46- Tutto puro agli occhi dei puri
P.O.V.
Caitlin
Quando frequentavo l'accademia, e mi trovavo per la prima volta di fronte a una tela a ritrarre dal vivo, c'era sempre un particolare che non riuscivo a cogliere, e ho scoperto dopo molto tempo cosa fosse.
Di fronte a un modello completamente nudo e proporzionatamente esposto alle regole della geometria, che mi avrebbero portato a ritrarlo, io non riuscivo a dipingere l'anima.
Può sembrare una cosa da sciocchi. Mi vincolavo sempre troppo alle leggi e mi trovavo, così, disposta a lasciarmi sfuggire un particolare tanto importante.
Marina, al contrario, era una campionessa in quella sfida imposta dalla realtà, e mi infastidiva che lei, proprio lei, la mia amica, riuscisse a vedere e ritrarre quel qualcosa che io nemmeno riuscivo a cogliere, troppo distratta, poco coraggiosa.
Con il tempo ho provato a perfezionarmi, indagando l'umano in un viaggio a suo modo introspettivo, che mi permettesse di scoprire quale fosse il segreto che lo tenesse vivo, e lo governasse all'interno.
Alle volte tale tesoro si celava, semplicemente, dietro l'inconscia manifestazione di un gesto, come il dito di Adamo non completamente teso nella "Creazione di Adamo" di Michelangelo Buonarroti, direzionato verso Dio quanto basta a simboleggiare il libero arbitrio che guida l'essere umano nelle scelte che si contrappongono al divino. Quel piccolo ed enorme tratto distintivo che caratterizzava un modello dall'altro.
Avere in mio possesso il controllo della sua presenza mi rendeva tranquilla, forte, pronta a riportarlo con colori acrilici ed enfatizzarlo. Una volta scoperto, non mi sono più sottratta, ed è per questo che è passato molto tempo da quando mi sono sentita, nuovamente, senza armi.
È passato molto tempo dall'ultima volta che mi sono sentita tanto esposta, di fronte a un paio di bellissimi occhi.
Li ho odiati con forza, nelle ore successive alla loro scoperta. Li ho maledetti in qualsiasi modo possibile perché sembravano superarmi, vincitori di una sfida che nemmeno sembravo aver affrontato.
Quanto avrei voluto prepararmi, per un simile momento. Riuscire, adesso, a scoprire cosa realmente quest'uomo porti in sé, prima di ritrovarmelo davanti.
La sua presenza mi schiaccia al suolo più di quanto avrei creduto possibile, tramite la malinconia che viene emessa dai suoi occhi e da quel piccolo tentativo, che effettua, nel venirmi incontro.
Le sue braccia, ormai allontanate dal petto, permettono alle mani di tendersi leggermente in avanti, con i palmi rivolti a terra mentre i passi provano a raggiungermi, quasi come se stesse cercando un modo di tranquillizzarmi.
L'espressione che ho deve quindi manifestare lo stato interiore in cui sono, e non avrei mai voluto una simile chiarezza di lettura.
«Desidero solo parlare. Calma, Katrina» sussurra molto piano, seguendo con gli occhi ogni mia mossa.
Scuoto la testa, retrocedendo appena, affatto pronta a un simile confronto.
«Che cosa ci fai qui? Non ho niente da dirti.»
«Dovrai solo ascoltarmi.»
Ha una bella voce. Un tono particolarmente caldo e anche il modo di fare in grado di tranquillizzare chi ha intorno, ma non voglio vivere questa situazione passivamente, voglio avere il coraggio di scappare. Non sono pronta ad affrontarlo, non voglio farlo. Quella che provo non è affatto paura quanto la volontà di voler fuggire da qualcosa che non mi aggrada.
Avere di fronte l'uomo che ho, per tanto tempo, odiato. La relazione importante, e affatto finita bene, che apparteneva alla vita del mio ragazzo, con il quale ho avuto una pesante lite, non ancora del tutto conclusa.
Voglio uscire da qui.
