Parte 32 - Un'ansia persistente
Cobra gettò uno sguardo all'ora proiettata sul soffitto: erano le cinque e trentasette. Frustrato sospirò con disappunto: «E ti pareva che potessi dormire almeno fino a un'ora decente».
Da giorni era in preda a un'ansia persistente che si placava soltanto grazie all'aiuto degli psicofarmaci. Una volta esaurito il loro effetto il risveglio e l'agitazione tornavano prepotenti. La sua nuova realtà non gli concedeva nessun momento di serenità. Quando gli effetti delle medicine svanivano, la sua mente, priva di controllo, diventava vulnerabile e impotente.
Cobra, stanco di rigirarsi nel letto, scostò le lenzuola e posò i piedi sul pavimento. Con amarezza sibilò: «Un'altra giornata di merda non poteva che iniziare così».
Si alzò e si avvicinò alla finestra. Aprendo le tende notò che le luci dei lampioni erano ancora accese. Mentre la città iniziava a svegliarsi, l'alba era contrastata da una coltre di nuvole spesse che si muoveva lenta sopra ai tetti dei palazzi. Osservò la scena come fosse in trance.
«Apparentemente tutto perfetto e niente in ordine», borbottò tra sé e sé. Poi si girò e andò in bagno. Mentre si guardava allo specchio, non poté fare a meno di notare - oltre al suo aspetto trasandato - i suoi occhi stanchi e tristi. Non aveva una bella cera, tuttavia non gli importava più di tanto. Visto il contesto in cui viveva, l'estetica era tornata a essere una questione secondaria. Si sfregò la barba incolta e si abbassò sul lavandino a lavarsi la faccia.
Ormai era entrato in un circolo vizioso di trascuratezza e risentimento. Odiava sé stesso e il mondo. La situazione peggiorava di giorno in giorno. Senza motivazione e senza stimoli non coltivava nessun interesse. Nemmeno le parole di Luca erano state di aiuto. Era svanito completamente l'approccio mentale positivo che avrebbe potuto contrastare l'agitazione e il malessere interiore. Era come su una zattera sperduta in un oceano in tempesta, senza alcuna direzione.
Mentre faceva colazione, rimuginava sulla miseria della sua esistenza e sulle circostanze che l'avevano determinata. Si sentiva pieno di rabbia e frustrazione, convinto che la responsabilità di tutti i suoi problemi fosse da attribuire unicamente a una persona: «Birgitte! Maledetta!».
Sentimenti contrastanti fluivano liberi nella sua mente. La sua capacità di vedere le cose in modo obiettivo o di trovare una soluzione ai suoi problemi era offuscata dall'effetto delle medicine. I pensieri vorticavano nella sua mente in preda a una bufera emotiva. Il continuo malessere lo aveva fatto entrare in una spirale di violenza immaginaria. Uno stato mentale che lo portava a pensare che c'era solo un modo per liberarsi dei suoi demoni: tutti quelli che lo avevano fatto soffrire dovevano penare a loro volta.
Da quell'abisso di disperazione non vedeva vie di fuga. Tutto gli appariva buio e cupo: «Dovrebbero schiattare tutti», frusciava con sempre maggiore frequenza.
Mentre fissava il soffitto nell'oscurità, assorto nei suoi pensieri, una pioggia insistente iniziò a tamburellare sui vetri della finestra. La voce dei suoi spiriti maligni iniziava a sussurrargli parole di morte e distruzione. Avrebbe potuto zittirle, ma allo stesso tempo gli riusciva difficile non cedere al loro canto.
Un lampo illuminò la stanza rivelando, per un istante, il suo volto teso e gli occhi sbarrati. Il rombo del tuono fece tremare i vetri e lo riportò alla realtà, destandolo da quel viaggio a occhi aperti. Quando l'oscurità tornò ad avvolgere la camera, una lacrima solitaria gli rigò il viso.
Il suo era un dolore muto e disperato.
Si sentiva solo, terribilmente solo.
Era una sensazione che gli stava cucita addosso come una seconda pelle. «La devono pagare! Non posso essere l'unico a stare male così. Devono provare tutti lo stesso dolore che sto provando io in questo momento», mormorò tra i denti.
Più il tempo passava e più la sua ira e la sua sete di rivalsa aumentavano, il fuoco dell'odio bruciava sempre più intensamente, consumandolo dall'interno. Ogni ingiustizia subita, ogni tradimento, alimentava il suo desiderio di vendetta. Ne aveva per tutti. Nella sua mente obnubilata acquisiva i poteri da supereroe e torturava a uno a uno tutti quelli che lo avevano costretto in quella condizione: Birgitte, il sostituto procuratore, il pubblico ministero, il giudice, i poliziotti, i vicini, i bulletti a scuola, le ragazze antipatiche, i professori. Chiunque avesse avuto a che fare con lui, e non lo aveva trattato con il dovuto rispetto, doveva essere punito a sua volta. Era inutile che chiedessero perdono.
Il suo orgoglio gridava vendetta.
«La colpa è unicamente di quella stronza! Solamente sua!», dichiarò al culmine della sua furia conficcandosi le unghie nel palmo della mano.
Rabbia e cattiveria si fusero e presero forma e consistenza. Immaginare di vedere Birgitte angosciarsi e soffrire come lui stava sperimentando rappresentava una giusta ricompensa per tutto ciò che stava attraversando e per tutto quello che gli era stato tolto. Quello sfogo ad alta voce ebbe un effetto dirompente sulla sua psiche. Gli aprì delle nuove prospettive. Nella sua testa cominciò a materializzarsi una strana fantasia. Era qualcosa a cui non aveva mai pensato prima: vendicarsi in prima persona. «Costi quel che costi devo punirla! Del resto, è impossibile che un avvocato, a cui non gliene frega un cazzo di me, risolva tutti i miei problemi come per incanto», sbottò con profondo senso di delusione.
Più il tempo passava e più il suo desiderio di trovare un modo per fargliela pagare aumentava. Era determinato a farsi giustizia da solo.
Si buttò in rete e tornò a cercare in modo anonimo informazioni su Birgitte, raccogliendo ogni dettaglio che potesse essere utile per attuare il suo piano. Cominciò a mettere insieme una serie di indicazioni sulla posizione della sua casa, sulle sue abitudini, sui luoghi che frequentava e sulle sue amicizie. Passò in rassegna tutti i suoi video e scandagliò ogni sua foto o testo che trovasse sui social. Era alla ricerca dei suoi punti deboli, dei suoi segreti e di ogni altro particolare che potesse essere usato contro di lei. Sfortunatamente non trovò molto. In tutte le foto lei appariva sorridente e felice, e questo lo urtò ulteriormente. «È solamente una deficiente senza arte né parte! A mettersi in ridicolo ci pensa già da sola», commentò rabbioso.
Cobra ci ragionava su, ma non aveva ancora chiaro in mente quale dovesse essere la sua strategia di rivalsa. Passò notti insonni a meditare su come infliggerle il maggior danno possibile. Ragionò che non era facile elaborare un piano senza farsi beccare in flagrante. Ogni punto debole poteva avere conseguenze disastrose. Scartò i messaggi minatori, la denuncia anonima, i danni alla sua casa e al suo cane. «Sarebbe comunque troppo poco! Devo fare qualcosa di più!», considerò.
Ogni minuto che passava, il suo desiderio di annientare Birgitte si ingigantiva come un fuoco in una giornata di vento. Senza più controllo i suoi sforzi si indirizzarono verso un'idea che gli sembrava la più semplice e perfetta.
La più estrema.
Ucciderla.
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