15. III ways to Epica
"Why did God take away that one thing I wanted?"
La notte si è adagiata placidamente sul bosco scheletrito, ha steso il suo velo leggero e privo di stelle sulle punte taglienti dei rami, protesi al cielo in cerca di luce, in attesa.
La luna, privata di uno o due spicchi, è coperta da nuvole filamentose, che la avvolgono nel loro abbraccio di fumo; osserva il mondo sotto di sé, come ogni notte, con occhi benevoli e comprensivi all'apparenza, in quanto un astro mai potrà comprendere le complessità dell'uomo e del suo personale universo.
Il bosco tace, non un filo di vento scuote le fronde rinsecchite e spoglie, non un animale si aggira nel buio tra i cespugli spinosi.
Un ululato lontano rompe la bolla di silenzio, come un avvertimento, vibra a lungo nell'aria pulita e immobile, rivolgendosi a quell'unico viaggiatore dal passo pesante che disturba la pace di quel luogo con il suo orribile fardello, appeso con un gancio al suo cuore mortalmente ferito.
Ariel non sa dove si trova, non ha idea di dove stia andando, di quanto abbia camminato, né di quanto sia lontano il villaggio in cui ha dato l'estremo saluto a Helena.
Cammina e basta, senza coscienza di sé e del mondo circostante, lasciandosi trascinare da una corrente invisibile della quale lui solo percepisce gli artigli, aggrappati al suo petto e decisi più che mai a strappargli via la carne.
Dalla sua partenza dal paesello, è entrato in una specie di stato catatonico che gli ha svuotato la mente di ogni pensiero, lasciandola fluttuare sulle dolci nuvole di un limbo apparentemente consolatore.
Che adorabili rimedi propone la Natura ai suoi figli per salvarli dal dolore altrimenti fatale; che madre amorevole, che copre gli occhi della mente con il suo velo di abbaccinante oblio per impedir loro di affrontare le tragedie della vita.
L'alchimista ha accolto a braccia aperte questo aiuto, si è lasciato cancellare con piacere ogni memoria insostenibile per poter proseguire senza indugi, ma sa che le immagini da cui vuole fuggire permangono ai loro posti infami, nascoste dal bagliore stordente del trauma che hanno provocato.
La protezione del velo non dura a lungo, almeno per la sua impressione, e lo abbandona d'un tratto, a tradimento, lasciandolo nudo bel mezzo di una tempesta di affilati coltelli, che scansano il bersaglio con un lucido sorriso sul filo scintillante: lo colpiscono di striscio per prolungare la sua sofferenza, lasciandolo poi agonizzante al centro della scena, come un moderno San Sebastiano senza martirio, ma giustamente punito per i suoi peccati.
Il suo passo, fattosi sempre più pesante e strascicato con il ritorno della consapevolezza della propria colpa, si ferma definitivamente, schiacciato dal peso titanico calato senza grazia sulle sue spalle infreddolite.
Come può dimenticare, come può anche solo provare ad ignorare per un secondo quel che è successo?
Chiude gli occhi, le lacrime tentano di spingerli fuori dalle orbite con la forza di una piena; l'esofago si arrotola e si annoda con la trachea sua compagna, chiudendogli la gola e impedendogli quasi di respirare; i denti mordono feroci le labbra secche e spaccate, non permettendo ad alcun suono di uscire dalla sua bocca, alcova di menzogne.
Le mani guantate corrono immediatamente al viso, come se così potesse non vedere il male che ha fatto, come se questo insulso gesto potesse proteggerlo da quel che è diventato.
Non riesce più a trattenersi: i polmoni si espandono e contraggono a scatti, velocemente, senza riempirsi d'aria, solo di gelo; le membra sono scosse da vistosi tremiti di freddo e dolore e rabbia e odio e troppe altre cose, che lo scuotono dentro come un terremoto devastante.
Un grido.
Liberatorio, disperato.
Tutto il suo dolore si spande nell'aria, si estende fino a raggiungere la luna, sperando forse di ferirla, di renderla partecipe per davvero alla sua sofferenza.
