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2 - 🌸Fontane di toulle a Minneapolis🌸

Una settimana prima

"NDO CAZZO È CHE STAI!?"

«In Minnesota.»

"En Minneso... Ma tu stai fuori, Chià. Stai fuori come er barcone. Ma che ce fai en Minnesota?"

«Vado a casa di mia nonna.»

"Seh vabbè, è arrivata cappuccetto Rosso. Ma che stai a di'!"

«Ho litigato di nuovo con mio padre e sono partita.»

"Eeeh, 'tacci tua, Chià. Se io provo a litigà con mi' padre, finisco 'n strada a calci 'n culo, e lei se ne va en Minnesota. Ma va', va'! Sti multimiliardari. Ce li avessi io quei sordi, ma me ne basta uno de milione, eh, e vedi. Altro che Minnesota."

«Senti, Lu, che palle! Ho mollato l'università, va bene? E non volevo dirglielo!»

"C'HAI FATTO? 'Sta matta! Ho mollato l'università, dice, ma tuo padre te sotterra! A sto giro io il culo a te non te lo paro, capito?"

Uscii dall'aeroporto internazionale di Minneapolis trafelata, con una valigia in una mano, l'altra nell'altra, una borsa a tracolla e il cellulare incastrato tra l'orecchio e la spalla.

Lucia aveva ragione, lo sapevo.

Ero stata avventata, sconsiderata, incosciente... E quindi?

Avevo ricevuto l'occasione d'oro di prendere il mio destino in mano e non me l'ero lasciata scappare, tutto qui.

Un cottage nel Minnesota e mezzo milione di euro? Quale pazzo scriteriato avrebbe detto di no?

Dal momento in cui il notaio mi aveva comunicato del testamento ad ora, erano passate circa trentadue ore.

Mentre camminavo in fretta e la mia migliore amica mi sbraitava nelle orecchie che ero una pazza maniaca da rinchiudere, rischiai di ammazzarmi tre volte sulle scale mobili e di farmi investire da quattro carrelli portabagagli.

Con un'abilità che non credevo di possedere, riuscii a non gambizzare ben sei persone.

La settima la presi in pieno.

E quella esplose.

O meglio, la mia valigia, chiusa per miracolo, le esplose in faccia, rigurgitando come una fontana metri e metri di tulle arcobaleno.

«Oddio, mi scusi!» Strillai, mollando le valigie.

"C'hai combinato, mò?"

«Scusa Lu, ti richiamo dopo.» E le sbattei il telefono in faccia.

Più tardi mi avrebbe uccisa, ma ora la priorità doveva andare alla persona che stava annaspando nei miei bagagli: non volevo avere un morto sulla coscienza il mio primo giorno negli States.

«Chi diamine mette tutta questa stoffa in una valigia?» Una voce profonda, leggermente nasale, e un giovane uomo dall'aspetto austero proruppero da sotto la morbida montagna.

Appena fui in grado di metterlo a fuoco, il sangue mi abbandonò di botto il cervello per trasferirsi sulle guance e in altri luoghi che non intendevo indagare.

Cara Chiara, benvenuta in Minnesota... Si disse l'ultimo neurone rimasto in servizio, dopo che gli altri avevano preso occhiali da sole e popcorn e si erano seduti a godersi lo spettacolo.

Lo sconosciuto avrà avuto qualche anno in più di me; alto, dinoccolato ma molto atletico, capelli neri e occhi chiari.

Aveva un viso pulito, dai tratti delicati, con poca barba tenuta corta e ordinata.

E soprattutto, era in giacca e cravatta.

Il mio punto debole.

Rimasi imbambolata a fissarlo: sembrava una versione mondana di Loki in The Avengers.

«Potrebbe darmi una mano, per cortesia?» Mi domandò, con quel pizzico di arroganza sufficiente a farmelo andare giù dai gangheri.

«La aiuto, la aiuto.» Mugugnai, iniziando a districare i suoi arti con attenzione.

«Che disastro...» borbottò lui, tirando lembi di stoffa senza criterio.

«Fermo, così strappa la stoffa!»

Gli diedi uno schiaffetto sulle mani e lui mi guardò come se gli avessi sputato in faccia. «Sono di fretta, signorina.»

«La sto aiutando!»

«Non mi pare!»

A quell'affermazione diedi uno strattone a un nastro di seta bianco. Quello si sfilò e l'impalcatura di stoffa si sciolse in una volta sola.

«Non ho capito...» finsi innocenza, guardandogli le gambe libere. «Potrebbe ripetere?»

Mi tirai su e allungai una mano per aiutarlo ad alzarsi con un sorriso tronfio in faccia.

Lui la guardò, ma rifiutò con un gesto secco del capo, alzandosi da solo.

Scortese.

E molto alto.

Ma soprattutto scortese.

