27. Il collasso della stella più luminosa - parte 2
Premessa: caro lettore, se sei arrivato fino a qui, grazie di tutto. Sei coraggioso come solo Nicholas Reichenbach potrebbe esserlo. Quindi prendi un bel respiro. Si comincia.
Collasso stellare: in astrofisica si intende la progressiva compressione di un corpo massiccio sotto l'influenza della sua stessa forza di gravità. Avviene durante le ultime fasi di vita di un corpo celeste, quando tutte le fonti energetiche delle stelle si esauriscono ed esse muoiono per sempre.
La mattina d'Inverno in cui tutto ha avuto inizio, mentre mi precipitavo verso mia sorella e sfidavo le fiamme che la tenevano prigioniera, ero assolutamente positiva del fatto l'avrei salvata; che il giorno successivo ne avremmo discusso davanti a un bicchiere di latte alla zucca con i nostri soprannomi scarabocchiati sopra; io, Lilith e la mamma, approfittando del Wi-Fi di qualche caffetteria giù in centro, per saltare da un giornale all'altro in cerca delle nostre facce. Magari saremmo diventate famose. Magari qualcuno avrebbe chiesto di intervistarci, e ci avrebbero scattato una di quelle foto in cui le gemelle indossano identici vestiti e stesse acconciature.
Perfino la seconda volta, con l'ispettore Jerome Ryars che mi stava alle calcagna, ardeva una flebile scintilla di utopia nella mia testa, abbastanza luminosa da impedire che mi arrendessi.
Perché ce la potevo fare. Perché avevo una chance. Dovevo solo continuare a muovermi, incurante di aver raggiunto il limite, e spingere un piede davanti all'altro senza mai arrendermi.
Ma in entrambi i casi, le cose non sono andate come speravo io: questo mio malgrado l'ho imparato. È che il vero dilemma del fallimento non sta affatto nel concepirlo, quanto piuttosto nel doverlo accettare.
Quando mi precipito giù per le scale, volando da un piano alll'altro come se mi avessero cucito le ali alle suole delle scarpe, so benissimo che non ho alcuna speranza di arrivare a destinazione prima che il sistema di sicurezza venga disattivato. Potrei sfrecciare alla velocità della luce o smaterializzarmi da un punto all'altro dell'edificio, ma nessuno dei miei sforzi impedirebbe ad Oswald Crichton di segnare la nostra rovina dopo tutto il tempo che ho impiegato a liberarmi di Beatrice.
È per questo che mando un messaggio al resto dei miei amici; uno solo, annaspando con la faccia premuta sul microfono del ricetrasmettitore. Lo dirigo verso ogni canale raggiungibile nel raggio del mio dispositivo, ruzzolando da un gradino a quello successivo con il rischio di spezzarmi l'osso del collo: - Stanno arrivando, - singhiozzo: - andatevene via da qui!
E non guardatevi indietro.
Non si tratta di fare la vittima sacrificale, né di dover dimostrare che valgo abbastanza da costringere i Novi a ricredersi sul mio conto. È per qualcosa che Crichton mi ha detto, la prima volta che sono entrata nell'antro fatiscente del suo laboratorio: non si dovrebbe mai spezzare un legame chimico se non si è sicuri di quanta energia finirà col liberare. Allo stesso modo, le gemelle Crowford – pericolose come due isotopi1 dello stesso elemento radioattivo - non avrebbero mai dovuto sfidare la sorte e separare le loro strade.
E se fossimo state noi due la causa di tutto questo? La variazione infinitesimale che modifica l'andamento del sistema; la farfalla che batte le ali a Rio e scatena un uragano in Texas2. Se il nostro ruolo fosse stato quello di distruggere il reticolo cristallino3 che teneva in equilibrio le Fazioni, dando inizio alla catastrofe? Dopotutto ai Novi serviva una miccia accesa: io e Lilith abbiano fornito loro una fiamma.
Mentre salto da una rampa all'altra per raggiungere il primo piano, la mia diventa una gara persa in partenza contro la corrente elettrica. Le luci si stanno riaccendendo in ogni corridoio, stanza e angolo di edificio, precedendomi lungo i circuiti intersecati nelle pareti.
Il primo gruppo che incontro lungo il percorso, riunito alla periferia dell'atrio, è quello malconcio di Ren. L'ascensore principale ha appena ripreso a funzionare, ma nessuno dei ragazzi che gli stanno intorno sembra nelle condizioni di prendere l'iniziativa e dirigersi verso i laboratori. Sono tutti ricurvi e coperti da uno strato pallido di intonaco, come se il crollo di una parete li avesse investiti sotto una tempesta di polvere.
- Sybil! – mi chiama, Ren, sventolando un braccio nella mia direzione.
La scena entra a far parte del mio campo visivo per poco meno di un secondo, prima che me la lasci alle spalle nella foga di raggiungere la Sala Circolare. Catturo poche immagini, una più disperata dell'altra: quella di una bambina che dondola inerte dalle spalle di Ren, immobile e flaccida come una bambola di stoffa; Seokjin che sorregge uno dei feriti, agganciandogli il fianco per evitare che si accasci.
Se fuggono adesso, potrebbero raggiungere gli altri prima che il sistema di sicurezza ceda definitivamente. Se si sbrigano –
- Sybil, - ripete, Ren - ce l'hai fatta, hai –
- Andate di sotto, - gli urlo, zoppicando sulla gamba che ha ripreso a sanguinare. Sotto i pantaloni sento i cerotti sul punto di staccarsi e i brandelli di pelle tirare. Ma non posso fermarmi adesso. Ferite aperte o no, devo continuare a muovermi.
Riprendo a correre, ignorando i prodromi dello svenimento. Nonostante continui a scivolarmi di mano, la pistola di Beatrice è come un pezzo di ghiaccio capace di risucchiarmi il calore dalle arterie.
- Devi venire con noi, - mi gridano dietro: - Maria starà già guidando i ragazzi verso la pista d'atterraggio!
- Stanno per entrare, - rispondo.
Tirarlo fuori è quasi liberatorio, in un certo senso. Che valore ha un segreto, quando è l'ultima cosa che potrebbe uscirti dalle labbra? Nessuno, oltre quello di un inutile tradimento. Se spaventarli a morte è il prezzo da pagare per metterli in salvo, che si scateni il terrore.
- Portali di sotto, - strillo a Ren - portali di sotto!
Lo scalpiccio delle loro scarpe s'interrompe. Hanno smesso di seguirmi. Hanno capito.
- Avete pochi secondi, - esclamo, per assicurarmi che non provino a fermarmi.
- Ti prego, Ren, andate via!
Andatevene senza di me.
Questa storia non ha bisogno di altri martiri all'infuori di quelli che l'hanno scritta. Siamo solo dei ragazzini, certo. Non doveva capitarci tutto questo, ma orma ci siamo dentro.
Spingo la mia resistenza fisica verso un confine che non avrei mai immaginato di poter raggiungere. Ed è proprio questo il punto. Non ci riesco. I miei muscoli non sono fatti per sopportare questo calvario. Li sento tendersi e riaccorciarsi a fatica, come se bastasse un'altra minima contrazione per strapparli dai loro tendini.
Vorrei avere la scelta di rallentare e prendere fiato, eppure non faccio che accelerare le mie falcate. Vorrei avere più tempo a disposizione, eppure sono sempre in ritardo.
Perché anche questa volta, come tutte quelle che l'hanno preceduta, lui è arrivato prima di me.
***
All'inizio scorgo le onde diafane che gli incorniciano la testa in uno scompiglio dorato. È l'effetto della luce calda che proviene dallo studio, realizzo: trasforma i suoi capelli nell'illusione di una corona. Ne vedo dondolare le punte annerite, come spine intorno al suo collo da cigno, mentre scuote la testa con fare concitato.
Nicholas se ne sta con le braccia tese davanti a sé, la figura a dir poco inequivocabile nella cornice che l'architrave della porta gli disegna intorno.
Dallo scorcio di visuale che intravedo all'interno della Sala Circolare, Crichton lo sta fissando con lo sguardo vacuo di chi non ha più niente da perdere, oltre alla propria disastrosa esistenza fatta di scelte sbagliate e sporche manipolazioni. Tra di loro è sospesa una proiezione semitrasparente di diagrammi indecifrabili che si susseguono come i numeri di un count-down.
Non gliel'ho detto, che Oswald sarebbe stato qui.
Che lui e Beatrice ci hanno consegnato nelle mani dei nostri nemici, assolutamente disposti a sacrificarci purché il loro piano vada a buon fine.
Desideravo solo che si mettesse in salvo insieme ai nostri amici. Non potevo immaginare che di tutti i posti in cui poteva cercarmi avrebbe scelto proprio questo.
Mi avvicino di soppiatto, rallentando l'andatura. Nessuno dei due fa caso alla mia presenza, ma da questa posizione riesco ad inquadrare l'espressione di smarrimento che Crichton si è cucito addosso. Se ne sta lì, sfoggiando un sorriso quasi distratto, con la mano alzata verso Nicholas in segno di saluto. Che debba diventare questo, l'ultimo ricordo avrò di lui? Quello di un ghigno ingiallito, che gli scava gli angoli della bocca in due solchi paralleli?
Le mie mani si chiudono l'una sull'altra, a impugnare il manico della pistola. È come se qualche sconosciuto avesse preso il controllo del mio corpo, sopperendo all'agitazione febbrile che mi rallenta la mente.
