7 - 🌸Come trovare un avvocato🌸 (pt. 2)
Guardai la fogliolina disegnata nel mio cappuccino e versai lo zucchero vicino al bordo della tazza.
Il bar che la mia possibile futura avvocata aveva scelto per il nostro incontro era un piccolo gioiello in centro a Minneapolis, a pochi passi dal lungo corso del Missisippi.
Dalla fatidica chiamata era passata una settimana esatta e da quello avevo capito, Camille aveva lasciato in sospeso molti dei suoi casi solo per arrivare qui.
Strano, ma non sarei stata io a lamentarmi.
Ci trovavamo in un edificio storico su due piani, rivestito completamente da un manto di edera rossa che gli donava un aspetto quasi fiabesco. L'interno rustico profumava di caffè, con pareti color ocra e un maestoso soffitto dalle travi a vista in legno scuro.
Il tepore dei riscaldamenti ancora accesi unito al brusio degli altri commensali ovattava l'atmosfera, donandole un che di morbido e piacevole.
«Questo posto mi ricorda i tempi dell'università», sospirò Camille chiudendo lo specchietto con cui aveva appena controllato lo stato del suo make-up.
Quando ero entrata nel locale non avevo faticato a riconoscerla. Era una donna che rispecchiava al cento percento la sua professione; sedeva dritta e composta, vestita con un tailleur borgogna, un filo di rossetto matte sulle labbra, una calzamaglia color carne e un paio di tacchi sui quali io mi sarei rotta l'osso del collo.
Contegnosa e misurata, l'unica cosa fuori controllo della sua figura erano i capelli: una cascata di boccoli neri lasciati liberi sulla schiena.
«Studiavi qui?»
Lei deglutì il sorso di tè nero che aveva appena preso e si asciugò le labbra con un tovagliolino di stoffa. «Oh, no, io studiavo fuori città. Ma avevo degli amici d'infanzia da venire a trovare.»
«Quindi sei cresciuta qui?»
«Esatto», tagliò corto, poggiando il tovagliolo. Aveva delle unghie a stiletto laccate di nero che mi facevano venire voglia di nascondere le mani sotto il tavolo. «Ma immagino tu voglia venire a noi.»
Accolsi quelle parole come un secchio d'acqua fresca in piena estate. Eravamo lì da un quarto d'ora e per il momento non avevo fatto altro che parlarle del mio patetico primo periodo in Minnesota.
«Che conto hai in sospeso con lo studio legale Mason?» sbottai per coglierla di sorpresa.
Se intendeva usarmi per una qualche vendetta personale, tanto valeva che me lo dicesse subito.
Sollevò una delle sue sopracciglia perfettamente disegnate, ma poi sorrise. «Dopo essermi laureata sono tornata a vivere a Minneapolis. Lo studio legale Mason mi ha assunta per un breve periodo, ma il modo in cui il capo, il signor Mason, trattava me e il personale mi ha costretta a licenziarmi.» Abbassò il tono di voce e si sporse avanti sul tavolino. «Sono anni che aspetto l'occasione di umiliarlo pubblicamente.»
«Il signor Mason? Non Alexander Mason, giusto?» Domandai, incredula. Aveva l'aria un po' rigida, certo, ma non dava l'idea di uno che maltrattasse le persone.
La donna sgranò gli occhi scuri, poi ridacchiò. «Alexander? No, lui è un tenerone. Non farebbe del male a una mosca.»
Avevo i miei dubbi, ma mi sforzai di lasciare correre, soprattutto la noncuranza con la quale aveva usato il termine tenerone per descrivere l'avvocato.
«Parlo di suo padre, Maximilian Mason.»
Di colpo mi venne in mente la foto di gruppo che avevo visto su Instagram qualche giorno prima, in particolare l'uomo rigido al centro.
E così quello era suo padre. Il cognome, quindi, non era una coincidenza: anche l'avvocato era un raccomandato.
«Non l'avevo ancora sentito nominare.»
«Un uomo intollerabile.» Arricciò il naso e dal velo di rancore che le passò negli occhi seppi che non stava mentendo.
«Non hai paura che così facendo umilierai anche il figlio di Mason?»
Lei inclinò leggermente la testa. «Temi per la reputazione dell'avvocato che ti deve accusare? Stai attenta: Alexander ha un bel faccino, ma è pur sempre un avvocato. Non conviene provare pietà per quelli della nostra razza.»
«Lo so.» Tagliai corto. «Ma se è una brava persona come dici, non vedo perché vorresti affossarlo.»
Se avesse deciso in corso d'opera che quello che stava facendo era sbagliato e mi avesse abbandonata al mio destino sarebbe stato un grosso problema. Lo dissi anche a lei.
Non ci tenevo a trovarmi in mezzo ai loro drammi, avevo già abbastanza problemi.
