Cap. 31
Il posto metteva i brividi, la foresta mi ricordava molto quella di Biancaneve e io da piccola ne avevo il terrore, i rami spogli richiamavano alla mente grandi mani pronte ad afferrarti e a strattonarti, l'erba ormai quasi paglia, foglie cadute soffocavano il terreno, il cielo si intravedeva nuvoloso e possente, il rosa del tramonto colorava le nuvole, indicandoci la rotta da seguire. Non volevo ammettere che quel posto di notte mi avrebbe resa nervosa più del dovuto, ma ero abbastanza trasparente per Brann da farglielo notare. Di fatti lui si mise al mio fianco, facendo sfiorare appena le nostre spalle, non ero sicura fosse voluto, ma gli ero grata per quel minimo contatto che, altra cosa difficile da ammettere, mi era molto rassicurante e familiare. Da quando quella creatura ci ha attaccato, siamo diventati entrambi silenziosi e Brann era teso come una corda di violino, gli occhi percorrevano ogni centimetro del paesaggio, e a ogni rumore si incupiva e le labbra si assottigliavano. A ogni passo cercava di nascondere gli sguardi verso la mia gamba, che per la cronaca mi bruciava ma stavo bene, glielo avevo provato a dire ma era deciso a rimanere in silenzio. Quel silenzio tuttavia non era imbarazzante, anzi, però mi preoccupava la sua reazione all'attacco, e la sua preoccupazione non faceva altro che aumentare la mia. In quel momento più che mai mi sentivo in colpa per essere andata via dai miei amici senza salutare o avvisare. Ma ormai avevo deciso, appena saremmo arrivati, avrei chiesto un telefono per informare del possibile attacco, stranamente ero convinta che il ragazzo a fianco a me fosse d'accordo, i suoi occhi continuavano a celare ciò che pensava ma in quei giorni avevo imparato a conoscerlo e sotto di esso il velo della paura stava annegando la sua anima.
Cosí decisi di fare una cosa folle, ma che ero sicura lo avrebbe distratto abbastanza da pensare al peggio, mi bastò muovere di qualche millimetro la mano per avvolgere l'indice al suo, lui però mi sorprese, come sempre del resto e invece di scandalizzarsi come avevo previsto, sospirò pesantemente e avvolse completamente la mia mano nella sua stretta calda, io dopo il primo momento rimasi bloccata, ma dopo intrecciai le dita e la strinsi in segno di conforto, un mezzo sorriso che cercò di nascondere si fece strada sul suo viso e io sorrisi ampiamente, riportando lo sguardo avanti.
Quando arrivammo era notte inoltrata, e la stanchezza si faceva sentire, non ci lasciammo la mano nemmeno per un secondo, quel contatto era diventato il nostro giubbotto di salvataggio, e nessuno dei due voleva privarsi di ciò e del conforto che dava. Il matto stava in una casa strana, degna del suo padrone, ricordava spaventosamente la casa del cappellaio matto, solo molto più ingrigita, gli alberi si tendevano verso quella casa senza avvicinarsi troppo, l'unico rumore, il verso calmo di una civetta in lontananza, il resto sembrava quasi immobile, persino i nostri passi sembravano insonorizzati, la dolce brezza marina che ormai mi accompagnava ogni giorno si acquietò, lasciando la pesantezza del caldo soffocante, i nostri respiri accelerarono appena. Ci lanciammo sguardi preoccupati, ma avanzammo, notando qualcosa che ci fece rimanere a bocca aperta.
