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Parte 24 - Questo è un incubo!

L'occhio vigile della telecamera scrutava tutti gli angoli.

La stanza era piccola e soffocante, con le mura pittate di un bianco sbiadito che portavano incisi i segni del tempo. L'aria era densa e umida. Un odore pungente persisteva nell'ambiente, insinuandosi nelle narici di chiunque vi entrasse. La luce proveniva da un unico tubo al neon, tremolante, fissato al centro del soffitto.

Le pareti erano spoglie, adornate unicamente da uno specchio incastrato a metà altezza. L'unico suono percepibile era il ronzio costante di una ventola di areazione, relegata in un angolo del soffitto, che lottava inutilmente per dissipare il clima opprimente.

Al centro della stanza vi era una scrivania vuota e alcune sedie in metallo brunito, usurate e scomode. Cobra era seduto lì da ore, in attesa di qualcuno che pareva non si sarebbe mai presentato. Da quando era stato svegliato quella mattina, non gli era stato concesso né cibo né acqua. Al suo arrivo, gli avevano rimosso le manette, scattato delle foto segnaletiche e preso le impronte digitali. Poi era stato lasciato in balia degli eventi in quello spazio desolato dove il tempo sembrava essersi fermato.

Mille domande gli si agitavano in testa, senza risposta. Sarebbe stato interrogato? Rinchiuso in cella? O sottoposto ad altre procedure legali?

Poi la porta si aprì ed entrò un poliziotto che rimase sulla soglia. Da dietro si fece avanti una donna in tailleur e pantaloni neri. Indossava occhiali da vista e un foulard attorno al collo. Teneva in mano un fascicolo zeppo di fogli. Con calma si sistemò sulla poltrona, appoggiò le carte sul tavolo ed esordì dicendo: «Buongiorno. Sono il sostituto procuratore De Paoli, incaricata del procedimento penale a suo carico».

Cobra si raggomitolò sulla sedia in preda a uno stato d'ansia che pervadeva ogni sua fibra. La realtà sembrava mescolarsi con l'irreale. Le cose che un tempo gli sembravano solide e affidabili ora si dissolvevano nel vuoto dell'incertezza. Era disorientato e perso. Tuttavia, anche se la situazione era surreale, sapeva che doveva difendersi. «Buongiorno», rispose con un filo di voce.

«Dato che non ha indicato un avvocato di fiducia, gliene è stato assegnato uno d'ufficio che l'assisterà in questa prima fase», aggiunse il procuratore mentre iniziava a consultare gli atti.

Cobra esitò, ma non disse nulla.

Qualche istante dopo entrò un uomo vestito con un completo gessato beige che lo salutò e gli strinse la mano. «Avvocato Mannino. Sono qui per difenderla e tutelare i suoi diritti», affermò prendendo una sedia e sedendosi al suo fianco. Dalla valigetta in cuoio estrasse una cartellina e una penna. «Le saranno poste alcune domande alle quali può anche non rispondere. Presti attenzione, perché tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei», disse con un tono poco partecipato. Era un uomo alto, magro e con il pizzetto curato.

«Signor Martinetti, sa perché si trova qui?», domandò il procuratore in modo diretto.

L'ambiente claustrofobico e le dinamiche creavano un'atmosfera carica di tensione. Un nodo di angoscia gli strinse la gola. «No», sussurrò Cobra.

«Conosce Fedra Combatti?», continuò il procuratore scandendo le parole.

Cobra per lo stress sfregava con forza i denti tra loro. Ogni sillaba si propagava sulle pareti rimbalzando come l'eco di cento colpi colpi di martello. La paura gli annebbiava la mente mentre un sudore freddo gli bagnava la fronte. «No», pronunciò per la seconda volta.

«Eppure, dalle carte risulta un intenso scambio di messaggi tra voi due», disse il procuratore aggiustandosi gli occhiali.

L'oppressione era palpabile e Cobra non faceva nulla per nasconderla. «Ma chi è? Non ho mai sentito quel nome prima d'ora», provò a reagire, sapendo di non mentire.

«Forse la conosce meglio col nome di Birgitte l'Influencer?», lo pungolò il procuratore.

Tutto d'un tratto si fermò.

A Cobra quel nome gelò il sangue. Una luce si accese su una realtà ormai archiviata, di quando faceva "Il Fustigatore" commentando con ironia e sarcasmo tutte le contraddizioni delle star e delle celebrità nate su internet. Non fece in tempo a metabolizzare quell'informazione che venne investito da un'altra domanda. «Continua a non conoscerla?».