Grida con tutta la sua voce, spezzata dal pianto straziante, con tutta l'aria che ancora sostava quieta nei suoi polmoni prossimi al congelamento; con tutta la forza che gli resta, caccia fuori ogni traccia del calore e della sanità mentale che aveva ancora infusi nelle vene.
Si svuota di tutto, vuole allontanare da sé ogni singolo frammento, ogni minuscola scheggia del se stesso corrotto, peccatore, cieco ed invano cercatore.
Cosa gli resta ormai, se non la certezza di aver perso l'unica cosa a cui teneva veramente, l'unica cosa che, Dio testimone, voleva per davvero?
E non ha senso incolpare l'Altissimo della sua perdita insostituibile, nessuna delle sue parole, delle sue accuse rivolte al cielo ha un senso logico, ma d'altronde come può esserci logica nel dolore, nel lutto?
Urla e piange, inginocchiato nella neve, prendendo a pugni il terreno, e non riesce a fare nient'altro. Segretamente spera che quei lupi, di cui poco prima aveva sentito gli ululati sinistri, vengano per divorarlo seduta stante, in modo da porre fine alla sua sofferenza senza via d'uscita.
Si accascia a terra, poggiando la fronte nella neve gelida, le mani strette al petto, chiuse a pugno sul cuore, le labbra tremanti, gli occhi e le guance bollenti di fiamme e lacrime.
Il freddo è l'unica altra cosa che sente, l'unica percezione sensoriale che gli ricorda amaramente di essere ancora vivo, quando preferirebbe trovarsi all'Inferno, dove è giusto che stia.
La luna, un occhio di bue incompleto infisso nella struttura celeste, non può far altro che guardare, assistere all'umana sventura che si compie sotto i suoi occhi inesistenti, illuminando con gravezza, come l'ultimo atto di una tragedia, il soliloquio del protagonista destinato a morte certa, che declama con sentimento i suoi trascorsi difendendosi nel torto e nella ragione.
Si chiude su se stesso, Ariel, quasi a voler ritornare alla sua forma primordiale di embrione e poi, sempre più indietro, a quella di cellula, infinitesima, inconsapevole, incapace di qualsiasi azione se non della creazione della vita; si raggomitola come un bocciolo precoce che, sorpreso dall'ultimo freddo antecedente la primavera, si richiude sul suo esile stelo verde brillante.
Il buio, il nulla è ciò che gli resta, è ciò che vede innanzi a sé, è ciò che merita, o pensa di meritare.
I singhiozzi procedono imperterriti, ininterrotti e prorompenti, squassanti, non hanno motivo di fermarsi, non c'è alcuna volontà che impone loro di farlo: quando termineranno le lacrime, quando ogni liquido di quel corpo sarà esaurito, evaporato, congelato, allora i singhiozzi si placheranno e forse, se la fortuna vorrà essergli amica, sarà morto disidratato e assiderato e pace all'anima sua.
Una mano bollente si poggia sulla sua spalla, delicatamente, quasi temendo di spaventarlo. Il calore penetra attraverso le vesti pesanti, raggiungendo la pelle e irradiandosi in lungo e in largo nelle sue membra.
«Me-Me ... phisto ... » articola Ariel a fatica tra le lacrime invadenti.
«Ariel, amico mio. Sono qui, accanto a te.» sussurra dolcemente l'angelo, inginocchiandosi al suo fianco e stringendogli un braccio intorno alle spalle per avvicinarlo a sé. L'alchimista si lascia guidare dal movimento di Mephisto, tirandosi su e appoggiando la testa contro il suo petto splendente, dove continua il suo pianto senza fine, osservato dagli occhi luminosi e un po' malinconici del messo di Dio.
Mephisto non riesce ad essere distaccato e freddo come è stato fino ad ora, non riesce a recitare crudelmente come suo solito: qualcosa in lui, forse la sua natura angelica, seppur sopita da lungo tempo, glielo impedisce, rendendolo invece partecipe allo strazio del suo compagno, del suo padrone e protetto al tempo stesso.