Ma una minuscola domanda si affaccia nei miei pensieri, iniziando a corromperli come tarli.
«Come sapevi dove trovarmi?»
Non risponde... vogliono tutti parlare, ma nessuno che offra una chiarimento alla domanda che pongo, e poi d'un tratto diviene tutto ovvio.
«E-Evie? Evie ti ha portato qui da me?»
«Capisco che tu sia confusa ma dobbiamo parlare di Michael...»
Forse è il nome del mio ragazzo a tranquillizzarmi ad un tratto, o forse è la presa di coscienza che mi spinge a capire a quante cose io sia destinata, senza il mio volere.
Tramite la lucidezza mentale raggiunta, riesco a concentrarmi con più attenzione sulla figura di Sebastiaen, sul suo modo elegante di vestire, sul suo atteggiamento tranquillo, sul suo viso disteso... quest'uomo piomba nella mia vita, volendo parlare del mio ragazzo, il suo ex, lo stesso con cui ha scopato e parlato d'amore, e pretende che io stia calma.
No, non lo sono, sono arrabbiata, mi accorgo, e non voglio averci niente a che fare.
«Perché vuoi parlarmi di lui?»
Si sono visti, di recente? Mi sono sbagliata? Forse quelle foto del passato che credevo un regalo di Stephany... può essere stato lui a fornirgliele, in memoria degli anni andati.
«Voglio metterti in guardia, Katrina, non è l'uomo che sembra.»
«Che cosa?» Rido, nel sentire una frase del genere. «Sono sei anni che stiamo insieme, quasi sette. Lo conosco, ormai, non hai niente da insegnarmi.»
«Possiamo sederci?»
«No.»
Il tono deciso della mia voce pare ferirlo, avendo inoltre ammesso di essere giunto in questa città soltanto per parlare con me. Di preciso, non so quanto possa essere vero, ma non mi interessa.
«Non mi ha mai detto niente di te», mormoro piano, con la schiena attaccata alla porta della stanza, fissandolo con rammarico. «Come vi siete conosciuti, perché vi siete lasciati...»
«Posso spiegarti tutto ma tu devi essere disposta ad ascoltarmi.»
«Tu non hai idea...» parto con il dire, in una breve risata stridula «... di quanto io abbia ascoltato. Non sai cosa ho passato o quanto sia ferita. Non ascolterò niente di quello che vorrai dirmi.»
«Perché? Perché hai paura di quello che potrai sentire?»
Non rispondo, fissandolo mentre si avvicina ulteriormente a me.
«Che cosa ti ha fatto, Katrina?»
Il modo in cui mi interroga, per alcuni secondi, riesce quasi a ipnotizzarmi, poi mi rendo conto della sua distanza e scivolo via, dall'altra parte della stanza.
«Niente, che cosa avrebbe dovuto farmi?» Rido. «Tra noi non abbiamo avuto che comuni problemi di coppia, che cosa credi che possa farmi?»
«Katrina, non è un gioco.»
«No, infatti, sembri terribilmente serio ma non riesco a crederti. Prima gli mandi delle foto di voi, e poi vieni qui per parlarmi, vuoi che lo lasci? Così da avere una nuova vita insieme, voi due da soli?»
«Che cosa? Non ho inviato nessuna foto.»
«Avanti, non essere ridicolo.»
«E non è una persona con la quale tornerei. Se ti fermassi e mi ascoltassi, capiresti.»
«D'accordo», cedo, camminando a passi decisi verso una delle sedute ma a occhi chiusi, senza che lui possa notarlo, in modo da trovare una calma mentale per tornare a parlargli.
Apro le palpebre non appena mi volto e mi accomodo di fronte al suo sguardo.
Sebastiaen attende per alcuni momenti, quasi non fosse propriamente convinto di quello che sta succedendo, poi arriva ad occupare la poltrona che mi sta di fronte.
Tra noi c'è solo un piccolo tavolino basso, al nostro fianco il fronte della cattedra.