«Lo capisco.» Prese un lungo sorso di tè. «In tal caso non c'è da temere. Tuo padre ha assunto l'intero team dello studio legale. Il che significa che la responsabilità del risultato cadrà comunque sullo studio. Alexander è solo l'avvocato di punta, il portavoce. Lui si occupa di comunicare con i media, garantire la sinergia tra i vari membri del team e, più in là, di parlare in tribunale. La sua reputazione è troppo buona per essere davvero scalfitta da qualcosa del genere.»
Sospirai, assorbendo solo a metà le nuove informazioni.
Non sapevo quanto potesse essere una buona idea associarmi con una donna che si muoveva per motivi personali, per quanto il suo curriculum fosse eccellente.
Forse avrei fatto meglio a dotarmi di pennellino e scalpello e ad andare a riesumare dal fondo della città una delle mummie che si facevano chiamare avvocato.
«E riguardo la tariffa?»
***
"Ma che stai a di'!?"
Lucia aveva minacciato di farmi fuori se non l'avessi tenuta aggiornata, così l'avevo chiamata appena messo piede oltre l'uscio del locale.
«Ha detto che è disposta a farmi uno sconto sulla tariffa in cambio di un abito da sposa su misura e cinque abiti per le damigelle.» Ripetei l'ultima parte di discorso mentre superavo un vecchino che passeggiava con deambulatore.
"Ma sei seria? O me piji 'n giro?"
«Serissima. Ha pure tirato fuori il contratto. Io sono ancora allibita.»
Era stato un miracolo che non mi fosse venuto un infarto sul posto.
Non solo quella donna sapeva tutto della mia attività secondaria, ma mi aveva pure mostrato i suoi modelli preferiti, riempiendomi di elogi.
Visto l'assurdità della situazione, avevo preferito fissare il vuoto annuendo e lasciare alla me del futuro l'incombenza di decidere cosa fare.
"Questa sta fuori come 'na zucchina, Chià."
«E che ne so, Lu, dall'aspetto non pareva proprio... E poi una con le sue referenze non la trovo in tutto il Minnesota.»
Tolto Alexander Mason, il resto degli avvocati del circondario erano cariatidi con un'età media di novantaquattro anni.
"Nun lo so, nun me convince. Tu che j'hai detto?"
«Che ci avrei pensato.» Staccai il telefono dalla guancia per controllare il percorso sul navigatore. Avevo visto che lì vicino c'era un parco che dava sulle rive del Missisipi e dopo aver salutato Camille mi ci ero fiondata. Non avevo ancora voglia di rimettermi in macchina.
"Brava! Meno male che ogni tanto la capoccia sulle spalle ce l'hai."
Alzai la testa e notai di star camminando parallelamente a un imponente edificio di mattoni rossi.
Uno striscione rosso vinaccia appeso alla cancellata in metallo dell'edificio ebbe la prontezza di avvisarmi, a caratteri gialli, che mi trovavo davanti alla University of Minnesota.
Me lo appuntai mentalmente; un giorno ci avrei curiosato volentieri, giusto per vedere come veniva gestita l'università da queste parti.
«Ti devo dire», feci a Lucia, ammirando il prato curato, le aiuole fiorite e il parchetto che si intravedeva in fondo alla strada. «Minneapolis è meglio di quanto mi aspettassi. Questo quartiere, almeno.»
"E grazie al cazzo." Sbottò. "Dopo tutto er bordello c'hai fatto, ci mancherebbe che te faccia pure schifo."
«Disse il poeta guardando il cielo stellato.»
"Pfffft."
«Non so che fare, Lu.» Piagnucolai. «Da un lato questa tizia è estremamente sospetta, ma dall'altro è la mia opzione migliore. Soprattutto considerato che mio padre ha un team di avvocati intero, mentre io potrei permettermene mezzo.»
Vi fu un attimo di silenzio, tanto che per poco credetti fosse saltata la linea.
"Famo così", sbuffò lei di colpo. "Passame la sua e-mail. Me spaccio per la tua commercialista e ce parlo io."
Inchiodai in mezzo al marciapiede. «Ma tu sei la mia commercialista.»
"E come no. Quanno me paghi. Per ora so' un ente di beneficenza per poveri stronzi."
«Ma sul serio?»
"Seh, seh, ce penso io."
«Oddio, Lu, grazie! Ti faccio un monumento. Tipo la Statua della Libertà, il Buddha di Leshan, il Cristo Redentore, il Colosso di Rodi...» La mia lista di elogi e statue continuò per un minuto buono, fino a quando Lucia non mi interruppe dicendo che quei monumenti me li avrebbe dati tutti in testa se non mi fossi calmata.
Non osai obbiettare.
Chiusi la chiamata sollevata e proseguii la mia passeggiata verso le sponde del Mississippi, ignara di ciò a cui stavo andando incontro.
🌸🌸🌸
Nota autrice:
Se qualcuno fosse curioso, il caffè al quale mi sono ispirata per la scena di questo capitolo è il Bordertown Coffee di Minneapolis.
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