Ariel si aggrappa alle sue spalle come ad uno scoglio nella tempesta, facendo gravare sull'angelo tutto il peso del suo dolore; Mephisto risponde istintivamente abbracciandolo, senza trasporto, e cullandolo, sorprendendosi di come, nonostante l'odio verso la razza umana, la corte celeste e le scelte del suo Re, non riesca ad evitare di compiere questi semplici gesti di conforto, talmente radicati in lui da non poter essere estirpati neanche dalla sua volontà.
Stanno in silenzio, l'uno tra le braccia dell'altro; i tremiti ed il respiro dell'alchimista accennano a calmarsi, il cuore pian piano rallenta e si scalda, inebriato dal calore corporeo dell'angelo al suo fianco; il petto di questi sembra brillare più di prima e brucia di un fuoco strano.
Ariel non si era mai accorto dell'aroma emanato da Mephisto, di pioggia autunnale e vento marino, non ci aveva fatto caso fino a quell'istante, in cui, contro il suo petto, aveva inspirato a fondo l'aria notturna per ristabilire le corrette funzioni dei suoi polmoni stressati dal pianto.
È ... bello, il suo abbraccio.
Il suo profumo ... meraviglioso.
L'alchimista, per un momento, pare spaventato da questi pensieri, il suo corpo scatta come per avvertirlo di starne alla larga, di non fare caso al suo cuore che, pur essendo calmo, ha accellerato la sua corsa. Trema, ancora scosso dal pianto, eppure sente il magone svanire, il nodo alla gola sciogliersi e un tepore rigenerante farsi strada nel suo petto.
Mai la vicinanza di Mephisto gli aveva fatto così piacere.
Ogni suo muscolo si rilassa e un sorriso spontaneo, inconsapevole, piega le sue labbra spaccate dal freddo e sanguinanti.
Mai aveva desiderato così tanto la vicinanza dell'angelo che gli ha offerto la sua condanna su un piatto d'argento.
Anche Mephisto percepisce, pur tentando di allontanare il pensiero, qualche cosa di strano, di piacevolmente strano, in quel momento, così incredibilmente intimo, seppure non sia stata quella l'intenzione di entrambi.
Il fuoco nel suo petto brucia senza riposo, ardente, spandendo una luce accecante; il calore gli sale in gola fino al cervello e infiamma ogni cosa, pervade la sua essenza.
L'arcangelo non vuole ammetterlo a se stesso come non lo ammetterebbe a nessun altro, ma questa fiamma devastante ... gli piace, e tanto.
E ne ha paura.
E la odia.
Ed è molto strano.
"Affetto? Per questo misero peccatore? Per colui che mi ha privato dell'Amore del mio Re?"
Scuote la testa, pensandoci: è impossibile, assolutamente impossibile.
"Rimettiamoci in riga." si ordina, lasciando la presa sull'alchimista con delicatezza, lentamente, quasi temesse di fargli del male o di spaventarlo.
Ariel drizza la schiena di colpo, quasi colto di sorpresa, e si volta verso l'angelo, gli occhi arrossati dal pianto dai quali ancora stillano le lacrime amare e ormai gelide.
«Sono ... una persona orribile ... è vero, Mephisto?» chiede con i denti che battono, che stridono gli uni contro gli altri in modo agghiacciante, tutto stretto nelle sue spalle, le mani serrate su di esse, vuoi per tenersi al caldo, vuoi perché si sono congelate all'aria. Gli rivolge uno sguardo supplichevole, sconvolto, assolutamente confuso.
Il messo sospira, rassegnato, per niente sorpreso o compassionevole.
«Certo che lo sei. Helena è morta per te.»
Pronuncia queste parole con una calma terrificante, articolandole bene, senza alcuna traccia di pietà nella voce: solo fredda realtà dei fatti, senza illusioni di non colpevolezza, senza false speranze, nessuna consolazione.
Ma Ariel non lo accetta.
«Tu mi hai costretto a lasciarla! Tu sapevi di ...» inveisce, ma si ferma. Non osa andare oltre.
"Tu sapevi ... del bambino ... di mio figlio ..."
Le lacrime erompono nuovamente dagli occhi verdi dell'alchimista, distrutto dal freddo, dal dolore, dal peccato commesso, dall'idiozia della sua ricerca.
Annientato dalla devastante inettitudine di se stesso.