Attendo che possa ripristinare le parole da dire mentre il suo capo è inflesso e le mani gli rimangono intrecciate davanti, in attesa di un'illuminazione.
«È difficile capire da dove partire» commenta, quasi più a sé stesso che verso di me, ma non posso evitare di ferirlo.
«Però, sei venuto preparato.»
Al mio tono solleva gli occhi, e mi fulmina all'istante.
«Non sono un tipo da discorsi a tavolino.»
«Ottimo, perché mi stancano.»
«Parlare così è praticamente impossibile.»
«Credi che ti avrei accettato con piacere? Anche se non mi ha detto praticamente nulla sulla vostra relazione so chi sei, e il fatto che tu ti sia avvicinato a lui dopo tutto questo tempo, per poi venire a parlare con me e mettere del marcio nel nostro rapporto, non fa accrescere la poca stima che già ho nei tuoi confronti.»
«Sei vinta da dei pregiudizi, quindi lascia che chiarisca certi punti, prima di partire.»
Avrebbe potuto essere una conversazione tra adulti, e invece ho messo in pubblica piazza le mie emozioni, presa dalla confusione, rivelando rabbia e dolore al tempo stesso. Una persona cattiva ci marcerebbe sopra quindi ho solo bisogno di tempo per capire Sebastiaen chi possa essere. Per riuscirci devo lasciarlo parlare, e così mio malgrado rinfodero le unghie e resto in silenzio, permettendoglielo.
«A dispetto di quanto credi, non ho provato a contattarlo di nuovo. Desidero che i nostri rapporti rimangano chiusi e, se possibile, ti chiederei di non fargli nemmeno sapere di questo nostro incontro. Sarai però libera di fare ciò che vuoi.»
La mente, ad ogni intervallo di frase, è corsa ad immaginare scene mai viste del loro passato. Loro due al ristorante di Isaac, in una casa condivisa, nei gesti più piccoli, di fronte alla tv, al supermercato, per strada...
Ingoio quel boccone tanto amaro e resto a fissarlo.
«Questo silenzio mi fa sperare che tu possa essere disposta ad ascoltarmi...»
Preferirei che andasse dritto al punto, in modo da correre verso Evie e chiederle spiegazioni, ma mai mettere fretta al tempo, o all'ex del tuo ragazzo, è il caso di lasciarlo scorrere.
«Avrei preferito che ci fossimo incontrati in una circostanza diversa, con più tranquillità, ma in fondo non è importante.»
Dalla mia parte, potrei non dire lo stesso ma non saprei se con certezza. Mi incuriosisce tanto quanto mi provoca rabbia, ma non è necessario sognare possibili scenari di rappacificazione dovendo vivere una realtà simile.
«Katrina... devi fuggire il più lontano possibile, e separarti da lui.»
Sì, immaginavo una commento del genere.
«Non lo farò. Lo amo.»
«È pericoloso.»
«In che modo? Può arrivare a picchiarmi? Non glielo permetterò, e poi non lo farebbe.»
Di nuovo quell'espressione... quella specie di compassione nei miei riguardi. Odio chi mi fissa così. Odio che sia lui a farlo.
«Credi che la violenza possa essere solo fisica?»
Presa in contropiede nel vedermi rivolta una simile domanda resto in silenzio, e gli permetto di dire ciò che vuole.
«Ho solo una domanda da farti, e ti prego di rispondermi con sincerità.»
Attendo tale arrivo, fissandolo dritto negli occhi, abituandomi, mio malgrado, alla sua presenza conturbante.
«Sei sola?»
Tutto mi immaginavo, tranne che una richiesta simile.
«Che intendi?»
«Hai qualcuno intorno? Oltre a Michael.»
Nella mente passano una sfilza di volti, le persone più importanti della mia vita, ma nessuno di loro si sofferma in un tempo più lungo di un patetico secondo.
«No.»
«Dovresti, invece. Avere un amico ti permetterebbe di non affondare.»
