20 - L'ADDIO -
Capitolo venti
- L'addio -
Al piano di sotto, le voci soffuse di Eris, Jonathan e mio padre, riempiono il silenzio che inghiotte questa casa.
Sono ancora nella mia stanza, seduta sul letto, stanca e frastornata. Lo so che non potrò rimanere qui dentro per sempre. Devo affrontare la realtà, anche se fa male.
Sospiro e mi alzo.
Mentre mi incammino verso il bagno per darmi una sistemata, mi stupisco di quanto i miei passi siano leggeri e silenziosi. Quasi non sento il tipico rumore che fa la moquette quando viene calpestata.
Davanti allo specchio, mi osservo, cercando di cogliere nuovi dettagli del mio viso e del mio corpo. E' incredibile come io mi veda all'apparenza sempre uguale. Ma prestando più attenzione, noto quanto il mio nuovo aspetto di umano abbia molto poco.
Mi domando se solo io riesca a vedere questa differenza. Come appaio agli occhi degli altri? Sembro sempre la stessa oppure no?
I dubbi continuano a frullarmi in testa mentre esco dal bagno e, con un po' di ansia, scendo le scale.
Sugli sgabelli della cucina, sono seduti dandomi le spalle Jonathan e mio padre. Eris è dall'altro lato del bancone, intenta a versare in due tazze del caffè bollente.
Lei alza gli occhi su di me e sulle sue labbra appare un sorriso leggero.
« Ciao, Nev » mi saluta.
I miei due padri si girano. I loro volti sono grigi, solcati da rughe e occhiaie pesanti. In essi posso leggere la stanchezza, il dolore e la fatica delle ultime ore.
Gli occhi chiari di mio padre si posano su di me. Un groppo mi si blocca in gola ripensando a come mi aveva guardata la scorsa notte, mentre se ne stava immobile sulla porta della mia camera.
Non aveva visto sua figlia, la bambina che aveva cresciuto con amore e gentilezza. Al suo posto, c'era qualcosa di più cupo e mostruoso. Una bestia assetata di sangue pronta a dilaniare chiunque in quella casa pur di porre fine alla propria sete.
Quello che mi ha fatto più male però, è stata la paura che aveva stampata in viso. Era terrorizzato. Da me. Da ciò che sono diventata.
Rimango ferma sulla soglia, incerta su cosa dire o fare. Guardo fisso mio padre, gli occhi lucidi e colmi di lacrime pronte a uscire.
Cerco di trattenermi, di non mostrargli quanto questa situazione sia insostenibile anche per me. Non voglio che mi tema, che abbia il terrore di starmi accanto, di vivere nella stessa casa, di abbracciarmi e di dimostrarmi affetto.
Vorrei tanto dirgli che sono sempre io, la stessa Nevena che da piccola voleva che lui le leggesse le favole prima di dormire. La stessa che ha allenato per anni e a cui ha insegnato ad andare in bicicletta sul vialetto di casa. La stessa bambina che in suo padre vedeva un eroe buono e gentile, pronto a proteggerla da ogni minaccia.
Ma le parole mi muoiono in gola, rimanendo bloccate in una morsa stretta e dolorante.
Gli occhi mi bruciano sempre di più e delle lacrime salate iniziano a colarmi sulle guance.
Anche il volto di papà si bagna e, in un secondo, si alza e allarga le braccia.
Non ci penso nemmeno un istante. Mi butto addosso a lui, colpendo il suo petto con una forza troppo intensa. Lo sento accusare il colpo, ma non dice nulla. Mi stringe forte a sé e resta in silenzio, mentre io singhiozzo nascondendo la faccia nel suo maglione.
Le sue mani grandi e forti si muovono sulla mia schiena, sulle spalle, sulle braccia. Mi sfiora con carezze amorevoli e delicate, quasi come se volesse accertarsi che io sia davvero qui.
« Mi dispiace, papà » le mie parole escono quasi soffocate.
Lui mi accarezza i capelli e le sue mani si spostano verso il mio viso per sollevarlo.
Incontro il suo e il mio cuore si alleggerisce quando vedo i suoi occhi. Sono sempre gli stessi. Due oceani chiari e brillanti, colmi di quell'amore che li ha sempre contraddistinti.
Quelli del mio papà.