Ma se sbagliassi mira nel tentativo di freddare Crichton?
Se colpissi Chol? Non ho mai messo piede in un poligono di tiro. Non ho mai premuto un grilletto che non fosse quello di una pistola ad acqua. Non ho la minima idea di ciò che sto per fare. Ma riuscirò a fermarlo, mento a me stessa. A costo di ucciderlo, se necessario, perché tutto ha un prezzo: perfino la vita delle persone.
Lo sento farfugliare qualcosa di insensato. Osservo la sua barba tagliata male e il suo grigiore reso ancor più cupo dal fumo che inquina l'aria.
- Sai che cosa succede al carbonio, quando è sottoposto alle giuste combinazioni di alta temperatura e pressione? – domanda.
Io avanzo in bilico sulle punte, approfittando della copertura offerta dal corpo di Nicholas. Il suo tono di voce è glaciale, mentre intima a Oswald di farla finita e lasciargli il controllo della Sala Circolare.
- Non diventa grafite4, - prosegue Crichton, senza degnarlo di ulteriori attenzioni: - si trasforma in un diamante.
Adesso o mai più.
- Chol, - grido, per costringerlo a mettersi da parte.
Chiamo il suo nome quando ci sono meno di dieci piedi a separarmi da lui. Si volta di scatto a cercarmi da sopra una spalla, con la bocca leggermente dischiusa per effetto della sorpresa. Gli ordino di scansarsi così che Crichton cada sotto il tiro dritto del proiettile, ma lui rimane a guardarmi senza sapere come reagire.
Confuso, sollevato.
C'è l'ombra del mio nome sulle sue labbra quando, approfittando della sua distrazione, Crichton preme un pulsante sulla scrivania a mezza luna e porta a termine il proprio compito. Nell'istante successivo, il sistema di sicurezza crolla.
***
L'aria calda che mi scortica la faccia.
È il principale mutamento che registro, nonostante i vetri che schizzano da tutte le parti e il frastuono assordante proveniente dall'esterno. Non appena l'isolamento ignifugo della Villa viene disattivato e le lastre di titanio che proteggevano porte e finestre si ritirano nelle pareti, il vento bollente che soffia dal bosco ci investe in pieno con la potenza di un torrente.
Sento i miei capelli alzarsi e frustarmi le guance, mentre i fogli sparsi per lo studio si sollevano verso il soffitto e la Sala Circolare si surriscalda come un forno.
Riesco a lanciarmi in direzione di Nicholas nell'esatto momento in cui due uomini attaccati a un filo metallico irrompono attraverso i resti delle finestre, atterrando con una capriola perfetta che ne ammortizza la caduta.
Oltre il perimetro dello studio, sul limite opposto del corridoio, un'altra figura bardata di bianco s'introduce nell'edificio, scatenando un'esplosione sfrigolante di scintille. Tutto si trasforma in un magma inarrestabile. Informazioni, suoni e sensazioni fluiscono da ogni centimetro di spazio come se ci trovassimo nel bel mezzo di un disastro naturale.
Riconosco il ruggito delle fiamme e il crollo dei calcinacci che si propaga attraverso le pareti. Al centro dell'ufficio, Crichton sta agitando le braccia in alto come in preda alle convulsioni.
- Abbiamo fatto quello che volevate, - strepita, - adesso –
Ho giusto il tempo di tirare Chol via dalla porta, prima che uno degli assalitori pianti una pallottola nella gola di Oswald e lo riversi sulla scrivania. Con sdegno, quasi avesse ucciso una mosca fastidiosa. La vista del sangue che zampilla sul bavero del suo camice annienta la mia coscienza come se niente di lontanamente umano fosse rimasto a governare le mie azioni.
Hanno appena freddato l'uomo che li ha fatti entrare, esalo.
Hanno ammazzato il loro stesso complice.
Non indugio. D'improvviso non c'è niente di cui riesca anche solo a dubitare; nessuna emozione mi annebbia la mente e rallenta i miei riflessi. Attiro Nicholas contro il mio corpo per allontanarlo dal foro d'uscita della mia arma e sparo all'uomo più vicino, colpendolo a una coscia. Subito dopo faccio dietrofront, senza aspettare di sentirlo gridare o assicurarmi che possa sopravvivere.
La mia mira non è poi così pessima.
Prima che gli altri due abbiano anche solo il tempo di contrattaccare – forse Beatrice diceva sul serio, forse ci risparmieranno perché hanno bisogno di noi, forse esiteranno quel che basta a permetterci di fuggire – Nicholas si avvinghia alla mia manica e mi trascina nell'unica via libera a disposizione.
- Corri, - ringhia, strappandomi la pistola dalle dita, - non ti fermare. Corri, corri, corri!
Imbocchiamo un corridoio sulla sinistra, inciampando sulle schegge che si vanno accumulando lungo i tappeti. Ci tiriamo l'un l'altro in una fuga priva di qualunque pianificazione razionale: mentre il fumo si riversa dal bosco e striscia sotto i nostri piedi, attraversiamo porte e incroci con il solo intento di mettere qualche distanza tra i nostri corpi stremati e i Novi che ci stanno inseguendo a tutta velocità.
C'è una detonazione alle nostre spalle, che sgretola una colonna e fa scollare gli stucchi dai lampadari. Il pavimento del primo piano comincia a vibrare con la stessa intensità dei secondi che hanno preceduto l'attacco, facendomi sbandare verso il muro.
Finisco per sbattere il gomito contro uno scaffale, rovinando sulle ginocchia con una scossa lancinante che mi toglie la sensibilità.
- Sybil, - tossisce Nicholas. Io non gli rispondo.
Mi rialza con un unico strattone, strofinandomi via la polvere dalla faccia.
Entrambi cominciamo ad annaspare, mentre il suono di passi alle nostre spalle si fa sempre più pesante.
Ce ne sono a decine. Di soldati mandati a prenderci. Di uomini armati fino ai denti.
Mi accorgo che da qualche parte i ragazzi stanno gridando aiuto. La voce inconfondibile di Ren è rotta dalla paura, e più acuta del solito. Udiamo qualcosa di indistinto, come un tonfo sul terreno, poi uno sparo che mette a tacere qualunque rappresaglia. Da ogni parte della Villa, gli ordini sputati dai nostri assalitori che si fanno strada a suon di macerie diventa così vicino da inghiottire ogni briciola di coraggio.
- Abbiamo fallito, - bisbiglio. Per una volta ci ho visto giusto.
Stiamo per morire, o per essere portati via, lontano dalle nostre famiglie; lontano l'uno dall'altro. Il panico che mi cementa i pensieri mi impedisce di distinguere quali tra le due possibilità sia effettivamente la peggiore. Nicholas spara un proiettile carneis dietro di sé e subito dopo mi spinge dietro la porta più vicina al punto in cui ci siamo riparati.
È quella della biblioteca. Non ho idea di come ci siamo arrivati, ma Chol sembra aver recuperato abbastanza senno da mettere da parte l'istinto. Sbarra l'ingresso da cui ci siamo intrufolati, spingendoci contro una scrivania, poi mi fa acquattare dietro uno degli alti scaffali che sfiorano il soffitto. Lo vedo guardarsi intorno, sbirciando attraverso i bordi dei libri con le orecchie ben aperte. Stiamo tremando, tutti e due, sia per la fatica che per la scena surreale a cui abbiamo appena assistito.
Non c'è stata nemmeno l'occasione di metabolizzarla.
La situazione è semplicemente precipitata da un secondo all'altro.
Affondo le unghie nelle caviglie, ansimando tra la fessura sbucciata delle mie gambe. C'è un rivolo scuro di sangue che mi solletica il labbro e macchia il bordo della mia maglietta. Cade un goccio alla volta, con una regolarità quasi estenuante; scomposta, in mezzo a tutta questa rovina. Nicholas mi solleva il mento con due dita scottate, poi tampona il taglio sul mio viso. La sua premura, ora come ora, sa di resa totale.
- È finita, - ingoio, ma la saliva sembra stata prosciugata dalla mia bocca. Non riesco più a distinguere i sapori e la mia vista si sta riempendo di macchie nerastre che rendono difficile mettere a fuoco da vicino.
- Hanno vinto loro.
Forse riescono a sentirci sussurrare attraverso le crepe nel cemento. Forse sono abbastanza vicini da non dover nemmeno sforzare l'udito sotto i suoni della Villa al collasso. Nicholas si agita sul posto come un uccello dalle ali spezzate, facendo scattare la testa da una direzione all'altra nel tentativo di orientarsi. Allunga leggermente il collo sudato oltre il bordo dello scaffale, poi mi fa cenno di seguirlo.
- Non è finita finché non lo decido io, - dice. L'imitazione del suo tono saccente e autoritario gli riesce a stento, e stavolta saperlo mentire è a dir poco insopportabile. È insopportabile vedere questa manciata di false speranze disfacciono davanti ai suoi occhi, vuoti e appannati come finestre di una casa abbandonata.
Scuoto la testa senza alcuna rabbia: - Smettila, - sospiro.
- Non c'è nient'altro che tu possa fare. Hanno preso Xanders. E Zelda. E Ren, -
E tutti quelli che si trovavano al piano di sotto. Hanno preso il controllo dell'edificio, protetti dalle loro morbide armature. Se Nicholas non è mai stato uno da dubitare delle evidenze, perché si sta rifiutando di affrontarle?