Tra tutta quella lista di facce, vecchie comparse, per ultima giunge Evie, e provo una serie di emozioni contrastanti. Non posso dire con chiarezza che cosa sento.
Andandomene dalla festa ho avvertito un legame enorme, posto ad unirci, ma siamo di nuovo precipitate nella confusione di quest'emozione contorta, questa specie di odio del quale non se ne coglie l'origine.
Inoltre, il pensiero che stia per partire non la classifica come una persona su cui contare. Non la porterebbe ad esserlo, neanche il resto di ciò che ha fatto, ma forse sarei stata in grado di passarci sopra.
«Quando stavamo insieme, Michael non ha consentito a nessuno di essermi vicino. Qualsiasi rapporto che potessi ritenere più importante degli altri veniva da lui spinto via, in modo da non farmici avere più niente a che fare. All'inizio credevo che si trattasse solo della sua gelosia, l'avrai provata... dopo però ho capito che era il suo modo di disarmarmi e lasciarmi inerme, mentre lui poteva avere tutto. Ha fatto qualcosa di simile anche a te?»
Marina.
Marina che era stata allontana forse per la sua gelosia, forse per il motivo del mio lavoro.
«Lo ha fatto...» riesce da solo a farsi traduttore dei miei pensieri, ma abbassare la testa in un momento simile sarebbe da vigliacchi.
«Ogni relazione è diversa. Non sai i motivi che lo hanno spinto ad allontanarla.» La mia voce, con tono fermo, cerca di avanzare le mie idee.
«Forse no. Forse sono, invece, la sola persona in grado di dirti cosa fare. Non importa che tu mi creda. Finché riesci a fare qualcosa, che sia solo tuo e che Michael non sminuisca, allora potrà bastare.»
«Mi domando come tu possa essere stato insieme a una persona che sembri disprezzare tanto.»
Un piccolo sorride nasce all'angolo della sua bocca, incapace però di coinvolgere gli occhi.
«Oh, ma io non lo facevo. Lo amavo così tanto da diventare cieco.»
Una piccola parte ignobile di me, quella che ha costantemente paura, tende l'orecchio alle parole che Sebastiaen pronuncia, lasciandosi assuefare.
«Non credi che possa essere possibile? Eppure, per entrambi, deve essere stato così facile. Michael è un uomo affascinante, di classe, che sa cosa desideri tanto da riuscire a prevederlo.»
«Smetti di parlare di lui.»
Di scatto, Sebastiaen si sporge in avanti, saturo della mia protesta.
«Sto solo cercando di metterti in guardia», dice, a denti stretti, tentando di osservarmi con la dovuta pazienza. «Io non conosco il tuo passato, come tu non conosci il mio. Nemmeno puoi farti un'idea di cosa ho passato per riuscire a farmi avanti.»
«Puoi aver sprecato il tuo tempo.»
«Ho trascorso gli anni più importanti della mia vita a tentare di far ragionare la rabbia. Sei rimasta infastidita nell'avermi trovato qui e hai supposto eventi che non ti ho confermato. Ti ho detto di non amarlo, ma non ti basta. Non posso parlarti in questo modo, rimarrò in città per un paio di giorni. Confrontati con Evie e vienimi a cercare quando sarai pronta» mi dice, sollevandosi dalla sedia per avviarsi fuori dalla stanza.
«Perché dovrei passare da Evie?»
La mia voce alle spalle lo obbliga a fermarsi, e a ruotare il busto a sufficienza da tornare a guardarmi negli occhi.
«Mi conosce, ed è grazie a questo se oggi sono qui. Lo dovevo a lei, e a quello che entrambi abbiamo passato. Se solo ti decidessi a far pace con tutti i tuoi dubbi capiresti.»
Ed è con questa serie di parole enigmatiche, ed una conseguenziale fila di passi, che Sebastiaen abbandona la stanza, chiudendosi la porta alle spalle con lentezza.
Avrei preferito che la sbattesse.