« Sono io a doverti chiedere scusa, Nev. Avrei dovuto starti accanto ieri, non scappare da te » le sue dita mi sfiorano le guance arrossate, cercando di portare via le lacrime che continuano a bagnarle.
« No » rispondo, tirando su con il naso « non ti devi incolpare di niente. Sono stata io a spaventarti. Chi non avrebbe paura di un mostro? ».
Papà sospira e mi stringe più forte il volto tra le mani.
« Non dire mai più una cosa del genere » mi ammonisce. Nei suoi occhi, una scintilla ardente di convinzione e amore gli fa brillare le iridi chiare.
« Non sei un mostro, non l'ho mai pensato e non lo penserò mai. Per me sei sempre e solo mia figlia. La mia Nevena » mormora, mentre le sue labbra rosee si increspano in un sorriso dolce e malinconico.
Sorrido anche io, rincuorata dalle sue parole.
« Ti voglio bene, papà » gli rispondo, nascondendo di nuovo la testa nel suo petto.
Lui sospira, stringendomi più forte a sé. Una mano mi accarezza dolcemente i capelli scuri, calmando pian piano i miei nervi e la mia anima.
« Te ne voglio anche io, tesoro ».
🩸🩸🩸
Papà ed io restiamo un po' da soli seduti sul divano. Per la maggior parte del tempo non parliamo, rimaniamo in silenzio, io appoggiata sul suo petto mentre lui mi stringe tra le braccia.
Ho molte domande da porgli, la prima fra tutte, come hanno gestito la questione della morte di Major, lui e i suoi colleghi. Però non gli chiedo niente. Forse perché la pace che sto vivendo in questo momento, è un tale toccasana che non voglio rovinarla. Mi sento così tranquilla abbracciata a lui, senza pensieri e paure. Solo una ragazza e suo padre.
Ma so che non potrò rimanere in questa bolla ancora per molto. La realtà è brutta, orribile, catastrofica. Però non posso ignorarla.
Sospiro, staccandomi lentamente dall'abbraccio di mio padre. Lui mi guarda. Nei suoi occhi chiari c'è tanta stanchezza, quella di chi non dorme da giorni e deve affrontare giornate difficili.
Mi siedo, fissandomi le mani che ho raccolto in grembo.
« Come va in centrale? » gli domando.
Lui mi sorride triste.
« E' dura. Non è stato facile gestire la cosa. Abbiamo avuto un bel da fare, tra la stampa e il resto. Ma Eris ci ha dato una mano. Ha fatto molto per evitare che la verità venisse fuori >>.
Annuisco.
Eris. Cosa faremmo senza di lei? Continua a rimanere qui, a salvarmi e a tenere nascosta la mia natura anche in questo caso. Lo fa per proteggermi. Ma so che ha aiutato mio padre anche per evitare che realtà scomode e pericolose venissero a galla.
E poi c'è la famiglia di Major.
« Il padre e la madre di Major? » domando.
Papà si porta una mano al viso, sfregandosi gli occhi più volte.
« Hanno perso il figlio, Nev. Il loro dolore è indescrivibile » quelle parole mi provocano una stretta allo stomaco.
Il senso di colpa che mi ha tormentata per tutta la notte e la mattina, torna pian piano a grattare le pareti del mio cuore. Ricaccio dentro il magone che involontariamente mi si era formato in gola.
« Però almeno non sanno cosa ha subito davvero. Non è molto, ma è una piccola grazia che la congrega di Eris ha concesso loro » continua mio padre.
Annuisco, gli occhi persi nel vuoto.
« Hai ragione, è meglio così » concludo, la voce quasi un bisbiglio.
Papà sospira e io mi volto verso di lui quando la sua mano stringe una delle mie.
Mi sorride triste ma comprensivo. Lo sa quello che ho passato, cosa ho dovuto affrontare la scorsa notte. Il male che mi dilania il petto, è perfettamente riflesso nei miei occhi e nella mia espressione.
« Mamma e Chris? ».
« Mamma è in ospedale, tornerà stasera. Si sta tenendo impegnata, meno pensa e
meglio è » le sue dita accarezzano piano la mia pelle « a Chris l'ho detto io ieri, quando l'ho portato da Donna e Kathy. È meglio che non rimanga qui per qualche giorno ».
Annuisco, sorridendo a papà.
