Parte 2 - Incontri spiacevoli
La luce abbagliante del sole lo accecò.
Davanti al portone Cobra strinse gli occhi e si schermò il viso con una mano. Poi girò sul marciapiedi e cominciò a camminare osservando il panorama circostante. Vide i soliti palazzi eleganti, veicoli di ogni genere e tanta gente in movimento. Un caos convulso e intimidatorio, per la sua natura pure eccessivo.
Il bar, così come il suo monolocale, si trovava in una zona molto frequentata e piena di uffici, di studi commerciali e di moda. Avvolto da un'energia pulsante, il quartiere non dormiva mai, viveva una frenesia costante.
Raggiunto il luogo dell'appuntamento Cobra attese qualche minuto, scrutando tra la folla. Quando scorse Ismaele gli andò incontro. C'era eccitazione nell'aria. «Ciao amico! Quanto tempo!», comunicò Cobra con un ampio sorriso e un leggere entusiasmo.
«Un sacco! Che piacere vederti», ribatté Ismaele con un abbraccio. Quindi soggiunse: «Ti vedo un po' sbattuto... che succede?». Si conoscevano da sempre e il loro legame era sincero e profondo.
«Il poco sonno mi uccide», fece Cobra asciutto. «Praticamente non dormo mai o per lo meno non quanto dovrei».
«Ah, capisco, dai entriamo che ci facciamo due chiacchiere», disse Ismaele spingendo la porta del locale.
Il bar aveva un'atmosfera moderna e accogliente, con un allestimento curato anche nei dettagli. I soffitti alti, lo spazio ampio e i mattoni a vista gli conferivano uno stile urbano. La disposizione degli oggetti, i colori vivaci e l'utilizzo di elementi di design lo caratterizzavano come un caffè di tendenza. Varcata la soglia, vennero accolti da due baristi dall'aspetto atletico, tatuati e con l'aria di chi la sapeva lunga.
«Fortunatamente almeno qua non fanno selezione all'ingresso», commentò Ismaele, notando l'abbigliamento trasandato dell'amico, che indossava una t-shirt di Guerre Stellari, un paio di jeans oversize e delle sneakers basse. «Mi sa che dobbiamo rinnovare il nostro guardaroba», aggiunse, contemplando allo stesso tempo la sua camicia da boscaiolo, ormai vissuta.
«Se per entrare in un bar fosse necessario vestirsi in un certo modo, saremmo messi davvero male», obiettò Cobra, per nulla interessato all'aspetto esteriore o alla cura di sé.
«Hai ragione da vendere», approvò Ismaele.
Ordinarono cappuccino e brioche e si sedettero a un tavolino. Mentre chiacchieravano del più e del meno, sentirono i due baristi fare dei complimenti piuttosto espliciti a due ragazze che si erano fermate a prendere il caffè.
«Ehi, mamma mia... Marco, hai visto!? Ma quanta bellezza abbiamo oggi in questo bar?», domandò il primo, squadrando le ragazze dalla testa ai piedi.
L'altro ribatté pronto: «Su una scala da uno a dieci?».
«Ovvio!», replicò. Si capiva che era uno sketch che i due ripetevano spesso.
«Allora direi... che siamo sicuramente a undici!».
Le ragazze, anziché imbarazzarsi o infastidirsi, sorrisero in modo caricaturale. Ringraziarono e replicarono unendo le mani a formare un cuoricino: «Che carini! Grazie!». Una di loro prese addirittura l'iniziativa: «Ragazzi, una di queste sere dobbiamo organizzare, fare qualcosa insieme. Conosco un posto molto chic dove preparano degli aperitivi favolosi».
, sbottò Ismaele mentre gli veniva servito il cappuccino dalla cameriera.
«No. Chi?», fece Cobra girandosi a guardare.
«Monica! Quella figa della tua ex compagna di classe. Non te la ricordi?».
