Mustang 1967
Mi prese in giro per tutto il tempo fino ad arrivare all'entrata di un parcheggio dietro Hank's.
<<È questa la tua auto?>> chiesi, guardandolo sconvolta.
<<S-si.>> rispose guardandomi in modo decisamente strano <<Se non ti piace puoi anche fartela a piedi fino a Brooklyn.>> sbuffò offeso.
<<Non mi piace? Scherzi vero? È una Mustang del 67!>> quasi urlai incantata <<È un gioiello!>> le girai intorno e la accarezzai, guardandola in ogni suo particolare.
Era come nuova, di un nero lucido che faceva risaltare ogni sua forma. Una vera meraviglia.
<<Mi stai sorprendendo.>> disse quasi balbettandolo. <<Sono piacevolmente sorpreso.>> rise e aprì lo sportello per salire, quindi io feci lo stesso.
Dentro era ancora più bella. I sedili non erano consumati, avvolti da un rosso intenso e con cuciture perfette.
<<Tutto questo è per far colpo su di me?>> ridacchiò Cameron, mettendo a moto quella bellezza.
<<Pensi davvero che voglia fare colpo su di te?>> sbuffai in un risolino <<Ti sbagli, semmai ti seduco e poi ti rubo l'auto.>>
Non lo guardai ma riuscii a sentire la risatina trattenuta che non esternò più di tanto, come faceva spesso.
Quell'auto filava e il vento che entrava dal finestrino era piacevolissimo. Cameron accese la radio e True degli Spandau Ballet riempì l'abitacolo con la bellissima voce di Tony Hadley.
Iniziai a picchiettare sulla coscia a ritmo di musica, quel viaggio sembrava essere cominciato bene.
<<Sei nato a Brooklyn?>> chiesi poi, per iniziare una conversazione visto che lui sembrava assente.
<<No, sono nato in California ma poi gli incontri mi hanno portato a New York e le amicizie a Brooklyn.>> con poche parole mi aveva liquidata.
Sospirai e tornai a guardare fuori dal finestrino, canticchiando.
<<Stai uccidendo Tony Hadley.>> disse poi a mo di lamento.
<<Se non inizi a fare un po' di conversazione canterò ogni canzone che passerà in radio.>>
<<Cosa voleva essere, una minaccia?>> ridacchiò.
<<Ci ho provato.>> risposi ridendo anch'io.
Lui tornò subito a guardare la strada, poi forse qualcosa scattò nella sua testa e abbassò la radio.
<<Perché vai a Brooklyn?>> chiese con un tono indispettito.
<<Perché è decisamente diversa dal posto da cui vengo.>>
<<Hai parenti lì che ti aspettano?>>
<<Se li avessi avuti avrei speso i soldi che ho per un aereo, invece di cercare sempre il pullman meno caro.>>
<<Allora non capisco, perché la destinazione è Brooklyn?>> mi guardò negli occhi, sinceramente preoccupato per qualcosa credo.
<<Ho solo bisogno di trovare la mia felicità.>> risposi quasi sussurrando verso il finestrino dell'auto da cui intravedevo le auto sfrecciare velocissime come il vento. <<Avevo otto anni, ero una semplice bambina con i capelli dorati che amava le cose da maschiaccio e che non sapeva cosa le riservasse il futuro. Mamma mi comprò un aereo giocattolo e io amavo quel gioco, era diventato il mio preferito. Lei capì subito che avrei amato viaggiare e quindi decise di farmi fare la mia prima trasferta insieme a lei e papà. Mi portò proprio a Brooklyn.>>
<<Lo dici con un'aria triste..>> borbottò lui.
<<Mi ha lasciata sei mesi fa. Una brutta malattia.>> sentivo gli occhi riempirsi di lacrime e mi tremavano le mani solo a parlarne, mi mancava da impazzire.
<<Mi dispiace.>> disse semplicemente lui.
Il tragitto proseguì solo dieci minuti prima che lui si fermasse in una stazione di servizio.
<<Siamo appena partiti.>> dissi con un mezzo sorriso. <<Non è possibile che tu sia già stanco!>>
<<È un viaggio faticoso!>> scrollò le spalle e scese dall'auto, seguito da me che iniziavo a sentire un po' di fame.
Cameron non era di certo un tipo da chiacchierata come avevo già immaginato ma era comunque un bravissimo ragazzo. Nonostante gli incontri, i poderosi pugni che riusciva a dare e l'aria da cattivo ragazzo, non era capace di nascondere l'enorme cuore che si ritrovava.
Ogni tanto, fra uno scaffale e l'altro, lo sorpresi a fissarmi ma non distolse mai lo sguardo dal mio, come se non mi dovesse ugualmente nessuna spiegazione.
Sorrisi a questo, non avevo mai conosciuto un tipo così eccentricamente sulle sue.
Quando tornammo in auto con due sacchetti pieni di roba inutile e cibo spazzatura, rimise in moto a partimmo.
<<E tuo padre?>>
<<Come?>> chiesi, pensando di averlo immaginato.
<<Nulla..>> scosse la testa.