Ha ragione. Chris è così giovane. Non voglio che stia in questa casa, dove lo sconforto avvelena l'aria. E poi, non voglio rischiare di fargli del male. Non mi fido ancora abbastanza di me stessa per averlo in questa casa.
Ho il terrore di non riuscire a controllarmi mentre sono con lui. Di ferirlo o peggio.
« Già » affermo « è meglio così ».
Rimaniamo in silenzio per minuti interi, finchè la mia attenzione non viene catturata da dei passi lenti e pesanti sulla veranda che dà nel giardino sul retro.
Riconosco quel suono. Jonathan sta camminando piano, avanti e indietro, in silenzio. Il cuore batte calmo nel suo petto, il respiro è regolare.
« Credo di dover parlare con lui » dico a mio padre.
Papà mi sorride e mi dà un bacio sulla testa prima di andarsene dalla stanza.
Mi alzo e percorro quei pochi passi che dividono il salone dalla porta della sala da pranzo che dà sul retro della casa.
Esco, osservando il piccolo giardino che mia madre ha sempre curato con tanto amore.
È recintato da una semplice staccionata pitturata di celeste. Sul fondo, un piccolo orto e qualche albero da frutto riempiono lo spazio. Un'altalena di legno un po' scheggiata e rovinata dalle intemperie e dal corso del tempo, dondola piano, mossa dalla brezza leggera.
Seduto sui gradini del portico, c'è Jonathan.
In silenzio, mi avvicino e mi accomodo accanto a lui.
Osserviamo il giardino senza dirci nulla per diverso tempo. I miei occhi nell'attesa, catturano una serie di dettagli che la Nevena umana non avrebbe mai potuto notare.
Vedo le formiche che camminano veloci sugli steli d'erba, le venature delle foglie delle piante che si trovano vicino all'altalena, vedo ogni singolo filo della ragnatela tessuta in uno degli angoli della staccionata.
E' come se fossi diventata un microscopio vivente. E la cosa, sorprendentemente, non mi dispiace.
« Ti sei ripresa » la voce bassa di Jonathan mi ridesta dai miei pensieri.
Mi volto appena verso di lui, cercando un contatto visivo. Ma i suoi occhi sono fissi davanti a sè, intenti a guardare qualunque altra cosa a parte me.
« Sì » rispondo semplicemente.
Lui deglutisce e annuisce secco.
« Bene ».
Di nuovo un vuoto glaciale.
Sospiro, contorcendomi le mani, nervosa. Non so cosa dire, da dove incominciare. Perciò taccio, esattamente come lui.
Percepisco la rigidità dei suoi muscoli, tesi in una posizione innaturale. Anche lui è a disagio. Credo che il nostro labile e per niente sviluppato rapporto, rappresenti un blocco per noi due.
Nonostante Jonathan sia il mio vero padre e senta di essergli vicina e simile, la confidenza che ho con lui non è paragonabile a quella con Michael, il mio papà adottivo.
Forse è anche per questo che non so come impostare il discorso. Voglio chiedergli scusa, ma non so come fare. In più, la distanza che ha messo tra noi, non mi è d'aiuto.
Deglutisco, cercando di prendere coraggio.
« Eris mi ha detto che hai portato il corpo di Lucas a Boston » dico, cercando di dare inizio a un dialogo.
Lui annuisce.
« Sì, lei e le sue sorelle vogliono esaminarlo. Credono che non sia un comune vampiro » risponde lui, abbassando la testa e fissandosi la punta delle scarpe scure.
« Lo penso anche io » confermo.
Non ho idea di cosa Aaron gli abbia fatto. Prima di morire, Lucas ha parlato di esperimenti a cui lui e altri vampiri creati sono stati sottoposti. Cosa voleva Aaron da loro? Sono stati obbligati a fare da cavie oppure è stata una loro scelta? Hanno sofferto? Magari alcuni sono morti?
Improvvisamente, un brivido mi percorre ogni centimetro di pelle. Lo so che non dovrei provare pietà per quelle creature, ma il solo pensiero di loro legati a un letto e torturati, mi provoca una strana sensazione.
« La congrega si sta occupando anche di Sally. È con loro adesso, al sicuro » la voce di Jonathan cattura la mia attenzione.
Sally. In queste ultime ore sono stata così impegnata a non divorare la mia famiglia e a piangere la morte di Major, che non ho dedicato abbastanza attenzione alla mia amica.
