Capitolo 4
Quando il trillo della sveglia giunse alle mie orecchie, mi girai dall'altra parte. Non avevo molta voglia di strisciare fuori dal letto per andare al lavoro.
Forse la causa erano i diversi calici di bollicine che avevo bevuto la sera prima.
Mi crogiolai ancora qualche istante sotto le coperte calde e accoglienti che coprivano il mio provato corpo, ma, alla fine, dovetti capitolare e abbandonare il mio comodo giaciglio.
Così allungai una mano per spegnere la sveglia, sicuramente stanca di suonare all'impazzata.
Sbuffando, mi misi seduta e mi stropicciai gli occhi per poi stiracchiarmi come un felino dopo la caccia: mi spuntó sorrisino in volto nel ripensare alla sveltina della sera prima.
Quello sconosciuto era stato così... bravo, anche se probabilmente si trattava di un aggettivo riduttivo nei confronti della sua performance.
La sua bocca, la sua lingua, il suo membro...
Al solo pensiero, iniziai a bagnarmi nuovamente, peccato che non conoscessi la sua identità. Altrimenti avrei fatto in modo di reincontrarlo più e più volte.
Mi leccai le labbra pregustando un immaginario incontro fra noi due.
Purtroppo le mie eccitanti fantasie furono interrotte dalla melodica suoneria del mio cellulare e tutto si infranse come una bolla di sapone fra le mani di un bambino.
Imprecai peggio di uno scaricatore di porto prima di recuperare l'infernale aggeggio dal comodino.
«Pronto?» borbottai, molto contrariata con il mio interlocutore, addossando la schiena ai cuscini.
Non mi scomodai neppure ad accendere la luce: dalle tende color panna, filtrava il chiarore del mattino, che mi consentiva di vedere abbastanza bene.
«Scusa l'ora... Sono Kyle.» Il tono contrito del mio capo risuonó al mio orecchio, soffocando l'eco della voce roca del mio sconosciuto e rigettandomi all'interno della frenetica vita che avevo dimenticato per una sera.
«Ciao. Che succede? Ci sono problemi col caso Warner?» domandai, entrando in modalità Tigre del Foro e scalciando gli ultimi stralci di sonno.
Leroy Warner era stato accusato di aver incassato ingiustamente la polizza assicurativa sulla vita della moglie. Francis Ann Warner, infatti, era stata vista e fotografata due giorni dopo la sua "morte" in un bar del centro quindi il marito era sotto inchiesta.
Peccato che la signora ora fosse scomparsa realmente e le nostre prove contro l'uomo si presentavano fragili e inconsistenti.
Non avevamo modo di confermare lo stato di salute della donna finché la polizia non trovava qualche traccia di Francis.
«No, no. Nessuna novità sul caso Warner. In realtà ti chiamo per chiederti un favore...» rispose Kyle, in tono di scuse. «Ellie non sta bene e non posso lasciarla a casa da sola. Vera tornerà solo dopo pranzo così volevo domandarti se potevi sostituirmi all'incontro di oggi...»
Nel sentire il mio capo parlare di sua figlia, una bella bimba di sette anni, e sua moglie, le uniche donne della sua vita, provai due sensazioni discordanti: tenerezza e tristezza.
Tenerezza perché immaginare un uomo come Kyle Norton insieme ad una bambina faceva sbellicare dalle risate, in senso positivo, ovviamente. Lui era così burbero mentre la piccola così dolce e indifesa.
Tristezza perché mi rammentava costantemente la mia scelta.
Quando avevo iniziato a lavorare come avvocato, ero giovane e piena di sogni: volevo farmi un nome, volevo diventare così brava da mettere sottochiave i colpevoli per rendere il mondo un posto più sicuro. Però, per realizzare tutto questo, avevo dovuto dire addio alla mia vita privata quindi nel mio futuro non vi erano marito e figli.
Solo avventure di una notte, senza alcuno sbocco.
«Certo che posso. Ti sostituisco volentieri» accettai, senza pensarci due volte. «Di che incontro si tratta?» gli chiesi, bloccando i suoi ringraziamenti sul nascere.
«Adam Lynch e il suo assistito. Un caso molto semplice, in verità, ma quell'uomo lo sta complicando all'inverosimile» rispose lui, sospirando stancamente.
«Lynch o il suo cliente?» domandai, confusa.
Conoscevo il caso e non riuscivo a comprendere quale fosse il problema: Max Hartman aveva sottratto illegalmente fondi a diverse persone, alcuni erano persino ex clienti dell'agenzia immobiliare presso la quale lavorava.
Esistevano un mucchio di prove contro di lui da qui la mia confusione.
Il caso era di una semplicità estrema.
«Il cliente, ovviamente. Se fosse per Lynch, il patteggiamento sarebbe già stato siglato, ma, a quanto pare, Hartman vuole andare a processo. Non accetta che le prove contro di lui siano così schiaccianti e continua a professarsi innocente» mi spiegò Kyle, quasi al limite della pazienza.
Da un lato lo capivo. Certi imputati erano davvero ostinati e non capivano quand'era il momento di fermarsi e di accettare ciò che l'accusa aveva da offrire.
Nel caso di Hartman, si trattavano solamente di tre anni di carcere, che probabilmente si sarebbero tramutati in arresti domiciliari dato che il suo capo era Carson McFarland, un nome importante nella nostra cittadina.
Sospirai nel ripensare a come quell'uomo era entrato nella mia vita, o meglio nella vita della mia amica Caroline.
Parevano il giorno e la notte tanto erano diversi eppure, in qualche maniera, si compensavano a vicenda.
Ero un po' invidiosa di loro.
《Va bene. Farò in modo che accetti ciò che gli offriamo》garantii a Kyle, riportando la mente al caso Hartman.
《Conto su di te, Tara. E grazie ancora》disse il mio capo per poi salutarmi e riagganciare.
Gettai il cellulare accanto a me, sul letto, e mi passai una mano fra i corti capelli.
Un bel casino...
Di certo non mi sarei fermata solo perché il capo di Hartman se la faceva con la mia amica, però mi sentivo un poco a disagio nel perseguire quell'uomo, nonostante se lo meritasse.
《Com'è complicata la vita...》borbottai fra me e me, scostando le coperte e mettendomi a sedere sul bordo del letto.
Poggiai i piedi a terra e rabbrividii per il contatto col pavimento freddo. Dopodiché mi alzai e camminai fino nell'armadio, posto sulla parete di fronte al letto.
La sottoveste di seta lilla che indossavo sfiorava la mia pelle nuda, creando un attrito seducente, mentre cercavo un adeguato abito per l'imminente incontro.
Scartai camicette sgargianti, una dopo l'altra, per finire ad un semplice tailleur color neve che, su una donna con la mia carnagione, creava un bellissimo contrasto.
《A noi due, Hartman!》
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