3- L'enfer c'est les autres
Nota autrice:
Ecco il vostro invito a teatro.
Musica consigliata per il viaggio?
La rue des Blancs-Manteaux (Juliette Greco)
«Le luci sono sistemate, il sipario è ancora calato? Le persone in sala sono rientrate?»
«Sì, signora.»
«E quante sono? Intendo, quanti spettatori ci sono presenti?»
«Duemila, signora. Il botteghino ha fatto il tutto esaurito.»
«Il tutto esaurito» ripete Miranda sventolandosi con uno dei dépliant dell'entrata, e la sua agitazione riesce a farmi sorridere mentre il tecnico, agitato almeno quanto lei, sembra pregare di non subire un'ulteriore interrogatorio, così da tornare alle mansioni che richiedono la sua presenza.
«Scusami, Michael, puoi chiudere un attimo gli occhi? Il trucco è un poco colato» mi fa presente Sarah, una delle truccatrici offerte dalla produzione, e per pochi secondi vengo privato della vista.
«Michael, sei stato grande nel primo atto! Io ero troppo agitato ma tu sei riuscito a calmarmi con il tuo primo monologo, sulle grate e l'intorno, mi hai sciolto i nervi», mi raggiunge la voce di Ben, seguita da un'affettuosa pacca sulla spalla, che coinvolgo in una specie di stretta di mano al contrario appoggiando sopra la sua la mia, sorridendo con il capo riverso.
Il primo atto era stato solo per noi, e tornatami la vista scopro il suo riflesso nello specchio che mi è dinanzi, immerso ancora nelle vesti di maggiordomo.
«Non è vero, Ben, andavi alla grande. È stata la tua prima serata, un po' di nervosismo è normale.»
«Quanti minuti all'inizio del secondo atto?» Sento chiedere a Miranda, e segue la risposta immediata del tecnico, nella concitazione del retroscena.
«Sei minuti.»
«Sarah, quanto manca a preparare Michael?»
«Siamo pronti.»
«Bene. Michael scendi, raggiungi le altre alle quinte», mi comanda.
Ringrazio Sarah ed eseguo, ma non prima di ricevere un ultimo augurio da Ben.
«In bocca al lupo, fratello.»
Sorrido e alzo una mano, imboccando poi le ripide scale del teatro per i due piani che mi separano dal palco.
Proprio nello stesso istante, Jeremy passa in un lampo al mio fianco, usando il poggia mano come suo scivolo personale, e arrivando in un attimo a destinazione.
«La prossima volta vedi di romperti il collo, così troviamo qualcun altro per interpretare Antigone», lo riprendo.
«E chi? Tu? Ma fammi il favore, non conosci nemmeno metà del copione.»
«Ci metto poco a imparare.»
«E anche a fuggire, ho potuto constatare.»
Tento di mascherare il sorriso, aggiustandomi i polsini della camicia inamidata bianca, sapendo perfettamente a cosa si riferisca, mentre continuo a discendere i gradini.
«Come è andato l'appuntamento?»
«Bene, e a te come è andato?»
«Non so di che parli.»
«Ti ho visto uscire con una ragazza dalla mostra, Michael, non mi inganni. Una rossa tutta curve stretta in un tubino nero.»
«Mi dispiace ma ora ho da fare», lo semino raggiungendo la mia postazione, ma la sua voce mi raggiunge alle spalle.
«Non puoi sfuggire per sempre. Sono il tuo migliore amico, e prima o poi lo verrò a sapere!»
Lo è solo per una serie di costrette circostante.
Il fatto di essere cresciuto al mio fianco, prima tra tutte, ma di certo non può vantarsi di conoscermi tanto a fondo.
Non parliamo mai troppo, o meglio sono io a non rivelargli quasi niente conoscendo il suo carattere troppo invadente.
Saltello sulla postazione venendo affiancato dalle due pareti di stoffa nera delle quinte, sentendo da dietro lo sfondo di scena qualcuno urlare i tre minuti restanti.
Mi fermo e aggiusto la giacca, i capelli e faccio un profondo respiro, ma il fiato mi si spezza, venendo risucchiato da un paio di morbide labbra.
Emily, stretta nel suo abito celeste chiaro.