«Non la conosco di persona. Solo online e non sapevo nemmeno che fosse quello il suo vero nome. Ho smesso di seguirla da mesi», rispose tentando di sembrare stupito per l'inconsistenza dell'interazione che tra loro c'era stata. Ogni negazione sembrava il principio di un'accusa, ogni incertezza una colpa.

«La ragazza lo ha denunciato per stalking e minacce. Lo sa che Fedra Combatti è minorenne?».

Quella rivelazione lo colse alla sprovvista. «No», affermò.

Era finito in una trappola, dove tutto poteva essere strumentalizzato contro di lui. «Questo avrà implicazioni importanti per il caso legale. La giovane età di Fedra è determinante per la valutazione del caso e per le decisioni giudiziarie», precisò il procuratore.

Cobra era smarrito. La situazione prendeva una piega inquietante e difficilmente gestibile. Le sue potenziali bugie e il suo comportamento avrebbero potuto avere conseguenze imprevedibili. «Quindi è stata Birgitte a denunciarmi?», esclamò con incredulità.

«Sì, e la sua posizione è molto grave. Lo capisce?».

«Ma io non ho fatto nulla di male, con lei ho avuto solo delle banalissime interazioni su una chat pubblica», abbozzò.

«Nulla di male? E questi messaggi?», aggiunse il procuratore passandogli alcuni fogli su cui erano sottolineati i passaggi più importanti. «... sei solo una troia, una bastarda, so dove abiti, ti vengo a cercare, ti ammazzo...», rinforzò lei scandendo le parole a una a una.

«Ma io non ho mai scritto queste parole... magari erano espressioni dettate da un momento di rabbia, e in situazioni diverse. Estrapolarle e metterle assieme non ha nessun senso», replicò Cobra provando a minimizzare la rilevanza e il senso di quelle frasi.

«Dalle carte risulta che le ha mandato anche delle mail minatorie con tanto di foto della sua casa. Questo non le sembra grave? Solo rabbia?», chiese il procuratore incrociando le braccia. Ogni domanda pareva scavare in segreti nascosti che si traducevano in insinuazioni.

«Ma era solo una cosa fatta per scherzo e senza nessuna reale intenzione», reiterò Cobra provando a mantenere il contatto visivo per evidenziare la sua buona fede. Era determinato a svelare tutta la sua verità.

Il procuratore si chinò sui fogli e ne estrasse un paio. «Certo... e queste foto dei suoi genitali?».

Cobra rimase senza parole. «Non sono mie! Non ho mai mandato nulla di osceno a nessuno. Non sono io. Lo giuro!», si giustificò con un tono stupefatto e disperato.

Il suo avvocato, che fino a quel momento non aveva proferito parola, intervenne in suo soccorso: «Non si preoccupi, l'accusa si può smontare facilmente con un'analisi medico legale. Servirà solo una valutazione visiva e un esame fisico, con particolare attenzione alle caratteristiche anatomiche».

«Lo sa che le pene per lo stalking e la pornografia minorile sono molto pesanti e non ci sono attenuanti», continuò il procuratore.

«Non può essere! Questo è un incubo!», sbottò Cobra passandosi una mano tra i capelli.

«Quale è la sua versione dei fatti?», chiese il procuratore. Dal tono di voce si capiva che non era interessata a scoprire la verità o a ottenere informazioni cruciali, ma semplicemente ad avere conferma alle sue accuse.

Cobra continuava a scuotere la testa incredulo. Doveva sminuire ogni cosa: «C'è una grossa esagerazione. Adesso sono io il mostro e lei la povera vittima indifesa», affermò.

«Può anche avvalersi della facoltà di non rispondere», interloquì il suo avvocato.

Cobra assillato dall'agitazione, con i gomiti poggiati sul tavolo, si portò le mani alla testa comprimendole con forza. Nonostante tutte quelle domande gli rimbombassero nella mente come un cattivo presagio, pensò che fosse meglio raccontare la sua versione dei fatti.

«Posso avere dell'acqua?».

«Certo», fece l'avvocato.

Gli venne data una bottiglietta, bevve e continuò. «La mia vita non è mai stata facile. Tutto risale a qualche anno fa. A un momento in cui la mia solitudine, dovuta all'essere ignorato da qualsiasi ragazza per il mio aspetto, era insostenibile. Fu allora che mi sono imbattuto in questa tizia. Il suo modo di fare mi colpì perché continuava a dire una quantità incredibile di sciocchezze che dal mio punto di vista erano insopportabili e così iniziai a scrivere dei messaggi in libertà sul suo canale. Per prenderla in giro. Era solo un momento di noia».

«Le piaceva?».

Le sue mani erano fredde e tremavano. «La tizia era carina, ma non di certo il mio tipo», ammise Cobra.