Il mio cuore si spezza al ricordo dei suoi occhi iniettati di sangue. Sally non era più lei l'altra notte. Era un mostro, qualcosa di oscuro e malvagio, creato apposta per vendicarsi di me e per ferirmi nell'anima.
« Come sta? » gli chiedo.
Jonathan si osserva le mani unite. Con un dito, disegna i contorni dell'anello di famiglia.
« È una situazione complicata. Domani, dopo il funerale, andrò a Boston per vedere come sta » risponde.
Mi si blocca il respiro quando comprendo il significato di quella frase.
« Funerale? » domando in un sussurro.
Solo a quel punto Jonathan mi guarda. I suoi occhi chiari sono di un azzurro freddo, quasi grigio, come quello del mare in tempesta.
« Domani ci sarà la cerimonia funebre per Major. Michael non te l'ha detto? » mi chiede.
Scuoto la testa, senza parlare.
Dovevo aspettarmelo. Major è morto da due giorni, il corpo è stato esaminato. Hanno attribuito il suo decesso all'attacco di un animale selvatico, anche se non è così. I suoi genitori devono essere sconvolti, in preda a un dolore che io non posso nemmeno immaginare.
Soffro, è vero, nel modo in cui soffre la fidanzata quando la sua metà le viene portata via. Ma non potrò mai capire cosa provano la madre e il padre di Major. Perdere un figlio è una delle esperienze più crudeli che possano essere riservate a un genitore.
Credo sia corretto che loro vogliano dirgli addio.
« Voglio andarci » rispondo piano.
Jonathan mi guarda dritto in viso, sospirando. Lascio che studi la mia espressione desolata e addolorata, che veda nei miei occhi il pianto che mi sto sforzando di trattenere.
« Lo so » dice semplicemente.
« Ma non pensi che sia una buona idea » ribatto.
Credo di aver capito un po' come funziona la sua mente. Da quando sono nata, Jonathan ha sempre cercato di proteggermi. Mi ha nascosta, tenuta al sicuro da Aaron e dalla sua famiglia. Poi però i piani non sono andati come si aspettava e mi ha affidata a Major e Suzanne.
Ha sempre vegliato su di me, anche se non era presente. Ha permesso a Eris di nascondermi tramite un incantesimo. Mi ha lasciata con mamma e papà, che mi hanno cresciuta come se fossi sangue del loro sangue.
Si è fidato di tutti loro perché sapeva che mi avrebbero fatta stare bene, reso felice.
Un sorriso appena accennato appare sulle sue labbra.
« Ho capito che non importa ciò che penso io, Nev. Non posso tenerti rinchiusa in una gabbia per sempre. È giusto che tu ci vada, che lo pianga e gli dica addio » le lacrime mi annebbiano la vista per la sincerità delle sue parole.
« Io sarò lì con te e ci sarà anche Michael. Ti staremo accanto, ma sarà difficile. Non
solo per il dolore che dovrai affrontare. Ci saranno molte persone e so quanto può essere difficile resistere alla sete, soprattutto all'inizio. Se sentirai di non farcela più, dimmelo e io ti porterò il più lontano possibile da lì. Ok? » mi domanda.
Io annuisco. Un lacrima mi sfugge dall'occhio sinistro e mi bagna la guancia.
« Ok » rispondo.
Jonathan mi sorride dolce e comprensivo. La sua mano destra si avvicina al mio viso, portandosi via il mio dolore.
« Basta piangere, adesso » mormora.
Annuisco, ma il mio pianto non si ferma.
« Mi dispiace per quello che ti ho detto ieri » la mia voce è rotta mentre gli porgo le mie scuse.
Scuote la testa, guardandomi con gli occhi pieni di amore. Eris aveva ragione. Lui mi ha già perdonata.
« Non fa niente, Nev » fa lui, continuando ad accarezzarmi il viso.
« Sono stata cattiva » singhiozzo.
Lui sospira e mi fa cenno con la testa di avvicinarmi.
Lo faccio e una sua mano mi avvolge le spalle, stringendomi al suo corpo.
« Va tutto bene, non piangere più adesso » sussurra a pochi centimetri dal mio viso.
Annuisco, nascondendo la testa sotto la sua spalla.
