Parte 23 - Un vero e proprio inferno
Un fragore violento li svegliò di soprassalto.
Cobra, di scatto, si sollevò sul letto spaventato, immobilizzandosi. Dorina, accanto, si strinse a lui terrorizzata: «Che cosa è stato?!», strillò, mentre un urlo strano, come un grido di battaglia, anticipò un nuovo colpo sordo sulla porta.
Improvvisamente, la luce del corridoio filtrò attraverso una breccia nell'uscio disegnando sul pavimento un'ombra sinistra. Un terzo impatto fece cedere la serratura e il portoncino fu sfondato, aprendosi completamente.
«Fermi tutti, polizia!», gridò un uomo con voce autoritaria. Teneva la pistola in pugno. Un secondo aveva in mano una torcia che puntò loro in faccia. L'abbaglio li costrinse a chiudere gli occhi.
«Ma che cazzo sta succedendo?!», urlò di nuovo Dorina, sconcertata.
Poi, all'improvviso, le luci si accesero.
Con il cuore in gola, Cobra e Dorina - stretti tra loro - fissarono gli uomini che avevano fatto irruzione. Erano in tre, robusti, vestiti con divise scure e scarponi in pelle nera. Un quarto stava fuori con l'arma puntata ad altezza uomo.
Cobra deglutì, tentando di capire la situazione. Sentiva il cuore battere furiosamente, mentre l'adrenalina iniziava a vibrare nelle sue vene. «Che diavolo fate qui?», domandò ad alta voce, frastornato.
Mentre i poliziotti continuavano a tenerli sotto tiro, il primo - abbassando la torcia - ringhiò: «Ispettore Genovese della polizia postale. Restate fermi e alzate le mani dove possiamo vederle». I suoi occhi freddi e determinati scrutavano il locale, analizzando ogni minimo dettaglio per valutare ogni potenziale pericolo.
«Polizia... ma che cosa volete da noi?», protestò Cobra con voce incerta e balbettante.
L'ispettore si mosse con cautela avvicinandosi con fare minaccioso: «Cobra Martinetti non fare il finto tonto. Lo sai benissimo perché siamo qua. Sei in arresto!».
Cobra fissò incredulo l'uomo. L'aria si fece densa di tensione. «In arresto? Ma io non ho fatto niente! Non ho nulla da nascondere!».
«Non opporre resistenza», replicò l'uomo. «Sappiamo tutto della tua vita parallela. Non negare la tua natura di pervertito. Forza esci dal letto!».
Dorina, sentendo quelle parole, restò inebetita.
Non proferì parola.
Cobra scosse la testa, confuso. La sua mente era impantanata in una nebbia di domande e oscurità. Sbigottito, cercò di raccogliere i suoi pensieri cercando di capire come fosse finito in quella situazione assurda. «Ma che sta dicendo? Io non so nulla! Di cosa parla? Che vita parallela?», gridò. Confidente della sua estraneità non si mosse dalla sua posizione.
L'uomo sbuffò, irritato, quindi fece un cenno agli altri due. «Evidentemente dobbiamo usare le maniere forti. Prendetelo!».
Mentre in due gli saltarono addosso, Cobra strinse Dorina a sé. «Devi credermi, io non ne so niente! È uno sbaglio! Un fottuto sbaglio!». All'istante si rese conto che stava per affrontare qualcosa molto più grande di lui. I due poliziotti lo afferrarono e lo scaraventarono a terra con forza. Nel trambusto urtò il comodino facendo cadere la lampada sul pavimento, che si ruppe in mille pezzi. Cobra, con violenza, finì a pancia in giù. Una forte pressione sulla schiena lo immobilizzò. «Vi sbagliate, lasciatemi andare!», urlò scioccato, dimenandosi invano.
L'ispettore si chinò su di lui e con un ghigno crudele sul volto esclamò: «Hai finito di nuocere alla società. La tua degenerazione è un abominio!».
«Non posso crederci», commentò Dorina tra le labbra.
«C'è un equivoco! Uno scambio di persona!», gridò Cobra provando a difendersi. Allo stesso tempo passò dallo shock alla paralisi, cercando disperatamente di inalare quanto più ossigeno possibile per compensare lo schiacciamento dello sterno. Il suo respiro era accelerato e soffocato.
L'ispettore, squadrandolo con sguardo torvo e notando la sua inoffensività, lo avvisò: «Non provare a fare scherzi! Te ne pentiresti amaramente».
Dopo un gesto con la mano gli altri due lo lasciarono libero.
«In piedi!», gli ordinò l'ispettore.
Cobra si rizzò lentamente guardandosi attorno sconvolto. Fuori era ancora notte. Aveva la bocca amara e le gambe tremanti. Rispetto alla sera precedente l'ambiente intorno era rimasto inalterato, come se il tempo si fosse fermato. Ogni dettaglio richiamava alla mente momenti di tenerezza e di intimità condivisi: la tavola ancora parzialmente apparecchiata, i bicchieri di prosecco a metà, il profumo dell'incenso che aleggiava nell'aria, la rosa delicatamente posata nel piccolo vaso con l'acqua. Memorie di momenti unici e speciali. Eppure, nonostante la sensazione di familiarità, tutto era cambiato in modo drammatico. L'atmosfera stessa era ora ammantata di gravità e di energia negativa.
«C'è una denuncia ben dettagliata e un mandato di arresto a tuo nome», fece l'ispettore mettendogli davanti agli occhi il fascicolo con l'atto giudiziario che gli passò il poliziotto rimasto sulla soglia.
Cobra, pallido in viso, fissò quei documenti senza comprenderne il senso. Indietreggiò di un passo, come se avesse perso le forze e collassò sul bordo del letto.