- Ho sempre un asso nella manica, creaturina.
Lo dice con l'angolo della bocca leggermente sollevato. Rimango ad osservarlo mentre ricollega il suo orologio alla rete dell'Istituto, premendone lo schermo con i polpastrelli in via di guarigione.
- C'è un'altra via d'uscita, - precisa, - ricordi?
Mi premo addosso i palmi delle mani, recuperando uno stralcio di conversazione al di sotto del cerchio di dolore che mi stritola le tempie. Alcuni di loro ne stavano discutendo, in effetti: due modi per raggiungere la pista d'atterraggio senza dover passare dall'esterno; il primo, quello situato nella profondità dei laboratori e imboccato dai nostri amici al riattivarsi della corrente.
- Che mi dici del secondo? – gracchio.
Nicholas si fa più impaziente.
Sta per arrivare qualcuno, capisco. Dobbiamo muoverci.
La sua rivelazione è assolutamente inaspettata: - Il San Giovanni Battista, - dice, poi riprende a camminare a carponi con la pistola che sfiora il pavimento.
- Il quadro? – sibilo.
Deve essersi bevuto il cervello.
- L'ascensore sotto il quadro, - specifica.
- Costituisce la seconda uscita d'emergenza dall'edificio.
Tutto questo è assurdo. L'immagine della mia prima visita alla Villa in compagnia di Alphy è concreta e dai colori definiti: è stata Leslie a indicarci quel dipinto – il busto di un uomo dal sorriso enigmatico e i ricci bruni intorno alle spalle – spiegandoci che quell'ascensore può solo salire. Lo dico con giusto una nota di veleno nella voce.
- In condizioni di necessità il Rettore dell'Istituto può ricongiungerlo allo stesso percorso sotterraneo da cui sono fuggiti tutti gli altri. Ci poterà fuori da qui, Sybil, dobbiamo solo raggiungerlo.
La sua disillusione è più spaventosa dell'orda di Novi che potrebbero circondarci da un momento all'altro. È questo quello che ha provato Nicholas tutte le volte che gli ho proposto un piano sgangherato dei miei? Questa consapevolezza che stiamo per cadere vittima di uno slancio di follia?
- Non stai dicendo sul serio, - mi lamento.
- A Maria serve una traiettoria. Se anche raggiungessimo la pista, non riusciremmo a spiccare il volo senza farci sparare addosso. Chol, ci hanno in pugno.
Lui si ferma giusto il tempo di mostrarmi lo schermo che porta al polso.
- È stata ristabilita la corrente, - spiega, tutto trafelato: - ho di nuovo accesso al sistema, Sybil. Loro hanno il controllo dell'edificio, certo, ma io posso riconnettermi alla linea e passare inosservato.
Mi precede prima che possa anche solo pensare di protestare. Non la smette di parlare come se lui non fosse tra quelli che devono essere salvati; come se fosse sceso a patti con l'idea di dover scomparire mentre il resto di noi continuerà ad esistere. Gli afferro il bordo macchiato dei pantaloni, subito sopra la fasciatura, tirandolo debolmente contro di me. Se non sono mai stata così spaventata prima d'ora è perché non ho mai avuto abbastanza da perdere.
Nicholas si piega all'indietro, quasi volesse confortarmi.
Poi però ci ripensa: - Non possiamo lasciare che ti prendano, - scandisce.
- So che vuoi proteggere tutti quanti, creaturina. Ti conosco. Se fosse possibile, non lasceresti indietro nessuno, ma adesso sei la nostra priorità. Per un bene superiore. Non potrai salvarci una volta che ti avranno catturata e sbattuta in una gabbia per cavie da laboratorio.
L'immagine che mi trasmette è dura e crudele. Deve esserlo se voglio riscuotermi e farla franca. Lancio un'ultima occhiata a dintorni prima di annuire e seguirlo verso l'ingresso opposto della biblioteca. Se riusciremo ad attraversarla senza essere ammazzati – o peggio, - dice Chol, - fatti prigionieri – ci ritroveremo a pochi metri dall'uscita di emergenza.
Mi muovo rapida come la sua ombra, stando ben attenta a non rimane indietro. Sgattaioliamo tra le infinite pile di libri nella collezione, mantenendoci piegati e combattendo contro l'impeto di tossire per schiarirci la gola.
Letteratura Giapponese, leggo con la coda dell'occhio, mentre sfioro il legno per stabilizzarmi: Akutagawa, Tanizaki, Akinari5. Qualcuno dei nostri nemici si è già fatto strada all'interno della sala, questo è chiaro. Se solo riuscissimo a evitarli abbastanza a lungo da raggiungere l'altra estremità della biblioteca, Nicholas potrebbe trovare un modo per far funzionare il suo piano.
Passiamo da un settore all'altro con silenziosa rapidità, mentre l'oscillazione delle pareti sposta alcuni tomi dalle mensole più alte.
Architettura, antropologia, musica.
Abbiamo appena sorpassato la metà della stanza quando una scossa peggiore delle precedenti fa cadere tutti i libri alla nostra destra, lasciandoci scoperti. Improvvisamente mi ritrovo faccia a faccia con una donna dall'enorme stazza e la visiera del casco abbassata. Ci fissiamo poco meno di un secondo, poi lei alza la sua pistola verso di me.
- Cucù, - soffia.
Mi abbasso giusto in tempo per sentire un ago che sfreccia sopra la mia spalla.
Un tranquillante, indovino, proprio come sospettavo.
Quelli di loro che ci hanno riconosciuto durante l'inseguimento, ci vogliono vivi. Il problema peggiore sono tutti gli altri.
- Nicholas! – strillo.
Lui mi dà uno spintone così energico da farmi finire dietro il bordo di un divanetto. C'è un altro sparo dall'eco sibilante, poi duetrequattro che si susseguono senza pause, e la nostra posizione viene tradita una volta per tutte. Altri tre uomini vestiti di bianco sbucano da direzioni diverse per accerchiarci in un unico punto, e a noi non resta che difenderci con le unghie e con i denti. Chol si appiattisce contro una fila di dizionari e spara verso la catena di ottone che sospende il lampadario sopra la testa di un soldato. Non mi accerto nemmeno che si fracassi sul pavimento, sfruttando la confusione generale per lanciarmi contro il soggetto meno robusto della squadra. Lo assalgo con tutto il peso del mio corpo, fino a farlo sbilanciare su degli scaffali stracolmi di volumi che gli precipitano sul capo.
Approfitto del suo stordimento per afferrare un mappamondo di legno colorato da una delle scrivanie, poi lo uso come un ariete da sfondamento. Prendo la rincorsa, stringo i pugni e lo centro nello stomaco dove la divisa isolante è meno spessa.
Se non altro, mi è rimasta una buona dose di fantasia.
Mi soffio i capelli dalla faccia, sbirciando verso lo spiazzo in cui Nicholas sta combattendo contro il terzo di loro; o il quarto, o il quinto. Non lo so. Ma scommetto che ne stanno arrivando altri e io devo darmi una mossa.
L'uomo è ancora piegato in due dal mio colpo: si fa sgusciare il casco dalla fronte con l'illusione di ritrovare il respiro ed è a quel punto che stirando al massimo il braccio, afferro la scala scorrevole che connette in altezza gli scaffali della biblioteca. La trascino con una furia animale, sbattendogliela contro e aprendogli uno squarcio sul cranio rasato. Lui si affloscia per terra senza più rialzarsi.
Fuori uno.
Cerco di fare mente locale mentre compio un giro su me stessa.
Nicholas è stato messo a tappetto e una donna si sta arrampicando sul suo corpo per tenerlo lontano dalla pistola. C'è un'altra fonte di disordine nella sala, accompagnata dai suoni di una colluttazione in atto, ma non riesco a individuarne la posizione. Sono troppo impegnata a osservare la punta del teaser che cala ripetutamente sulla gola di Nicholas per dargli la scossa.
Zzzz.
C'è il rumore della carne che sfrigola, poi Chol si contrae a disegnare un arco rigido con la schiena. Lo sento gemere di dolore e mordersi la lingua. Vedo i suoi legamenti stirarsi verso la soglia della rottura.
Sto per raggiungerlo quando Wadad sbuca fuori dal nulla e piomba su di lui con il braccio meccanico pronto a colpire. Lo cala sulla donna per afferrarle la collottola, poi fa roteare il polso di trecentosessanta gradi, fino a quando il materiale scivoloso che la ricopre interamente non rischia di strozzarla. Nicholas ne approfitta per sgusciare via e recuperare la pistola, voltandosi giusto in tempo per vedere la nostra amica mettere fuori combattimento la sua assalitrice.
Perché non si tratta dell'androide.
Wadad, del resto, è stata distrutta.
Chi ci ha salvato è –
- Shad, - esclamo, sbandando verso di lei. Le mie ginocchia sembrano di gelatina e quelle di Nicholas lo reggono a stento dopo essere stato fulminato.
Lei ci guarda con un misto di dolcezza e agitazione.
- Alhamdulillah6, - sospira: - non riesco a credere che siate vivi.
- Tu.
Nicholas si massaggia il collo con aria esterrefatta. Oserei dire che è rimasto a corto di parole.