Mi sollevo dalla sedia di scatto e inizio a fare respiri profondi, ingoiando nuvole d'aria per non sentirmi, nel panico, mancare l'ossigeno.
Cammino con passi veloci avanti e indietro per la stanza, lasciando i pensieri correre le loro infinite mete.
Accade qualcosa, poi. Un pensiero intangibile si mostra fastidiosamente reale da far scattare in me una reazione strana.
Tiro un calcio al piede di una delle poltrone, e poi sollevo, per ribaltare, il piccolo tavolino che ci divideva.
Il gesto è tanto liberatorio che non riesco a smettere.
Poco dopo ogni cosa è sottosopra e le lacrime si interfacciano alla visione offerta dai miei occhi, offuscandoli con il loro pianto. Il respiro si muta in un rotto delirio ed il petto mi fa male, tanto il cuore batte forte.
Pongo una mano su quel tamburo, quasi al fine di rallentarlo, ma non conosce altro destino che il delirio.
Furioso, si dibatte nel mio corpo per il veleno che ha dovuto ingerire tramite le orecchie, al suono di quelle parole tanto nefaste, ed ora scalpita tremendo, sentendo il nemico procedere nelle arterie.
È tutto così confuso e la forza con la quale ho distrutto la stanza in un impeto di rabbia scende tanto da tramutarsi in agonia, da spingermi a cercare una parete libera della stanza contro la quale poggiare la schiena e piangere.
Scivolo contro essa, lasciando andare i miei singhiozzi. Poi copro con dei pugni gli occhi.
Non ho niente intorno che il mio respiro, la cupa rabbia che indosso, il terrore e quella strana parte di me che ordina tutto il contrario, rispetto a ciò che è spinto a compiere il corpo.
Vorrebbe lasciarmi correre lontano ma non ho un posto verso il quale andare. Ho solo una casa che un estraneo macchia, forse di invidia e vendetta, e fa male anche solo il pensiero di dovervi tornare.
Ma se ci fosse un fondo di verità, in ciò che mi è stato detto... se così fosse il dolore da provare sarebbe completamente un altro, ed io mi trasformerei in una vittima.
La porta si apre appena ma non ci faccio nemmeno caso. La luce si era accesa, nella battaglia che ho messo in atto e che mi vede ugualmente sconfitta, eppure non noto la capacità che ha di rischiarare questo posto, dal momento che ancora mi nascondo.
So di preciso, però, a chi appartengano i tacchi che mi hanno raggiunta.
Non voglio affacciarmi su questo mondo.
Non voglio aprire gli occhi e cadere nei suoi.
Eppure sono destinata a farlo, perché sento il suo sguardo addosso, una volta che si pone alla stessa altezza.
Falsamente divertita allontano le mani, ed apro le palpebre ripristinando la vista.
Come immaginavo, mi trovo i suoi occhi cerchiati di scuro trucco, intorno, fissarmi con attenzione, e stavolta non vi leggo che semplice attesa. Nessun sentimento di comprensione.
Sorridendo rimango nel suo stesso silenzio, e per alcuni minuti non c'è altro.
Ci fissiamo semplicemente.
«Adesso so perché, appena conosciute, mi odiavi tanto.»
Ammetto, arrendendomi ad una semplice verità che non ero stata in grado di vedere, nonostante avesse lasciato dietro sé una traccia inestimabile di indizi.
«Sei stato così stronzo, Jeremy.»
Non dice una sola parola mentre nei miei occhi torna, di nuovo, un velo di pianto.
Il terremoto che mi scuote è quanto basta per farle tendere le braccia in modo da stringermi a sé, con forza. Ed in quella stretta riesco a naufragare, cullata dall'amore di una nuova amica e trafitta dalla vecchia gelosia di un uomo che era invidioso di me e del rapporto che stavo vivendo, e d'un tratta capisco come, quei due sentimenti, siano riusciti a coesistere nel rapporto con un'unica persona, perché Evie è entrambe.