Dietro la casa vi era un villaggio quasi del tutto distrutto, non c'era fumo, sembrava che fosse stata una tromba d'aria, le strutture piene di terra e erba, le poche persone al di fuori si davano da fare per ricostruire con le poche cose che avevano, sui volti vi era tristezza ma anche tanta determinazione. Guardai Brand e quando incontrai il suo sguardo capimmo subito cosa fare, ci avvicinammo a passo spedito per aiutare. Appena misi il piede avanti però, la civetta cacciò fuori urletti isterici, e li sentivo sempre avvicinarsi finché non me la vidi arrivare davanti, era più grande di quello che mi aspettavo, fili oro le decoravano tutto il piccolo corpo, occhi azzurri trasparenti quasi grigi mi fissavano spalancati, mi bloccai. Le zampe smanettavano davanti a se, si guardava preoccupata da tutte le parti, seguii l'istinto di allungare il braccio e lei si accovacciò, nonostante gli artigli affilati non mi procurò nemmeno un piccolo graffio, continuava a guardarsi attorno e non stava tranquilla, cercai di calmarla con parole e accarezzandola sul dorso, ma quest'ultima non ne voleva sapere di calmarsi, al contrario con il piccolo becco prese il mio indice, si alzò in volo e cercò di tirarmi dalla parte opposta.
Nel mentre feci cenno a Brann di andare e che me la sarei sbrigata io, quando una strana ragazza si avvicinò, la creatura si nascose terrorizzata aggrappandosi ferocemente al mio braccio, pregandomi con lo sguardo.
La ragazza aveva un'aura strana, quasi percepibile, lo sguardo infondeva tutt'altro che tranquillità, ma l'aspetto rendeva bene ciò che si percepiva, i capelli scuri e opachi, molto lunghi sembravano sporchi e si aggrovigliavano in testa, gli occhi quasi rossi spalancati, un tic nervoso su quello di sinistra, un sorriso inquietante le decorava le labbra; i vestiti erano probabilmente la cosa più normale.
<Benvenuti amici! Purtroppo ci avete sorpreso in un momento non tanto piacevole, ma ahimè non posso farci granchè...>
Assottigliai lo sguardo e inclinai di lato la testa, ma prima che potessi ribattere Brann disse: <Lissa, ciao dobbiamo incontrare tuo padre, abbiamo mandato una lettera qualche giorno fa>. La ragazza agitó la mano in aria e rispose: <al momento sta dormendo, è troppo tardi, nel frattempo pero ancora non mi hai presentata alla tua amica, chi è?>.
Brann si voltò verso di me, spettando che facessi da sola, avanzai la mano destra per stringere la sua e dissi: <sono Selene, piacere>, purtroppo facendo così esposi la civetta allo sguardo inquietante della ragazza, lei ignorò la mia mano protesa e allungò la sua per prendere la civetta strattonandola e creandomi qualche taglio con gli artigli.
<Oh eccoti qui, sei riuscita a scappare, ma ora ti riporto dentro> Non curandomi del sangue che ora mi colava anche sul braccio, scattai d'istinto avvolgendo la civetta tra le braccia e togliendola dalle grinfie di Lissa.
<Ma cosa, allora non sei semplicemente un'amica, sei una di noi, una carta> Sorrise ancora più ampiamente e non fece altro che innervosirmi, la guardai stringendo i denti, chi maltrattava gli animali poteva anche scordarsi la mia fiducia e come aveva strattonato quella creatura spaventata, mi aveva rivelato molto.
<Okay, si Lissa, lei è la discendente della carta della luna> Brann si era messo in mezzo, lanciandomi uno sguardo di avvertimento, io lo abbassai e accarezzai la civetta che stava tremando e si voleva nascondere nella mia giacca, aggrottai le sopracciglia.
<Ah beh, allora ci credo che Nyx si sia affezionata a te, sono creature notturne e prima che tuo padre divenisse schiavo di Erawet vivevano tutte lì> Decisi di non ribattere ma ero sinceramente sbalordita, quegli animali mi avevano sempre seguita e protetta, anche prima di arrivare a Erima.
<Lissa capisco che tu abbia voglia di parlare ma abbiamo urgenza di parlare con tuo padre> Brann si impuntò, lo sguardo si era oscurato e se avesse potuto l'avrebbe bruciata viva.
Anche la ragazza si incupì a quelle parole, lasciando da parte per qualche minuto la faccia da malata mentale. <Venite qui in piena guerra, a notte fonda e avete anche la sfrontatezza di chiedere udienza a mio padre... Siamo sicuri non venite da questa isola, perché bisogna essere pazzi per volere svegliare il sovrano della follia in piena notte, già non ci sta con la testa, appena sveglio non vi ascolterebbe nemmeno e non riuscireste a chiedergli nulla, vi propongo una bella dormita invece e un'udienza la mattina presto>. Detto questo si voltò, frustando in aria i capelli, non aspettò di vedere se la seguivamo o meno. La seguimmo, non c'era altra soluzione che aspettare.
