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Cap. 24

Mi svegliai con un ronzio in testa, un suono continuo, che rimbombava nella testa, in realtà rimbombava in tutto il corpo; nelle gambe, nelle mani, sotto la pelle, il cuore che rifiutava con disgusto quel rumore che pian piano saliva, costringendomi a stringere gli occhi per lo sforzo.

Lo sentii dentro le ossa, sentii ogni cellula del mio corpo percepire il suono come un richiamo, ma anche come una sorta di scossone, era familiare, non ricordavo esattamente dove o quando lo avevo sentito, ma era simile a un terremoto, cosa? Un terremoto?

Aprii gli occhi scatto capendo finalmente che non era un terremoto, ma qualche semplice gatto che facevano le fusa accanto a me... Sospirai dal sollievo... Aspe, da quando c'erano gatti a Erima? Chi li aveva portati? Però erano così carini, mi avvicinai per accarezzarne uno, ma si ritirò indietro e svanì, poi fu seguito da un secondo, poi un terzo, un quarto...

Quando tutti i gatti furono svaniti, guardai a bocca aperta il letto, insomma, potevo accettare i draghi, potevo accettare le viverne, potevo accettare statue che prendevano vita, ma gatti-fantasma che non si facevano accarezzare? Io pensavo che almeno i gatti rimanessero gli stessi, mancano solo gli unicorni e siamo al completo.

Mi alzai con la lentezza pari a un bradipo appena sveglio e, quando mi fui stiracchiata per bene, i ricordi mi assalirono come una onda, confondendomi il cervello e facendomi attaccare al lavandino del bagno per il mal di testa.

Cosa? Come ci ero arrivata in bagno? Mah, qui sta succedendo qualcosa di strano, mi guardai allo specchio, avevo ripreso il mio solito peso, ma le occhiaie si vedevano ancora bene, non riuscivo, le nottate le passavo dormendo due ore e se andava bene quattro, poi però un qualsiasi rumore o incubo mi faceva svegliare.

Non sono mai stata coraggiosa, anche se avrei sempre voluto esserlo, cerco di evitare di mostrare questa mia debolezza, ma non è facile.

Mi girai, notando la maniglia della porta addassarsi e far entrare due anziani sui settanta anni, ma che cavolo?

<Selene? Oddio dove sarà finita? L'avranno rapita?>

<Brann sta tranquillo, rapita dove, se non si sveglia da quaranta anni...>

Sbucai velocemente fuori dal bagno con una mazza da baseball in mano, non chiedetemi come ebbi trovato una mazza in bagno, non lo sapevo manco io.

<Chi siete?>

La donna spalancò gli occhi, diventati ormai lucidi...

<Lu? Sei sveglia! Sei stata in coma per quaranta anni>

Mi chiesi se fosse davvero possibile rimanere in coma per così tanto tempo, c'erano davvero troppe cose che non quadravano, poi, quando una persona è in coma non dovrebbe essere su un lettino con tubicini e cose varie come nei film? Io non mi ero trovata nè in un lettino da ospedale, nè dei tubicini inficcati nel braccio.

<ma come...>

Non finii la frase che le figure delle due persone davanti a me, si distorsero, mi guardai le piccole mani ornate dai soliti anelli, le dita lunghe e magre si piegarono e si dilaniavano, lo stomaco si contorse ed ero già pronta a rimettere qualcosa, i muscoli si irrigidirono, il respiro aumentava e il cuore pompava velocemente, mentre tutto cambiava.

Cambiava e scompariva, la realtà diveniva sogno, e sogno, realtà; carne, ossa e sangue divenivano il nulla, tutto e niente, un misto di contraddizioni, così diverse, eppure così simili.

Mi svegliai una seconda volta, nella realtà, nella Erima che avevo imparato a conoscere, nella stanza che avevo iniziato a fare mia, nella struttura che avevo imparato a vivere e a considerare la mia casa.

Sospirai di sollievo e anche in parte di sorpresa quando vidi una figura familiare, muscolosa e massiccia.

Dormiva e qualcosa mi diceva che era una creatura antica e molto simile a me, il respiro pesante e gli occhi chiusi, la testa reclinata dolcemente sul bracciolo della poltrona, la compostezza del suo corpo, anche mentre dormiva.

Fece uno scatto, ma non si era svegliato, doveva essere un incubo, quando ne fece un altro, mi avvicinai silenziosamente e cercai di svegliarlo.

Quando aprì i suoi meravigliosi e splendenti occhi neri, questi ultimi cercarono i miei come calamite che si attraggono e una voce dolce e interessata, ma per niente assonnata, proveniente dall'uomo davanti a me, mi disse:

<sei sveglia...>

RAUL'S POV:

Erano quattro stramaledetti giorni che quella stronza bellissima ragazza non si svegliava, l'avevo vista tra le braccia dell'amica, pallida e piena di tagli, ero in panico, non mi era mai successo, avere così tanta paura, che se mi fosse venuto un infarto, non ne sarei rimasto sorpreso.