«Mi dispiace...» sussurra al mio orecchio, quando la ricambio aggrappandomi forte. «Shh, pulcino, mi dispiace. Mi dispiace.»
Un singhiozzo muore contro la sua scapola mentre la mia bocca si bagna del mio stesso pianto. Tento di sollevare gli occhi verso il soffitto di questo posto per rallentare le lacrime, o farle del tutto smettere, ma sentire il cuore di Evie battere contro il mio non riesce a far frenare quello che provo.
«Perché hai chiamato proprio Sebastiaen?» Le domando, disperata. «Perché proprio lui?»
«Era necessario, dovevo farlo...»
«No, no...»
«Shh... Katrina, respira. Respira.»
Le mie unghie sono affondate nella pelle della sua schiena ma lei non pronuncia una sola protesta di dolore. Deve averne affrontato molto di più e vorrei essere stata al suo fianco, per aiutarla a viverlo.
«È tutto passato. Siamo sole, se ne è andato, fai dei respiri profondi con calma...»
Una serie di nostre immagini tornano alla mente in veloci diapositive che corrono impazzite. Quando eravamo nella sua camera d'hotel e, china di fronte a me, la vedevo guarire le mie ferite, è l'immagine opposta all'attimo in cui mi ha fatta uscire di galera, osteggiando un sorriso che sapeva di vittoria.
"Impara a vivere una realtà cruda con leggerezza".
Questo mi disse una volta uscita dal commissariato. Le stesse identiche parole che avevo emesso io, la prima sera che cenammo insieme a Michael, Ben e Emily. Allora, erano rivolte al primo loro spettacolo che vidi a teatro, "A porte chiuse", ed è comico che un'opera del genere rappresenti il nostro primo vero confronto, visto il significato che reca.
La rappresentazione di un mondo pieno di pregiudizi e conseguenze, quell'inferno che diviene inferno solo quando appiccato da altri.
Da dita puntate contro. Da parole sibilate.
«Sei uno stronzo, Jeremy» ripeto, nascosta nella sua stretta, senza crederlo minimamente, senza crederlo neanche un po'.
«Ero solo gelosa.»
«Sei l'unica rimasta, Evie» mormoro tra le lacrime. «Sei la sola rimasta. Ti voglio bene, ti prego... non mi lasciare.»
La stanza è ancora un casino, Reiner non ci perdonerà facilmente. Non ci sono vetri rotti ma alcune piume d'oca sono volate via da qualche imbottitura. Il resto è mediamente accettabile, ma tutto da sistemare. La luce ne dona una visione più tenue come accade alla figura di Evie che mi è di fronte.
Sono seduta per terra a gambe sollevate e chiuse, a causa del vestito, in modo da poter appoggiare a un ginocchio il gomito e lasciare una mano a tenermi alta la testa mentre fisso lei con un mezzo sorriso.
Appoggiata alla base di un mobile in mogano con la gamba destra piegata, e l'altra tesa, mi fissa nello stesso modo, con il gomito sul ginocchio piegato e la mano che oscilla nel vuoto. Testa all'indietro, un mezzo sorriso stanco, i tacchi alti in pelle che la slanciano, quella tuta che le enfatizza i seni e le spalle mediamente larghe, chiudendosi dietro la schiena ugualmente scoperta.
Lascio correre su di lei gli occhi, indagandola con curiosità mentre se la ride, e si lascia osservare quasi come un esperimento da laboratorio.
Una donna a tutti gli effetti, quasi nemmeno più il pomo d'Adamo, per non parlare di tutte quelle curve che la caratterizzano.
«Ti diverti?» Mi domanda, forse anche lei complice di una strana allegria dovuta alla mia strana reazione.
«Beh, sei molto bella.»
«Non mi infinocchi con questo complimento, ti odio lo stesso, lo sai.»
«Se mi odiassi solamente non mi saresti mai stata vicino a questo modo», commento, poi però un pensiero mi scurisce parole ed espressioni. «Con Sebastiaen, però, mi hai giocato un tiro mancino.»