Entrammo nella casa, l'interno era pieno di oggetti strani, assomigliavano amuleti, segni strani decoravano gli oggetti, era tutto molto colorato, tanto da far male agli occhi.
Salimmo al secondo piano, il quale era l'esatto opposto del primo, molto elegante, ma nella sua eleganza quasi vecchio, le ragnatele decoravano le pareti e quadri polverosi erano a volte appesi altre appoggiati a terra. Nyx percorse tremando il mio braccio e si nascose nel cappuccio, ero distratta quando un pezzo di pavimento scricchiolò sotto i miei piedi e cedette, sentendomi cadere afferrai velocemente la prima cosa che avevo sottomano, mi ci aggrappai e ripresi equilibrio, il respiro si affannò, il cuore mi battè forte, no quel posto proprio non mi piaceva. Una mano ampia mi coprì il fianco, notando finalmente a cosa o a meglio a chi mi ero appoggiata, spalancai gli occhi scoprendo di stringere ancora nella mano il braccio di Brann, mi scusai e mi allontanai, facendo molta più attenzione a dove mettevo i piedi.
<Purtroppo è da un po' che non abbiamo ospiti, di conseguenza le stanze sono un po' polverose, ma vi troverete bene, e se non e cosi, non mi importa, inoltre è l'unica con un bagno, quindi vela farete andare bene... Ah e chiudetevi a chiave, mi scordo sempre che altre persone non sono abituate ad avere sconosciuti in camera in mezza della notte...> Una risata allegra la fece sobbalzare, detto questo mi lanciò la chiave della camera che presi al volo e saltellò nel corridoio da cui eravamo arrivati, mi voltai lentamente verso Brann alzando le sopracciglia.
<siamo ancora in tempo a scappare via> lui sorrise ironicamente e ammiccando disse: <nah, magari la camera è perfettamente pulita e con dei petali di rose sul letto> ridacchiai e aprii la porta, che cigolò, la stanza purtroppo o per fortuna non aveva profumati petali di rose sulle lenzuola ma non aveva nemmeno ragnatele, al contrario sembrava uno sgabuzzino per quanti oggetti vi erano all'interno. Quel posto sembrava un infinito contrasto, eravamo lì da meno di un'ora e già volevo scappare a gambe levate, qualcosa si mosse nel mio cappuccio ricordandomi la presenza di Nyx, girai il volto per vederla accorgendomi che i suoi occhi grigi erano già posati su di me, si strusciò delicatamente alla mia guancia e io risi, squittiva dolcemente e sembrava quasi facesse le fusa.
<Dovremmo avvertire gli altri di Erawet, ma potrebbe essere troppo lunga trovare un telefono qua, per non parlare di superare la barriera, non riusciremmo mai in tempo, inoltre temo che questa sera sia più sicura rimanere chiusi qui> Guardai Brann che pensieroso si era seduto su uno dei due letti, i gomiti appoggiati alle ginocchia, le vene delle mani e degli avambracci lo disegnavano armoniosamente, lo sforzo di trovare una soluzione gli fece indurire la mascella e guardare verso il pavimento, era terribilmente attraente. Mi riscossi dai pensieri per mettermi a cercare una soluzione e rendermi utile, Nyx mi beccò la mano senza farmi male e mi mostrò nella zampetta un foglio, collegai subito e la baciai per la sua incredibile intelligenza. Mi avvicinai a Brann che non si era mosso di un millimetro, e mi abbassai per guardarlo negli occhi: <possiamo usare Nyx, magari non sarà veloce come una chiamata, ma ci metterà poco, entro domani mattina sarà lì, inoltre se incontrerà mai qualcuno del seguito di Erawet non attirerà l'attenzione> gli sorrisi timida per il suo sguardo profondo, la preoccupazione una sottile luce nelle sue pupille, <va bene> sospirò e gli porsi il foglio e una penna con più convinzione di prima, Brann li prese con delicatezza e in pochi minuti scrisse il messaggio, anche io decisi di scrivere due righe per Hanna e Damon:
Scusate se non vi ho salutato mi farò perdonare, noi stiamo bene, siamo arrivati sani e salvi, qui sono più matti di noi tre messi insieme, domani incontreremo il matto e appena finito torniamo da voi, non vi preoccupate per me, state attenti, forse Erawet ha qualcosa in mente, non fatevi uccidere grazie. P.S. La civetta è un'amica, si chiama Nyx
Strappai qualche filo dalla camicia già strappata ricordandomi della ferita alla gamba e al braccio solo in quel momento, dopo aver legato ed essermi accertata che non cadesse da un momento all'altri, dissi dove sarebbe dovuta andare e a chi recapitare i due messaggi. Guardai le ali piumate della civetta sbattere e fermarsi per qualche secondo, la guardai finché non vidi altro che una distesa oscura davanti a me, un senso di nostalgia mi pervase, avevo tanta voglia di buttarmi sul letto e piangere fino a svenire e risvegliarmi con gli occhi incrostati.