- Sei stata grandiosa, - balbetto.
Ha salvato Nicholas Reichenbach e di conseguenza ha salvato me. E cosa più importante di tutte, sta bene. Solo adesso mi rendo conto di quanto rigettassi l'idea che l'avessero presa insieme al gruppo di Ren. Ci stringiamo forte, con urgenza, ma subito dopo lei e Nicholas mi trascinano verso l'uscita.
- Sono dappertutto, - boccheggia. C'è una nota metallica nella sua voce, come se le batterie del suo apparato fonatorio si stessero scaricando, ma per il resto sembra ancora in perfetta forma.
- Sono tornata indietro a cercarvi non appena ho ricevuto il tuo messaggio, - rivela, - ma mi hanno quasi catturata.
- Li ho sentiti parlare di Sobràl, mentre portavano via alcuni dei ragazzi. Hanno assalito tutti gli istituti più importanti del paese, Chol. Perfino quello di Washington.
Traggo le mie conclusioni con una certa con incredulità: stanno pensando a Franz. Shad e Nicholas non sanno che è coinvolto in tutta questa faccenda. Non ho avuto il tempo di dirglielo e non credo che avrebbe senso farlo adesso.
Chol le spiega rapidamente il nostro piano, scavando sul fondo delle proprie tasche per cacciarne fuori un oggetto rotondo e dalla superficie lucida. La moneta romana che gli ha consegnato Xanders, realizzo.
- Un ultimo sforzo, - mi dicono e in effetti siamo molto più vicini di quanto non credessi possibile. Quando arriviamo davanti all'ascensore sormontato dal dipinto, la via è ancora incredibilmente sgombra. Io e Shad ci disponiamo intorno all'ingresso per guardare le spalle di Nicholas, ma stavolta è lei a prendere il testimone della nostra unica arma da fuoco. Non so spiegare quanto le sia grata per questo piccolo gesto di premura: deve aver capito che non riuscirei a tenerla di nuovo in mano senza che mi venga da vomitare.
Il San Battista ci guarda con un sorriso malizioso d'incoraggiamento, l'indice alzato a indicare il cielo. L'adrenalina è talmente concentrata nelle mie vene che quasi non distinguo i ricordi reali dalle sciocchezze che ho solo immaginato, e la presenza rassicurante di Shad – con i suoi modi pacati e una certa aura di tranquillità - è l'unica ancóra a cui possa ancora aggrapparmi.
- È un falso, - dico all'improvviso.
- Leslie diceva che si trattava di un vero quadro di Leonardo, ma non lo è. È un falso, vero?
Nicholas alza leggermente le sopracciglia, come se la mia osservazione l'avesse messo a nudo; come se l'imbroglio fosse tutta colpa sua. Non mi chiede come l'ho capito o perché ci sia riuscita proprio adesso, nel momento meno opportuno a nostra disposizione.
- Ma certo che lo è, - sbuffa.
- Solo che tutti preferiscono convincersi del contrario.
Dopo aver armeggiato con la tastiera esterna dell'ascensore, Nicholas inserisce la moneta romana all'interno di una minuscola fessura tra i tasti di chiamata. La fa ruotare di centoottanta gradi e come per magia il dipinto si capovolge fino a quando la punta del dito del Santo non si incastra verso il basso. C'è il trillo di una sicura che si sblocca, poi le porte scorrevoli si spalancano.
Rimaniamo a fissarci con una certa tensione, ma io faccio spallucce.
- Ho smesso di farmi domande, - soffio.
Nicholas è il primo ad entrare, seguito a ruota da me e Shad, ma l'espressione di tutti e tre resta piuttosto guardinga. Condividiamo lo stesso identico sospetto, suppongo: non saremo al sicuro finché non ce ne andremo da questo posto.
- Parti, - dice Nicholas, rivolgendosi all'ascensore: - avanti.
Mi ritrovo a scalpicciare senza sosta per allentare la morsa dell'ansia, ma non cerco di mettere fretta ai miei amici. Andrà tutto bene, me lo sento. Ce l'abbiamo praticamente fatta. Devo solo far finta che i suoni provenienti dall'esterno dell'ascensore siano una stupida finzione.
Sharazad è l'unica del gruppo a rimanere immobile e silenziosa.
Scruta attentamente davanti a sé, come in attesa di qualcosa che il suo orecchio meccanico possa aver catturato prima del nostro.
- Chol, - dice solo. Con calma, però. Nemmeno si scompone.
Noi due alziamo lo sguardo verso il fondo del corridoio, dove un ragazzo poco più grande della nostra età – con gli occhi a mandorla e i lunghi capelli neri che gli ricadono sulle spalle - se ne sta dritto con una maschera di distacco sul viso. Loro sembrano riconoscerlo all'istante, quasi fosse un volto noto dell'altra Fazione, e in un certo senso è questo particolare a frenare i loro riflessi.
Io invece non l'ho mai visto prima d'ora, e tutto quello che noto è il modo in cui è vestito.
E in cui ci punta addosso un fucile.
- Sharazad, - esclama Nicholas per avvertirla.
Lei però non la alza nemmeno, la sua arma da fuoco. Semplicemente, la violenza non è scritta nel labirinto intricato del suo DNA.
L'istinto di Shad non è quello di un'assassina, ma di una protettrice, come Wadad.
Si piazza davanti a noi senza un barlume di esitazione, sollevando le mani in segno di pace, sicura che il ragazzo ci risparmierà.
Dio.
A guardarla adesso, vorrei che lo dimostrasse.
Un ripensamento, un dubbio di qualche sorta sul fatto che valga la pena di farci da scudo con il proprio corpo, beccandosi una trivellata di proiettili al centro esatto del petto. Non appena l'ascensore si decide a partire, alcuni colpi vengono frenati dalle porte in chiusura. Altri la attraversano in pieno, coperti dalle mie grida insensate,
Subito dopo il ragazzo sparisce dalla nostra vista e l'ascensore schizza verso il basso a una velocità così esagerata che l'inerzia ci scaraventa per terra.
Io, Nicholas e Shad, premuti contro il pavimento. L'uno sopra l'altro.
All'inizio sembra che la pozza di sangue che si sparge sul pavimento appartenga a tutti e tre. Ma non è così.
Sharazad non avrebbe mai permesso che accadesse.
E tutto quel sangue è solo suo.
***
- Nicholas, - annaspo, - Nicholas, dobbiamo –
Dobbiamo cosa?
- Aiutami a premere le ferite, - lo scongiuro, - dobbiamo solo –
Solo cosa?
Solo cosa?
Siamo inginocchiati sul fondo dell'ascensore, con i palmi che scivolano per colpa del liquido denso che fuoriesce dalla trachea di Sharazad a ogni suo respiro. Lei è distesa tra le mie braccia, con i campanellini trai suoi capelli che suonano debolmente non appena vengono mossi dagli scossoni. Non glieli ho visti indossare questa mattina, perché semplicemente non ero con lei; ho perso questo rituale, regolare come il sorgere dell'alba e altrettanto familiare.
Il modo in cui le sue mani di due colori diversi si intrecciano abilmente dietro la nuca; il dondolio sinuoso delle sue ciocche corvine.
L'ho perso.
- Nicholas, - ripeto, - per favore.
Non so con esattezza quando ho cominciato a singhiozzare, ma dev'essere stata una reazione immediata. Faccio per incrociare gli occhi di Chol, atterriti e gonfi di venature e bagnati di qualcosa che assomiglia alle lacrime.
Ma non è possibile.
Nicholas non cederebbe mai alla disperazione, a meno che –
- Aiutala, - mormoro, - ti prego.
La sua ammissione è qualcosa che non gli avevo mai sentito fare prima d'ora: - Non posso, - dice, senza nemmeno provare a tamponare le ferite; senza confidare che come per tutti gli altri Novi, l'organismo di Shad compia il miracolo di richiudere le sue arterie e mantenerla in vita. Perché lei non è più una di loro. Non lo è da tantissimo tempo, ormai.
Nicholas sbatte le ciglia per schiarirsi la vista: - Sybil, - confessa, - non c'è niente che io possa fare.
Mi volto verso di lui, ma sono fuori di me. C'è un grido disumano dietro la mia gabbia toracica, che minaccia di squarciarmi il petto a metà.
- No, - ruggisco - no, non è vero. La porteremo con noi sull'elicottero.
Per andare dove?
- In ospedale, - mi rispondo ad alta voce.
Dove?
- Da qualche parte.
Cerco di rintracciare ogni singolo foro di proiettile sull'addome di Shad. Perdo il conto. Ricomincio, ma non ci riesco.
- Avevi detto che ci volevano vivi! – balbetto, ma impiego poco a rendermi conto dell'idiozia di una tale affermazione. Se l'alternativa era farci scappare e lasciare la Fazione a mani vuote, nessuno dei Novi avrebbe esitato ad ammazzarci. Beatrice me l'aveva garantito poco prima del nostro scontro.
- Shad, - la chiamo, sfiorandole le guance per costringerla a rimanere sveglia: - tieni duro, okay? Ci siamo quasi.
Lei però non mi risponde.
Le sue protesi sono tappezzate da impronte rosse e c'è un rivolo di fumo che sbuca da sotto una clavicola.
