Cap. 3
Speravo tanto di non rivedere quella luce rossa e adirata nello sguardo dell'amica, certo lo avevo visto già altre volte, ma sempre a mio favore, mai contro di me.
Mi limitai a maledire me stessa per non avere pensato di lasciare un, anche seppur misero, biglietto.
Hanna, al contrario mio, giurò a se stessa che ora che aveva ritrovato i suoi amici, non si sarebbe più allontanata da loro nemmeno per un secondo.
Hanna era sicura di riuscire a trovare i suoi amici non solo perché era testarda e doveva ritrovarli ad ogni costo, ma perché loro erano la sua famiglia, quella che con uno sguardo fa capire che loro ci saranno sempre per te.
Sentimmo una voce familiare, bassa, profonda e strascicata, urlare:
<Dove sono!>
Dopo due minuti la porta si spalancò ed entrò Damon con una faccia alquanto preoccupata.
<Oh! Ma non mi chiamate? Cioè, voi vi abbracciate così senza di me? Va bene che sono associale, ma un abbraccino lo voglio anche io!>
Io ed Hanna ci guardammo con aria complice ed Hanna, avvicinandosi lentamente a lui, sussurrò:
<Ah si? Prima però fammi dire una cosa...>
Hanna si concesse un sorrisetto quando Damon iniziò ad indietreggiare per la paura.
<Tu sapevi che Selene voleva fare questo viaggio...>
Hanna puntò un dito contro il petto di Damon, il quale dalla paura deglutì rumorosamente:
<allora perché non mi hai avvisata?>
<Em... perché... emmm...>
Intanto stavo trattenendo le risate però cercavo di essere seria e reggere il gioco.
Damon era terrorizzato non tanto per me, sapeva che ero troppo buona per dare anche un solo schiaffo, ma Hanna... quella ragazza era capace di qualsiasi cosa.
Ci buttarono sul ragazzo e gli fecemmo il solletico fino a soffocarlo.
Mancava a tutti e tre essere cosi spensierati, senza problemi e saper scherzare senza un limite, perché i bambini sono così, non si fanno problemi di nessun tipo.
Il "trio degli scatenati" era di nuovo unito e più forte che mai.
Damon rise come solo le sue due migliori amiche sapevano fargli fare, dichiarò il ritiro prima di perdere il respiro.
Quando ci alzammo da terra ci guardammo gli occhi, quegli occhi che conoscevamo tanto bene, quegli occhi che ci davano conforto e forza a vicenda, Damon spezzò il silenzio:
<Scusa Hanna eh, ma non credi che sei un po' ingiusta? Non credi che Selene debba meritare la stessa mia crudele sorte?>
<be' caro il mio Damon penso che tu abbia assolutamente ragione>
I due si voltarono verso di me con sguardo omicida, il sorriso si spense istantaneamente, mentre lentamente aprivo la porta, allora dissi:
<forse è meglio che vada>
Corsi più veloce che potei sotto gli sguardi confusi dei marinai.
Soffrivo il solletico più di chiunque altro, e non riuscivo a smettere di ridere, mi lacrimavano gli occhi da quanto stavo ridendo.
Mi ritenevo pericolosa quando mi facevano il solletico, rischiavo di tirare un pugno o un calcio a qualcuno, ma per fortuna Damon ed Hanna erano abituati a questi scatti, anche se non ero in grado di uccidere una mosca e poi non pentirmi del mio gesto, per sbaglio potevo fare qualsiasi cosa.
Quando Hanna e Damon finirono, mi accorsi che eravamo tornati in sottocoperta, la quale era ridotta ad un disastro, le carte geografiche per terra, i libri pure, una visione di una stanza messa a soqquadro mi passò per la testa, la stanza di mio padre e tutto era nel caos, sembrava fosse passato un uragano.
Pensavamo fossero stati dei ladri ma stranamente nulla mancava.
Al pensiero di mio padre, mi scappò una lacrima, la sua scomparsa aveva reso la situazione più complicata di quanto lo fosse veramente.
Quella piccola goccia d'acqua flebile calava sul mio viso triste, raccontando la mia storia, il mio passato, la mia vita e quella dei miei genitori.
Quella piccola lacrima, pensai, portava via con sé tutti i ricordi più brutti, che una volta mandati via non sarebbero più tornati.
Quella lacrima raccontava la fine dei miei problemi e l'inizio di una ragazza piena di sogni da realizzare.
Senza farmi vedere dai miei amici, che stavano iniziando a pulire, aprii la finestra e lasciai cadere quella goccia d'acqua nel mare, regalandogli il dolore che provavo, perché in realtà il dolore era ancora lì, pronto a saltarmi addosso e affogarmi nel suo mare oscuro.
Poi mi girai con disinvoltura e feci un sorriso che di vero non c'era niente, un sorriso così finto che nemmeno i suoi amici avrebbero saputo distinguere da uno vero, un sorriso che nascondeva una promessa.
Una promessa a me stessa: sarei sempre stata d'aiuto agli altri, ma non avrei mai più chiesto aiuto.
I suoi due amici come predetto non dissero nulla e ricambiarono il sorriso.
Ad un certo punto Damon disse:
<Ma chi sarà stato secondo voi a fare questo?>
<Probabilmente qualcuno che voleva vendicarsi per un nostro scherzo>
Rispose Hanna.
Dopo qualche minuto Damon riprese:
<certo che sono proprio dei bambini, eh>
<be' se è proprio per questo anche noi lo siamo> dissi.
<mah semmai voi io una bambina proprio no>
<ah e perché tu no? Sentiamo> dicemmo in coro io e Damon.
<scherzate vero? Io? Una bambina? Mai! Io odio i bambini, non li sopporto, piangono troppo>.
Damon ed io alzammo gli occhi al cielo e iniziammo a ridere, ma uno scossone della nave ci interruppe.
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