Purtroppo non ero sola e per di più, non potevo abbattermi, il mondo andava avanti e io avrei fatto lo stesso, quindi mi concentrai sulla gamba e il braccio, quindi mi misi sul letto e mi concentrai sul taglio lungo e rossastro lungo il polpaccio, non usciva più il sangue, sbuffai, la porta del bagno scricchiolò e Brann ne uscì; per un momento i nostri occhi si incrociarono, distolsi subito lo sguardo, riportandolo sulla gamba ferita. Mi alzai per raggiungerlo e entrare nel bagno, lui si scostò, appena lo sorpassai di un passo, mi prese il braccio ferito e io mi trattenni dal sibilare.
<Tutto bene?> mi feci forza e alzai lo sguardo con uno dei migliori sorrisi che potevo sfoggiare, non troppo grande da essere finto, ne troppo timido per non far trasparire il dolore, rilassai le sopracciglia per sembrare io stessa calma, mentre la tempesta si agitava nel mio cuore e la mia testa urlava, mentre sanguinavo, il mio volto faceva pace con me stessa, annuii con la giusta velocità, ma nonostante il mio sforzo lui strinse il braccio facendomi sibilare appena, cosa che notò subito.
<Che cazzo hai fatto al braccio> il suo sguardo prometteva fiamme e distruzione, la presa si fece più gentile e senza aspettare una risposta prese alcol e me lo passò su tutta la lunghezza dei tagli che inaspettatamente erano molto più lunghi, non reagii al bruciore, al contrario quasi mi aiutò a levarmi quel peso che non sapevo come si era formato sul cuore e mi tappava la gola, deglutii a fatica cercando inutilmente di buttarlo giù. La mascella mi tremava e gli occhi mi bruciavano per quanto cercavo di trattenere le lacrime, era incredibile quanto inaspettatamente arrivavano questi momenti, avevo lo sguardo puntato sui tagli, non avevo intenzione di alzarlo, mi appoggiai al tocco delicato del panno, maledicendomi perché non avevo diritto a stare male, che la facevo troppo lunga, che in fondo la mia vita stava andando bene, che c'erano persone che avevano questo diritto perché il loro male era peggiore. Mi maledissi perché ero tanto debole, per i miei momenti improvvisi in cui non volevo nessuno, mi vergognavo di ciò, mi vergognavo di quello che ero diventata, ovvero un'adulta piagnucolona che ricorda solo il passato, ma dopo tanti presenti, il passato entrava prorompente nell'anima e distruggeva ogni cosa. Mi vergognavo perché a volte la forza di volontà non bastava.
Stavo sprofondando quando un dolore acuto mi riportò bruscamente al presente, Brann con gli occhi fissi sui miei, mi aveva stretto tanto il braccio da farmi tornare alla realtà, lo guardai ridipingendo velocemente la maschera sul volto.