Nicholas non la smette di sussurrare: - Sybil, mi dispiace, ma è troppo debole. Le porte dell'ascensore si apriranno a momenti e a quel punto dovremo correre verso la pista d'atterraggio il più velocementepossibile -
- NO! – abbaio.
Come può dire una cosa del genere come può pensare che me ne vada senza di lei come –
- La porterò via di qui!
Le dita di Shad hanno trovato l'energia per scalare le mie braccia. Sono fredde, mosse da spasmi, ma riescono a stringermi con una forza vitale che sa di miracolo. Il modo in cui il suo sguardo dalle ciglia lunghe guizza sulle nostre facce è lucidissimo.
- Non è qualcosa che possa essere aggiustato, - prosegue Chol.
- Se non ce ne andiamo subito, non avrai alcuna speranza di raggiungere l'elicottero.
- Smettila di parlare come se non fosse qui, - ansimo, premendola contro di me. Sharazad c'è ancora. Sento la vibrazione leggera dei suoi ingranaggi. Ne vedo la luce sottopelle. E io la farò rimanere.
- Sybil, - bisbiglia. Un movimento impercettibile delle labbra.
- Se riuscissimo a trasportarla fuori da qui, - comincio. Divento farneticante.
Ma non importa, perché la farò rimanere. Lei non se ne andrà.
C'è una frenata secca, poi un colpo che ci fa sbilanciare, e l'ascensore si apre su una galleria umida che guarda verso l'esterno. Ce l'abbiamo fatta.
Sto per dirglielo, ma la testa di Shad dondola all'indietro fino a scoprirne la gola sudata a freddo. Mi accorgo che il suo colorito ambrato ha lasciato il posto a un pallore esangue che la fa sembrare una statua.
- Sybil, - ripete e io chino il volto sul suo.
- Sono qui, - ingoio. Non me ne vado.
- Ce la farai, vero? – mi chiede: - Ce la farai, per me.
- Ce la farò se sarai con me. Ce la faremo. Rimarremo insieme, Shad, te lo prometto.
- Dovete andare.
- No. No, no no. Te l'avevo detto, a Chicago. Che saremmo rimaste amiche quando tutto questo sarebbe finito.
- Per sempre, - le dico, ridacchiando tra le lacrime: - come nelle tue storie.
Nicholas si prende il volto tra le mani. Shad invece mi sorride con quella dolcezza che è stata la mia fonte di salvezza in tutti questi mesi; la ragione per cui ho capito che mi potevo fidare di queste persone, il giorno in cui sono arrivata alla Villa.
- La mia eroina delle fiabe, - mormora.
- Sybil la spericolata. È stato così bello far parte delle tue avventure.
- Creaturina, - singhiozza Nicholas e Shad ruota leggermente la testa verso di lui. Pensa attentamente a quello che deve dire, come se fosse indecisa sul peso da dare alle sue ultime parole. Non sono per la sua famiglia, per sua madre, suo padre e le sue amate sorelle; non sono per me.
Sono per lui.
- L'ho capito, - esala, - sai?
Poi riprende fiato.
- Ma lei ti può salvare, Nicholas.
Le sue labbra sono viola, adesso. La sua voce un soffio d'aria.
- Shad, - piango, bagnandole le guance a contatto con le mie, - abbiamo bisogno di te. Resta.
Ma lei non mi guarda più.
È Nicholas che cerca. Come ad esprimere un ultimo desiderio.
- So che può, - insiste.
- Lasciala provare.
Nicholas si preme il dorso della mano sulla bocca, rannicchiato su sé stesso. Io invece non demordo. E se potessi farla respirare con i miei polmoni e ricostruire le sue ferite con la mia pelle, giuro che lo farei. Se potessi tenerla con me, la mia amica più cara, Shad buona come nessun altro, darei la mia vita.
- Sharazad, - le dico in un orecchio.
Non andare via. Raccontami un'altra favola, e poi un'altra, mille e una, prima di chiudere gli occhi.
La sua mano è ferma nella mia. Spegne l'ultima scintilla di vita che le è rimasta per portarsela sul cuore artificiale, puro e nobile, come se niente l'avesse mai scalfito.
Si ferma così.
Sotto le nostre dita intrecciate.
***
Minuscoli frammenti di realtà cominciano a sgretolarsi sotto il mio sguardo.
Se la colpa sia di qualche emorragia che ha ripreso a sanguinare, minacciando di farmi svenire, o dell'evento che si è appena consumato davanti ai miei occhi, non saprei neppure definirlo. Sono ancora dentro al mio corpo, ma in un certo senso svuotata e immateriale e alla deriva nello Spazio; sospesa in una valle di stelle morenti, dopo aver visto spegnersi l'astro che era solito indicarmi la via. La stella polare. La mia guida nel buio.
Pensieri sconnessi. Pensieri patetici.
Non riesco ad alzarmi, né a parlare, né a fare ordine nella mia testa.
Sento che se contraessi anche solo la più piccola fibra muscolare, finirei per disfarmi in una nube di atomi risucchiati dalla corrente. Nicholas mi sta stringendo forte, scongiurandomi di rialzarmi, ma per poco non ci faccio caso. Il suo volto è premuto tra le mie scapole e la mia maglia ridotta a brandelli ne sta assorbendo tutte le lacrime. Prima d'ora, Sharazad è stata l'unica di noi a vederlo piangere, nell'ospedale in cui l'avevano ricoverata dopo il suo incidente. Ma adesso non può farlo. Non può.Perché uno dei suoi occhi è appannato e spento e fisso in un punto lontanissimo; quello meccanico si è leggermente socchiuso, come quando le sue pile stavano per scaricarsi ed era arrivato il momento di andare a dormire.
Continua a succedere. Il suo nome torna tra i miei denti serrati, ancora e ancora, coperto dal crepitio del soffitto in oscillazione. Potrebbe essere una questione di minuti, prima che crolli sulle nostre teste per colpa dell'ennesimo attacco. Mi chiedo solo chi sarà il primo a cedere tra noi due. La dura pietra di questo tunnel sotterraneo, oppure io.
- Shad, - soffio.
Le mie dita non riescono a staccarsi da lei.
- Shad.
Mi piego in avanti. Se le braccia di Nicholas non mi tenessero insieme, probabilmente, mi sarei già sgretolata su di lei. Come argilla. Come qualcosa di troppo fragile per resistere.
- Mi dispiace, - singhiozza Chol.
Cerca di sollevarmi di peso, con le braccia infilate sotto le mie e le ossa che tremano. I capelli di Shad mi scivolano attraverso i polpastrelli quando perdiamo il contatto e veniamo separate. Le sue mani ricadono sul pavimento senza fare rumore, con la grazia di una natura morta che non ha più niente da dire.
Nicholas non osa nemmeno guardarla, io invece non posso farne a meno.
- Sybil, mi dispiace tanto.
Prova a portarmi lontano da lei, verso un arco scavato nella roccia da cui entra la luce infuocata dell'esterno. Non oppongo alcuna resistenza, né lo scongiuro di tornare indietro per portare Shad ovunque stiamo andando. Lascio che mi trascini al pari di un giocattolo, muovendo passi incerti, con gli arti che dondolando. Solo le mie pupille rimangono fisse nel punto in cui la mia migliore amica giace senza vita sul pavimento di quel maledetto ascensore.
È morta, mi dico.
Sharazad se ne è andata per sempre e non c'è niente che la riporterà indietro.
Da questo momento in poi, vivremo in un Mondo in cui lei non c'è più.
Ruzzoliamo in una radura circondata dai pochi alberi non ancora carbonizzati. Il prato è secco e ricoperto dalla cenere che piove ininterrottamente come neve di piombo, e l'aria è così inquinata da bruciarmi le narici. Sbatto le ciglia contro un cielo rosso, quasi al pari di un tramonto. La luce invernale è già calata da un pezzo, ma le fiamme hanno inghiottito la proprietà in uno scenario talmente infernale che il mondo dei vivi sembra solo un ricordo perso in superficie.
Nicholas mi sta ancora sorreggendo, così mi affido interamente alla sua volontà. Non so nemmeno dove siamo di preciso. Quasi non mi interessa. Mi limito a sollevare il mento dal petto per inquadrare due elicotteri dai vetri oscurati e le enormi code, ma non faccio alcuno sforzo per raggiungerli. Nicholas sta zoppicando verso il più grande dei velivoli, trascinandomi a stento, ed è chiaro che nonostante il nostro feroce ritardo i ragazzi sperassero di vederci arrivare sani e salvi. Liam, l'unico pilota già in posizione, ci sta fissando con espressione inorridita. La sua faccia da bambino è circondata da due enormi cuffie munite di microfono e il suo cappotto da volo gli sta troppo grande sulle spalle. Lo vedo pronunciare una manciata di parole verso il resto dei suoi passeggeri, ma i vetri posteriori sono tutti oscurati.
- Chol, - grida, qualcuno, precipitandosi nella nostra direzione. Io inciampo e Nicholas mi rialza con un grugnito di sfinimento.
Maria ci raggiunge dopo una corsa spericolata e aiuta Nicholas a stabilizzarmi su due piedi. Deve essersi accorta del sangue che inzuppa ogni centimetro di stoffa dei nostri vestiti, perché la vedo trasalire.
- Che cosa, - comincia, poi si chiude il gomito sotto il naso per non vomitare.
- State bene?
Toni e un altro ragazzo con la sciarpa legata a mo' di filtro la raggiungono per soccorrerci.
