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1 - SOGNI IN FIAMME -

- Capitolo uno -

Sogni in fiamme

Il crepitare del fuoco avvolge il possente albero davanti a me. Per qualche strano motivo, non lo scalfisce. Guardo ammaliata quello spettacolo di luci gialle, rosse e arancioni. Percepisco il calore delle fiamme, lo sento abbattersi violento sulla mia pelle, ma è un calore dolce, rassicurante.

E poi sento delle voci. Voci lontane, provenienti da chissà dove. Bisbigliano, bisbigliano parole in una lingua che non conosco, ma che inspiegabilmente comprendo. Guardo l'albero e l'avvolgente tepore delle fiamme come ipnotizzata. E' come se mi chiamasse, come se due braccia di luci ardenti si avvicinassero a me, invitandomi ad andare verso di loro.

"Vieni. Vieni da me".

Le voci si condensano in una sola, dolce e calda. Senza timore mi avvicino al tronco dell'albero in fiamme. Il fuoco comincia ad avvolgermi bruciandomi i vestiti, ma senza scalfire la mia pelle.

Appoggio il palmo della mano delicatamente sulla corteccia e spalanco gli occhi. Una strana forza si irradia dall'albero e penetra dentro di me. La sento fluire nelle ossa, nelle vene, riempiendomi completamente. La voce continua a sussurrare parole dolci e suadenti. Sento i capelli muoversi sulle mie spalle, mossi dal calore del fuoco che ora mi avvolge completamente senza bruciarmi.

Mi godo quel calore, sentendolo in ogni parte del mio corpo, senza mai staccare la mano dal tronco della quercia.

La voce nella mia testa parla più forte, il tono ora è cambiato. Sembra quasi volermi avvertire di qualcosa.

Istintivamente apro gli occhi e mi volto verso un ampio prato che circonda l'albero. Poco lontano, vedo un ombra scura, nera, penetrante. Mi incute un certo timore, ma mi affascina al tempo stesso. Mi sento attratta da quella oscurità.

Socchiudo gli occhi per cercare di vedere meglio cosa si nasconde in quella spessa nebbia nera. Riesco a scorgere una sagoma. Un uomo alto e possente, ma nulla di più. Sembra che anche lui mi abbia vista. Lo vedo avvicinarsi e bloccarsi all'improvviso.

Ha un sussulto.

Anche io ho un sussulto.

La voce nella mia testa ora urla, urla avvertimenti, mi avvisa di andarmene, di non guardarlo, ma non ci riesco.

Sono attratta da quell'uomo. O meglio, sono attratta dai suoi occhi. Sono occhi lucenti, brillanti. Ma sono particolari. Quello sinistro è di un inteso marrone scuro, quello destro è un azzurro chiarissimo, quasi ghiaccio.

I suoi occhi sono così particolari che so che non possono esisterne di uguali. Ma non è così, perchè quegli occhi sono esattamente identici ai miei.

Mi sveglio all'improvviso. Il mio respiro è pesante e veloce, come se non avessi respirato per lungo tempo. Mi tiro su a sedere sul letto. Le lenzuola sono aggrovigliate sul fondo, il cuscino è a terra. Devo essermi mossa mentre dormivo. Mi accorgo di essere ricoperta di sudore su tutto il corpo. Mi poso una mano sulle gambe coperte solo da una lunga t-shirt extralarge, la mia pelle è bollente, come se fossi rimasta per un tempo infinito davanti ad un fuoco. Gocce di sudore mi scendono giù lungo la schiena, mi inzuppano i capelli sciolti sulle spalle.

Dopo poco il mio respiro incomincia a ritornare regolare e il sudore smette di colarmi lungo tutto il corpo.