«Io non ti ho costretto. Il mio era un suggerimento, stava a te decidere se seguirlo o no, Ariel, amico mio. Il mio Signore ti ha donato il libero arbitrio e tu ne hai fatto uso come è giusto che sia. Io non ho colpe.» risponde Mephisto serafico, alzandosi in piedi, guardando il suo padrone dall'alto in basso con una scintilla di disprezzo negli occhi splendenti.
«Io non sono tuo amico! Io ... io ... ti odio! Hai distrutto la mia vita! Tu e il tuo stupido patto! Mi hai privato dell'unica gioia che avevo conquistato!» grida Ariel infuriato, alzandosi barcollante e voltandosi verso l'angelo: furibondo, gli punta l'indice contro con fare minaccioso, lo sguardo accecato dall'ira e il cuore profondamente ferito dagli eventi e da una consapevolezza lampante di essere lui il vero artefice di tutto, consapevolezza che mai avrebbe ammesso davanti a Mephisto.
Il messo luminoso ghigna alle parole dell'alchimista, divertito da quel suo inutile sfoggio di rabbia e frustrazione, infastidito però dal suo insulso vittimismo.
Spazientito, quindi, esclama:«Hai voluto giocare con il fuoco, dovevi aspettarti qualche scottatura! Ma passerà presto, fidati di me, è cosa da poco.»
Riprende fiato, rilassa la fronte, sorride crudelmente, avvicinandosi alla sua preda, al suo piccolo padrone ferito che guaisce come un cane nel suo dolore.
Gli fa pena, è patetico. Quasi non ci crede che sta perdendo tempo dietro a un uomo così.
«Tu sai che posso portarti molto più in alto di così ... ti chiedo solo di voltare pagina e fidarti di me ancora una volta ... E poi ... dovresti ringraziarmi: senza di me, con molta probabilità non l'avresti più rivista.» conclude all'orecchio dell'alchimista in un sussurro suadente.
Ariel, scosso dai soliti tremiti che lo assalgono in sua presenza, rimane basito dalle sue parole, così superficiali, così odiose.
«Helena una cosa da poco? Come osi? Lei ... era ciò che volevo ... ciò che desideravo ... e Dio me l'ha portata via! Tu me l'hai portata via!» risponde feroce, stringendo i pugni e girandosi per fronteggiare Mephisto a testa alta.
«Certo, la colpa è sempre di Dio! Non è mai vostra, vero? Quanto non vi sopporto quando fate così ... siete a dir poco ridicoli, voi esseri umani.» sibila l'angelo, alzando gli occhi al cielo e gesticolando teatralmente, non senza una certa eleganza innata e quasi femminile nei movimenti.
L'alchimista non risponde. Fa un passo indietro, colpevole.
Colpito e affondato, dritto in mezzo al petto.
Mephisto si avvicina sorridendo.
Ariel subito lo guarda con sospetto, sfidando lo sfolgorio che il suo corpo etereo emana. Il suo sorriso sornione, che gli va da un orecchio all'altro accompagnato da uno sguardo inquietante, è segno inequivocabile che ha in mente qualcosa.
Una proposta.
L'ennesima, dannatissima proposta.
«Inseguire il desiderio è solo un differente modo di imparare, caro il mio alchimista, ed io, finché lo vorrai, potrò portarti molto, molto lontano, più in alto di chiunque altro. Ti chiedo solo un po' di fiducia in me e farò ogni cosa tu mi ordinerai ... il tuo volere è mio interesse nel tuo interesse, Ariel.» espone con precisione l'angelo, senza abbandonare quel sorriso furbo e agghiacciante, promessa di gioie meravigliose e al contempo di indicibili dolori, come l'esperienza gli ha insegnato.
L'alchimista rimane in silenzio, soppesando tutte le parole dette sino ad ora.
Si rende conto che la strada per la sua redenzione è ormai del tutto fuori dalla sua portata e di essere più vicino alla dannazione di quanto sperasse.
Non c'è molta scelta, in effetti, ma lui vuole, deve ugualmente pensarci.