- Avevamo perso le speranze, - esclamano, scortandoci fino ai sedili anteriori dell'elicottero più vicino: - siamo appena riusciti a scappare prima che la situazione degenerasse. Non siamo più riusciti a metterci in contatto con gli altri e –
Alle nostre spalle – a poco più di un miglio di distanza – si alzano degli strani fischi. Maria conferma di aver sigillato il laboratorio di chimica al meglio delle sue possibilità, ma non c'è dubbio che gli uomini di Sobràl troveranno il modo di farsi strada. Non so quanto tempo ci resta prima che i Novi raggiungano questo posto e finiscano quello che hanno iniziato. Minuti, secondi.
C'è una scollatura troppo profonda tra quello che sto vivendo in tempo reale e i rimasugli della mia coscienza.
- Che cosa è successo? – ansimano i ragazzi.
Io e Nicholas non osiamo fiatare, né lasciare la presa che abbiamo l'uno sull'altra.
- Siamo scappati non appena l'elettricità è stata riagganciata, - spiega Maria, - ma qualcosa è andato storto. Abbiamo sentito degli spari provenire dalla Villa, poi delle grida. Ren sarebbe dovuto tornare da un pezzo insieme ai ragazzi rimanenti. E Sharazad –
Il suo nome è come una parola proibita per le altre persone. Nicholas spintona Toni per convincerla a mettersi in posizione. La disperazione è così evidente sul suo volto che nessuno trova il fegato di controbattere.
- Salite sull'elicottero, - ordina.
C'è solo un azzardo di ripensamento tra i presenti: l'idea che alcuni dei loro amici si trovino ancora nell'edificio, in balia dei nostri nemici.
Nicholas mette a tacere qualunque protesta con un comando glaciale.
- Ho detto salite.
Sospetto che sia il disfacimento del suo intero essere, più che il rimasuglio della sua autorità, a far schizzare i ragazzi verso i loro posti sul retro del velivolo.
La radura in cui ci troviamo sta per essere circondata dall'incendio. Maria fa cenno a Liam di mettere in moto la sua elica, poi torna a fissarci, con il petto che si gonfia a fatica e il casco che dondola da un avambraccio.
- Dove sono gli altri? – domanda, per coprire il rumore del motore in avviamento. Lei non piangerà, realizzo. Ha fatto i suoi calcoli, ma non piangerà.
- Sono vivi? – deglutisce.
Io sto per accasciarmi contro un lato dell'elicottero, il pugno stretto attorno a qualcosa di solido e dal colorito chiaro. Uno dei bulloni che tenevano unite le braccia di Shad, mi accorgo. Deve essermi rimasto in mano, mentre cercavo di soccorrerla.
Nicholas si asciuga una guancia con la manica.
- Non ce l'hanno fatta, - confessa, e Maria spalanca gli occhi come se l'avessimo colpita in pieno viso. Lancia un'occhiata sconvolta al vano dei passeggeri, come se i suoi amici potessero teletrasportarsi al suo interno da un momento all'altro. Poi si volta lentamente verso di noi.
- Li hanno presi? – prosegue e il vento che si sta alzando da ovest le scompiglia i capelli sulla schiena come sottili tentacoli.
- Maria, - dice Nicholas, senza smettere di sorreggermi: - abbiamo perso.
Sì.
È così.
Mi ficco il bullone in tasca per evitare di perderlo. Se fosse possibile, vorrei cessare di esistere in questo preciso istante. Qui e adesso. Polverizzarmi senza lasciare traccia di materia organica. Ma in un modo o nell'altro, Nicholas non me lo permette.
L'evento che mi catapulta di nuovo nelle mie ossa è qualcosa che gli ho visto fare prima d'ora, ogni volta che preferiva tenermi all'oscuro dei suoi discorsi. Lui e Maria cominciano a parlare in italiano, abbastanza fluentemente da sembrare che stiano recitando una poesia. Per il resto, non lasciano trapelare nessuna informazione.
- Non ci lasceranno andare, - dice lei, terrorizzata e determinata allo stesso tempo.
- Quei figli di puttana ci faranno precipitare se necessario, ma sta pur certo che non ci lasceranno fuggire.
- No, - risponde Nicholas, - a meno che io non riesca a fermarli.
Mi rimetto dritta e lo scuoto per una spalla.
- Di che cosa state parlando? – gracchio. Domandarglielo mi toglie il fiato. Pronunciare anche solo una parola, in questo momento, è un po' come morire.
- Controlla che tutti siano saliti sull'elicottero, - prosegue Nicholas, - subito. Ti fornirò la traiettoria di volo nel giro di pochi minuti, promesso. Nel frattempo li distrarrò abbastanza da tenere i loro tiratori alla larga. Dovrai volare al meglio delle tue capacità, Maria. Non ti posso garantire che riuscirò ad eliminarli tutti, ma proverò a darvi una chance.
– Nicholas, - insisto, intromettendomi nel loro scambio concitato.
È l'espressione di Maria a preoccuparmi; è il fatto che si sia fatta così livida da sembrare che stia soffocando. Tutto è pronto per lasciarci alle spalle la proprietà, eppure il modo in cui la sua mano indugia sulla portiera dell'elicottero, non fa presagire niente di buono.
Chol non distoglie mai gli occhi dai suoi: - Arrivata alla prima destinazione sicura, contatterai i numeri che ti avrò fornito e seguirai le indicazioni dei soccorsi, okay?
- Hai tu il comando, - aggiunge subito dopo, ma Maria scuote la testa.
- Hai mentito, - mormora, in maniera così flebile che per poco non la sento.
- Hai detto che saremmo saliti tutti.
- No.
Chol sorride: - no, non è vero; ho promesso che l'avreste fatto voi.
Maria mi rivolge una smorfia strana, come se volesse compatirmi, ma non fa lo sforzo di cedere alle mie richieste e tradurre quello che si stanno dicendo. Forse Nicholas le sta parlando di Shad; forse non vuole che io debba rivivere la scena così presto.
- Troverò un modo di cavarmela, - prosegue, quasi a distogliere la sua attenzione da me: - lo faccio sempre. Se salissi su quell'elicottero, perderei la connessione al sistema di controllo e nessuno di noi avrebbe una possibilità di fuga.
Qualunque cosa si stiano promettendo, Maria non ne pare troppo convinta. Riesco a vedere la battaglia che sta combattendo per non cedere alle emozioni.
- Giurami che è l'unico modo, - deglutisce e per la prima volta dopo tantissimo tempo, Nicholas sfoggia un ghigno saccente dei suoi. Con i canini che spuntano dalla linea delle sue labbra e lo zigomo sinistro leggermente alzato.
- Non troverete mai un piano migliore del mio, - dice: - non siete abbastanza intelligenti.
Maria si cinge il corpo con le braccia: - Lei lo sa?
Nicholas accenna una risposta. Ci indica di salire sull'elicottero, aiutandomi a superare il gradino che lo separa dalla pista. Sembra deciso e agile, come se una riserva insperata di energia gli fosse improvvisamente tornata a disposizione dopo l'esaurimento di qualche minuto fa. Mi fa sistemare nella cabina di pilotaggio, al fianco della console di volo, poi si posiziona alla mia destra.
Continuo a chiedergli delle spiegazioni su cosa hanno intenzione di fare, ma lui si limita a rassicurarmi che andrà tutto bene; la partenza avverrà a breve e qualcuno degli adulti finirà per soccorrerci. Nicholas ne è assolutamente convinto.
Siamo stretti, quasi accavallati sui sedili, e il mio gomito sfiora quello ossuto di Maria ad ogni movimento che compie per prepararsi alla partenza. La nostra postazione è del tutto separata dal resto dei passeggeri, ma riusciamo comunque a vederli attraverso uno schermo sul pannello di comando. I ragazzi appaiono decimati, feriti e consumati dalla fatica; come usciti da un incubo che abbia inghiottito la metà di quelli che si sono addormentati lungo il percorso.
Nicholas mi chiude le cinture di sicurezza attorno al petto, stringendole il più possibile dopo averne incrociato le stringhe fin sopra le mie clavicole. Lo prego di rimanere seduto al mio fianco invece che trasferirsi insieme agli altri. Ora come ora non potrei superare la paura di volare senza ancorarmi a lui.
Nicholas non risponde, armeggiando con le chiusure fino a bloccarmi contro lo schienale.
Quando Maria – con cuffie e microfono in posizione - si dichiara pronta a prendere quota e aziona le eliche del nostro elicottero, Chol le rivolge un'occhiata piena di significato. Il rumore che mi martella le orecchie è assordante, ma per la prima volta riesco a capire che cosa si dicono. Nicholas pronuncia giusto qualche parola, stringendo i denti per mantenere un barlume di controllo. Sono le sue dita artigliate sulla mia coscia a tradirlo, e gli occhi ancora lucidi, come se non avesse mai smesso di piangere.
- Dacci un minuto, - la supplica, - per favore.
Maria ci guarda come se ci vedesse per la prima volta, spostando lo sguardo da uno all'altro. Poi, senza proferire una parola, scende dall'elicottero e si allontana per far finta di controllare Liam.
È così che indovino.
O almeno comincio a farlo.
- Che cosa sta facendo? – balbetto, scrutando il volto di Chol.
La gola mi punge e le guance hanno ripreso a bruciare per colpa del sale nelle lacrime.
