Parte 26 - Non voglio accordi
La cella era angusta e spoglia, priva di qualsiasi comfort o privacy. Cobra si trovava completamente isolato, senza telefono e senza portatile. Per uno come lui, che aveva sempre vissuto circondato dalla tecnologia, quella privazione era insopportabile.
«Che ci faccio qui da solo?», si chiese tristemente guardandosi intorno.
La mancanza di prospettive rendeva la sua situazione ancora più difficile, soprattutto a livello psicologico. L'assenza di stimoli e un equilibrio emotivo instabile esacerbavano il suo senso di emarginazione. Persino la voglia di praticare yoga, soprattutto nei momenti difficili, gli era passata.
Tagliato fuori dal mondo e privato di quella vita affettiva che faticosamente si era conquistato, si ritrovava a sprofondare nuovamente nella solitudine più nera.
Da quando era stato arrestato non aveva più avuto notizie né di Dorina né di Ismaele. Dimenticato da tutti restava steso tutto il giorno sulla branda in balia delle sue paranoie.
Erano passati giorni dal suo arresto e l'avvocato d'ufficio, che sembrava così interessato al suo caso, non si era ancora palesato. La speranza di uscire in fretta era svanita nel nulla e una sensazione di frustrazione profonda lo permeava. Le sbarre, i rumori, i carcerati con gli occhi duri lo devastavano.
Fortunatamente c'era Luca.
Tra le guardie era uno dei pochi che trattava i detenuti con umanità, alleviando, se poteva, le loro sofferenze. Cobra apprezzava il suo sostegno, e Luca era contento di dargli una mano. Col tempo, le loro conversazioni diventarono più confidenziali e amichevoli.
Cobra, fissandolo attraverso le sbarre, ammise sconsolato: «Mi sento intrappolato in un vicolo cieco».
Luca garbatamente suggerì: «Se hai delle buone risorse, è meglio se l'avvocato te lo trovi da solo. Magari uno che sia un esperto in materia».
«Sto iniziando a pensare la stessa cosa. In effetti, la mia unica speranza è quella di avere qualcuno che mi rappresenti adeguatamente», ammise Cobra con nervosismo.
«Anche perché gli avvocati d'ufficio di solito hanno un sacco di lavoro», commentò Luca con disincanto. «Sbrigano le pratiche sì, ma con i loro tempi. È un po' come nella sanità, con quella pubblica puoi aspettare anni prima di un'operazione, mentre in quella privata ti convocano subito».
Cobra rifletté per qualche istante e poi in lui scattò una molla. «A quanto pare la gente si muove solo con i soldi», affermò con amarezza. «Grazie, le tue parole mi sono state veramente utili. Devo iniziare a darmi da fare. Anzi, prima faccio e meglio è».
Luca annuì con un sorriso di benevolenza. «Sono certo che è la strada migliore», sottolineò. «Se hai voglia, ti posso accompagnare nella stanza dei telefoni».
Cobra, incoraggiato, acconsentì. Era stanco di essere considerato un criminale. Lasciò la cella e lo seguì. Dopo aver superato vari cancelli raggiunsero un ufficio dalle dimensioni ridotte con pareti in mattoni di cemento pitturate di bianco. All'interno si respirava un'atmosfera di controllo e sorveglianza. Si sedette alla scrivania e con l'aiuto di Luca contattò diversi studi legali. Dopo vari colloqui telefonici, scelse quello che gli sembrava il più competente.
Poi si procurò carta e penna e iniziò a scrivere la sua versione dei fatti. Ricostruì la sequenza degli eventi in prima persona per dimostrare la sua ingenuità e per avere una narrativa più coerente da proporre.
Dopo pochi giorni, la porta della sua cella si aprì. Era una guardia venuta a prelevarlo. Senza tante cerimonie e con un gesto del capo, il secondino lo fece uscire e lo condusse in un ufficio dove il suo nuovo avvocato era in attesa.
La stanza era illuminata da una luce al neon, che creava un'atmosfera fredda e asettica. Le pareti erano dipinte di un grigio opaco, che davano all'ambiente un'aria malinconica. L'arredamento, essenziale, era composto da un tavolo e alcune poltrone. Tuttavia, nonostante il contesto, Cobra percepì delle vibrazioni positive che lo fecero sentire a suo agio.
L'avvocato era vestito con un completo scuro, il suo aspetto trasmetteva determinazione e professionalità. Era un esperto legale, rinomato per la sua abilità nel risolvere casi complessi. Dopo avergli stretto la mano, gli chiese gentilmente nome, età e indirizzo. Successivamente, lo invitò a raccontare la sua storia, ascoltando attentamente ogni dettaglio con interesse e rispetto. I suoi occhi penetranti, nascosti dietro gli spessi occhiali, lo fissavano attentamente.
Cobra raccontò la sua incredibile vicenda con sincera commozione, rispondendo a ogni domanda senza mostrare alcuna incertezza, rivelando i suoi pensieri più intimi e i suoi timori più profondi. Mentre le sue parole si intrecciavano con il silenzio intorno sentiva un grande sollievo nell'avere qualcuno che lo ascoltava, disposto ad aiutarlo per dimostrare la sua innocenza.
«In effetti, il caso sembra costruito su circostanze poco chiare e plausibili», commentò l'avvocato. «Farò un'indagine per verificare gli scambi tra di voi intercorsi. Chiederò anche il sequestro del portatile e del telefono della ragazza per capire se ci sono state manipolazioni nei messaggi o qualche tipo di forzatura. L'obiettivo è smontare la tesi della malevolenza e far emergere quella della goliardia».
«Magnifico!», assentì Cobra. Finalmente aveva la sensazione che qualcosa stesse per cambiare.
«Inoltre va nel suo interesse fare un esame medico e uno psicologico», aggiunse l'avvocato.
Cobra si stupì: «Perché!?».
«Perché dobbiamo partire da un punto di forza e andare all'attacco», spiegò l'avvocato con voce calma. «Il primo passo è smontare l'accusa sulle presunte foto dei suoi genitali, per dimostrare la loro falsità e risalire alla provenienza. Il secondo è evidenziare le caratteristiche della sua personalità che sono in netto contrasto col profilo di uno stalker».
«Capisco», rispose Cobra con condiscendenza.
«Detto questo», continuò l'avvocato, «non penso che voglia negoziare un accordo, vero?».
«Non voglio accordi!», tagliò corto Cobra tirando fuori parte della sua rabbia. «Sarebbe un'ammissione di colpa. Voglio che la ragazzetta stronza paghi per questa sua infamia».
L'avvocato annuì con comprensione. «Lo capisco. Proveremo a presentare un'istanza di risarcimento».
«È quello che volevo sentire», disse Cobra con un sospiro di sollievo. «E vorrei uscire subito da questo inferno. Non ce la faccio più».
«Per quello ci vorrà qualche giorno, ma la tireremo fuori. Stia sicuro», promise l'avvocato.
Cobra si sentì sollevato. Quell'uomo gli trasmetteva fiducia. Quando tornò in cella aveva un barlume di speranza in più.
Esausto, si sedette sul letto e pianse, sfogando tutto il peso emotivo che aveva trattenuto per tanto tempo. Era un pianto liberatorio, un mix di dolore, frustrazione e speranza.
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