La mano con cui mi tiene stretta a sé mi accarezza dolcemente, cercando di calmarmi. Mi lascia un bacio sui capelli e in quel silenzio calmo e sereno, mi rendo conto che ha ragione. Andrà tutto bene.
🩸🩸🩸
La mattina seguente, una serie di nuvole scure ricopre il cielo, promettendo una giornata di pioggia.
Sono seduta sul sedile posteriore della macchina di Jonathan.
Accanto a lui, al posto del passeggero, c'è mio padre.
Nessuno di noi parla. Ma forse è meglio così. Al momento, l'unica cosa di cui ho bisogno è starmene sola con i miei pensieri.
Giocherello con l'orlo del mio abito nero, mentre la mia mente vaga nei ricordi. Prima di partire, mi sono nutrita. Eris e Jonathan hanno insistito, dicendo che sarebbe stato più semplice per me gestire la presenza di tutti gli umani al funerale se fossi stata sazia. All'inizio mi sono rifiutata. Faccio sempre una grande fatica ad accettare l'idea di dover bere del sangue umano. Però poi mi sono resa conto che avevano ragione.
Mia madre non ci sarà. Questa mattina l'ho vista e ho pianto nuovamente mentre mi stringeva tra le braccia. Starà con Chris e Katie a casa di Donna. Papà ha ritenuto non fosse il caso che mio fratello partecipasse alle esequie di Major. Gli do ragione su questo. Non è necessario che veda tutta questa sofferenza.
« Nev? » alzo la testa, abbandonando i miei pensieri.
Mio padre è girato verso di me. I capelli chiari tirati indietro col gel, il mento e le guance sbarbati e gli occhi stanchi ma dolci.
Mi rendo conto che siamo fermi. Jonathan ha parcheggiato lungo il marciapiede che costeggia l'entrata del cimitero civile di Chelsea.
Altre macchine pian piano si uniscono alla nostra. Mi agito un momento sul sedile, udendo un numero sempre maggiore di cuori palpitanti a poca distanza da me.
Jonathan mi osserva dallo specchietto retrovisore.
« Rilassati, Nev. Cerca di non pensare a loro, isola la mente ».
Annuisco, rimanendo comunque rigida.
Chiudo gli occhi e respiro piano. Faccio entrare l'aria dal naso e la faccio uscire dalla
bocca, cercando di calmare i miei nervi. Lentamente, allontano quei battiti incessanti, fino a eliminarli quasi del tutto. Li percepisco ancora, ma sono solo un rimbombo nella mia testa.
Ora, gli unici cuori che sento sono quelli delle persone sedute in quest'auto.
Riapro gli occhi, sorridendo a Jonathan e a papà.
Loro sospirano sollevati ed escono.
Jonathan mi apre la portiera e io scendo, stringendomi nel cappotto scuro. Una pioggia leggera inizia a bagnare la strada, così mio padre recupera due ombrelli dal bagagliaio e li apre.
Ne offre uno a Jonathan, che lo ringrazia con un sorriso tirato. È nervoso, come lo sono io. Mi guarda e sorride.
« Pronta? » domanda.
Annuisco.
« Per qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, se senti che non ce la fai, basta che mi guardi e ce ne andiamo. Va bene? » mi chiede premuroso.
Gli sorrido appena.
« Sì » rispondo.
« Bene, allora andiamo ».
Jonathan va avanti, mentre io mi affianco a mio padre, prendendolo sotto braccio.
In silenzio, entriamo all'interno del cimitero.
Diverse persone ci seguono e ci precedono. Qualcuna riconosce me e mio padre e fa un cenno con la testa per salutarci. Riconosco dei miei compagni di scuola accompagnati dai genitori.
Avanziamo, lentamente. L'unico rumore che riempie l'aria, è lo scrosciare sempre più intenso della pioggia che bagna l'ombrello che ci copre. In poco tempo, le lapidi e il prato si inzuppano di acqua, così come il vialetto lastricato che stiamo percorrendo.
Papà mi guida fino alla parte più nuova del cimitero. Mi blocco sul posto quando vedo, a qualche centinaio di metri da noi, una folla di persone in abiti scuri e protette da ombrelli, intorno a una buca nel terreno.
Papà stringe forte la mia mano, facendomi alzare lo sguardo su di lui.
« Va tutto bene, Nev » mi sussurra, gli occhi chiari comprensivi e pieni di affetto.