- Nicholas, che diavolo vuol dire?
Provo a muovermi sul posto, ma con orrore mi accorgo di rimanere perfettamente incollata al sedile. La cintura è stretta; così stretta che non riesco a sbloccarla, ed è chiaro che Chol volesse assicurarsi di tenermi ferma. Lo fisso a bocca spalancata, tirando forte una delle cinghie. Non si muove.
- Che sta succedendo? – ansimo.
- Perché Maria se n'è andata?
Nicholas preme le labbra in una linea, poi sfiora la mia tempia con la punta dell'indice. Pare quasi che voglia immergerlo nei pensieri, per riempirli di qualcosa che non sia questo dolore insopportabile. È un attimo, poi il suo sorriso cede a un singhiozzo.
- Niente che tu possa cambiare, - ammette.
Cosa?
Gli afferro entrambe le mani per trattenerlo.
- Nicholas.
Nonononononononononononononononononononono –
- Liberami. Subito.
Glielo grido, scandendo ogni lettera a un centimetro dal suo volto. Sono disposta a fargli del male se necessario. Sono pronta a slogargli i polsi pur di impedirgli di allontanarsi. Ma Nicholas non lo fa.
Avvicina il viso al mio, piuttosto, come a volermi rivelare un segreto.
- Ascoltami, - comincia, - Sybil, ascolta –
Lo tiro verso di me affinché non si azzardi a lasciarmi andare. Perché ho capito. Ho capito che cosa ha in mente e semplicemente non glielo permetterò. Non mi toglierà anche questo. I Novi non mi toglieranno anche questo.
Preferirei precipitare al suolo nel tentativo di fuggire, che lasciargli fare una cosa del genere.
- Non lo dire, - ansimo, - non osare.
Le nostre fronti si toccano giusto per un secondo. Nessuno ci sta guardando, ma in ogni caso a Nicholas non sembra importare che qualcuno dei passeggeri possa sbirciare la scena. È improvvisamente sereno e sospeso sopra tutto il resto, come se avesse trovato la giusta soluzione a questo strano rompicapo.
- C'è una speciale provvidenza nella caduta di un passero7, - sussurra solo.
Io non riesco nemmeno a rabbrividire.
Di che cosa diavolo sta parlando?
- Stai delirando, - gli urlo contro: - e ti ho detto di liberarmi!
- Se è ora, - continua, - non è a venire; se non è a venire, sarà ora.
- Smettila!
Lo spintono per avere più spazio d'azione, poi torno ad armeggiare con la cintura. Getto il mio corpo in avanti e scalcio sotto il sedile. Provo a infilare un braccio sotto le cinghie e prendo a pugni il punto in cui si inseriscono nella plastica.
Questo non è solo un attacco di panico.
È il sentimento peggiore che abbia mai sperimentato durante la mia intera esistenza.
E non lo supererò.
Stavolta non verrò risparmiata.
- So che cosa hai intenzione di fare, ma non te lo permetterò, okay? Rimarrai su questo elicottero, - grido, - hai sentito? Non lascerò che tu te ne vada!
- Alcune cose sono troppo grandi per la virtù degli uomini, Sybil. Perfino per la mia. Accadranno e basta, perché così deve essere, e non c'è niente che tu possa fare. Se lo avessimo accettato prima, forse non avremmo perso così tante vite.
Gli affondo le unghie nella carne e Nicholas soffoca un grugnito di dolore.
- Non ce ne andremo senza di te. Non dopo quello che è successo.
Il mio cuore sta per esplodere. Devo aver ricominciato a piangere, perché la vista della mia sanità in pezzi sembra rendergli tutto più difficile. Nicholas è costretto a rispondere con la forza per riprendere in mano la situazione. Sa che niente mi terrebbe ferma.
Niente.
I suoi muscoli si contraggono sotto i miei palmi, opponendo meno resistenza di quella che potrebbero offrire. È come se, da un lato, Nicholas desiderasse che io riesca nell'intento di convincerlo.
Ma c'è comunque quella parte più razionale di lui, che tenta di prendere il sopravvento su tutto il resto; la stessa che gli sta imponendo di sacrificarsi per noi; quella che è sempre stata destinata a portarlo via da me.
- Tu ci seguirai, - ringhio, afflosciandomi contro di lui.
- Sharazad ha detto –
Nicholas scuote la testa per interrompermi. C'è qualcosa di tragico nella sua espressione, che assomiglia a una solitudine primordiale; vecchia di anni e anni e capace di seguirlo in ogni continente.
Nicholas pare esservisi rassegnato in maniera irreparabile.
- Non c'è niente che possa salvarci tutti quanti, creaturina. Dobbiamo fare una scelta, - dice, poi intreccia le dita alle mie. Io le stringo così forte che le sue nocche ustionate si sbiancano sotto il mio tocco, eppure non se ne lamenta. Accenna solo un sorriso, e guardandolo mi tornano in mente troppe cose tutte insieme.
Se sbatto le ciglia riesco quasi a vedere il momento esatto in cui Nicholas Reichenbach è piombato nella mia vita, con la sua sfacciataggine, la sua lingua affilata e quell'aria abbastanza regale da sembrare fatta apposta.
Il Principe venuto a salvarmi, singhiozzo.
Non può essere questo ciò che la Fortuna aveva in serbo per lui.
Rimanere indietro, da solo come è sempre stato. Perire da solo, essere catturato da solo.
- Hai promesso che ci avresti tenuti insieme, - dico, inghiottendo la disperazione.
- Non possiamo -
- Possiamo, - assicura lui: - dobbiamo. Non c'è un solo Universo in cui le cose sarebbero potute andare diversamente. L'unica versione in cui vi salvate, è quella in cui ve ne andate senza di me, così che io possa offrirvi una possibilità.
Alla nostra sinistra, l'elicottero di Liam sembra sul punto di staccarsi dal suolo. Le sue eliche si muovono sempre più frenetiche, sferzando l'aria satura di fumo. A quanto pare il nostro tempo alla Villa è finito.
- Terrò gli uomini di Sobràl lontano da voi. Vi fornirò una mappa, - promette.
No.
Non è giusto.
- Non puoi farmi questo, - soffio.
Non me lo merito.
E nemmeno lui.
Le labbra di Nicholas si appoggiano delicatamente sulle mie, sporche di cenere e sangue raggrumato. Quando si muovono, le sento tremare.
- Ti ho già fatto molto di peggio, Sybil. Sto soltanto cercando di rimediare.
Che cosa stai dicendo, penso, ma le mie forze cominciano a cedere. Le mie braccia diventano burro, le mie articolazioni rimangono imprigionate dalle cinture e smettono di combattere. I miei pensieri si spengono come un fiammifero consumato.
Perché forse l'unico modo è davvero questo.
- Nicholas, - mormoro. Non ho mai supplicato nessuno fino a questo punto.
Non come se ne valesse della ma vita.
- Vieni con me.
Lui mi stringe.
Un'ultima volta, immagino.
Poi dice: - Qualunque cosa succeda, qualunque cosa diranno di me: non perdonarmi per quello che ho fatto. Impara a odiarmi o cancellami dai tuoi ricordi, se necessario; convinciti che io sia il peggiore di tutti gli uomini; un pazzo, un mostro e un vigliacco.
- Me lo merito, - mormora, premendosi contro di me.
- Ma per favore, non dubitare che quello che abbiamo avuto... Che quello che io ho provato per te, sia stato reale. Era vero, tutto quanto. Non dubitarne mai.8
Un secondo dopo sfila via dalle mie braccia.
Lo riacciuffo da un angolo della maglia, ma finisco solo per strapparla. Nicholas salta giù dal sedile dell'elicottero, afferrandone la portiera.
- No! – grido, con tutto il fiato che mi è rimasto. Ogni cellula del mio corpo si tende verso di lui come se appartenesse ai suoi tessuti piuttosto che ai miei.
Non sta succedendo davvero.
Non sta succedendo a noi.
- Chol!
C'è un movimento fulmineo al mio fianco. È Maria. Riprende il proprio posto e attiva gli ultimi comandi necessari, afferrando una specie di volante con due mani. Il suo sguardo è illeggibile.
- Portali in salvo, - comanda Chol e lei annuisce.
- NICHOLAS!
Lancio un braccio verso l'esterno per afferrarlo, ma lui scompare come il Sole durante un'eclissi. Lo perdo di vista per un brevissimo istante, e quando lo individuo di nuovo sta correndo verso la porta da cui siamo fuggiti.
Scommetto che vuole tornare nella Villa e sfruttarla per l'ultimo dei suoi assi nella manica. Non importa quanto cerchi di precipitarmi fuori dal velivolo, scorticandomi le corde vocali nel tentativo di convincere Maria.
Nicholas non tornerà. E non siamo già sospesi a due metri da terra.
Gli elicotteri si alzano verticalmente ad una velocità tale da mozzarmi il fiato. Il loro procedere traballante mi scatena un attacco di vertigini così nauseante che per qualche secondo provo solo un sentimento di morte imminente.
Le mie pupille si riempiono della foresta in fiamme, degli alberi avviluppati dal rosso, della nube tossica che si estende a perdita d'occhio seguendo il flusso dell'atmosfera. Ci alziamo sempre più in alto e sempre più rapidamente, ma Maria non aspetta la traiettoria che Nicholas le aveva promesso: sceglie la rotta più facile per sfuggire al tiro dei nostri nemici e ci si fionda con il pugno teso a spingere sull'acceleratore.