«Devi trovare il coraggio di parlargli.»
«Perché?» Domando disperata, senza la volontà di farlo sul serio.
Evie mi guarda fissa. «Perché sta dicendo la verità.»
«Non ho voglia di parlare di questo.»
Per un attimo penso a come Jeremy mi avrebbe costretto, per forza, a farlo, ma Evie mi sorprende, mostrandomi la sua calma.
«D'accordo, allora lo farai quando sarai pronta.»
«Sei cambiata molto.»
«Sono sempre stata questa.»
«Che cosa è successo a Jeremy? Dove lo hai seppellito?»
«È ancora qui, non ti preoccupare» commenta, ridendo. Quando la sua bocca torna a distendersi mi informa di un altro fatto: «Però è stato ferito molto. Inoltre, non si è mai sentito molto sé stesso.»
«Per questo motivo vuoi che rompa con Micahel? Per quello che ti ha fatto?»
Scuote con lentezza la testa, negando ogni idea che ho tanto paura di avanzare. «No, è perché lo conosco, per cui se hai fede in me... se tieni all'amica che ti ha stretto la mano, in questi tempi, ascolterai ciò che ha da dire Sebastiaen e ne terrai di conto.»
«Quell'amica mi ha tratto in molto scherzi...» commento, per alleggerire questa tensione e riuscire a farla ridere.
«È vero ma è la sola parte di me che ti si è affezionata perché ti sente vicina, la più sincera. Jeremy ti avrebbe solo invidiata e si sarebbe compatito, in qualche angolo della sua vecchia città.»
«Resterò a sentire Sebastiaen per Evie, allora.»
Lo farò, per lei, ma a un tratto non basta. Quell'allegria che ci teneva unite a un tratto si affievolisce come un vecchio ricordo, ed ad essa si sostituisce un'altra emozione difficile da esprime.
«Che cosa succede?» La interrogo per ottenere risposte, e mio malgrado me le offre.
«Devo partire.»
«D'accordo.»
«Mi hai pregata di restare.»
«È stato egoista da parte mia, hai la tua vita. E poi lo capirei... se volessi rimanere lontana da Michael, lo capirei.»
Risulta molto difficile poterlo dire, vista la solitudine in cui affogo e la vita dentro la quale soggiorno, in attesa di un cambiamento in grado di farmi vivere più felice.
Evie analizza ogni ago che mi ha trafitta nel pronunciare simili parole, e con le sue dita sottili decide di tirarmene via dalla pelle qualcuno, dandomi respiro.
«Ci sarò sempre per te, voglio che tu lo sappia. Anche se non presente, sarò comunque al tuo fianco.»
Perché questa giornalista non abbandona una causa persa e non ha paura del rischio. Combatte con le unghie e con i denti per gridare al mondo ciò che si merita, e lo fa in un modo tanto elegante da essere sublime, con la punta di una penna, con la dose abnorme di un coraggio smisurato. Correndo, mettendo in gioco il suo amore, la vita, la carriera, tutto. Non è importante il prezzo da pagare se il risarcimento è tanto alto.
Prima non sono riuscita a scoprire in cosa potesse nascondersi l'anima di Sebastiaen ma so dove si trova quella di Evie: intrappolata in quel piccolo microfono che si porta sempre al petto e che, solo per questa serata speciale, ha evitato di mettersi in modo da non attirare l'attenzione. Attraverso di quello opera e riesce a comandare persino sui potenti, e la invidio molto per la donna che è diventata.
«Posso dire una cosa?» Azzardo nel chiedere, e la sua mano, prima ballerina sul precipizio del vuoto, compie una piccola piroetta, in aria, dandomi la parola.
«Prego, pulcino, dimmi pure ciò che pensi.»
«Questa autentica versione di te... è molto più bella.»
Scoppia a ridere, gettando leggera la testa indietro, con un lampo luminoso che le attraversa quegli stessi occhi che, nonostante i dolori e le sofferenze, sono rimasti immutati.
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