Cobra la osservò con aria circospetta e attenta, ma subito tornò a voltarsi. «È lei! Fai finta di niente», rispose a bassa voce rannicchiandosi per non farsi riconoscere. «Quella non l'ho mai sopportata. Che palle! Non sai quante me ne ha fatte passare. Una troia con i fighetti e una stronza insopportabile con tutti gli altri. Sempre lì a ripetere: "Ma lo sai che sei proprio brutto!?". Che vacca!».
«Già, ricordo che la odiavi...», commentò Ismaele fissandola con uno sguardo sognante. «A ogni modo, tu non puoi immaginare quanto vorrei avere una fidanzata bella come lei».
«Sì, aspetta e spera. Una così non ti caga nemmeno di striscio», disse Cobra spegnendo ogni sua residua carica ormonale.
«E perché no?».
Cobra si avvicinò posandogli una mano sul polso con fare comprensivo: «Ti spiego due o tre cose che dovresti già sapere».
«E quali sarebbero?», domandò Ismaele perplesso.
«Innanzitutto, bisogna essere realisti. Per avere una donna devi avere qualcosa da offrire. Una contropartita che lei riconosca come qualcosa di valore. Tu cosa hai da offrire?».
«Me stesso», replicò Ismaele divertito.
«E va bene. E che valore ti dai?».
«Il valore di una persona normale, con un buon lavoro e uno stipendio».
«Mm... caro mio, un buon lavoro e uno stipendio, oggi come oggi, non significano più niente, non sono sufficienti. Fidati! Anche perché le donne attuali sono sempre più emancipate e indipendenti e spesso guadagnano più degli uomini. Per conquistarle non basta più un salario. Diciamo che è un requisito, ma nulla di più, soprattutto per ragazze di un certo livello», analizzò Cobra dando un morso alla sua brioche.
«Sarà che sono ancora all'antica, ma per me lavoro duro e impegno sono ancora valori, come l'amore, la famiglia, l'onestà, il rispetto. Altrimenti cosa rimane?», chiese aprendo le braccia.
«Amico, ma quali valori... non viviamo più nell'antica Grecia. La società è cambiata. È molto più edonistica, più materialista. La verità è che le donne scelgono basandosi su motivazioni molto più superficiali e frivole, come l'estetica. Alla base di tutto c'è la bellezza e se tu non sei un tipo avvenente o ricco loro nemmeno ti considerano», sottolineò Cobra infervorato per la sua appassionata retorica.
«Detto così mi sembra eccessivo. Questo vuol dire che noi non abbiamo speranza», contemplò Ismaele richiamando allo stesso tempo l'attenzione dell'amico con un gesto rapido del sopracciglio.
«E secondo te io perché non esco più di casa?», stava dicendo quando venne interrotto bruscamente da una voce femminile.
«Wow! Ma chi lo avrebbe mai detto. Sei proprio tu! Cobra! Ti ho riconosciuto dalla voce», proferì un viso angelico che profumava di rosa che si era chinato a guardarlo da vicino.
All'istante Cobra sentì il sangue colorargli le guance. Voleva controllarsi e non arrossire ma quella situazione imprevista e imbarazzante non gli diede scampo. «Ciao Monica, da quanto tempo che non ci si vede... Come stai?», bofonchiò balbettando. Tutta la sicurezza che aveva prima nel descrivere all'amico come funzionava l'approccio femminile svanì all'istante come una nuvola di fumo. Era come se fosse diventato improvvisamente nudo.
«Benissimo! Che ci fai da queste parti?», chiese Monica con curiosità, osservandolo come se fosse uno scarafaggio, quasi con ribrezzo.
«Ci abito», rispose lui a monosillabi e con voce incerta.
«Ah, capito. È bello qua. Io invece sono venuta a fare una sfilata di moda per la Fashion Week», aggiunse lei mettendosi in posa e portandosi i capelli dietro l'orecchio.
«Tu sei sempre stata avanti», riuscì a dire Cobra con uno spunto di ammirazione.
«Scarlett, forse non lo sai, ma io e Cobra siamo stati compagni di classe per cinque lunghi anni», dichiarò lei guardando l'amica. Anche lei esibiva una bellezza sopra la media.
