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Parte 25 - Non è servito a nulla

Una lama di sole al tramonto filtrava attraverso le sbarre.

Cobra era sdraiato immobile sul materasso e fissava il soffitto. Sotto la testa teneva il suo stesso giubbotto, piegato per farne un cuscino. Attorno a lui c'erano pareti nude e sanitari a vista.

Era solo e senza alcuna compagnia o conforto. Un'isola solitaria in un mare di nulla. Il silenzio che lo circondava era interrotto unicamente dal suono di sporadici passi nel corridoio e da qualche parola gridata che giungeva da angoli remoti della struttura.

Cobra in carcere non c'era mai stato e mai avrebbe pensato di entrarvi. Si chiese se ci fosse un modo per uscire da quella situazione irreale. Gli sembrava di essere finito in un mondo parallelo, un universo immaginario in cui era precipitato attraverso un varco spazio-temporale spalancatosi sotto i suoi piedi.

«Com'è bizzarra la vita», pensò.

Sul palcoscenico del mondo, aveva sempre aspirato a vivere qualche giorno da protagonista, ma quando finalmente gli era stata concessa l'opportunità, si era trovato in mano il copione sbagliato. Per una volta che aveva abbandonato il ruolo di comparsa e indossato quello da attore principale era stato catapultato in un girone dantesco e accusato dei peggiori crimini, quello di stalker pedofilo da esporre in prima pagina sui giornali. «Denunciato per una sciocchezza. È tutto assurdo. Sono vittima di un abuso e di un'ingiustizia. Una macchinazione che va oltre la mia comprensione», rifletté angustiato.

Dopo un primo momento di incredulità era passato dalla rabbia alla depressione. Pensieri suicidi attraversavano la sua mente. Solo il giorno prima era l'uomo più felice della terra e oggi sprofondava nell'abisso della disperazione.

Era stato abbandonato da tutti, anche da Dorina. La sera prima era pronta a diventare la sua compagna per la vita, e ora chissà quali tormenti affollavano la sua mente impregnata di menzogne assurde. Cobra sentiva il peso schiacciante per le angosce indefinibili che le aveva procurato. Per lei voleva essere perfetto e invece l'aveva trascinata, suo malgrado, in un incubo surreale. «Che senso ha la mia vita dopo quello che è successo?», si domandò. «Ho perso tutto e sono stato gettato in pasto ai leoni».

Il futuro era svanito e, privo di sogni, navigava alla cieca. La felicità che si era conquistato era sfuggita come sabbia fra le dita, impossibile da trattenere. Come una tragedia greca, il fato si era accanito contro di lui a strappargli ogni gioia per lasciarlo con il cuore in frantumi. Il presente gli appariva vuoto e senza speranza e davanti a sé non vedeva nessun domani. Quello che gli rimaneva era solo un passato da rimpiangere.

Sospirò.

Le budella gli si contorcevano dalla fame.

Con uno sforzo si tirò su poggiando i piedi per terra. Dal corridoio giunse uno scalpiccio. Puntò gli occhi verso la porta in acciaio e con voce rauca esclamò: «Si può avere qualcosa da mangiare?».

«Tra poco passa l'inserviente», lo informò una voce dall'esterno. Era una guardia che passeggiava davanti alla fila di celle con andatura stanca e monotona. Fermandosi a guardarlo con discrezione domandò: «Scusa, ma che hai fatto di male per essere qua, sempre se posso chiedere?».

Cobra si avvicinò alle sbarre. Gli occhi del ragazzo scrutavano il suo viso, come se cercassero di cogliere ogni sfumatura della sua espressione. Aveva la faccia pulita e annoiata. «Vorrei saperlo anch'io. È tutto assurdo. A mio avviso niente di che. Ho dato della zoccola a una tipa e questa mi ha denunciato per stalking», replicò con un lamento strascinato. La sua espressione era contrita e turbata. I lineamenti tesi, con le sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata per lo smarrimento.

«Vero!? Non mi pare che sia un reato da carcere», commentò la guardia sgranando gli occhi.

Cobra lo osservò. Era un ragazzo basso e rotondetto, con gli occhi azzurri e le lentiggini sul naso. La divisa che indossava, troppo stretta per lui, metteva in risalto il suo adipe sovrabbondante. Ma quello che lo colpì di più fu la sua espressione rassegnata, come se fosse già stanco della vita prima ancora di averla vissuta abbastanza per conoscerla.

«Infatti. Ho scoperto solo da poco che quella stronza era pure minorenne e più infame di quanto potessi mai immaginare, al punto che ha costruito prove false per incastrarmi e farmi apparire come un pedofilo e non so cos'altro», disse Cobra aggrappandosi alle sbarre.

La guardia avanzò di un passo, passandosi una mano tra i capelli. «Bel casino per due insulti», commentò con un tono di voce gentile che lasciava trasparire un certo stupore. «Non c'è mai fine a certe pazzie oggigiorno».

«È così, viviamo in un mondo irrazionale e ingiusto», affermò Cobra con un sospiro. Le sue labbra erano strette e serrate come due linee sottili.

«Sai, a volte sembra che le persone facciano di tutto per danneggiare gli altri, senza preoccuparsi delle conseguenze. Comunque, è triste che ci siano donne così».

Cobra annuì, guardando fisso davanti a sé. «È incredibile come alcune possano essere così spietate. A dirla tutta non so quante siano quelle che è possibile salvare là fuori».

Il ragazzo scosse la testa lentamente. «Immagino poche. Pure io ho avuto le mie delusioni, sai», rispose con amarezza. «Ormai nei loro confronti ho il cuore indurito come la pietra».