Trattengo un secondo il respiro, soppesando l'idea di mollare tutto e andarmene da lì. A pochi passi da noi, Jonathan mi sta guardando, in attesa della mia decisione.
Lo osservo e so che mi basterebbe un gesto per far sì che mi porti via. Ma poi penso a Major, alla sua famiglia e ai nostri ricordi insieme.
Penso alle parole che mi direbbe lui.
"Sei forte, Nev".
La sua voce calda mi risuona nella mente e sorrido.
« Andiamo » rispondo a mio padre.
Lui stringe forte il suo braccio intorno al mio e riprendiamo a camminare.
Mi irrigidisco un po' quando ci uniamo alla folla. Sento i loro cuori pulsare più forti nelle mie orecchie, ma cerco di rilassarmi, ripetendo ciò che ho fatto prima in auto. Poco dopo, quel palpitare si fa più ovattato e i miei muscoli si rilassano un po'.
Almeno fin quando non vedo l'ufficiante, con indosso un elegante abito scuro, in piedi di fronte alla bara di Major.
Trattengo il fiato. La cassa è di legno chiaro, con le maniglie dorate e rifiniture dettagliate. Il coperchio è decorato da una quantità innumerevole di rose bianche. A sinistra della bara, un cavalletto regge una cornice contenente la foto di Major. Sorrido guardandola.
Il mio ragazzo è ritratto sorridente e felice, la pelle ancora scura e abbronzata dall'estate appena passata. Gliel'hanno scattata i suoi compagni di squadra a Settembre, durante un weekend trascorso a Los Angeles per festeggiare il suo compleanno.
È così bello con il sole che gli rende bronzeo il viso e le lentiggini che gli contornano gli occhi scuri. I capelli biondi, gli ricadono sulla fronte, lunghi e mossi, come piacevano a me.
Un singhiozzo mi muore in gola e qualcuno davanti a noi si volta a guardarmi. Vedo i suoi amici, i nostri compagni di scuola, i ragazzi della squadra di pallavolo. E poi i suoi genitori.
I miei occhi si incontrano con un paio di iridi scure, identiche a quelle del mio ragazzo. La madre di Major mi sorride e mi fa cenno di avvicinarmi.
Cerco l'appoggio di mio padre, e lui ed io andiamo in silenzio verso Rachel.
Arrivata accanto a lei, non faccio nemmeno in tempo a salutarla che mi ritrovo le sue braccia strette attorno al corpo. Evito di respirare il dolce profumo che emana il sangue che le scorre nelle vene. Quando mi accorgo di riuscire a controllarmi, ricambio quell'abbraccio.
Lei alza la testa e mi guarda. Mi sorride, come ha sempre fatto dalla prima volta che ci siamo conosciute. Major e lei sono sempre stati molto simili. Entrambi dolci, premurosi, disponibili per tutti e pronti ad aiutare chiunque in qualsiasi occasione.
Nonostante la gentilezza che Rachel emana di natura, sul suo viso noto i segni della sofferenza che le ha causato la perdita violenta e improvvisa del figlio. La sua pelle è tirata, pallida, il volto scavato mi fa intuire che non metta molto sotto i denti da giorni. Gli occhi, seppur buoni e dolci, sono spenti, privi di felicità.
« Grazie di essere venuta, tesoro » mi dice. Anche la voce tradisce la sua tristezza.
Le sorrido, o almeno ci provo.
« Come potevo mancare? » le rispondo.
« Lo so, ma se non fossi venuta ti avrei capito. Vi amavate così tanto... non dev'essere facile nemmeno per te, Nevena » mormora lei.
Annuisco, ricacciando in dentro le lacrime.
« Sì » le dico « lo amo tanto ».
Non riesco a parlare del nostro amore al passato. Non ancora. È troppo presto. Major potrà anche non essere più qui fisicamente, ma i miei sentimenti per lui non sono svaniti nel nulla, non sono diventati un ricordo. Sono sempre qui, più presenti e forti che mai.
La madre del mio ragazzo sembra comprendermi e mi stringe forte la mano sinistra. Poi abbassa lo sguardo, ponendo l'attenzione sull'anello posto sul mio anulare.
Si porta l'altra mano alle labbra, trattenendo il pianto. Quando gli occhi tornano sul mio viso, questi sono lucidi e una scintilla di amore li illumina.