Chiudo gli occhi inspirando forte. Butto fuori l'aria lentamente riaprendo gli occhi e passandomi una mano fra i capelli sudati e appiccicati alla fronte. Giro la testa a sinistra, verso il comodino. Allungo una mano verso l'interruttore della lampada a forma di pesce e l'accendo, illuminando quel poco che serve la stanza. Prendo il mio cellulare per guardare l'ora. Sono le cinque e ventisette del mattino. Sospiro, sapendo che fra un'ora dovrò alzarmi e prepararmi per una nuova giornata di scuola. Poso il cellulare sul comodino e mi guardo intorno. La mia stanza è silenziosa e appena illuminata da una luce azzurrina che getta ombre dalle forme strane e inquietanti sulle pareti. Fisso l'armadio di legno davanti a me, poi la scrivania a pochi passi dalla testata del letto. Il disordine vi regna sovrano. Quaderni, libri, portatile e una serie infinita di penne e matite sono sparse sulla sua superficie. Le serrande della finestra su cui si affaccia la scrivania sono abbassate. Le luci dei lampioni non filtrano. Ogni tanto sento passare una macchina. Mi guardo le gambe prima di poggiarvi nuovamente una mano sopra. Il calore è rimasto, ma si sta affievolendo. Guardo il mio letto, completamente zuppo del mio sudore e decido di alzarmi. Mi volto e poso lentamente i piedi sulla moquette verde scuro che ricopre il pavimento della mia stanza. Muovo le dita dei piedi, poi le caviglie. Le ruoto facendole scrocchiare. Faccio lo stesso con le spalle, le dita delle mani, i polsi e il collo. Dopodichè mi alzo.

Recupero un elastico da sopra il comodino e mi lego i lunghi capelli scuri in una coda bassa. Mi piego recuperando il cuscino caduto e lo poggio sul letto prima di levargli la fodera. Tolgo le lenzuola dal letto appallottolandole. A piedi nudi, con le lenzuola fra le braccia, mi muovo verso la porta della mia stanza, la apro ed esco. Il corridoio del piano superiore è deserto e appena illuminato dalla luce della luna che filtra dal lucernario. Mi volto chiudendo piano la porta della mia stanza. Mi incammino verso il fondo del corridoio. Apro una porta sulla sinistra ed entro in lavanderia. A tentoni cerco l'interruttore della luce. Una volta trovato l'accendo e rabbrividisco un attimo quando i miei piedi nudi toccano le fredde piastrelle bianche del pavimento. Mi avvicino alla cesta del bucato accanto alla lavatrice, la apro e ci ficco dentro le lenzuola sudate.

Spengo la luce chiudendomi la porta alle spalle. Ritorno in camera mia, il più silenziosamente possibile. Lasciando la porta leggermente socchiusa, mi dirigo verso il mio armadio e tiro fuori della biancheria pulita, un paio di pantaloncini e una vecchia t-shirt.

Esco di nuovo dalla mia stanza e apro la porta che si trova subito a destra. Entro in bagno e accendo la luce. Faccio scattare la serratura, mi svesto e mi fiondo sotto la doccia per levarmi di dosso il sudore che mi avvolge tutto il corpo.

L'acqua tiepida mi scivola addosso rinvigorendomi e rinfrescandomi. Prendo una spugna e la inzuppo d'acqua e di bagnoschiuma al lampone. Mi lavo accuratamente ogni parte del corpo, strofinando dolcemente sulla pelle la spugna morbida, i capelli, massaggiando bene il cuoio capelluto e il balsamo sulle punte. Mi risciacquo ed esco, avvolgendomi in un accappatoio.

Vado davanti allo specchio e guardo attentamente il mio viso. Ho gli occhi arrossati dal sonno arretrato e dallo shampoo. Ma nonostante il rossore, i miei occhi sono loro. Sono belli e particolari nella loro unicità.

Li guardo, cercando di cogliere tutte le sfumature racchiuse nelle mie iridi. Il sinistro è marrone scuro, in alcuni punti si vedono pagliuzze più chiare, quasi oro. Quello destro è di un azzurro chiarissimo.

Guardo il loro riflesso ed inevitabilmente mi ritorna in mente la sagoma dell'uomo del mio sogno. So che è stato solo un sogno molto strano, ma dentro di me, percepisco una strana sensazione.

Sento che quell'uomo è reale. E sento che anche lui sa di me.

Scuoto la testa cercando di scacciare quegli strani pensieri dalla testa e mi avvolgo i capelli con un asciugamano.

Ancora umidi li lego poi in una treccia, mi vesto, esco dal bagno e torno in camera mia.

Recupero delle lenzuola pulite dal mio armadio e rifaccio il letto.

Mi siedo, incrociando le gambe e prendo il cellulare.

Decido di posticipare la sveglia di un'ora, essendomi già lavata. Dopo aver controllato che il volume della sveglia sia sufficientemente alto, poso il telefono sul comodino, tiro su il lenzuolo blu coprendomi le gambe e mi sdraio appoggiando la testa sul cuscino.