«A chi lo dici... ma poi fossero solo le donne... io ci metterei dentro tutti, senza esclusione di sorta. Forse esagero ma la mia è una storia lunga», replicò Cobra scrutandolo con una sorta di empatia fraterna.

«Ognuno ha la sua storia. Qual è la tua?», chiese il ragazzo quasi con innocenza.

Cobra si sorprese nel sentire nascere dal suo profondo il desiderio di aprirsi. Quell'estraneo, in realtà, gli sembrava molto più familiare di quanto ci si aspettasse da una persona in quel contesto. Era come se in lui vedesse un riflesso di sé. «Tutto inizia molto tempo fa. Forse alle elementari o, addirittura, all'asilo, nemmeno ricordo».

La guardia lo guardò con complicità, cercando di carpire ogni particolare. «Con me sfondi una porta aperta», fece di rimando.

Cobra rimase lì, appoggiato con le mani alle sbarre e lo sguardo perso nel vuoto. «È un mondo di merda!», esclamò con amarezza. Poi cominciò lo sfogo: «Io non ho mai disturbato nessuno. Sono sempre stato nella mia parte. Gli altri invece si sono sempre presi gioco di me, umiliandomi e sminuendomi. Avevano bisogno di sentirsi importanti. Io li ho sempre lasciati fare, rendendo più piccoli i miei sogni, i miei spazi e i miei desideri. Mi sono sempre annullato nel non fare, lasciando che fossero gli altri a prendersi tutto. Chiuso in casa, trattenevo il respiro fino a soffocare perché ero stato escluso dal mondo e dalla vita vera. Mi sono tagliato fuori, restando nell'ombra e nel silenzio a soffrire per non infastidire, ma non è servito a nulla. Come vedi, sono riusciti a togliermi anche la libertà», ammise con un sospiro pieno di sdegno e rabbia.

La guardia ascoltava attentamente, cercando di comprendere la sua sofferenza. «Forse era meglio se disturbavi», mormorò colpito.

Cobra fece un'espressione malinconica. «Forse sì. Ho sempre represso le mie emozioni e i miei bisogni, ma negli ultimi mesi ho provato a reagire, a cambiare e ci stavo pure riuscendo», confessò.

La guardia annuì, comprensiva. «È difficile affrontare il cambiamento. Purtroppo, ne so qualcosa anche io», ammise facendo riferimento alla sua forma fisica trascurata.

Cobra lo guardò sorpreso. Non avrebbe mai immaginato che un estraneo potesse comprendere il suo dolore. Nessuno lo aveva mai fatto prima. I loro sguardi si incrociarono, e Cobra poté percepire una connessione improvvisa tra i loro mondi. Era come se il ragazzo, anche senza conoscere la sua storia, riuscisse a cogliere l'intensità delle sue emozioni e la croce che stava portando. «Io non sono sempre stato così, anzi, fino a qualche mese fa ero grasso e sgraziato», dichiarò. In quel momento parlava di sé stesso come di qualcun altro. Non provava niente. Era come se tutti i suoi sensi fossero anestetizzati e spenti.

La guardia lo osservò allargando gli occhi. «A vederti così non l'avrei mai detto».

Cobra accennò un sorriso di gratitudine. «Credimi, nemmeno io pensavo di poter cambiare. La vita è piena di sorprese e di sviluppi imprevedibili. Comunque, per essere così ho fatto varie operazioni di chirurgia plastica, tanto esercizio fisico e dieta», spiegò.

Il ragazzo sembrava sorpreso. «Ma dai!», esclamò. «A me, ora come ora, mi riesce difficile immaginarti diversamente. Mi lasci senza parole».

Cobra annuì. «Mi sono impegnato al massimo e sono... ero... riuscito a trovare anche una brava ragazza», soggiunse con una punta di orgoglio.

La guardia era impressionata. «Che grande!», commentò, torcendo la testa e le labbra per la meraviglia.

Cobra però si rabbuiò subito. «E poi sono venuti a prendermi, proprio nel giorno in cui lei era venuta a dormire a casa mia per la prima volta», rivelò con un ghigno amaro.

Il ragazzo espresse tutto il suo rincrescimento. «Pazzesco! Mi dispiace sentirlo, ma magari riuscirai a ricucire», disse aggiungendo una nota di speranza.

Cobra lo gelò, disilluso. «E come? Chiuso qua dentro?».

La guardia cercò di confortarlo. «Secondo me ti faranno uscire. A maggior ragione se non hai precedenti o altro. Sai qual è la cauzione?», chiese con riguardo.

«Non so proprio nulla. Zero. Dovrei incontrare l'avvocato per discutere i dettagli ma non so quando».

«Tieni duro, gli avvocati sono sempre molto impegnati», stava rispondendo quando vennero interrotti dal cigolio di un carrello in arrivo. «Ecco la cena», fece la guardia premurosa. «Cosa c'è?», chiese all'inserviente.

«Pasta al pomodoro, pollo bollito e patate lesse», rispose il tipo prendendo i piatti dai vari scompartimenti. Cobra prese il vassoio che gli venne passato con un gesto quasi riverente. Quel cibo, vista la fame, era una bontà discesa dal cielo.

«Non sono certo dei piatti gourmet, ma almeno hai qualcosa da mettere sotto i denti», commentò il ragazzo dopo che l'inserviente passò col carrello alla cella successiva.

«Non importa, con la fame che ho mangerei pure il vassoio», commentò Cobra sedendosi al tavolo e ingurgitando una forchettata di pasta.

La guardia si congedò: «Ti lascio mangiare. Continuo il giro. Se hai bisogno passo dopo». E prima di sparire, aggiunse: «Ah, io mi chiamo Luca».

Cobra annuì, gratificato per quella considerazione che lo faceva sentire stimato e meno solo.

«E io Cobra», replicò.

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