Capitolo 5
I tacchi delle mie Louboutin nere risuonarono ferocemente sui gradoni in pietra del Palazzo di Giustizia.
Il sole era sorto già da un po', ma l'aria frizzante della primavera mi aveva costretta ad indossare una giacca, nonostante i raggi mi scaldassero la pelle: ci trovavamo in quelle settimane di passaggio fra una stagione e l'altra in cui era semplicissimo ammalarsi.
Ed era una cosa che preferivo evitare.
Salii rapidamente la scalinata, stringendo saldamente il manico della borsa in pelle, dov'erano contenuti tutti i documenti per l'incontro con Hartman. Nell'altra mano, invece, avevo un caffè alla nocciola, bollente e dolce come piaceva a me, preso al chiosco accanto al Palazzo.
Un gradino equivaleva ad un sorso.
Giunta in cima, alzai lo sguardo come ogni mattina ed ammirai le imponenti colonne di marmo poste all'entrata prima di varcare la soglia di quel luogo a me sacro.
Anche se si trattava di un edificio alquanto basso, era stato costruito per durare e dovunque posassi lo sguardo trovavo la Giustizia: l'interno, infatti, era ampio e decorato con quadri raffigurati la Dea della Giustizia ed una sua statua era stata intagliata nel marmo e posta ai piedi delle scale che dovevo percorrere per recarmi, ogni giorno, in ufficio.
Ovviamente, erano stati messi anche un paio di ascensori, ma, personalmente, li utilizzavo raramente. Preferivo di gran lunga camminare e respirare l'aria pura di quel luogo.
Amavo il mio lavoro.
Quel giorno, però, dovetti accelerare il passo e non potei perdermi nei miei pensieri come le altre volte: l'appuntamento con Lynch era fra pochi minuti ed io odiavo arrivare in ritardo.
Così, nonostante i tacchi vertiginosi, riuscii a salire le scale a tempo di record, finendo il mio caffè non appena misi piede in corridoio. Era lungo e disseminato di porte a vetri, ognuna con una targhetta che identificava l'avvocato che occupava l'ufficio.
Molti aveva tirato giù le veneziane per maggior privacy, anche se era difficile che ci fossero segreti fra noi. Ci adoperavamo tutti per mandare in galera i criminali ed eravamo un ottimo team, anche se, ovviamente, ognuno di noi possedeva un campo d'azione specifico: chi si occupava di truffe, chi di omicidi e chi ancora di reati informatici.
Camminai a passo spedito in direzione dell'ufficio più grande, quello di Kyle, perché ero certa che il mio capo non avesse avvisato l'avvocato Lynch del cambiamento di piani.
Se poteva trarre un vantaggio da una situazione, ero sicura che Norton avrebbe accolto la palla al balzo.
Così mi diressi verso il fondo del corridoio e quando arrivai trovai Adam Lynch seduto al grande tavolo ovale, posto al centro dell'ufficio, mentre quello che immaginai essere il suo assistito dava le spalle alla porta e fissava il panorama cittadino.
«Buongiorno. Scusate il ritardo» esordii, chiudendomi la porta alle spalle.
Gettai il bicchiere vuoto di caffè nel piccolo cestino nero accanto all'entrata dopodiché strinsi la mano che l'avvocato Lynch protendeva verso di me.
«Nessun ritardo, collega» minimizzó l'uomo con un sorriso cordiale in volto.
«Kyle Norton si scusa per non essere presente oggi. Sono l'avvocato Tara Lewis e prenderò in carico il caso finché il mio capo non sarà... disponibile...» dissi, ricambiando il sorriso, mentre prendevo posto di fronte ad Adam.
Nell'udire quelle parole, il suo assistito finalmente si degnó di girarsi, abbandonando la finestra per avvicinarsi a noi. Si trattava di un uomo alto, dal fisico atletico, con capelli scuri e occhi giocosi. La sua camminata era sciolta e tranquilla, pareva che quell'incontro non gli interessasse granché.
«Ora tocca a me presentarmi...» commentò lui, fermandosi vicino alla mia sedia. Allungó una mano e prese la mia, portandosela alla bocca per eseguire un perfetto baciamano. «Mi chiamo Max Hartman. E sono innocente come un bambino.»
Il cuore prese a battermi più forte mentre i miei occhi studiavano quell'uomo dal fascino scanzonato. Aveva un'aria curiosamente familiare, anche se non ricordavo dove potevo averlo incontrato.
Si trattava più che altro di una sensazione.
O forse del baciamano.
Due volte in due giorni.
Che strana coincidenza...
«Va bene...» borbottai, ritraendo la mano con un gesto secco, che allargó il sorriso di Hartman. «Si sieda così possiamo iniziare a definire i termini del patteggiamento.»
Non mi sfuggí la smorfia che distorse i lineamenti dell'uomo, ma fu questione di un istante, tanto che mi chiese se davvero l'avevo vista.
«E quali sarebbero questi termini?» domandò di rimando, accomodandosi accanto a Lynch.
Adam poggió la sua ventiquattrore sul tavolo, l'aprí e ne trasse alcuni documenti. Probabilmente glieli aveva invitato Kyle il giorno prima, però lui me li porse ugualmente ed io gli diedi una veloce letta.
«Vedo che avevate già concordato...» commentai, in tono asciutto, un poco sorpresa dato che Kyle non me ne aveva parlato. «Ottimo. Il suo cliente accetta?»
Il mio sguardo abbandonó Lynch per scivolare sulla figura del suo assistito: seduto scompostamente, con un gomito appoggiato al tavolo e il mento sostenuto dalla mano, pareva uno studente appena beccato dal preside.
«Dato che il mio avvocato non è sceso nei particolari, potrebbe farlo lei, Tara?» chiese Hartman, con voce bassa e suadente. «Curioso nome. Sa, che lei è la prima donna che conosco il cui nome comincia con la T?»
Quella parole mi gelarono il sangue nelle vene.
Ero certa di fissarlo con occhi sgranati. Anni di pratica in tribunale mi avevano resa capace di mascherare al meglio le mie emozioni, però Hartman stava inficiando i miei progressi.
«D-Davvero?» balbettai, stringendo le mani sotto al tavolo. «È una cosa molto... curiosa, ma non vedo in che modo questo abbia a che fare con me. Quindi, andiamo avanti e parliamo di cose serie. Se accetta il patteggiamento, dovrà pagare una multa e avrà gli arresti domiciliari. Niente carcere. Mi pare molto vantaggioso, non trova?»
Utilizzai un tono professionale e distaccato, nonostante fossi in balìa della paura e della confusione più totale.
Hartman poteva davvero essere lo sconosciuto con cui avevo fatto sesso nello studio di villa Deville?
Oppure si trattava di una stupida coincidenza?
Non essere sciocca, Tara. Deve per forza trattarsi di una coincidenza...
«Ho capito...» affermò Hartman, dopo qualche istante di silenzio. «E no. Non accetto. Preferisco andare in tribunale, avvocato Tara Lewis.»
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