8. Interlude III: At the banquet
"Please, make way! Our host is making his entrée!"
Ariel cade a terra, sbattendo la fronte sulla dura pietra della strada.
Mephisto, al contrario, atterra al suolo con la delicatezza di una piuma portata dal vento, scostandosi i capelli dagli occhi con un gesto del capo.
«Posso ufficialmente affermare di aver assistito al peggior atterraggio di sempre.» dice l'angelo, incrociando le braccia al petto e guardandolo con biasimo.
«Taci ...» risponde furioso Ariel, alzandosi da terra e massaggiandosi una guancia.
«Cos'era quello? E dove mi hai portato?» chiede ancora l'alchimista, temendo il peggio.
Mephisto sospira sconsolato, iniziando a camminare, e risponde:«Rilassati, siamo in Polonia. E quello era un portale, per velocizzare lo spostamento. Non pensavi mica che ti avrei portato in volo sulle mie spalle, vero?»
"A dire il vero, pensavo che mi avresti lasciato in pace, ma meglio così ... mi hai accorciato il viaggio ..." pensa Ariel, togliendosi la neve dagli abiti e dal viso.
Dopo aver controllato di essere tutto intero, l'alchimista inizia ad incamminarsi in direzione opposta rispetto a Mephisto, avendolo visto allontanarsi senza voltarsi indietro; non ha la benché minima idea di che direzione stia prendendo, ma, giusta o sbagliata che sia, vuole allontanarsi da Mephisto il più possibile e in fretta.
L'angelo non sembra accorgersi di nulla e Ariel continua così a camminare indisturbato per un buon tratto, lungo la strada di pietra su cui ha sbattuto la faccia.
"Questa strada porterà di sicuro ad una città e lì finalmente potrò prendere un cavallo e tornare in Baviera." pensa con un sorriso sulle labbra.
Nella sua marcia ora più rilassata, qualcosa di strano accade: la neve, depositata sulla strada che sta percorrendo, si scioglie, esalando vapori bianchi che si arricciolano salendo verso il cielo in forme longilinee e sinuose. Il suo passo rallenta e infine si ferma, si inginocchia per osservare meglio questo strano fenomeno quando, poggiando la mano guantata per terra, si accorge che dalle pietre si sprigiona un grande calore. Nonostante le sue innumerevoli conoscenze, non riesce a spiegarsi un simile fatto e decide per questo di seguire il sentiero che gli si apre innanzi, sperando così di svelare il mistero.
La strada dopo molti metri diventa un ponte e si conclude davanti ad un portone ligneo immenso, sulle cui ante sono intagliati diversi mascheroni apotropaici dalle bocche larghe e ghignanti e con gli occhi dipinti di rosso, circondati da grosse punte d'acciaio che scongiurano i tentativi di assalto e sfondamento.
Alzando lo sguardo oltre la cornice scolpita dell'ingresso, Ariel incontra un imponente muro di pietra, così alto che è costretto a fare qualche passo indietro per poterne vedere la fine e che si estende per diversi metri a destra e sinistra, con immensi torrioni merlati circolari agli angoli, trafitti da qualche timida feritoia che segue il percorso elicoidale delle scale interne.
Ariel osserva l'imponente fortezza con gli occhi spalancati per lo stupore e per la curiosità, causati da tanta severa magniloquenza, domandandosi chi vi abiti.
Il portone si apre con cigolii di cardini e clangore di catene in movimento, rivelando il cortile interno ottagonale di grandiose dimensioni e austere sembianze perfettamente ordinato, con le armi riposte nelle apposite rastrelliere e in cassoni di legno negli angoli meno in vista per i visitatori.
Ariel, inizialmente titubante, decide di avanzare, arrivando al centro del cortile, continuando a chiedersi chi possa abitare in quella fortezza vecchia di almeno tre secoli e ancora perfettamente conservata.
"Sarà qualche nobiluomo del posto egocentrico e terrorizzato dalla plebaglia." pensa l'alchimista ridacchiando e togliendosi il berretto e poi i guanti: nel cortile c'è una temperatura stranamente mite, dovuta molto probabilmente al calore che sale dal pavimento lastricato.
La temperatura aumenta e Ariel si toglie di dosso il mantello, il cappotto di lana e la sciarpa, poggiandoli in terra insieme alla sacca con le sue cose, e nel mentre si guarda intorno, osservando le scale di servizio di fronte a lui, scolpite direttamente nella pietra, che si dipartono dai lati di un altro portone di legno, più piccolo del precedente ma non per questo meno imponente.
Il rumore di cardini e catene si ripete, annunciando la chiusura del portone d'ingresso; Ariel si volta di scatto, spaventato, e gli corre incontro, per fermarlo, ma arriva quando con un tonfo si è già chiuso.
L'alchimista, confuso, non sa che fare e decide di passare quel poco che gli resta della notte in quel cortile piacevolmente caldo e silenzioso, sperando stavolta di non essere interrotto da altre creature affamate della sua anima ancora segretamente bramosa di Verità.
Sta per coricarsi quando il portone più piccolo si spalanca, proiettando luci sfavillanti nel piazzale e spandendo profumi esotici e invitanti insieme a musiche festose e vociare allegro.
Incuriosito, non riesce a non avvicinarsi.
La musica si fa più forte, i profumi più invitanti, le luci più brillanti, la folla più festosa man mano che si avvicina; arrivato davanti alla porta, è travolto dall'aria di festa che si respira nella sala e dal tintinnio dei calici in brindisi.
Una voce nascosta e potente annuncia ai gaudenti: «Per favore, fate spazio! Il nostro ospite sta facendo il suo ingresso!»
Le persone obbediscono immediatamente, sollevando i calici per il nuovo arrivato.
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