Parte 27 - Ci vediamo fuori
Il tempo passava e Cobra continuava a trascorrere le sue giornate nella monotonia della cella. Ogni tanto si alzava dalla branda per osservare attraverso le sbarre il cielo cambiare colore. Altre volte leggeva le scritte lasciate sui muri dagli altri detenuti e mai cancellate: "Prigioniero del rimorso", "Ribellati al sistema!", "Non mi arrenderò mai!".
Lì dentro non c'era molto da fare. L'unica distrazione che gli veniva concessa era l'ora d'aria nel cortile, circondato da alte mura e filo spinato; un barlume di libertà che gli permetteva di sgranchire le gambe e respirare aria diversa da quella umida e stantia della cella.
Pur essendo stato accolto con benevolenza dagli altri reclusi, fino a quel momento non aveva stretto rapporti con nessuno. A eccezione della guardia, tutti i carcerati che aveva incontrato gli apparivano anni luce lontano dalla sua sensibilità e dal suo modo di essere.
Cobra, nel tentativo di allontanare la persistente sensazione di una reclusione senza fine, facendosi forza, cercò di tenere impegnata la mente. Si procurò un libro e provò con la lettura, ma i suoi pensieri tornavano sempre a Dorina e alla vita che con lei aveva iniziato prima dell'arresto. Era assillato da interrogativi che si susseguivano incessantemente nella sua mente. Si chiedeva come stava? Sarebbe stata disposta a perdonarlo? Avrebbe mai potuto riconquistare il suo cuore?
Erano tutte domande che restavano senza risposta. Ogni tanto aveva considerato l'idea di mettersi in contatto con lei ma, vista la situazione, non aveva trovato il coraggio. Il senso di colpa lo opprimeva annullando ogni sua iniziativa.
Le memorie di Dorina gli apparivano ormai come frammenti di un sogno che, al risveglio, si dissolvevano lentamente. Il suo passato gli appariva come un ricordo vago, quasi fosse il vissuto di un'altra persona. Eppure, nonostante tutto, continuava a sperare che un giorno avrebbe potuto ritornare a una vita normale, libera dalle catene e dai problemi che la detenzione gli stava causando.
Come un'onda che si infrange sulla costa alternava momenti di positività a negatività. In quel luogo, dove il peso della pena era palpabile, ogni sforzo gli pareva vano. Gli era sembrata inutile perfino l'umiliazione subita in seguito all'esame psicologico e medico richiesto dal suo legale. Spogliato dei suoi vestiti e della sua intimità fisica e psichica.
La sua mente era in tumulto mentre rifletteva sulla situazione. L'attesa per la decisione del tribunale era insopportabile, e l'ansia e la paura sembravano schiacciare ogni sua speranza.
Ogni volta che incontrava il suo amico, la risposta che gli dava era sempre la stessa: «L'avvocato mi ha detto che l'istanza di rilascio è stata presentata. Dice che bisogna pazientare e aspettare la valutazione del giudice».
In carcere aveva scoperto un universo sconosciuto, pervaso perlopiù da emozioni e sensazioni negative; un amalgama di suoni, odori e parole che prima non conosceva e che, a posteriori, avrebbe voluto dimenticare in fretta. Ogni pensiero, ogni riflessione gli provocava angoscia e frustrazione, come le ultime notizie giunte alle sue orecchie. «Ho sentito dire che un detenuto si è suicidato», fece Cobra quando Luca passò a salutarlo.
La guardia confermò la triste verità: «Purtroppo, è vero», ammise. «Si cerca di non parlarne perché spesso queste cose gettano nello sconforto gli altri detenuti».
Cobra lo guardò con realismo: «Non mi dici niente di nuovo. Ci sono persone che l'impulso di farla finita lo sentono già fuori, figurati qua dentro chiuse per tutto il tempo».
«Passare la vita in un posto come questo è devastante», riconobbe Luca con una nota di compassione.
«È una prospettiva terribile», confermò Cobra con una punta di tristezza.
«Purtroppo è così», sospirò la guardia. «Tuttavia, quasi nessuno conserva nel cuore la speranza che hai tu di tornare libero».
«Finché dura», replicò Cobra con un tono cupo.
Dopo quelle parole, un rumore di passi pesanti e metallici interruppe la loro conversazione. Luca si spostò di lato mentre un ufficiale carcerario si fermò davanti alla sua cella.
«Cobra Martinetti?», domandò con voce dura.
«Sono io», rispose Cobra intimorito.
«Saluta la cella! Il tuo avvocato ti ha fatto rilasciare!», gli comunicò quasi a commemorare un evento epocale. Quindi fece segno alla guardia di aprire la cella.
«Davvero!?», chiese Cobra incredulo. Quell'annuncio lo colmò di gioia. Per l'emozione le gambe gli cedettero e gli occhi gli si gonfiarono di lacrime.
«Così sembra», borbottò l'ufficiale.
«E vai!», fece Luca. Poi inserì con frenesia la chiave nella toppa e dopo qualche giro aprì la porta. «Lo sapevo! Grande! Ci vediamo fuori», esclamò dandogli delle pacche confortanti sulla spalla.
«Certo», rispose Cobra senza capire bene se stesse succedendo realmente o se era soltanto una finzione. Era talmente stupito che faticava a crederci. In un attimo, la sua vita monotona si era trasformata come nell'epilogo felice di una vicenda drammatica.
«Hai appena varcato la soglia di un nuovo capitolo della tua esistenza. Se hai bisogno chiamami. Ti lascio il mio numero», soggiunse Luca.
«Grazie. Ti sono riconoscente per tutto. Questa mia liberazione la devo anche a te», rispose Cobra commosso. Quindi lo abbracciò con partecipazione e poi seguì l'ufficiale lungo il corridoio.
I suoi passi riecheggiavano nello spazio vuoto, assieme alle voci e alle grida degli altri detenuti: «Bravo! Goditi la vita!», «Buona fortuna!», «Stai attento e non tornare!».
Cobra attraversò varie porte d'acciaio, la sala d'attesa, l'ufficio registrazione e infine giunse nell'area di rilascio.
Lì rimase qualche minuto ad aspettare.
Poi il portone si aprì e lui si avviò, incredulo, verso la libertà.
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