Mi addormento quasi subito. Non sogno niente.



Mi alzo pochi minuti prima che suoni la sveglia. Mi sento leggermente più riposata, ma la stanchezza causatami da quello strano sogno è ancora presente. Ho la testa pesante, i muscoli rigidi e questa opprimente sensazione di calore che mi invade tutto il corpo. Mi alzo, recupero dei vestiti puliti dall'armadio e vado in bagno per prepararmi.

Infilo un paio di jeans e una maglione nero troppo largo che non sapevo nemmeno di avere. Sciolgo la treccia e lascio cadere i miei folti e lunghi capelli neri sulle spalle. Sono ancora un po' umidi, perciò do giusto una passata di phon per evitare di beccarmi un raffreddore.

Dopo essermeli asciugati, li spazzolo e li lascio sciolti sulle spalle. Do una spolverata di blush sulle guance pallide e un tocco di mascara sulle ciglia lunghe. Mi guardo un'ultima volta allo specchio prima di uscire.

Esco dal bagno e dal piano di sotto sento il familiare sfrigolare di bacon sulla padella. Scendo con calma le scale, svolto a destra e vado in cucina.

Lentamente mi isso su uno degli sgabelli della cucina e mi siedo, poggiando le mani a coppa sotto il mento.

<< Buongiorno papà >> dico salutando mio padre. Mi dà le spalle mentre cucina uova e pancetta. Lui si volta il giusto per guardarmi e sorridermi gioioso.

<< Buongiorno, amore. Come hai dormito? >> mi domanda prendendo un piatto verde che aveva minuziosamente predisposto accanto al fornello.

Sospiro ripensando al mio strano sogno, alle mie gambe bollenti e alla stanchezza che mi sono portata dietro.

<< Non molto bene in realtà >> gli confesso mentre lui si volta e mi posa davanti un piatto di bacon, uova strapazzate, due fette di pane tostato e un bicchiere di caffè.

Sorrido nel vederlo. Papà ed io siamo gli unici in casa a bere caffè la mattina e mia madre non condivide il fatto che io, a soli 17 anni, abbia preso la cattiva abitudine di diventare dipendente dalla caffeina.

Papà aggrotta la fronte, arricciando le chiare e folte sopracciglia bionde in un'espressione curiosa. Si siede su un sgabello dall'altro lato dell'isola, di fronte a me. Incrocia le braccia e si sporge in avanti facendo peso sui gomiti.

<< Come mai? >> mi chiede guardandomi impiastricciare le uova e la pancetta prima di mangiarne un'abbondante forchettata.

Scuoto la testa mentre mastico e gli faccio cenno con la mano di aspettare che io finisca. Lui sorride e aspetta paziente.

<< Ho fatto uno strano sogno che mi ha scombussolata >> gli dico mandando giù del caffè.

Lui mi guarda incuriosito e si alza per recuperare un altro piatto.

Sento dei rumori provenire alle mie spalle. Mi volto per vedere arrivare mio fratello Cristopher.

<< Buongiorno >> ha ancora la voce impastata dal sonno. Si siede accanto a me, dandomi un abbraccio veloce come ogni mattina.

<< Ehi campione! >> lo saluta papà sorridente << hai passato di nuovo tutta la notte a giocare online? >> gli domanda papà passandogli il piatto con la colazione.

Lui lo prende con una mano, mentre con l'altra si strofina gli occhi contornati da scure occhiaie grigie nascoste dagli occhiali blu elettrico.

<< No, ma ci sono andato vicino. E tra l'altro Nev mi ha svegliato stanotte >> dice lui iniziando a mangiare.

Lascio la forchetta a mezz'aria fra il piatto e la mia bocca mentre mi volto per guardare Cristopher in faccia, domandandogli con lo sguardo spiegazioni.

Lui si volta sentendosi osservato e annuisce masticando lentamente un pezzo di pane.

<< Ti ho sentita entrare in bagno e farti la doccia >> mi risponde ritornando al suo cibo.

<< Ah. Speravo di aver fatto piano. Scusa se ti ho svegliato >> gli dico posandogli una mano sul braccio.

Lui scrolla le spalle e sussurra un "non importa" con la bocca piena.

Papà mi guarda, pensieroso e mi fissa intensamente come se stesse cercando di capire cosa mi tormenta tanto.