«Sei stato bravo prima, mi hai vista qua dietro? Sono rimasta tutto il tempo a fissarti.»
«Emily... non farlo.»
«Non dovrei elogiarti? Dove è finita la tua presunzione, si nutre di complimenti no?»
«Non baciarmi. Non farlo più.»
Nonostante il buio riesco a intravedere gli occhi marrone scuro di Emiy fissarmi sorpresi.
«E perché mai?»
«Ho conosciuto una ragazza.»
«E allora? È solo un piccolo peccato, no? In fondo... noi siamo già all'inferno», mi dice, con un mezzo sorriso al quale mi è inevitabile non rispondere spontaneamente, e in quell'attimo si accendono le luci sulla scena, e il sipario si apre.
Cala il silenzio. È arrivato il mio momento.
Da solo avanzo.
Sono sul palco. Gli stessi occhi incontrati poco prima sono nuovamente su di me, che passeggio leggero nello spazio rimasto, e sfioro con una mano il bronzo presente sopra il camino, l'ultimo oggetto della mia scena, affiancato dal campanello usato nella prima e dal taglia carte.
La stanza è la stessa che hanno visto precedentemente gli spettatori, la sola nella quale si svolge l'intera opera teatrale, ed è priva di finestre, rappresentata da uno sfondo nero, illuminata unicamente dalle luci del soffitto. Come arredi, invece, sono presenti tre piccoli canapè dai colori diversi, grigio, bordeaux e verde, oltre che un camino.
Vado verso la porta laterale alla scena, chiamando il cameriere mentre batto i pugni contro di essa, ma non ricevendo risposta sono costretto a sedermi sul canapè grigio scuro, fino a che Ben, il cameriere per l'appunto, non si fa presente affiancato dalla mia collega Carmen, che si presenta sotto il nome di Inès.
«Mi ha chiamato?»
Osservo Ben, poi Carmen, prima di rispondere negativamente al primo dei due, lasciando scorrere il loro copione.
Attendo seduto sul canapè, fino a che Carmen si trova costretta a interrogarmi.
«Dov'è Florence?» Sono obbligato a tacere. «Le ho chiesto dov'è Florence?»
«Non lo so.»
«È tutto quello che ha da dire? La tortura per l'assenza? Bene, è mancata. Florence era una piccola sciocca e io non la rimpiango.»
«Scusi, ma con chi mi confonde?»
«Lei? Lei è il boia.»
L'opera teatrale che stiamo rappresentando è il frutto della mente novecentesca di Jean-Paul Sartre, che l'ha intitolata "A porte chiuse", limitandone l'esecuzione a questa sola stanza in cui noi tre, io, Carmen e Emily siamo i soli attori, e dunque i principali, a dover recitare nei panni di tre persone morte costrette a soggiornare insieme, e a condividere, dunque, questa stanza dell'inferno in cui Ben ci ha accompagnati.
Siamo tre assassini, man mano sempre più consapevoli della propria sorte, che spiano per brevi momenti ciò che accade sulla terra da dopo la loro assenza, i funerali, le conseguenze, ogni cosa, anche se non è la forza di volontà presente nei viventi la morale della trama, affatto.
Emily veste i panni di Esthelle, giovane francesina adultera che si è resa colpevole dell'omicidio del proprio neonato e del suicidio dell'amante.
Io, invece, quelli di Garcin. Brasiliano disertore della Seconda Guerra mondiale, e amante di due donne, entrambe consapevoli l'una dell'altra.
Carmen, infine, interpreta il ruolo di una lesbica capace di capirmi e per questo odiarmi, cugina del marito della donna che ella stessa seduce. Il loro amore esorta l'amante all'uccisione del marito, portando il crimine all'infamia di omicidio.
Carmen ed Emily si interrogano sulla natura della loro morte, confessando polmonite e gas, poi si rivolgono a me.
«E lei, signore?» Mi domanda.
«Dodici pallottole addosso. Mi scusi, io non sono un morto di buona compagnia.»
L'opera prosegue, fino ad arrivare al suo culmine.
«Vede?! Vede?!» Incoraggia Emily, ed è Carmen con la sua Inès a rispondere.
«Vedo. Per chi recitate la commedia? Siamo tra noi.»
«Tra noi?»