«E quindi?».

«E quindi niente. Lei inizia a rispondere ai miei commenti insultandomi e minacciandomi. Io insisto perché non volevo farmi mettere i piedi in testa da una così e un giorno in cui ero più depresso del solito forse ho esagerato un po' nella reazione e lei se l'è segnata al dito. Ma dietro non c'era nulla di reale. Era solo una finzione goliardica fatta per noia».

«Mi dispiace, ma non è accettabile. Online e offline, tutti dovremmo trattare gli altri con rispetto e dignità. Oltretutto il suo computer e il suo tablet sono stati analizzati ed è stato trovato materiale pedopornografico. Alcune immagini potrebbero essere di ragazze minorenni. Che ha da dire al riguardo?». C'era del palese sadismo nel suo modo di parlare e una certa propensione alla colpevolezza.

«Minorenni? È assurdo. Io non ne so nulla. È solo roba che ho scaricato da siti regolari, dove vanno tutti. È per questo che sono accusato di pedofilia e pedopornografia?».

«Le ricordo che la ragazza è minorenne e che qualsiasi immagine pornografica di soggetti sotto i diciotto anni è considerata pedopornografia».

«Assurdo. Io non ho mai fatto male a nessuno. Sono incensurato. Non ho nessuna cazzo di deviazione», sbottò alzando la voce.

«Stia calmo altrimenti peggiora la sua situazione», lo rabbonì l'avvocato con un finto atteggiamento protettivo.

«Lei rimane sempre un adulto che è diventato il tormento di una ragazzina. Dovrà affrontare un processo», proferì il sostituto procuratore.

«Non può essere... quindi sono fottuto. Una vita rovinata per una stronzata. E questo solo perché sono nato brutto». Per la rabbia e l'impotenza dagli occhi gli uscirono delle lacrime che gli rigarono le guance.

«Le leggi sono chiare al proposito. In attesa di ulteriori valutazioni resterà in cella fino al completamento delle indagini preliminari».

«In cella?», sbottò Cobra sconcertato.

«Cosa si aspettava? La sua personalità è aggressiva e prevaricatoria, evidentemente è incapace di autocontrollo. Chi ci garantisce che lei, una volta fuori da qui, non rappresenti un pericolo per la ragazza alla luce di questi nuovi eventi? I fatti di cronaca violenti sono all'ordine del giorno. Ha idea di quante donne vengono aggredite con acido, accoltellate o brutalmente assassinate? Donne le cui denunce sono sempre rimaste inascoltate. Ma le cose devono cambiare!», affermò il sostituto procuratore con un tono severo e inflessibile.

«Incredibile. Che esagerazione per una cosa fatta solo su internet!», esclamò Cobra, sbigottito.

«Internet è equivalente a un luogo pubblico e quindi valgono le stesse regole e leggi del mondo reale», ribatté il procuratore senza mezzi termini.

«Scommetto che se fossi stato un bell'uomo, quella ragazza invece di denunciarmi mi avrebbe leccato il culo!», sbottò Cobra, livido di rabbia.

Un poliziotto dietro di loro non riuscì a trattenere una risata, e il sostituto procuratore lo freddò con uno sguardo severo e pieno di disapprovazione. «Questo atteggiamento non giova alla sua causa. Per il momento è tutto», concluse con distacco.

Poi, raccolse le sue carte e lasciò la stanza.

Anche l'avvocato si alzò per andarsene: «Tranquillo, sistemeremo ogni cosa. Il sostituto procuratore De Paoli, purtroppo, è una fervente femminista che tende a essere dura con gli uomini», disse con un'espressione rassegnata e un tono comprensivo.

«Una persona sgradevole e scortese», replicò Cobra.

«È il suo modo di fare e non bisogna farsi impressionare. Non si preoccupi, una volta chiarito meglio il contesto smonteremo tutte le accuse. Mi farò sentire io nei prossimi giorni. Il tempo di studiare bene le carte e di organizzarmi con i vari impegni».

Cobra era perplesso. L'avvocato sembrava interessato alla sua situazione, ma qualcosa non lo convinceva del tutto. C'era qualcosa nel suo atteggiamento che lo portava a pensare che in realtà non credesse pienamente alla sua innocenza. Forse era solo paranoia, ma la posta in gioco era alta e non poteva permettersi errori visto il casino in cui era finito.

Nel frattempo, il poliziotto rimasto con lui lo informò: «Per il momento si va in cella. Casa nuova. Andiamo!».

Cobra si alzò dalla sedia a fatica e quasi senza capire lo seguì a testa bassa verso la sua nuova destinazione.

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