« Ti ha dato il suo regalo » risponde.
La mia faccia è aggrottata in una smorfia di dolore. Le lacrime mi arrivano agli occhi
quando comprendo.
Lei sapeva di quello che mi avrebbe chiesto Major. Lui glielo aveva detto.
Annuisco, sorridendole, mentre una lacrima solitaria mi solca il viso.
« Gli avrei detto "sì" mille volte, Rachel » le confido.
Lei mi guarda gentile, accarezzandomi la guancia.
« Sei stata il suo grande amore e lui il tuo. Sarai sempre la benvenuta nella nostra famiglia, Nevena. Non dimenticarlo mai ».
Quelle parole per me sono un colpo al cuore. La stringo forte tra le braccia, avvolgendomi nel calore di una madre che ha subito una delle ingiustizie più grandi al mondo. Rimaniamo strette per un paio di minuti, dandoci forza a vicenda. Entrambe soffriamo e soffriremo per molto tempo, ma so che andremo avanti.
Quando ci lasciamo, saluto anche Victor, il padre di Major. A differenza di Rachel, lui è sempre stato più chiuso e riservato. E lo è anche in questa circostanza. Mio papà ed io gli facciamo le condoglianze e poi ci appartiamo.
La funzione quasi non me la ricordo. Il mio cervello si è spento, quasi a volersi proteggere da quella scena.
Mentre l'ufficiante dà l'ultimo saluto a Major, io non posso evitare di ricordare la nostra vita insieme.
Mi torna in mente tutto, dalla prima volta che ci siamo incontrati, a quando abbiamo fatto amicizia, a quando ci siamo fidanzati. Ricordo ogni bacio, ogni carezza, ogni sorriso. Ricordo le nostre vacanze insieme, i Natali e i compleanni in famiglia. Ricordo la prima volta che ci siamo ubriacati di nascosto alla festa di compleanno di Sally un paio di anni fa. Ricordo le liti, anche se poche.
Abbiamo avuto una bella vita, lui ed io. Ci siamo sempre amati e rispettati, sostenuti, incoraggiati. Se dovessi descrivere l'amore vero, quello sincero e puro, non esiterei a descrivere il nostro.
Il mio cuore batterà per sempre per un ragazzo gentile e buono, con i capelli biondi e gli occhi color cioccolato. Non amerò mai nessuno come amo Major e di questo ne sono felice.
Il funerale finisce, la bara viene calata nella fossa. La gente lascia fiori e ricordi e pian piano se ne va. Mio padre ed io salutiamo un'ultima volta i genitori di Major. Ci chiedono se abbiamo voglia di andare a casa loro per un rinfresco, un'usanza tipica di questo paese per stare tutti insieme e darsi coraggio.
Papà declina gentilmente l'invito.
Ora siamo soli.
Osservo la lapide e la fossa coperta di terra. L'eterna dimora del mio ragazzo.
« Vado a telefonare alla mamma. Ti lascio un po' da sola con lui? » mi domanda mio padre.
Io annuisco e gli sorrido ringraziandolo in silenzio.
Ricambia e poi si allontana, facendo un cenno con la testa a Jonathan, in piedi a qualche metro di distanza da me. Per tutto il tempo, è sempre rimasto lì. A osservarmi, a studiare ogni mio gesto in attesa di qualche segno di disagio.
È rimasto in disparte ma sapevo che c'era. Ne sentivo la presenza, il respiro calmo e controllato, gli occhi chiari che mi seguivano a ogni passo.
Mi avvicino alla lapide di Major e mi accovaccio.
La sfioro. E' fredda, bagnata dalla pioggia che ha da poco smesso di scendere dal cielo. Le nuvole, lentamente si stanno diradando, lasciando lo spazio alla pallida luce del sole.
Leggo il nome di Major inciso sulla pietra. È incredibile pensare come un giorno una persona sia qui, su questa Terra, nel pieno della sua vita, convinta di avere tutto il tempo del mondo. E poi il giorno dopo non c'è più.
Di Major è solo rimasto un corpo dilaniato. Mortificato e devastato dalle squallide mani di un mostro. Non mi è stato possibile vedere la sua salma. I suoi genitori, non lo hanno permesso a nessuno se non ai familiari stretti. Da una parte forse è meglio così. Me lo ricordo fin troppo bene com'era ridotto quando è morto fra le mie braccia.