L'avevo caricata sulle spalle con delicatezza e avevo esortato tutti quanti a tornare, dicendo a tutti che se non si sbrigavano li avrei presi tutti a calci nel culo.

Imprecando violentemente per la lentezza della camminata, una ragazza mi si avvicinò, riconobbi subito la migliore amica di Hanna, capelli lunghi e quasi bianchi, occhi scuri e tristi, preoccupazione e speranza a modellare quel dolce viso.

<tu devi essere Raul, giusto?>

Aveva una voce timida e sottile, ma decisa e gentile, le sorrisi.

<si, sono proprio io, tu invece sei Selene giusto? Sai non passi molto inosservata qui>

Sospirò, facendo sparire di poco il sorriso

<beh, pensa che ancora prima di arrivare, tutti sapevano chi ero, ed è abbastanza imbarazzante, visto che io non sapevo chi fossero loro>

Era simpatica, in quel momento capii perché lei ed Hanna fossero tanto amiche, la sensazione di lealtà, l'ironia e lo sguardo solare e pieno di vitalità e furbizia che contornavano i loro occhi.

Risi leggermente.

<però questa volta sei stata tu la prima a avermi riconosciuto, poi come si fa a non conoscere il grande Raul, sono famosissimo>

Scoppiò a ridere, anche se lo sguardo sofferente e triste rimase.

<ma esiste almeno un ragazzo di Erima senza un ego smisurato?>

Quella ragazza era davvero brava a tirare su il morale e notai l'occhiataccia che lanciò a Brann, che distolse subito il suo, vedendo una Selene scocciata, era da un po che non parlavamo io e quel ragazzo rincoglionito, che definivo migliore amico.

<penso di no, ma bisogna dire anche che qui non ci si annoia mai>

Appena la ragazza poggiò nuovamente lo sguardo davanti a sé, Brann spostò il suo per controllare ogni suo movimento e spostamento, usciti dalla grotta, ricordai, come le aveva proposto di portarla in braccio, ma lei si era rifiutata categoricamente, dicendo che si era riposata abbastanza e che da lì in poi avrebbe camminato sulle proprie gambe.

<hai ragione...>

Dopo aver alternato lo sguardo tra la sua migliore amica e me, disse con un tono rude e potente, che mi fece destabilizzare per il cambiamento radicale del tono:

<la affido a te, non osare nemmeno torcerle un capello che potrei affettarti tutti i muscoli che hai, per poi distruggere l'enorme ego con cui ti ritrovi, capito?>

Annuì con una punta di divertimento, ero davvero contento che fosse così protettiva.

<si, signora>

Sorrisi e lei ricambiò con un sospiro divertito e affettuoso, poi mentre ci avvicinammo alla nostra base, mi accorsi della sua stanchezza, barcollava e per poco non cadde per terra, si riprese agilmente e dirigendosi verso, quella che supposi camera sua, disse:

<ci vediamo a cena, e Raul mi raccomando trattala bene>

Con lo sguardo che mi rivolse, capii che se non ci fossi stato io, non sarebbe andata in camera sua, ma sarebbe rimasta con la sua amica.

Le rivolsi un semplice cenno di ringraziamento.

Era stata una conversazione come un'altra, certo, eppure sentivo tutto l'affetto e la preoccupazione che Selene sentiva, ed era strano, perché per la prima volta volevo che qualcuno provasse per me una cosa del genere.

Guardai Hanna, la ragazza che da poco avevo imparato ad amare, lo sguardo attento, le mani pronte a tirare schiaffi e pugni addestra e a manca, i capelli neri e lisci, la pelle scura.

E poi in quello stato di trans, lei aprì gli occhi, e con voce roca ed assonnata, mi disse:

<Raul? Ma allora sono viva? O sei morto pure tu?>

Risi, sapendo che quella battuta l'avesse presa da uno dei film che tanto le piacevano.

Così con le lacrime agli occhi, le dissi:

<sei viva, sei viva, tranquilla>

Si alzò velocemente a sedere e mi guardò con uno sguardo affilato che mi sbalordì.

<allora ti posso prendere a schiaffi e farti soffrire>

Risi ancora più forte.

<oh, mi sento onorato, ma posso chiedere la causa di tale richiesta?>

Lei mi guardò ancora più male, ma non trova la solita nota ironica, quando rispose:

<sai non ti conviene tanto ridere, visto che ho scoperto una cosa non tanto piacevole, di cui richiedo subito spiegazioni>

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