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Cap. 1


Era da tre mesi che navigavamo e i marinai, che mi ero portata dietro, iniziavano a stufarsi, ma volevo andare avanti, lo dovevo a mia madre, la quale era impazzita dopo il tradimento e la scomparsa di mio padre.

Mia madre mi raccontava sempre la leggenda delle varie creature che abitavano quell'isola tanto misteriosa quanto introvabile.

Di creature ce ne dovevano essere molte, come: draghi, sirene, fate, e altre.

Di certo non mi aspettavo di trovare queste creature, ma almeno dovevo sapere se l'isola che tanto sognavo, esisteva.

Secondo la mappa del libro erano previste altre due settimane in mare.

Ero nella cabina della nave a osservare la luce del sole, che si scagliava sui vetri, sulle assi di legno, sui mobili e sul mare limpido, riempiendolo di diamanti brillanti.

Aprii la finestra e aspirai con tutta la forza che avevo in corpo il profumo salato del mare, sentii il suono potente del vento e i raggi solari che accarezzavano dolcemente i miei capelli e la pelle.

Chiusi gli occhi e immaginai Erima, con i suoi fiori profumati e gli alberi con il loro fruscìo che seguivano il rumore del vento e il vociare dei gabbiani in cielo.

Sentii bussare alla porta e facendo un salto per lo spavento rispose con un <Avanti>,
entrò Damon, il mio migliore amico, che con una strana espressione, dissi:

<Scusa Luna, ma non credi sia l'ora di tornare a casa?>

Sapevo, che quando Damon mi chiamava Luna, voleva dire che era successo qualcosa e rimasi esterrefatta da quello che mi aveva dichiarato.

Damon era in cerca di un qualsiasi segno che lo aiutasse a capire le mie emozioni; non trovando granchè, si limitò a portarsi nervosamente una mano tra i capelli.

Cominciavo ad essere leggermente alterata: come poteva il mio migliore amico chiedermi una cosa simile?
Come poteva chiedermi di rinunciare al mio sogno? Come poteva chiedermi di lasciar perdere?

Mi sforzai di mantenere un tono alquanto cordiale:

<Damon sei serio? Siamo vicini! Mancano solo due settimane di viaggio!
Non puoi lasciar stare!>

Gli occhi azzurri di lui divennero di ghiaccio, manifestando il suo umore:
la rabbia.

Non ne capii il motivo, quindi mi avvicinai lentamente a lui, ma quando aprii la bocca per parlare, lui disse:

<ma è proprio questo il motivo! Gli altri hanno paura di questa cosa, potrebbe essere pericolosa!>

<e tu? E tu invece cosa pensi?>

Dopo qualche secondo lui rispose:

<io voglio starti accanto e aiutarti, affinché non ti metta nei guai>

<bene allora aiutami! Aiutami a cercare questa isola! Carca di trattenere un'altro po' le lamentele degli altri, ti prego fai questo sforzo>

Gonfiai le guance. feci il labbruccio e spalancai gli occhi, facendo così cedere Damon che sussurrò:

<va bene, certo sei proprio testarda, eh>

Damon uscì dalla cabina dopo un lungo e affettuoso abbraccio.

Pensai che questi marinai non servivano a nulla, e di certo non si potevano definire marinai, se dopo soli due mesi di viaggio si erano già stancati.

Dopo l'abbraccio e la fuga di Damon,
Mi persi a guardare fuori dalla finestra, il mare cosi profondo e pauroso e allo stesso tempo confortevole e seducente, una serie di contraddizioni, che insieme raggiungevano la perfezione.

Il mare era una dolce melodia che trasporta ogni cosa in qualunque posto,
era il dolce profumo di un fiore sconosciuto, era la delicatezza di un amore appena scoperto, era la sfrontatezza di un frutto proibito.

Il suo rumore e la sua bellezza rubava, anche se per qualche minuto, l'identità di chiunque la ammirava, dandoti in regalo, la leggerezza e la libertà di un uccello.

La sua bellezza, già, era difficile raccontarne la bellezza, in poche parole? Una dea scesa in terra sottoforma di una vasta area trasparente, che rifletteva il cielo, sottoforma di onde, sottoforma di correnti.

Pensai a quello che rappresentava per me il mare, il cielo, quello che anche se andassi in capo al mondo, sarà sempre uguale e sempre lì a supportarti nei momenti più difficili.

Ero immersa nei ricordi della mia casa, di mia madre, di Damon, della mia migliore amica Hanna, dei prati verdi che percorrevo con il "trio degli scatenati", sì, strano come nome di un gruppo, ma da ragazzini eravamo davvero pazzi, quasi da manicomio.

Una volta a scuola avevamo portato vernici e sciarpe per coprirsi la faccia, ci mettemmo a macchiare di vernice le magliette, i pantaloni, le facce degli studenti e dei professori;

Hanna era stata quasi presa da un ragazzo ma con l'aiuto di Damon riuscimmo a scappare.

Dopo ci nascondemmo in uno sgabuzzino sporco e pieno di attrezzi, ci accasciammo dalle risate e ci macchiammo per non destare sospetti.

Ripensai alle facce arrabbiate e stordite dei compagni e mi misi a ridere.

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