<<Davvero, dimmi..>> chiesi gentilmente, non avendo realmente capito le sue precedenti parole.
<<Tuo padre? Immagino lui sappia di questa pazzia che stai commettendo.>>
<<A quest'ora se ne sarà accorto, credo.>>
<<Non gli hai detto che partivi? Lui non sa che sei arrivata fin qui da sola?>> mi rimproverò.
<<Puoi evitare di fare commenti?>> chiesi guardando l'illusione ottica degli alberi che sembravano correre più veloci dell'auto.
Cameron restò in silenzio davvero, facendomi anche sentire una merda per questo.
<<Scusami...>> dissi poi sospirando <<Non volevo trattarti male, non era mia intenzione. Quando si parla di lui io divento matta.>>
<<Fa niente.>> rispose con noncuranza.
Contai ogni casello che sorpassammo, guardai le auto che facevano lo stesso percorso che stavamo facendo noi e immaginavo il motivo per cui anche loro erano diretti a Brooklyn.
La gente andava a lavoro lì, rivedeva la loro famiglia, i ragazzi ci andavano per divertirsi e le donne per crearsi una carriera brillante. Mi ispirava sotto qualsiasi punto di vista e poi, anche se un po' scontroso, avevo già trovato un amico.
<<Arrivati.>> disse dopo aver preso una stradina che portò su un'altra strada, di città stavolta.
<<In venti minuti? Sul serio?>>
<<Eravamo nel Queens non a Wichita.>> sottolineò, guadagnandosi soltanto un occhiataccia da parte mia.
<<Grazie davvero Cameron. Sia per il passaggio, sia per essere stato così gentile con me.>>
I palazzi erano altissimi, le strade super illuminate e la gente correva. Qui nessuno aveva tempo, qui nessuno si fermava a pensare, qui la vita andava avanti e basta.
Era tutto troppo diverso da dove venivo io, tutto troppo luccicoso ed estroso. Già amavo questo posto.
<<Esattamente dove devo accompagnarti?>> chiese poi Cameron, continuando a guardare la strada.
<<Ehm..Anche qui, se vuoi.>> scrollai le spalle, ancora incantata dal mondo circostante.
D'un tratto l'auto si fermò vicino ad un marciapiede e io guardai stranita Cameron che, a sua volta, guardava me con aria sconcertata.
<<Tu sei venuta fin qui da Wichita, da sola, senza dire niente a nessuno e per di più senza avere un posto dove stare?>>
<<Con i soldi che ho guadagnato durante il tuo incontro posso sicuramente vivere in un albergo per un mese, nel frattempo cercherò un lavoro. Tu devi solo indicarmi un posto tranquillo.>>
<<Tu sei completamente fuori di testa!>>
<<Mi stai offendendo.>> quasi sorrisi per la sua reazione.
<<Non posso lasciarti in una strada a caso in una città come Brooklyn. Non sopravviveresti un giorno.>>
<<Sono arrivata fino al Queens da sola, posso trovare un Hotel!>>
<<Qua non siamo a Wichita Cassie!>> borbottò prendendomi per un braccio prima che io potessi scendere dalla sua auto. <<Qui la gente è nervosa, pensa solo ai soldi e la criminalità è molto più elevata di ciò che la tua testolina ingenua può immaginare.>
Il suo volto era contratto, il suo sguardo era simile a quello di mio padre e io non riuscii a sostenerlo per più di due secondi.
<<Perché adesso hai messo il broncio?>>
<<Puoi, per favore, indicarmi un Hotel?>> chiesi nel modo più gentile possibile.
Lui mi osservò attentamente e poi sbuffò, rimettendo a modo l'auto.
Restai in silenzio per tutto il tragitto, fino a quando non arrivammo davanti ad un palazzo grigio, pieno di crepe. Non sembrava esattamente un hotel di lusso ma se Cameron mi aveva portata lì era sicuramente un posto sicuro.
Non c'era nessun insegna, ne un campanello che facesse capire che li si affittavano stanze, iniziavo a pensare che quello non fosse un hotel.
<<Sei sicuro?>> chiesi scendendo dall'auto dopo di lui. <<Non sembra un posto affidabile.>>
<<È l'unico posto in cui ti porterò.>> rispose seccamente, entrando nel portoncino di legno nero.
Entrammo nell'ascensore e aspettammo in silenzio di arrivare al terzo piano. Solo una volta lì capii che quello non era assolutamente un hotel.
<<Ma dove siamo Cameron?>> chiesi fermandomi insieme a lui davanti ad una porta.
Lui ovviamente non rispose, facendomi venire di nuovo il nervoso, poi smanettò un po' con delle chiave e aprì la porta.
Era un appartamento piccolo, ben sistemato. I muri erano bianchi, c'era qualche quadro qua e là e aleggiava nell'aria un buonissimo odore di detersivo. Non c'era roba in giro, sembrava una casa appena messa a nuovo.
<<Questa è casa tua?>> chiesi notandolo mentre toglieva le scarpe e prendeva una Coca-Cola dal frigo.