<< Ti sei fatta la doccia stanotte? >> mi chiede, i gomiti sempre appoggiati sul marmo scuro della cucina.

Annuisco e gli parlo di quando mi sono svegliata all'improvviso madida di sudore, di come non potevo dormire in quelle condizioni e quindi di come ho deciso di andarmi a dare una lavata.

<< Ero veramente sudata e bollente, non mi è mai successa una cosa del genere >> concludo alzandomi e andando a posare il piatto e la tazza vuota nel lavandino.

Sento lo sguardo di mio padre seguirmi ad ogni passo. La cosa inizia ad angosciarmi. Anche se non dovrebbe, ormai dovrei esserci abituata.

Sin da quando ero bambina, ho sempre fatto molti sogni. Sogni strani, per nulla realistici. C'è stato un periodo, in cui la notte facevo solo incubi. Incubi di ogni genere, andavano dai mostri fino a catastrofi naturali o gente che moriva. Ricordo di come mi svegliassi urlando nel cuore della notte, mamma e papà che accorrevano in camera mia e mi stavano accanto finchè non mi riaddormentavo. Andò avanti per un bel po' e, poiché non riuscivo a migliorare, mi fecero parlare con una psicologa che mi assegnò il compito di scrivere su dei quaderni tutto ciò che ricordavo dei miei sogni e incubi. I miei genitori hanno sempre insistito per leggerli, per scoprire cosa il mio subconscio mi costringesse a osservare la notte. Ho sempre avuto l'impressione che stessero cercando qualcosa, qualcosa che attendevano con timore e con trepidazione. Alla fine, dopo qualche tempo, ho smesso di sognare, o se sognavo, sognavo raramente e cose di cui al mattino non ricordavo nulla, perciò ho smesso di scrivere sul mio diario dei sogni.

<< Cos'hai sognato? >> domanda Cristopher con voce assonnata.

Apro la bocca per rispondergli, quando sento scattare la serratura della porta di casa.

Mia madre dice qualcosa che non riesco a capire, poi i suoi passi si fanno più pesanti e vicini ed entra in cucina.

<< Ciao mamma! >> la saluto andandole incontro.

Lei mi sorride, la stanchezza sul suo volto. Mia madre lavora come medico chirurgo in ospedale e questa settimana le è toccato il turno di notte.

<< Ciao, Nev >> mi saluta posando la borsa su una sedia e abbracciandomi.

<< Buongiorno, mamma >> le dice Cristopher con la bocca piena.

Lei si stacca dal mio abbraccio e va a salutare mio fratello dandogli un bacio sui capelli. Mio padre le sorride in silenzio e l'attira a sé stampandole un casto bacio sulle labbra.

Lei gli sorride radiosa e poi si volta verso i fornelli per prepararsi una bella tazza di latte caldo.

<< Com'è andato il lavoro? >> le domanda papà mentre prende il piatto vuoto di Cristopher che ora si è alzato ed è corso in salotto per guardare la televisione.

Mio fratello oggi non va a scuola, papà deve accompagnarlo ad una visita oculistica a Boston fra un paio d'ore. Non ho idea del motivo per cui si sia alzato così presto in realtà, ma poco importa.

Guardo l'orologio appeso accanto al frigorifero. Le otto e venti. Esco dalla cucina per salire al piano di sopra a lavarmi i denti e recuperare lo zaino. Arrivata in camera mia, guardo fuori dalla finestra e vedo una jeep rallentare e fermarsi accanto al mio vialetto di casa. Sorrido quando lo vedo scendere dall'auto e avanzare con tranquillità fino alla porta.

Ed ecco che suona il campanello e prontamente mia madre che si precipita ad aprire la porta.

<< Nev! Scendi, è arrivato Major >> mi urla dal piano di sotto.

<< Arrivo! >> le rispondo.

Mi allontano dalla finestra e faccio per uscire dalla mia stanza, quando con la coda dell'occhio vedo qualcosa a terra, accanto ai piedi del letto.

Mi volto e mi chino accanto all'oggetto che ha catturato la mia attenzione. Rimango stupita e stranita quando capisco che è una foglia. Una foglia di quercia. La prendo in mano e la osservo attentamente da vicino. E' verde chiaro con le venature più scure. Non è molto sottile, ma nemmeno spessa. E' tiepida al tatto, ma non sembra bruciata o secca.