Ma questo Rachel e Victor non lo sanno. E non hanno nemmeno visto il vero aspetto di loro figlio al momento della morte. Non sanno come il sangue zampillava fuori dal suo addome come un fiume in piena, come i suoi occhi si erano fatti cupi e senza vita.
Eris ha risparmiato loro questa tortura. Ma per me invece è diverso. Ogni volta che chiudo gli occhi, la mia mente ritorna a quel momento. Ed è come morire di nuovo.
Insieme a Major, se n'è andata anche una parte di me. Quella dolce, spensierata, viva, amorevole. Lui mi rendeva una persona migliore, mi contagiava con la sua positività.
Ma quella Nevena non c'è più. La parte più buona e umana di me, è morta insieme a
lui. Sarà tutto diverso, d'ora in poi. Vivrò in un limbo perenne, odiando me stessa per essere due facce della stessa medaglia. Il bene e il male. Cacciatrice e vampira.
L'erba alle mie spalle viene calpestata da dei passi leggeri. Volto appena il capo per vedere Jonathan chinarsi accanto a me.
Osserva la lapide con sguardo malinconico e pensieroso.
« Era un ragazzo speciale, Nev. Mi dispiace molto per la tua perdita » sussurra lui, sincero.
« Sì » affermo « lo era. Ti sarebbe piaciuto, se avessi avuto il tempo di conoscerlo meglio » quelle parole mi escono spontanee e in cambio ricevo un sorriso.
« Ne sono sicuro ».
Rimaniamo fermi a contemplare la pietra tombale ancora un po', fino a quando alzo gli occhi al cielo. Uno spiraglio di sole illumina il prato e la dimora eterna di Major.
« È spuntato il sole » dico fra me.
Anche Jonathan solleva la testa e annuisce.
« Tornerà anche nella tua vita, Nev. Te lo prometto » mormora lui.
Mi volto verso il mio vero padre e nei suoi occhi vedo una luce, quella di chi fa una promessa e intende mantenerla.
Ci alziamo, ma prima di andarmene mi volto un'ultima volta verso Major. Lascio un bacio sulla lapide.
"Ti amerò per sempre".
« Mi mancherà » la voce mi si strozza in gola.
La mia mano sinistra viene sfiorata e avvolta da quella calda e grande di Jonathan. Sento le sue dita giocare con l'anello e poi incrociarsi alle mie.
I nostri sguardi si incontrano. Vedo le lacrime che riempiono i suoi occhi. Sono certa che riesce a capirmi. Anche lui, come me, ha perso il grande amore della sua vita.
Vorrei tanto che un giorno mi parlasse di più della mamma. Di quanto si sono amati.
« Sarà dura, ma tu sei forte. Major sapeva quanto vali, quanto coraggio hai dentro.
Dimostraglielo. Rendilo fiero di te » mi incita lui.
Annuisco. Sì, io sono forte.
Affronterò il lutto, la mia nuova vita, tutto a testa alta.
È arrivato il momento di andare avanti.
"Te lo prometto, Major. Andrà tutto bene".
Annuisco, ricambiando la stretta di mio padre e ricevendo in cambio il suo dolce sorriso.
« Lo farò ».
https://youtu.be/FK41t_7BUuY
Spazio autrice:
Ecco a voi il capitolo 20. Personalmente, è uno dei capitoli che più ho sentito. Il tema del lutto è molto vicino a me e scrivere questo capitolo, dedicandolo completamente all'accettazione della morte di Major, era necessario.
Perdere una persona che hai amato per molto tempo è difficile, soprattutto se in maniera violenta come in questo caso. Ho ritenuto rispettoso e doveroso, sia nei confronti di Nevena che di Major, dedicare un capitolo a lui.
L'addio è quello che Nevena deve dire a Major, alla sua vecchia vita e alla sua parte umana più buona e pura. Da adesso, tutto sarà diverso.
La storia prenderà una svolta molto più dark e cupa, come la nuova esistenza di Nevena.
Vi lascio qui una canzone splendida di Lady Gaga, tratta dalla colonna sonora di "A Star Is Born". Credo che descriva appieno i sentimenti di Nevena e sia una splendida lettera d'amore per Major.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vi aspetto nei commenti per sapere la vostra opinione.
Alla prossima settimana col capitolo 21 ❤️
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