«Capisci ora!?», proseguì l'ispettore con l'espressione di sfida.
«Cosa hai fatto? Chi sei?», pretese di sapere Dorina, ancora parzialmente coperta dalle lenzuola.
«Diffamazione, stalking, pedofilia, pedopornografia... c'è di tutto. Non metterà più piede fuori dalla prigione!», la informò l'ispettore con una nota di sadismo nella voce. Poi, rivolto ai colleghi, aggiunse: «Rivoltate la casa come un calzino e prendete tutto ciò che è utile per le analisi e le indagini».
«C'è sicuramente un errore. Non è possibile. Chi potrebbe mai pensare che io abbia commesso simili atrocità? È tutto falso!», continuò Cobra, ignorato.
«Vestiti, maledetto, ora ti portiamo in centrale», aggiunse l'ispettore con superbia, mentre i suoi colleghi avevano già iniziato a perquisire l'appartamento: cassetti, armadio, cucina, bagno, divano.
Dorina, ancora chiusa in un pugno, balzò fuori dal letto tremante e con gli occhi spalancati raccolse i suoi vestiti iniziando a indossarli in modo meccanico. Lo stesso fece Cobra. Avvicinandosi a lei, insistette con un accento disperato: «So che ora può sembrare inverosimile, ma non sono un mostro. Magari avrò fatto qualche sciocchezza online, cosa di cui - tra l'altro - non ho la più pallida idea di quale possa essere, ma ti giuro che sono una persona del tutto normale e onesta. La mia moralità è fuori discussione!».
Dorina non replicò. Alzò un dito tremante, ma non parlò. Sentire quelle accuse e realizzare che Cobra era una persona diversa da quella che aveva immaginato l'avevano disgustata e paralizzata. Scoprire in lui un animo nascosto tanto perverso le stravolgeva il cuore, tanto da toglierle il respiro. Con i capelli arruffati e gli occhi sbarrati continuò a vestirsi senza dargli più attenzione.
In quello stesso istante, Cobra venne assalito da una sensazione di colpa lacerante. Era intrappolato in un girone dantesco, accusato di azioni nefaste che ispiravano solo ribrezzo. Come avrebbe potuto dimostrare di non essere un criminale, se non con il fuoco della disperazione? Quei frangenti erano un vero e proprio inferno. «Non ho fatto reati! È tutto inventato! È solo cattiveria gratuita. I veri criminali stanno là fuori, in libertà. Voglio un avvocato!», gridò ai poliziotti con voce scomposta.
«Certamente, avrai un difensore d'ufficio o qualcuno di tua scelta, se puoi permettertelo. Ma io non ti darei né uno né l'altro», sibilò l'ispettore con maligno sarcasmo. Nei suoi lineamenti, Cobra intravvide le sembianze stesse del Male. Nessuna empatia.
«E questo?», chiese un poliziotto mostrando un pugnale da combattimento che Cobra usava come coltello da cucina.
«Sequestratevelo!», dispose. «Va ad aggiungersi alle accuse a suo carico. Mettete insieme tutto quello che può rappresentare una prova della sua perversione».
«Che schifo!», commentò il collega mentre si appropriava del computer portatile di Cobra e lo buttava in un borsone. Assieme aggiunse il telefono, il tablet e altri modelli di dispositivi datati che lui teneva in un cassetto.
In quel contesto, dalla tensione insopportabile, Dorina finì di vestirsi. Tutto il suo mondo era crollato. Tutte quelle promesse fatte solo la sera prima erano svanite come bolle di sapone. In mente aveva solo una cosa: fuggire da quella casa. Afferrò la borsa e, col permesso dell'ispettore, sparì velocemente senza dire nulla.
A Cobra gli si strinse lo stomaco in una morsa gelida. L'aria gli sembrava irrespirabile, come fosse avvelenata. Faticò a infilarsi le scarpe. In ogni fibra del suo corpo avvertiva un formicolio funesto. Prima ancora di chiudere il giubbotto, il poliziotto gli strinse le manette ai polsi e, dopo averlo afferrato per il braccio con una presa di ferro, gridò: «Forza, andiamo!». Quindi lo trascinò fuori dalla porta, spingendolo con vigore.
Nel corridoio alcuni vicini sgranarono gli occhi con stupore per quei movimenti insoliti che si svolgevano nel cuore della notte, chiedendosi sconvolti che cosa stesse accadendo.
«State rovinando senza motivo la mia reputazione», gemette Cobra mentre veniva scortato fuori dal condominio. «Non merito questo trattamento. Non ho fatto niente di male!».
«Muoviti!», fu l'unico commento.
All'uscita, i flash di un fotografo lo immortalarono in pose scomposte e contrite, consegnandolo a una sorte umiliante. «Domani sarai una celebrità!», commentò il poliziotto con cinica crudeltà. Cobra si sentì sprofondare nel baratro della vergogna, col suo nome associato al marchio infame di chissà quale spietato pedofilo. La sua vita, le sue speranze, i suoi sogni erano andati in frantumi, consegnati alle fiamme di una notte che doveva essere di gioia e si era trasformata in un inferno.
In strada erano schierate due voltati della polizia coi lampeggianti accesi. Sul lato opposto c'era un taxi su cui salì Dorina, scappata senza nemmeno voltarsi. In quell'istante Cobra capì che non l'avrebbe mai più rivista, né assorbito l'amore che avrebbe dovuto esserci e che mai ci sarebbe stato.
Mentre le portiere della volante si chiusero, lacrime amare scorsero sul suo viso da uomo perduto. Dorina se n'era andata e lui non le aveva nemmeno detto ciao. In quegli attimi di scoramento, una domanda rimase sospesa nella sua mente: «Che ne sarà di me?».
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