<Non farlo> La sua voce come un tuono scopriva una punta di disperazione, rinunciai e mostrai il mio vero volto, il sorriso scompariva e le palpebre si abbassavano, la mascella strinse e gli occhi puntati sui suoi mostravano la confusione che avevo dentro.
<Parlami, tenere tutto dentro non aiuta, hai bisogno di sfogarlo in qualche modo> La dolcezza della sua voce mi spiazzò e con delicatezza mi fece sedere su un cassettone stabile del bagno, lui si inginocchiò e si mise ad ispezionare l'altra ferita, quando vide che non avevo intenzione di parlare, si rialzò, appoggiò le mano ai lati del cassettone e si avvicinò, io stupita rimasi immobile, resistendo all'impulso di osservare le sue labbra piene.
<Posso sempre farti sfogare in altri modi> i nostri nasi quasi si sfioravano, e lui osservò sfacciatamente la mia bocca, l'elettricità sembrava quasi tangibile, quando decidemmo di spezzare l'atmosfera nello stesso momento, io alzai le sopracciglia fino a toccare il cuoio capelluto, e lui fece lo stesso ritmicamente, sbuffai una risata e lui si raddrizzò con un mezzo sorriso, incrociò le braccia.
<Ti chiedo solo di provarci, decidi tutto tu, cosa raccontarmi, come e soprattutto puoi fermarti quando vuoi, puoi anche raccontarmi una marea di cavolate, ma almeno passiamo il tempo, visto che dubito chiuderemmo occhio questa notte...>
Aveva naturalmente ragione, ormai tutto mi diceva che di lui mi potevo fidare, nonostante l'inizio un po brusco della nostra conoscenza, il continuo è sempre stato molto gentile, e prima che me ne rendessi conto, iniziai il mio racconto.
<Beh se la metti così... C'era una volta una solitaria ragazzina che vedeva il mondo per come era e per come sarebbe potuto essere, una sognatrice che vedeva nella cenere polvere di stelle, e nella cattiveria, un'anima da salvare...>
Così parlai per non so quanto tempo, parlai della mia infanzia, delle delusioni, del mio gruppo di amici, della scuola, Brann fu un ascoltatore perfetto, non mi fermò nemmeno una volta, e probabilmente fu questo che mi convinse a continuare il mio racconto. Raccontai perfino del periodo che avevo passato con Erawet, di quanto fosse stato amabile e un amico, di come mi ero sentita dopo, ma anche lì non trovai difficoltà nel raccontarlo, spiegai il modo che intraprendevo sempre per passare quei momenti, gli raccontai perfino di quando ero arrivata a Erima, ironizzando nelle scene dove vi era anche lui. Brann si concentrò completamente sulla mia gamba e quando ebbe finito si appoggiò al lavandino e continuò ad ascoltarmi, ogni tanto sfuggiva al suo controllo qualche espressione, uno spasmo alla mascella al nome della Torre, uno sbuffo divertito al sentire delle vicende con lui stesso. Quando finii il peso era sparito, la voce ormai rauca e un incredibile sollievo mi riempiva il cuore, leggera come una piuma sorrisi ampiamente a Brann, gli occhi luminosi, lui pero' sembrava riflessivo, così alzai un sopracciglio.
<Hai passato una vita a curare gli altri, ma chi ha curato te?> Aggrottai le sopracciglia e risposi: <beh i miei amici ci sono sempre stati> lui si staccò dal lavandino e si avvicinò, portando le braccia lungo i fianchi. <Ma quando piangevi in silenzio accanto a loro durante la notte, nessuno si è dato la briga di confortarti, quando avevi bisogno di un consiglio loro semplicemente lo paragonavano alle loro esperienza, ce mai stato qualcuno che capisse subito di cosa avevi bisogno?>. A quelle parole arrossii appena: <io in quei momenti preferisco stare sola, ho bisogno di metabolizzare, capire il problema e risolverlo da sola e poi scusa per te di cosa ho bisogno?>. In quel momento era davanti a me, le nostre gambe si sfioravano e la sua figura incombeva su di me, sbuffò derisorio: <per essere tuoi amici non ti conoscono per niente, tu non hai bisogno di stare sola Surya, sennò in questo momento non mi avresti parlato ma te ne saresti stata zitta e scommetto che dopo aver metabolizzato il problema non ti sentivi libera come ti senti ora. Te lo dico io di cosa hai bisogno, di una persona che ti ascolti, che ti lasci riflettere e che soprattutto ti dica la verità, che non paragoni le tue esperienze a quelle proprie perché i traumi possono essere simili ma non saranno mai identici e loro non ti capiranno mai appieno>. Aveva il fiatone, gli occhi schiariti dalla luce facevano intravedere l'allargamento delle pupille, io ero immobile sentivo il cuore battere nelle vene, le mani pulsavano, abbassai lo sguardo, ma una mano sotto il mento mi fece rialzare subito lo sguardo.