Cosa ci fa una foglia di quercia in camera mia? La finestra questa notte è rimasta sempre chiusa, e anche se fosse stata aperta, qui nei dintorni non c'è nessuna quercia dalla quale questa foglia potrebbe essersi staccata.

<< Nev! >> la voce di mia madre mi riporta alla realtà. Scuoto la testa mentre mi rialzo. Vado verso la scrivania e poso la foglia tra le pagine di un libro spesso, in modo da non perderla. La fisso ancora per qualche istante, ponendomi domande a cui non so dare una risposta, e poi esco. Quando arrivo in cucina, mamma e papà stanno chiacchierando serenamente con Major.

Si voltano non appena arrivo.

<< Scusatemi, avevo dimenticato un quaderno >> mento.

Major mi sorride felice e mi viene incontro dandomi un bacio sulla tempia.

<< Ciao >> mi saluta piano. Io ricambio sorridendogli e poi mi volto verso i miei genitori.

<< Ok, allora noi andiamo a scuola. Può darsi che più tardi vada in piscina a nuotare un po', ok? >> dico.

Loro annuiscono e augurano a me e Major una buona giornata mentre usciamo di casa.

Fuori, un'aria fresca mi fa svolazzare i capelli e mi riempie i polmoni. Major si ferma accanto alla portiera sul lato del passeggero e mi guarda.

<< Non mi hai ancora salutato come si deve >> dice lui con un sorrisetto stampato in volto.

Io sospiro e mi alzo in punta di piedi per baciarlo. Le sue labbra morbide sfiorano le mie e una sua mano si posa sulla mia guancia. Mi stacco e lo guardo raggiante.

<< Buongiorno >> gli sussurro a fior di labbra. Sulle sue spunta un sorriso radioso e allora so che sarà davvero una bella giornata.



Appoggio il gomito accanto al finestrino, il mento posato sul palmo della mia mano. Guardo fuori, cercando di catturare ogni dettaglio possibile. Sin da quando ero bambina, ogni volta che uscivo di casa, anche se solo per pochi minuti, mi guardo intorno, in cerca di qualcosa da ricordare. Sembrerà una cavolata, ma per me non lo era all'epoca.

I primi anni della mia vita non sono stati così semplici, tutto era temporaneo: le case, le persone, gli amici. Finchè non siamo arrivati qui.

E' stato proprio allora che è nata questa mia abitudine. Ogni posto in cui andavamo a vivere aveva qualcosa di particolare. Ed io non volevo dimenticarmi di quella particolarità.

Così, da quel giorno, mi guardo sempre intorno con attenzione, cercando quel particolare che rende ogni posto ciò che è.

Oggi non vedo molto però. Solo alberi con chiome autunnali, nuvole grigie nel cielo e viali pieni di case tutte uguali.

Sospiro e cerco di rilassarmi, ma la mia mente viene colpita in pieno dalle immagini del sogno di questa notte.

Ancora adesso mi sento addosso quella strana sensazione di pericolo e attrazione verso quell'uomo sconosciuto. E' come quando hai qualcosa di appiccicoso addosso, ma che nonostante tu continui a lavarlo via, quello resta lì. E tu non puoi farci niente.

Il mio subconscio deve avere sicuramente qualche problema serio per farmi fare questi sogni.

<< Nev? >> la voce di Major mi fa tornare alla realtà e solo in quel momento mi rendo conto che siamo arrivati nel parcheggio della scuola.

Mi volto verso di lui sorridendogli e prendendo la sua mano.

Lo sguardo di Major assomiglia vagamente a quello di mio padre di poco fa: confuso e curioso. So di avere qualcosa che non va da stanotte e so che mi si legge in faccia. Dunque non mi stupisco quando Major mi chiede se sto bene.

<< Si >> gli dico annuendo e guardando il parcheggio che lentamente si riempie di macchine di studenti e professori. << E' solo che questa notte non ho dormito molto bene e sono un po' stanca >> spiego voltandomi verso di lui.

Major mi sorride, ma so che non è convinto. I suoi occhi scuri mi scrutano attentamente cercando di leggermi nella mente, di capire il motivo del mio strano comportamento, ma non ci riescono.

<< Sicura che sia tutto a posto? >> mi domanda nuovamente.

Sospiro e gli stringo più forte la mano nella mia.

<< Major, sto bene, ok? Ho solo fatto un sogno molto strano che mi tormenta ancora adesso. Ma sto bene, stasera dormirò benissimo. >> gli rispondo.

<< Un incubo? >> mi chiede.

<< Non proprio, diciamo che ad un certo punto è diventato strano e inquietante. Però ora sto bene, non preoccuparti >> gli dico.

Mi sporgo in avanti e lo bacio. Lui ricambia il bacio posandomi una mano sulla guancia e l'altra dietro la nuca.

Mi stacco guardando i suoi occhi scuri che mi sorridono felici. Le sue dite si muovono tra i miei capelli mentre con una mano scende lungo la mia schiena per avvicinarmi di più a lui. Poso le mani sul suo petto per evitare di cadergli sopra.

<< Ok >> mi sussurra semplicemente.

Le mie labbra si aprono in un sorriso che va da un orecchio all'altro e gli stampo un altro leggero bacio sulle labbra.

<< Dovremmo andare adesso >> gli dico.

Major sbuffa e ruota gli occhi facendomi sorridere.

<< Ok, va bene. Dopo scuola vieni da me? >> mi chiede.

Annuisco e dopo essere rimasti altri cinque minuti abbracciati in quella strana posizione, scendiamo dall'auto e mano nella mano, entriamo a scuola.



Il mio armadietto è aperto davanti a me. Sono bloccata, i miei muscoli rigidi. Fisso ipnotizzata la foglia di quercia al suo interno. E' posata su un libro di biologia che è lì da ieri. E' come se qualcuno l'avesse messa lì apposta.

Sospiro allungando la mano e prendendola tra le dita. Ed eccola di nuovo lì, in un angolino della mia mente, quella sensazione che mi porto dietro da stanotte. La mia mente ritorna all'immagine dell'albero in fiamme e dello sconosciuto che mi fissava a pochi metri di distanza. Ogni volta che mi torna in mente, cerco di ricordare qualcosa, un dettaglio. Ma non vedo altro se non una sagoma nera con due occhi identici ai miei.

Eppure sento di conoscerlo, sento che non era solo un sogno, che quell'uomo esiste.

Strofino la foglia tra le dita, frustrata.

Com'è possibile che un sogno mi turbi così tanto? E come hanno fatto due foglie di quercia a finire ai piedi del mio letto e nel mio armadietto? Scuoto la testa e infilo la foglia tra le pagine del libro di storia che tengo stretto al petto.

Faccio per chiudere l'armadietto quando la sento. E' lontana, molto lontana. Ma la percepisco.

Sento di nuovo la voce del mio sogno, quella che mi avvertiva di stare attenta a quell'uomo, di allontanarmi.

Aggrotto la fronte, cercando di capire quello che mi sta dicendo.

Mi parla di nuovo in una lingua sconosciuta, o meglio, dovrebbe esserlo.

La voce è flebile, come se provenisse da chissà dove, come un sussurro di qualcuno lontano che non vuole farsi scoprire. Cerco di comprendere quelle parole.

Chiudo gli occhi, concentrandomi. Mi sembra quasi di vederle apparire davanti ai miei occhi.

E' una lingua che so di non parlare, ma ora che la vedo scritta nella mente, so di conoscerla.

E' bulgaro. E' la mia lingua madre, è quella del paese in cui sono nata e da cui provengo.

Ed improvvisamente capisco. Capisco cosa mi vogliono dire.

La voce si fa sempre più chiara nella mia testa.

"Ti prego, sta attenta".

E' lo stesso avvertimento del sogno. Ma stare attenta a cosa? A chi? E per quale motivo sento una voce nella mia testa che mi dice di stare attenta in una lingua che non dovrei conoscere ma che inspiegabilmente capisco?

Scuoto la testa e riapro gli occhi, sbattendo rumorosamente l'anta dell'armadietto.

Con la coda dell'occhio vedo un'ombra scura muoversi velocemente in fondo al corridoio. Mi volto istintivamente, ma non vedo nessuno. Il corridoio si è svuotato, segno che sono rimasta persa nei miei pensieri per più tempo di quanto pensassi.

Impreco sottovoce, prima di girare i tacchi e dirigermi verso l'aula di storia. Per tutto il tragitto fino all'aula, ho la sensazione che qualcuno mi stia seguendo. Non mi volto mai.

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