<<Si. Puoi stare qui fino a quando non ti sistemerai, ma non darmi fastidio.>> borbottò facendomi cenno di andare di là, probabilmente per vedere il resto della casa.
Sistemai il mio zaino in spalla e feci proprio così, ero curiosa. Subito dopo l'open space del
soggiorno- cucina c'era una stanza da bagno, anch'essa piccola ma completa di tutti i comfort e, di fronte, una stanza da letto matrimoniale. Posai la mia roba sul letto e tornai indietro, in salotto.
<<Hai davvero una bella casa, ma non posso disturbarti ancora.>>
<<Ti ho detto che se non mi stai tra i piedi va benissimo così.>>
<<Scusa eh, ma non mi sembri così entusiasta.>>
<<Non ho motivo di esserlo, semplicemente in questo modo hai qualche giorno per sistemarti. Anche se non ho ancora capito perché qui.>>
Sospirai un po' e andai a sedermi vicino a lui sul divano di pelle nera.
<<Quando mia mamma è morta ha lasciato una piccola eredità. Papà sapeva dell'esistenza di questa e quindi quando ha saputo che lei era malata non ha lottato come avrebbe dovuto.>> deglutii <<Lui ha molti debiti, li ha sempre avuti e quando ha perso il lavoro dopo essersi presentato ubriaco in ufficio, ha quasi preferito la morte di mia mamma ai suoi stupidi strozzini.>>
<<È un giudizio forte..>> si limitò a dire lui.
<<Ad ogni modo quando mamma è morta abbiamo scoperto che lei ha lasciato tutto a me. Inutile dire che lui l'ha presa malissimo e mi ha minacciata di diseredarmi se no gli avessi versato tutto.>>
<<Che pezzo di..>>
<<E quindi eccomi qui.>> lo bloccai all'istante, sorridendogli.
<<Pensavo fossi pazza e lo sei, ma capisco che hai i tuoi motivi per esserlo. Ma perché sei venuta proprio a Brooklyn?>>
<<Adesso sono stanca.>> dissi alzandomi e stiracchiandomi. <<Ti va se ne parliamo domani?>>
<<Certo.>>
<<Buonanotte.>> augurai tornando in stanza.
Feci una corsa veloce in bagno, indossai il mio pigiama lavato in quella lavanderia del Queens e sorrisi pensando ad Hank. Poi, finalmente, mi misi sotto le coperte.
Sentii la gola secca nel cuore della notte e mi svegliai. Non si vedeva nulla ma dovevo trovare per forza un po' d'acqua o sarei morta disidratata, o per lo meno era quella la sensazione. Mi spostai un po' a destra, ricordando che a sinistra c'era un comodino che avrei potuto colpire col mignolo del piede e questo sarebbe stato più che sgradevole, ma colpii ugualmente qualcosa. Con la mano provai a capire cosa fosse, ma non poteva essere un altro comodino visto che prima non c'era.
<<Perché mi stai palpando?>> mi fece sobbalzare la voce di Cameron nella notte. <<Almeno prima offrimi una cena.>> borbottò sonnecchiando.
<<Ma che ci fai tu qui?>>
<<È il mio letto.>>
<<Ma pensavo che avresti dormito sul divano.>>
<<Perché avrei dovuto scusa?>>
Ricordai di essermi messa a letto con dei pantaloncini cortissimi e una canotta bianca e mi vergognai da morire, anche se al buio non credo che lui avesse visto più di tanto.
<<Comunque ho sete, spostati che vado a prendere un po' d'acqua.>> dissi poi spingendolo verso fuori.
<<Fai piano!>> si lamentò lui.
Una volta in piedi camminai un po' alla cieca fino a quando non toccai la maniglia della porta. La luce del soggiorno era accesa e quasi mi accecò a primo impatto, poi mi ci abituai e presi un po' d'acqua dal frigo.
<<Adesso sarà difficile riprendere sonno.>> mi fece sobbalzare per la seconda volta Cameron, entrando in cucina in boxer.
<<Secondo me dovresti coprirti.>> mi girai dall'altra parte e continuai a bere come se non fossi imbarazzata.
<<Devo ricordarti che è casa mia?>>
<<Hai ragione.>> borbottai.
Mi passò davanti per prendere anche lui un po' d'acqua e si appoggiò sulla cucina, di fronte a me.
<<Ti muovi eccessivamente quando dormi.>>
<<Però non russo. Giusto?>>
<<Per fortuna no.>>
<<Che ore sono?>> chiesi ignorando il suo tono sarcastico.
<<Le cinque.>> scrollò le spalle.
<<Torno a dormire allora..>> feci per tornare indietro ma Cameron mi bloccò per un braccio ritirandomi indietro.
<<Vestiti invece, ti faccio vedere una cosa.>>
<<Vuoi uscire di casa alle cinque del mattino?>>
<<È l'unico momento in cui Brooklyn è pacifica.>> mi superò e accese la luce della sua stanza da letto, lo seguii e mi sedetti sonnecchiante mentre lui si vestiva.
<<Che aspetti? Vestiti!>> disse insistente.
<<Si.>> riaprii gli occhi. <<Subito.>>
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