<Tu, quando loro stavano male, faceva male anche a te, piangevi per il loro dolore, ma loro hanno mai pianto per il tuo?> Una fiammata di rabbia e tristezza trapassò il suo sguardo, tanto forte che scacciai la sua mano, scesi dal cassettone, mi avvicinai alla porta velocemente ma quando la aprii appena, sbattè violentemente, la mano di Brann era stata più veloce e aveva richiuso la porta.
<I miei amici si preoccupano e si sono sempre preoccupati, sennò non sarebbero venuti fin qui> Mi ero voltata e ora arrabbiata lo guardavo nelle pupille.
<Ma per favore, Damon è venuto perché ha sentito il richiamo del gemello che dopo anni che provava a chiamarlo, ci è riuscito, mentre Hanna è un'avventuriera e senza di voi si sarebbe sentita sola> Gli puntai un dito al petto e quasi urlando dissi: <non parlare così di loro, mi vogliono bene e...> <sono sicuro ti vogliano bene ma allora perché non ti hanno chiesto nulla su Erawet?!> Silenzio, il silenzio che ora avevo in testa era assordante, non lo sopportavo, il nodo alla gola era tornato e dubitavo sarei riuscita a trattenerlo una seconda volta.
<Perche lo sai! Ho sempre detto loro di lasciarmi sola in questi momenti!> La mia voce iniziava a rompersi e con lei pezzi dei miei ricordi. <Ma non era quello di cui avevi bisogno! Se non ne avessi parlato con me chissà per quanto tempo ti saresti fatta del male! Perché ti senti in colpa su ogni cosa che fai? Sento che ti dai colpa di qualsiasi cosa tu faccia, ti scusi, ti dispiace, ma non è sempre colpa tua! Non è colpa tua se loro si indispettiscono quando non te la senti di dire come ti senti, non è colpa tua se sei fatta così e loro non lo hanno ancora capito!> Le gambe mi cedettero, scivolai a terra e mi abbracciai le gambe, anche Brann si abbassò, catturò il mio sguardo col suo, mi prese una mano e la massaggiò. E sussurrando disse: <non è colpa tua se non capiscono che le parole sono solo lettere ma sono le azioni quelle che ti colpiscono, gli sguardi> a quelle parole lo guardai sbalordita per quanto mi aveva capita bene, lui sorrise tristemente e guardò le nostre mani intrecciate, al contatto del suo calore mi stavo sciogliendo.
<Ho notato come ti comportavi ogni volta che ti ho aiutato, probabilmente ti sei pienamente fidata di me solo dopo la lezione di volo, anche ora ti sei sfogata con me solo dopo che ti volevo curare> Ormai stanca, anche io fissavo le nostre dita e giocherellavo con un suo anello sull'anulare, una lacrima calda mi sfiorò la guancia, ma prima che la togliessi, Brann la prese e l"assaggiò, sbuffai una risata. Lui riflettè sul sapore e disse: <Mh buona> ridacchiai: <ah si? E dimmi chef, di cosa sa?>, Lui si rimise a riflettere e rispose: <di caramelle alla frutta>, questa volta risi più forte: <come fa una lacrima a sapere di caramelle alla frutta?> Lui fece una faccia offesa ma un mezzo sorriso lo illuminava <basta un po' di immaginazione e sentirai anche tu una caramella alla frutta, oserei dire di bosco, poi non eri tu quella che amava la fantasia?!>.