«Mi spiega cosa se ne fa di...» Iniziò, ma si interruppe. «Lasci stare. Buona giornata.» Disse a denti stretti prima di scappare via.

Io restai imbambolata a fissare la sua schiena che si allontanava.

Poi mi risvegliai.

«Cafone!»

L'ingrato, non mi aveva neppure ringraziata per essere rimasta a liberarlo. Era stato lui a inciampare sulle ruote del mio trolley, non il contrario, e ora tutta la mia bellissima stoffa era stropicciata e sporca di aeroporto.

Rificcai con rabbia tutto in valigia, mi ci sedetti sopra e la chiusi con un ringhio.

Maleducato.

Afferrai il telefono e scrissi a Lucia che l'avrei richiamata più tardi, una volta arrivata a casa. Lei mi rispose con una serie di improperi, ma non disse di no.

***

Dall'aeroporto di Minneapolis ci volevano altre due ore in auto prima di arrivare alla casa di mia nonna, ma in quel momento ero la legittima ereditiera di una fortuna e il tempo non mi mancava.

Avevo prenotato un'auto a noleggio prima di partire e non faticai a trovare il desk della compagnia.

Divertente come la figlia di uno dei più grandi impresari automobilistici italiani dovesse prendere a noleggio una Ford Fiesta, ma non avevo molte alternative.

Con un sorriso a trentadue denti sul volto e l'eccitazione di una bambina che stava per andare in gita nel cuore, mostrai i documenti, firmai le scartoffie che mi furono allungate e montai in macchina.

Ero prontissima.

Feci un cenno di saluto all'uomo che mi aveva consegnato l'auto e partii sgasando.

Guidare mi piaceva, lo trovavo rilassante.

Mi ricordava quando da piccola mio padre portava me e la mamma a spasso con la sua Verri d'epoca; quando ancora andavamo in campeggio insieme, io ero la luce dei suoi occhi e non mi considerava una figlia deludente.

Sei anni per concludere una banalissima laurea triennale solo tu potevi impiegarli.

Vestiti? Non otterrai mai nulla da dei vestiti.

Che pensi? Di poter diventare la futura Cocò Chanel? Di Chanel ne nasce una ogni mille anni.

Ingollai le lacrime di rabbia che minacciavano di uscire e mi buttai nel traffico.

Non volevo più pensare a lui.

La casetta che la nonna mi aveva donato era il posto perfetto per lasciarmi tutto alle spalle. Si trovava dispersa da qualche parte nei pressi della cittadina di Wahkon, vicino al lago Mille Lacs, e a svariati chilometri dalla metropoli più vicina.

Ciò di cui avevo bisogno.

Sarebbe stato come vivere in un parco, ma più in grande.

Superai il cartello che diceva "Welcome to Minneapolis" come fosse il traguardo in una corsa campestre e proseguii dritto.

Pochi chilometri e gli edifici iniziarono uno dopo l'altro a scomparire, un altro po' e rimasero solo piante.

Chilometri e chilometri di nulla, intervallati solo da qualche stazione di servizio.

D'un tratto, quando ormai ero del tutto assorbita dalla guida da non rendermi nemmeno conto di star guidando, il navigatore - conosciuto anche come il Salvatore - iniziò a gracchiare.

"Tra cinquecento metri, svolta a sinistra. La destinazione è alla tua destra."

Scrutai il panorama. «Amico mio, credo tu ti sia bevuto qualcosa perché qui non c'è un tubo se non alberi, altri alberi e una staccionata dell'anteguerra.»

"Svolta a sinistra."

E come nulla fosse, mi ritrovai in una stradina sterrata nel bel mezzo di un boschetto, pregando qualsiasi divinità di non essermi introdotta per sbaglio in una proprietà privata.

«Se sbuca un vecchio imbruttito con un fucile, ti sradico dall'auto», minacciai il navigatore, ma non ce ne fu bisogno.

Alla fine della stradina mi ritrovai in uno spiazzo davanti a un piccolo edificio. Era una casetta che sembrava uscita direttamente da uno dei miei sogni cottage core più belli.

Si sviluppava su due livelli dalle pareti di un bel color crema, con delle grandi finestre bianche, una porta ad arco e il tetto a spioventi.

Sul davanti aveva un porticato coperto, con una sediolina a dondolo in un angolo.

Riuscivo già a vedermici: io seduta lì fuori, con una tazza di cioccolata calda, una coperta morbida e la neve che scendeva piano tutt'intorno.

Valeva ogni centesimo della successione.

Raccolsi la mascella da terra, presi il telefono e controllai la copia in digitale del testamento che mi aveva consegnato il notaio.

Mia nonna non aveva lasciato spazio all'interpretazione e aveva inserito pure le coordinate della proprietà. Le inserii nel navigatore e attesi qualche istante con il cuore in gola.

Coincidevano: quella era casa mia.

La mia nuova vita poteva cominciare.

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