«Ti concedo un'ora. Fai bene la tua scelta.» gli concede Mephisto, quasi leggendogli nella mente (ipotesi da non escludere, in effetti), sparendo dalla sua vista.
Ariel non è confuso, anzi, è piuttosto certo di quel che vuole fare, ma si sente male all'idea, come se non fosse la cosa giusta. Il ricordo di Helena e del suo sacrificio lo tormentano, indicandogli al contempo la via, una via tortuosa e contraddittoria.
"Helena è morta per me. A causa mia e per permettermi di raggiungere la Verità a cui anelo da una vita intera."
Sospira, asciugando le lacrime residue sulle sue guance con il dorso della mano guantata. Tira su con il naso e alza lo sguardo smarrito al cielo, osservando le nuvole con attenzione, aguzzando la vista alla ricerca delle stelle che tanto gli sono mancate in quella notte di dolore.
"Se non lo faccio, renderei vana la sua morte ... però ..."
Cerca lei, in verità, cerca il conforto del suo sorriso, desidera il suo consiglio, la sua approvazione.
«Helena ... aiutami, ti prego ... cosa vuoi che faccia?» mormora al cielo, che già viene invaso a piccoli tocchi di pennello dal timido chiarore roseo dell'alba.
"Il buio non potrà mai vincere."
Ariel abbassa la testa di scatto, guardandosi intorno.
Di chi è la voce che ha sentito? Di chi sono quelle parole di speranza?
Nuove lacrime gli bagnano le guance, a metà tra la tristezza e il sollievo.
La voce della sua Helena.
È con lui. Non lo ha abbandonato, nonostante tutto.
Sorride debolmente, Ariel, le sue labbra tremano nel pianto sgorgato di fresco dai suoi occhi e dal suo cuore, che si scalda nella luce dell'amore di lei.
«Perdonami, Helena ... ma io ... io non ci riesco ...» mormora tra i singhiozzi, guardando supplichevole le stelle che si arrendono allo splendore del sole.
Helena lo amava più della sua stessa vita, per questo si è uccisa.
Lo amava a tal punto da sacrificarsi per il suo sogno, così assurdo eppure così ardente e più che mai vicino: lo ha lasciato libero di seguire la sua strada senza dover pensare a lei, sola e lontana da lui in sua attesa.
Eppure Ariel non si sente pronto, non trova giusto tutto questo.
«Perdonami. Perdonami ...» sussurra ancora, le sue parole si congelano nell'aria mattutina che sparge brina sul mondo.
Un altro respiro profondo, la decisione è ormai presa.
Sono bastati a malapena dieci minuti, Mephisto è stato persin troppo generoso.
«Mephisto!» chiama a gran voce, senza esitazione. L'angelo appare immediatamente tra maestosi scintillii dorati e, sorridendo soddisfatto, si avvicina.
Ora ne è certo.
È l'unica strada sensata.
«Hai valutato bene, Ariel? Non vorrei dover sorbire nuovamente una delle tue amabili sequele di accuse infondate.» lo avverte l'angelo con un sorrisetto sarcastico, incrociando le braccia al petto.
Ariel lo fissa, le labbra strette, gli occhi immobili e scintillanti. Non ci trova assolutamente niente da ridere, ma non glielo dice.
«Non posso.» risponde invece, caricandosi in spalla il bagaglio e voltando le spalle all'arcangelo, rimasto alquanto sorpreso dalle parole dell'alchimista: era convintissimo che avrebbe proseguito immediatamente, dopotutto la sua amata era morta per permetterglielo.
«Come sarebbe a dire che non puoi? Ad Helena non ci pensi? Devo forse ricordarti perché l'ha fatto? Ariel?» domanda allarmato Mephisto, come se, impotente, stesse assistendo alla dissoluzione delle sue ultime speranze di salvezza.
Ariel si ferma di scatto, un riflesso involontario a quel nome indelebile, ma immediatamente si rimette in marcia: camminare è il miglior modo che ha per fare un po' d'ordine nella sua testa.
L'angelo non replica, fissandolo a bocca aperta mentre si allontana, addentrandosi nel bosco.
Le dita dell'alchimista sfiorano il fermaglio d'argento appuntato alla giacca.
«Addio Mephisto.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro