NAMID E HANIA
La bufera continuava ad infuriare su Inatia, la piccola cittadina situata sul colle del monte Inii, dal quale prendeva nome. Un vento violento continuava a soffiare imperioso spaventando i bambini, i quali sogni venivano tormentati da demoni dotati di due bocche e bestie di montagna. La neve, pesante, cadeva sui tetti delle locande, talvolta anche davanti le uscite, bloccandole. All'interno di una di esse, Namid si rigirava nella spessa coperta di lana, cercando di non badare ai rumori che venivano dall'esterno. Era la prima sera che passava all'interno della "Tavola di fuoco": la piccola locanda che avrebbe accolto lei, suo padre e gli amici di quest'ultimo per una settimana. Si girò di fianco, cercando una posizione più comoda per quanto il vecchio letto di quercia glielo permettesse. Sospirò guardandosi i capelli sparsi sul cuscino, alla tenue luce del fuoco sembravano sottili filamenti di rame, pensò che le sarebbe piaciuto se anche di giorno avessero mantenuto quell'aspetto. Spostò lo sguardo più in là, su un cumulo di coperte, le sembrava si fosse mosso.
Si irrigidì di colpo, appiattendo la schiena al muro per poi tranquillizzarsi subito dopo riconoscendo il volto di Hania, seminascosto tra la lana blu. Non era abituata a condividere la stanza e, per un momento, aveva dimenticato la presenza del ragazzo sull'altro piccolo letto. Trattenne il fiato per qualche minuto, fino a quando non fu sicura che l'amico dormisse ancora un sonno profondo. Senza accorgersene i sui occhi incominciarono a vagare sul viso di Hania: i lineamenti rilassati, le ciglia lunghe a fargli ombra sugli zigomi pronunciati, e i ricci, dorati per via della luce, che gli ricadevano sulla fronte.
"Sembra un angelo"
Pensò, ancora intenta a contemplare il viso del ragazzo. Proprio non riusciva a credere che suo padre si fosse convinto a farli dormire nella stessa stanza, ma d'altronde quella era l'unica alternativa, e poi, di Hania si fidava. Era un ragazzo tranquillo, spinto da principi sani, e di certo non faticava ad entrare nei cuori della gente per poi rimanerci.
Namid si rigirò di nuovo nelle coperte, infreddolita. Si ritrovò a guardare il muro, vagando sulle increspature del legno che, per una mente dalla fervida immaginazione come la sua, narravano tante piccole storie: imprese di re, donne dalla forma gnomica, elfi con le orecchie a punta, e cavalli in corsa.
Tra una ninfa d'acqua e una tazza fumante scorse la figura di una donna, le si strinse il cuore. Più la guardava più le sembrava familiare e gli occhi le pizzicavano. Si costrinse a spostare lo sguardo su un'altra figura, ma i suoi occhi non riuscivano ad individuarne altre all'infuori di quella. Seppellì la testa tra la lana rossa, cercando di scacciare via quei pensieri prima che facessero effetto, non ci riuscì. Pensò che a lei sarebbe piaciuto quel posto, le locande in legno, la neve. Si chiese se in quel momento la stesse guardando, se riuscisse ancora a vederla avvolta com'era nel velo della morte, un velo che prima o poi avrebbe coperto anche lei. Tutto ad un tratto quella sensazione fredda, che tal volta la tormentava nel bel mezzo della notte, si ripresentò accompagnata da quella di vuoto. Le si smorzò il respiro, il cuore minacciò di uscirle dal petto e scalciando le coperte si ritrovò all'impiedi, il corpo tremante, gli occhi spalancati.
«Namid?» Hania sedeva stanco sul letto, lo sguardo assonnato. «Namid.» Disse di nuovo. «Tutto bene?»
Dal canto suo la ragazza continuò a tremare, arretrando nel tentativo di sedersi sul letto. Venne aiutata dall'amico che, spaventato, continuò a chiederle: «Cos'è successo?»
«N-nulla. I-io non riuscivo a dormire.» Rispose sconvolta, il ragazzo fece per ribadire ma, guardandola in faccia, decise che quello non era il momento.
«Ti prendo un bicchiere d'acqua.» Fu tutto quello che disse prima di scomparire dietro la porta della piccola cucina.
Namid approfittò di quel momento per ritornare a respirare normalmente e, quando Hania tornò con un bicchiere di vetro stretto tra le dita, la trovò molto più rilassata. Le porse il bicchiere e le sedette accanto. Nessuno fiatò. Namid era ancora troppo scossa, e Hania troppo timoroso di turbarla maggiormente. Tutto quello che fece fu appoggiarle la testa sulla spalla, aspettando che fosse pronta a parlargli, spiegargli. Ma non successe nulla, il silenzio era interrotto solo dal crepitio del fuoco e dai respiri dei due ragazzi. Vedendo che Namid si era tranquillizzata Hania fece per alzarsi, ma venne fermato dalla mano della ragazza, che gli afferò il polso.
«Hania... Puoi per piac-» Il ragazzo si girò, accennò un sorriso, e guardandola negli occhi le disse: «Non preoccuparti, non dirò nulla a tuo padre»
«Ah, si. Mio padre.» Namid abbassò lo sguardo sulla propria mano, stretta ancora attorno al polso di Hania. La levò immediatamente, per poi riporla in grembo insieme all'altra. «Ecco, io... Io volevo chiederti se potev-»
Il ragazzo annuì in silenzio, continuava a guardarla negli occhi.
«D'accordo. Fammi spazio.» Disse in fine.
Namid si infilò sotto le coperte e fece come gli aveva detto. Non si stupì che l'avesse capita anche senza averle fatto finire la frase, lo aveva già visto decifrare i pensieri altrui unicamente grazie ad un gioco di sguardi.
L'amico le si stese a fianco, imbarazzato. A Namid venne spontaneo arretrare un po', ma Hania non glielo permise. L'avvicinò a sè, delicatamente. La ragazza gli appoggiò la fronte sulla spalla.
«Grazie.» sussurrò piano, prima di cadere in un sonno profondo.
Note:
Questo è il primo racconto vero e proprio che pubblico su questa piattaforma. Mi sono divertita tantissimo a scrivere di Namid e Hania, chissà, forse un giorno li rivedremo.
Pioccolo fun fact: Namid e Hania sono due nomi che derivano dal nativo americano e significano rispettivamente "Stella che balla" e "Spirito guerriero"
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