«Tra assassini. Noi siamo all'inferno, mia cara, non c'è mai stato errore e le persone son spinte nelle dannazioni per niente.»
«Taccia.»
«All'inferno! Dannati! Dannati!»
«Taccia! Vuole tacere? Le proibisco di usare parole inopportune.»
«Dannata, la piccola santa. Dannato, l'eroe senza colpa» fa riferimento a noi altri due. «Abbiamo avuto le nostre ore di piacere, non è vero? Ci sono persone che hanno sofferto per noi, fino alla morte e ciò ci divertiva molto. Adesso, ci tocca pagare.»
Alzo la mano, intimandola. «Vuole tacere?»Chiedo dunque, ma il suo personaggio è senza paura.
«Aspettate! Ho capito, so perché siamo stati messi insieme!»
«Badi a ciò che dice», le raccomando.
«State a vedere come è semplice. È semplicissimo! Non c'è tortura fisica, vero? Eppure, siamo all'inferno. E nessuno deve venire. Nessuno. Noi resteremo soli e insieme fino alla fine. Va bene? Insomma, qui manca qualcuno: il carnefice.»
«Lo so bene.»
«Bene, hanno risparmiato sul personale. Ecco tutto. Sono i clienti stessi che fanno il servizio, come nelle cooperative.»
«Cosa vuole dire?» Domanda Emily.
«Il carnefice è ognuno di noi di fronte agli altri due.»
Ed è al seguito di questa battuta che noi, tre attori, cadiamo nel silenzio, perché è tutto vero, ed il cuore è proprio qui.
Si limita tutto a questo... l'inferno per Sartre è questa tortura fisica che ci imponiamo gli uni gli altri, rinchiusi in una stanza, presi a giudicarci e a fare nostra la condanna altrui, arrivando ad appesantirla. A macchiarla maggiormente, tanto da condannare l'anima che, esausta, cerca nel confronto degli altri il giusto perdono al posto del riscatto divino, ed è il mio monologo, al seguito di altri tre da me fatti, a chiudere l'opera, una volta giunta al termine.
Dopo tutto ciò che i nostri personaggi hanno visto, ciò che hanno appreso, ciò che si sono detti e quello che hanno fatto, in passato quanto adesso, non resta molto da compiere: l'unica cosa rimasta è avvicinarsi al bronzo sopra il camino, sfiorandolo con una mano.
«Il bronzo...», mormoro, realizzandone lo scopo. «Bene, ci siamo. Il bronzo è qui, io lo contemplo e capisco che sono all'inferno. Vi dico che tutto era previsto. Avevano previsto che io mi sarei fermato davanti al camino, portando la mia mano su questo bronzo, con tutti questi sguardi su di me, tutti questi sguardi che mi divorano...», mi volto improvvisamente, appesantito dal giudizio, trovando le due donne sulla scena. «Ha! Voi siete solo due? Vi credevo di più», ammetto rivolgendomi verso la direzione delle fiamme interne al camino. «Allora, è questo l'inferno. Non avrei mai creduto...Voi avete in mente lo zolfo, il rogo, la grata... Ah! Che idiozia. Non c'è bisogno della grata: l'inferno, sono gli altri.»
«Amore mio!»
Emily accorre a me, ma io la respingo d'un tratto.
«Lasciami. Lei è tra noi. Io non posso amarti se lei ci guarda» esclamo, fissando con odio Carmen.
«Ha! Bene, allora non ci vedrà più» Emily corre a prendere il tagliacarte, precipitando su Carmen, trafiggendola con colpi che però la lasciano indifferente.
«Cosa fai, cosa fai? Sei impazzita? Sai bene che sono già morta» il coltello cade ma Carmen lo raccoglie, e parte configgendosi con rabbia.
«Morta! Morta! Morta! Né il coltello, né il veleno, né una corda. È già fatto, lo capisci? E noi staseremo sempre insieme.» La pazzia di tutto questa assurdità la spinge a ridere, e a contagiare prima Emily ...
«Per sempre, è ridicolo, per sempre!»
... E poi anche me.
«Per sempre!», ci lasciamo cadere sul canapè sconfitti, cadendo in un lungo silenzio dopo che le risate sono acquietate.
Non ci può essere fine a questo nostro dolore. La tortura degli inferi ci ha travolto nel suo gioco. Noi siamo macellai dell'anima di altri, mentre tentiamo di smacchiare la nostra, non riconoscendone i peccati per poi supplicare in ginocchio un perdono che non può essere che vano, poiché il risultato già è stato tratto.
Non può esserci un lieto fine a tutto questo, non nell'aldilà, non per noi dopo che le nostre vite sono state rovinate, non adesso, non più.
Mi alzo dal canapè allontanandomi dalle altre, raggiungendo un angolo del palco, lentamente, e nel completo silenzio.
Le luci mi trafiggono solo per un attimo prima che le superi, rimanendo comunque illuminato ma capace di vedere le fila delle poltrone, le persone al di sotto del palco in attesa della mia battuta finale, gli spettatori sul fondo... ma è solo spostando gli occhi di lato che intravedo delle ciocche di capelli rosso fuoco.
Katrina è seduta ad uno dei palchi laterali, affiancata da un uomo ben vestito e con i capelli tirati indietro dal gel.
Posti importanti, e per persone ricche come non immaginavo lei fosse.
La vista mi scorre sul vestito probabilmente lungo di lei e sulla bellezza con la quale sembra mostrarsi ogni volta che la incontro.
E per un attimo mi si spezza il fiato trovandola li, tra quegli occhi rimasti tutto il tempo a fissarmi.
Tra quelle persone in attesa di grondanti parole, mentre resta vedendola vestita di quel un velo creato forse dalla polvere delle stelle in grado di mostrarmela, visibile ma immersa dall'oscurità... fiancheggiata da un altro uomo distante anni luce dal mio mondo, che dal suo palchetto riservato mi osserva con superiorità in un disprezzo nemmeno celato, e che tento di non far trasparire io stesso, pronunciando l'ultima frase, con lo sguardo ancora puntato verso di loro.
«Bene, continuiamo.»
Con gesti veloci tolgo il trucco rimanendo in piedi di fronte ai tre specchi tra di loro legati, e incorniciati da piccole luci bianche, estremamente abbaglianti pr il buio al quale è condannato il camerino.
Lo stesso effetto avuto sul palco, fissando lei.
Sospiro gettando di schianto la salvietta nel cestino sotto il tavolo, producendo il suono sordo del colpo al termine di quel volo, a manifestare il fastidio che sento e che con profondi sospiri tento di arginare.
Fuori dalla porta, le voci degli artisti si sovrastano in un chiassoso clima di festa del quale non mi sono fatto partecipe, correndo al rifugio offertomi da queste quattro pareti non appena il sipario si era abbassato, oscurandoci alla vista degli spettatori che l'attimo dopo ci avevano accolto in un coro di applausi. Portando a mostrarci nuovamente in un balletto di inchini.
Neppure Emily o Miranda erano riuscite a fermarmi. Sono corso qui, e il minuto successivo mi sono chiuso all'interno, pur non potendo ruotare la chiave da anni sfortunatamente venuta a mancare.
Appoggio le mani sul tavolo chinandomi così avanti di fronte agli specchi, e tendendo la camicia sulle spalle, tanto da sentirla tirare.
Addosso porto quella e ancora i vestiti di scena, dei ridicoli pantaloni marroni fortunatamente non troppo larghi e delle scarpe di camoscio della stessa cromatura. La giacchetta è abbandonata su uno sgabello alle mie spalle.
Abiti da sciocco poveraccio, o ancora peggio da attore sottopagato, che mi fanno sembrare di colpo troppo ridicolo a confronto di quell'uomo tirato a lucido nel suo smoking perfetto, adatto alla serata, che per tutta la sera aveva avuto la fortuna di averla accanto.
Chi è e cosa diamine ci fa al suo fianco?
La gazza ladra di quel giorno i miei occhi non l'hanno intrappolata, ma devo essere incappato dentro quale altra sfortunata superstizione per sbaglio, altrimenti non si spiegherebbe cosa ci faccio adesso in un camerino da solo a pensare a quel tipo, che forse in un'altra vita avrei potuto essere io.
La porta alle mie spalle si apre, facendo entrare anche il brusio della festa nata nel corridoio, ma solo per pochi attimi.
