedi.»
«Michael, io... non lo sapevo.»
«Posso crederti» confesso, ricordando le ore passate nell'archivio comunale per arrivare a una simile scoperta. «Posso farlo ma tu, in cambio, dovrai lasciare questo lavoro, così che torni ad avere fiducia in te. Questo è il solo modo, Cat, non c'è altra strada.»
«Credo... credo di non poterlo abbandonare immediatamente, nel contratto è richiesto un preavviso di sette giorni.»
«Come lo sai? Hai già provato ad andartene?»
Annuisce, anche se in un modo non troppo convinto. Questo mi fa dubitare della sicurezza che ha avuto in un simile episodio, ma riesco a intravedere anche la loro negazione nel lasciarla andare. Dominic sta giocando realmente bene le proprie carte.
«Non importa, non ti presenterai.»
«Michael... io non ho mai visto Lance. Non lavoro per lui. Sono sotto il controllo di Reiner e non facciamo altro che promuovere eventi per la salvaguardia dell'ambiente.»
«Lui non è in ufficio?» Chiedo, per accertarmene.
«No, non è in ufficio e non può farci niente. Ti prego, se vuoi che lasci il lavoro, fammi tornare in azienda per quella settimana, in modo tale che possa spiegarlo al mio capo. Non posso andarmene via così, ti prego.»
Provo a ragionare. Provo a fare la scelta migliore per questa situazione tanto incasinata.
«Ti licenzierai» le ricordo, tornando sul discorso che mi preme ancora una volta, «te ne andrai da quel posto e ti cercherai un nuovo lavoro. Qualcosa che sia degno del tuo potenziale e ci faccia vivere tranquillamente.»
Annuisce debolmente, con gli occhi che le si riempiono di lacrime. Ciò mi spinge ad afferrare il suo viso tra le mani, in modo da arrestare il tremolio che lo attraversa.
Fisso quei cieli desiderando, con tutto me stesso, di veder trasparire da quelle salate gocce l'amore che entrambi proviamo per l'altro perché è così forte che ci annienta, così forte da stare male.
«Io ti amo, Caitlin. Lo faccio solo per noi. Solo per noi.»
Glielo ripeto per tranquillizzarla, le giuro che la amo finché tra le lacrime non annuisce ed è allora che la bacio, posando la mia bocca ferrea sulla sua morbida, vellutata.
«Ti amo da impazzire, Cat, questo non potrà mai cambiare.»
Tra le mani ho il volto di mia moglie. Le sue lacrime mi bagnano ma non è che un'annaffiatura sopra il fiore del nostro rapporto, qualcosa che ci consentirà di progredire, crescere, e migliorare. Diventeremo migliori, ne sono certo.
«Avanti, sali in macchina. Andiamo a casa.»
Esegue tale consiglio, senza voltarsi indietro ma con una lentezza che ancora tiene conto della sua instabile emotività.
Passo entrambe le mani sul viso, in modo da tappare la visione del mare, e nel farlo le maniche mi scivolano fino al gomito, trasmettendomi il freddo del vento.
Prendo profondi respiri perché adesso tutto è sistemato. Dobbiamo solo ridimensionare, ancora una volta, la rotta della nostra vita ma niente potrà trovarci impreparati.
Nessun ulteriore imprevisto potrà fermarci.
Nel voltarmi un piccolo capogiro mi offusca la vita in un attimo e la mia mano, aperta, assieme al braccio si posa sul cofano dell'auto bollente, a causa dell'alta velocità.
Un bruciore mi corre di colpo lungo la pelle e ripristina, velocemente, i colori della vista.
Mi accuccio di colpo a terra, contro la ruota della macchina, sentendo la pelle pulsare al livello dell'ustione, e lentamente colorarsi di un rosso sempre più acceso.
Caitlin precipita verso di me, forse ho gridato. Fissa me e quell'ustione, senza sapere che fare.
«Michael dammi le chiavi. Guido io, ti porto in ospedale.»
«Non è niente» dico solo, nonostante mi sforzi di pronunciarlo a denti stretti, per non lasciar trasparire dai denti il dolore.
Il bianco di un abito mi passa di fronte agli occhi, ma forse si tratta solo dell'ala di un gabbiano, non riesco a definirlo.
«Smettila di protestare. La pelle ha ricevuto un'ustione, tra poco ti si creeranno le bolle, dobbiamo andare.»
È inutile persuaderla. Impossibile fermarle le mani mentre scavano nelle mie tasche per afferrare le chiavi. E le trovano. Mi impone di alzarmi in piedi. Di fare il giro della vettura e di mettermi a sedere dalla parte del passeggero. Faccio tutto questo, osservandola compiere l'ulteriore giro, di fronte al cofano presente oltre il parabrezza dalla mia visione interno macchina, per poter ritornare alla sua postazione al volante, che poco dopo raggiunge.
Inserisce la chiave e mette in moto, mentre io fisso il mio avambraccio scoperto che ancora pulsa di dolore. La pelle che si arrossa in maniera irrefrenabile e le vene, scure, che emergono da sotto l'epidermide in un colore strano, contorto, quasi vi fosse uno schema pre impostato, di loro particolare acume, che le porti ad emergere al grido del dolore.
Di fronte a me ho come un nuovo disegno del mio sistema sanguigno, un nuovo itinerario dalle tinte scure.
La bruciatura ha arrossato la pelle ma ha anche creato una serie di nuovi percorsi che coincidono in maniera geometrica in specifici punti, creando un disegno.
Una tela di ragno, incisa sulla mia nuova pelle.
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