Gli sorrisi e ci alzammo da terra, volevo ringraziarlo ma dirlo e basta mi sembrava poco così gli balzai addosso e lo abbracciai, rimase rigido qualche secondo, ma dopo mi strinse dolcemente, mi allontanai e dissi: <grazie, mi hai aiutato molto, e già che ci sono il tuo abbraccio invece sa di cheese cake al limone> ridacchiai per la sua faccia, era indignato: <io ti dico che sai di caramelle alla frutta, dolcissime e buone e tu mi dici che so di limone? Non sono mica aspro io>.
Aprii la porta mentre soffocavo dalle risate, ma quando entrammo ci accorgemmo che dei suoni strani provenivano da fuori la camera, impaurita mi misi sull'attenti, anche Brann si posizionò vicino la porta e ascoltammo. Delle urla e delle risate isteriche e inquietanti si avvicinavano, una pesante mano sbattè sulla porta, il cuore mi balzò in petto ma rimanemmo immobili. La mano sbattè più e più volte, i cardini stridettero, nel mentre le urla erano sempre più spaventose, sembrava uomo, ma rideva come una donna, dopo quella che sembrò un'eternità smise e corse via, non respirai per un'altra manciata di secondi, poi quando Brann si voltò, sospirai di sollievo, quella sarebbe stata una lunga notte.
Ci addormentammo senza nemmeno accorgercene sullo stesso letto, troppo stanche per fare i timidi, un sonno senza sogni venne a trovarmi, ogni tanto un rumore di porte sbattute e di urla mi faceva sobbalzare senza svegliarmi del tutto. Al contrario Brann un sogno lo fece e il movimento del letto che sobbalzava mi svegliò, il ragazzo accanto a me si agitava nervosamente, i pugni serrati spingevano le unghie nella carne. Preoccupata gli misi una mano sulla spalla per svegliarlo, lui aprì gli occhi di scatto e invertì le posizioni, io ero sdraiata e le sue mani erano ai lati della mia testa, gli sorrisi tranquillizzandolo e gli posai una mano sui capelli accarezzandoli, lui subito si tranquillizzò, ma un colore verdognolo gli colorava la faccia, si alzò di scatto per raggiungere il water e rimise tutto il poco cibo che avevamo mangiato quel giorno, lo raggiunsi correndo e levandogli i ciuffi dalla faccia. Quando smise, si sedette per terra, un ginocchio piegato e la mano posata su di esso, presi un panno, lo inzuppai nell'acqua gelida e glielo tamponai sulla faccia, gli occhi mostravano dolore, aggrottai le sopracciglia e dissi: <vuoi parlarne?>. Mi guardò arrabbiato e rudemente rispose di no, io sobbalzai sorpresa, ma continuai a tamponare il suo volto, mi prese violentemente il polso e me lo spostò.
<Non voglio il tuo aiuto, vattene> Assottigliai lo sguardo e risposi: <col cazzo, tu mi hai aiutato prima e ora aiuto io te, non ne vuoi parlare? Bene, ma ora ti aiuto, che ti piaccia o no>. Una gara di sguardi iniziò e finì con il suo che si abbassava, così ripresi a tamponargli la faccia, una delicata melodia mi attraversò la mente e decisi di canticchiarla, lui chiuse gli occhi abbandonando la testa contro il muro, gli accarezzai i capelli fin quando non li riaprì.
<Non sapevo sapessi cantare> Arrossii, non cantavo mai così senza la canzone stessa in sottofondo: <beh si mi piace, ma non lo faccio spesso davanti alle persone, quindi sentiti onorato>, rimase serio, ma disse: <Continua a farlo>, chiuse di nuovo gli occhi, e io arrossendo ancora di più, obbedii.
L'alba spuntò una mezz'ora dopo, smisi di cantare e Brann e io ci affacciammo alla finestra per vedere i meravigliosi colori che illuminavano il cielo, intrecciai le dita alle sue, dandogli il tempo di ritrarsi, ma la avvolse con maggior decisione, quando un pugno delicato bussò alla porta.
<Sveglia dormiglioni, il re è pronto a ricevervi, appena sarete presentabili>
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