«Non ora, Miranda, non ho molta voglia di festeggiare. Anzi, penso di tornare a casa. Ci rivediamo per le prove di Antigone lunedì.»
Alle mie spalle mi risponde il silenzio, ma non gli presto attenzione raddrizzandomi e finendo di sbottonare i polsini.
«È un vero peccato che tu vada via così presto, speravo di riuscire a parlare.»
Alzo di colpo gli occhi cercandola attraverso lo specchio, ed ecco che la trovo, appoggiata alla porta nel suo abito di stelle, con i riccioli rossi raccolti in una crocchia ma comunque presenti intorno al viso, come una cascata.
Riesco anche a dimenticarmi dell'uomo che era al suo fianco per un momento, stregato dalla magia di averla nuovamente vicina che mi spinge a voltarmi e fissarla, trovandola già intenta a osservarmi, con un mezzo sorriso dipinto in viso.
«Piaciuto lo spettacolo?» Le domando asettico, vedendola poi, con lentezza, annuire.
«Molto, anche solo i dialoghi erano molto belli, ma capito il messaggio che porta... sono arriva ad amarlo.»
«La compagnia era altrettanto piacevole?» Passo velocemente alla provocazione, e lei sorride, senza coinvolgere gli occhi.
«Non direi, no.»
«Chi è quell'uomo, Katrina?»
«Uno con cui mi vedo da qualche settimana.»
«Non mi avevi mai parlato di lui.»
«Non me lo avevi mai chiesto.»
Ormai sono tanto vicino da poterle contare i nei sul viso, se solo non mi costringessi a rimanere incatenato al celeste delle sue iridi per capire se fa sul serio.
Le ho chiaramente detto che sono pazzo di lei quindi mi domando se mi sia spinto a tanto per niente, facendo semplicemente la figura del ridicolo.
Ma vedo chiaramente l'assenza di felicità trasparirle dal bordo degli occhi, sul viso disteso, agli angoli della bocca, e lei, da parte sua, mi ha riferito che la presenza di questo terzo non le era stata gradita, quindi posso arrivare a sperare?
«Allora te lo chiedo adesso. Sei interessata a lui?»
«No.»
«Sei interessata a me?»
Inclina di lato la testa, appena. «Non sarei qui altrimenti.»
«Quindi cosa pensi di fare? Ti fai riaccompagnare a casa, e poi lo lasci?»
«Dal nostro ultimo incontro avrei giurato che non fossi un tipo monogamo. Quella provocazione che hai lanciato, sul fatto di poter avuto anche amanti del tuo stesso sesso, mi ha fatto credere che non fossi proprio un tipo incline alla normalità. Ma in fondo siete tutti così, voi artisti, no? Un po' pazzi, un po' stravaganti, e di sicuro non cittadini delle nostre leggi. Quanto di questo che ho appena detto è vero?»
«Ho avuto degli uomini come amanti, e ho avuto relazioni aperte, quindi è tutto vero.»
«Allora perché vuoi chiedermi di lasciarlo?»
Mi mordo un labbro in un angolo per nascondere il divertimento, deciso a non cedere alla sicurezza che manifesta avere, cercando altro al di sotto della sua superficie e cedendo sì, anche in parte, al suo gioco.
«Poco fa mi hai detto di non aver gradito la sua presenza al tuo fianco. Lo faccio unicamente per il tuo bene.»
«Sì, Richard non è un uomo con cui amo parlare. Non è interessante, contrariamente a te. Dunque con te potrei passare le giornate scambiando proficue opinioni, per poi tornare a casa da Richard magari e fare altro. È così che funziona nelle relazioni aperte no? Ognuno ottiene la libertà che chiede.»
Non finge di essere spigliata, potrebbe veramente farlo, lo sento. La sua purezza è in parte contaminata dall'età e dalla maturità che questa comporta, ma non posso fare a meno di ammirarla incantato.
«E sarebbe questo tipo di relazione, la sola cosa in grado di offrirti la libertà?» Domando a questo uccellino in gabbia che mi trovo dinanzi.
A questa donna decisa a mostrare a tutti i costi per prima cosa la sua sicurezza e la sua seduzione, mascherando lo spirito infantile che potrebbe albergarle dentro, che so che le albera dentro, usando se stessa come sola arma di difesa verso chi non conosce, verso di me, almeno per adesso, almeno finché non riesco a liberarla dalle sue stesse catene, permettendole di volare.
E si, forse questo potrei essere il solo capace di farlo. È da superbi? Lo sono, ma sono anche realista, e mai prima d'ora ho avuto un legame simile con un'altra persona, uomo o donna che fosse.
Nessuno mi aveva mai preso così tanto con la testa, i pensieri, con ogni minima parola che potesse uscire dalle sue labbra.
«Probabilmente no, ma non potrò saperlo senza averlo provato, mentre tu che mi dici? E voglio la verità, Michael.»
«La verità?»
«Sì.»
«Sono sempre stato libero dalle costrizioni e dai pregiudizi della gente. Ciò che volevo essere lo sono stato, ed anche se ho avuto più relazioni in passato, contemporaneamente, con te posso arrivare a non averne. Voglio non averne, e voglio l'esclusiva.»
«Da parte di entrambi?»
«Sì, di entrambi.»
«Io non voglio importi niente.»
«Non lo stai facendo.»
«Mi andrebbe bene anche nell'altro modo...»
«Non a me.»
Non con lei. Voglio essere il solo a scoprire le chiavi del suo cuore e liberarla. E se esistesse qualche Dio, e mi fosse testimone, allora giurerei, a lui solo, di riuscire a farlo un giorno.
«Perché sei venuta qui stasera?»
«Sei entrato nel mio mondo partecipando alla mostra, così volevo anche io fare parte del tuo prima di decidere cosa ne sarà di noi.»
«Tutto decretato dalla mia interpretazione in una sola serata?»
«Avevi un ruolo importante in fondo, eri parte dei tre protagonisti, potresti accontentarti. E poi ti ho già detto che mi è piaciuto.»
«Quindi cosa significa?»
«Dimmelo tu.»
Resto immobile a studiare ogni piccola parte del suo viso, della sua espressione agguerrita quanto sincera, ed è in questo momento che capisco quanto tutto possa dipendere da me adesso, poiché la recitazione di questa sera non aveva niente a che fare con il momento che stiamo vivendo. Non quanto vi ha a che fare, almeno, l'astuzia, o la capacità di prendere le occasioni al volo, nell'attimo.
Carpe diem, ne sono un grande sostenitore, eppure mi stupisce il suo continuo volermi mettere alla prova, quasi fossi un esperimento da analizzare oppure uno dei partecipanti di una gara a tempo all'interno di un enorme labirinto, nel quale una sola decisione, presa erroneamente, costa la vita, squalificandoti per sempre dal gioco, e ho voglia di chiedermi il perché questo accada.
Il perché Katrina sottoponga costantemente ogni uomo ad un'indagine tanto scrupolosa, al solo fine di poterla avere vicina, ponendo quasi limiti impossibili. Eppure so di avere buone carte e poterla stupire, di aver visto dentro al dipinto della sua vita ciò che molti altri non erano riusciti nemmeno a intravedere, e quindi di essere in grado di vincere dove altri prima di me avevano fallito.
Lo spero con tutto il cuore, perché questa sfida che la vita mi ha messo davanti io voglio vincerla, voglio superare questi scogli, voglio liberare quest'angelo dalle sue catene di martirio e volare con lei lontano, da tutto il resto e da tutto quanto, perché solo con la sua di pace io forse, un giorno, potrò trovare la mia.
Forse è Katrina la chiave della mia stessa felicità.
«Inventati una scusa credibile e lascia che quell'uomo torni da solo a casa, poi raggiungimi nell'uscita posteriore degli artisti. Ti porto a cena fuori.»
Non dice una parola ma il suo silenzio è un assenso.
Mi fissa un'ultima volta con sguardo neutro, e poi lentamente afferra il pomello della porta facendo entrare le voci di altri a coprire il silenzio delle nostre, per poi scomparire in quel marasma e lasciarmi da solo, all'interno di questa stanza munita unicamente di uno specchio.
Da solo, con niente tranne che un sorriso, forse la fortuna in tasca e le chiavi di un nuovo paradiso, inesplorato e tutto da scoprire, bello e pericoloso quanto affascinante e insipido.
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