«Ma davvero?», rispose Scarlett con distacco e per nulla interessata alla discussione o ai due che il suo radar aveva già escluso dal suo perimetro di osservazione.
«Sì. Purtroppo, Cobra è sempre stato lo zimbello della classe», ammise lei con un sorrisetto divertito. «Poverino...», aggiunse tra i rumori di fondo del bar.
Cobra non amava ricordare quel periodo triste, o sentire quelle parole. Nel tempo gli insulti e le denigrazioni subite avevano minato la sua autostima. Quella frase detta con leggerezza non meritava sicuramente attenzione e non avrebbe voluto dargli peso, ma lei semplicemente diceva la verità e quella considerazione lo fece stare male. A quella provocazione avrebbe voluto rispondere come quando navigava nello spazio virtuale, quando trovava parole precise e taglienti per ogni discussione, ma, suo malgrado, nella realtà vera non aveva esperienza. Era rimasto quasi bambino. Anche perché le situazioni in cui si era trovato a interagire con il mondo femminile erano veramente poche. Per lui quella era una situazione sgradevole che faceva fatica a gestire. Anzi, tutta quell'attenzione concentrata su di lui e quelle parole che lo avevano ferito nell'orgoglio lo fecero arrossire ancora di più. «Quanto hai ragione... ai compagni di classe gli piaceva scherzare. Erano tutti dei gran burloni. Si divertivano così, senza motivo», ammise goffamente e a labbra serrate.
Ismaele ascoltava con gli occhi sgranati facendo finta di sorseggiare il suo cappuccino. Quella conversazione lo stava turbando, ma, al contempo, fu quasi felice di non essere tirato in mezzo.
«Già, ma che ci vuoi fare?», replicò Cobra agitando nervosamente una gamba. Come avrebbe voluto mandarla a quel paese, ma invece assentì in modo rassegnato, consapevole che l'approvazione sociale era solo una questione di genetica. E lei, come tutti gli altri, seguiva dei cliché. Non c'era empatia o umanità in quella considerazione, era solo cruda verità detta senza pensare.
Poi Monica prese la palla al balzo. «Secondo me dovresti fare qualcosa per te stesso. Concentrarti sull'auto-miglioramento. Hai mai considerato la chirurgia estetica o un trapianto di capelli? Potresti anche andare in palestra e lavorare sul tuo corpo. Questi cambiamenti potrebbero migliorare di molto la tua vita. Alla fine, detto tra noi, anche io ho fatto qualche ritocchino», argomentò facendogli l'occhiolino, quasi contenta di avergli dato i consigli giusti.
Cobra non replicò, ma in fondo sapeva che non erano tutte parole sbagliate. Spesso ci aveva pensato pure lui, ma non aveva mai avuto il coraggio di mettersi in discussione. Si sentiva già ridicolo al solo pensiero.
«Ora devo andare. Tra poco abbiamo la sfilata. Ci si vede in giro», concluse Monica, incapace di trovare altro da dire. Poi si voltò e invitò l'amica, che già sbuffava e intrecciava le braccia, a seguirla. Tuttavia, prima di uscire, salutarono calorosamente i barman: «Ci sentiamo per telefono», disse Monica facendo loro il gesto della cornetta con il pollice e l'indice.
«Certo, ci puoi giurare», disse uno dei barman.
Ismaele, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, esplose: «Che stronza! Dovevi mandarla affanculo. Lei la plastica se la dovrebbe fare al cervello».
«Da un'oca così cosa ti potevi aspettare», lo appoggiò Cobra mentre il suo viso tornava al colorito normale. «Era quasi meglio se la colazione la facevamo a casa mia», ammise mentre per la tensione si sfregava le mani l'una contro l'altra.
«Dai non te la prendere», lo confortò Ismaele e dopo aver tirato fuori il suo telefono e controllato l'ora aggiunse: «Comunque, ti saluto anche io. Mi tocca andare a lavorare».
«Vai tranquillo, pago io», disse Cobra.
«Sei sicuro?», chiese Ismaele alzandosi.
«Certo, non c'è nessun problema», replicò lui sollevando una mano informa di saluto.
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