Me ne rendo conto quasi per sbaglio.
Che ci stanno sparando a vista, tutti quanti.
Riesco a vedere le decine e decine di Novi che circondano il perimetro della Villa, come minuscole formiche bianche a caccia di cibo. Si stanno accalcando per seguire la nostra direzione, sbucando dalle macerie dell'edificio e impugnando i loro fucili.
Non so quanti colpi vadano a tiro di preciso.
Più di uno, indovino, perché l'elicottero di Liam subisce una virata improvvisa che lo fa sbilanciare verso il nostro.
Maria padroneggia la pedaliera con l'esperienza di una vera pilota, evitando la collisione con una manovra di salvataggio così spericolata da risucchiarmi il sangue dal cervello.
Perdiamo decine di piedi di quota in pochi secondi e io mi mordo le guance per non strillare. Credevo che a questo punto la disperazione avrebbe surclassato la paura, ma evidentemente mi sbagliavo.
- Forza, - prega Maria in italiano, - andiamo, - ma uno dei proiettili attraversa le lamiere della carrozzeria e si pianta sul tettuccio del velivolo, rischiando di trapassarla. Dai sedili posteriori si alza il caos.
Basterebbe che uno degli spari facesse centro sul serbatoio del carburante e tutto sarebbe finito. Ci ridurremmo in poltiglia nel giro di una reazione chimica.
- Ce la farà, - strilla Maria da sopra il disastro, gettando un'occhiata verso il basso.
- Me lo sento.
Nicholas ci tirerà fuori anche dalla circostanza più impossibile di tutte, è questo che intende. Dobbiamo solo avere fiducia.
Mi sporgo dal finestrino, scossa da un fremito violento, poi cerco di mettere a fuoco la scena. I soldati sembrano aver caricato un'arma più grossa e appariscente di tutte le altre, qualcosa dal diametro che spicca nonostante la distanza. Maria rafforza la presa sulla manetta10, sfruttando al massimo le capacità del motore. Io invece rimango a fissare la fine come ipnotizzata. La vedo prendere la misura delle nostre vite arrivate al termine, sotto forma di un tiratore scelto appositamente per disintegrarci, e per qualche ragione mi ritrovo a pensare all'incisione sulla medaglietta di mia nonna.
Quella che ho perso durante la fuga.
Rigiro la parola sulla punta della lingua.
Frei.
Liberi.
Lo saremo presto, mi dico.
Solo che il modo in cui lo diventiamo non è quello che credevo.
***
Gli eventi si succedono in maniera quasi surreale.
Per prima cosa, un lampo abbagliante di luce ci acceca fino a rischiare di perdere il controllo dell'elicottero. Poi un'esplosione – dieci, cento volte più potente di tutte quelle che l'hanno preceduta – si sviluppa da sotto il livello della terra, come se le stesse detonazioni usate nel bosco all'inizio dell'attacco fossero state attivate all'interno dell'edificio. L'impatto è così devastante che l'onda d'urto, propagandosi in aria, ci sferza da un lato e minaccia di ribaltarci.
Urliamo tutti come pazzi, scivolando sui sedili, aggrappandoci a ogni oggetto disponibile. Per qualche secondo il muso dell'elicottero si piega nella direzione della gravità e tutto ciò che vedo diventa il vuoto sotto di me.
Come una voragine pronta a chiudersi sopra di noi.
È mentre Maria cerca di riprendere il controllo, che me ne accorgo: la Villa è appena stata disintegrata, trascinando sotto di sé chiunque si trovasse al suo interno.
I vivi e i morti.
Niente è rimasto in piedi oltre il fumo e i cumoli scomposti delle macerie, come se qualcuno l'avesse demolita dalle fondamenta. Perfino i Novi che si erano riversati nel cortile sono stati colpiti dall'ondata improvvisa d'energia.
Rimangono sparpagliati per terra, come macchie di bianco su una tela annerita, e a differenza loro, noi troviamo lo spirito di reagire.
Maria e Liam riescono a stabilizzare i velivoli e a farli schizzare lontano dall'epicentro del disastro. Gli unici nemici sopravvissuti all'evento sembrano ancora indecisi se spararci a distanza, allontanarsi dall'edificio o rimanere a fissare il cadavere carbonizzato dell'Istituto in cerca di una spiegazione.
Ma siamo troppo lontani perfino per i loro fucili, ormai.
Siamo fuori portata.
Frei.
Maria sta parlando da sola: da quanto vedo sul piccolo schermo che ho davanti, nessuno riesce a impedirsi di piangere a parte i ragazzi troppo feriti e privi di coscienza.
Ad essere sincera non mi trattengo neppure io. Finisco per rannicchiarmi sul sedile, nella direzione della portiera, premendo le mani contro il vetro e pregando che riacquistino un minimo di finezza nei movimenti.
Tutto d'un tratto però mi ritrovo nell'attesa di qualcosa.
Qualcosa che rompa questo momento di apparente riuscita.
Un segnale, forse.
O qualcosa e basta.
Ed è così che sul pannello di controllo dell'elicottero compare una traiettoria di volo diretta verso le foreste del Canada, con tutte le informazioni da seguire e i numeri d'emergenza da contattare qualora i nostri telefoni tornassero in linea. Lo fa senza preavviso, come per magia.
Poi dalla radio si alza un solo messaggio, crepitante e flebile, ma abbastanza chiaro da riuscire a coglierlo attraverso il disordine.
- Godspeed, Capitano Vettori, - dice una voce, rivolgendosi a Maria.
Lei lascia andare il respiro che stava trattenendo da chissà quanto.
Il messaggio viene ripetuto un'ultima volta, prima di lasciare il posto al silenzio:
– Godspeed.
Io e Maria ci guardiamo senza fiatare, realizzando la stessa verità, nello stesso identico momento.
Era Nicholas.
Il suo tono era inimitabile, il suo accento appena percettibile.
Alla fine, è riuscito a portarci in salvo.
Ed è ancora vivo.
Angolo dell'autrice: ragazzi, allora. Che giro di giostra. Cavolo. Non so quanto ho pianto scrivendo questo capitolo, un po' per la consapevolezza che non rivedremo più alcuni personaggi, un po' perché il salto nel vuoto è stato compiuto. La strada dei due protagonisti si è separata, almeno per ora; Sharazad è morta, ma la stella più luminosa a cui facevo riferimento nel titolo non era lei. Vi ricordate quando Franz ha detto che Nicholas era come il Sole? E ecco che anche lui se n'è andato. Non so quanto di tutto questo vi aspettavate, ma spero di non essere risultata prevedibile.
Quando ho iniziato a scrivere Entropy ero una bambina e non avrei mai immaginato che qualcuno l'avrebbe letto; per me è sempre stato un passatempo senza pretese, ma solo ora mi rendo conto di quanto sia finita per affezionarmi a questa piccola creatura. Mancano due capitoli alla fine del primo libro, vi rendete conto? E soprattutto, ce ne sarà un altro? Io spero di sì. Questo è il mio ultimo anno di università, poi chissà. Lo scopriremo, immagino.
Non so di preciso come sia uscito fuori quello che avete appena letto: l'ho scritto con un livello di agitazione e tristezza tale che non mi rendevo nemmeno conto della qualità del prodotto finale, e le scene d'azione non sono mai state il mio forte, come ben sapete. La spiegazione di quello che è successo a Chol (e delle parole che Shad gli rivolge, o che lui rivolge a Sybil) arriverà, non temete. Vi basti sapere che è rimasto indietro per garantire una via di fuga a Sybil e che a quanto pare l'ha fatta franca.
Voglio sapere che cosa ne pensate. Voglio conoscere le vostre impressioni, le vostre emozioni. E voglio anche cogliere l'occasione per lo straordinario numero di nuovi lettori che per qualche ragione è arrivato sul mio profilo nelle scorse settimane. It's been a ride, amici miei. Vi lascio alle note, che vi prego di leggere perché importanti.
1. Isotopi radioattivi: atomi aventi numero di massa diverso rispetto ad altri dello stesso elemento. In medicina vengono spesso utilizzati gli isotopi radioattivi per fare esami diagnostici.
2. Effetto farfalla: ormai lo conoscete bene, visto che è alla base della teoria del caos. Questa iconica frase ne racchiude il significato.
3. Reticolo cristallino: in chimica, si tratta di una struttura regolare che si ripete nelle tre dimensioni dello spazio e che è formata da atomi di cariche diverse.
4. Carbonio, grafite, diamante: questo concetto mi ha sempre affascinata; non so se lo sapevate, ma il diamante e la grafite delle matite sono fatti dello stesso materiale, che assume però due forme totalmente diverse dopo essere stato scaldato a pressioni e temperature completamente differenti. A me piace interpretarlo in questo modo: due persone possono essere uguali in tutto; potrebbero raggiungere lo stesso livello, ma non tutti affrontano le stesse esperienze nella vita, giusto? Alcuni di noi diventano diamanti, altri purtroppo affrontano di tutto e diventano grafite.
5. Akutagawa, Tanizaki, Akinari: autori classici giapponesi.
6. Alhamdulillah: grazie a Dio, in arabo. Vi ricordo che Sharazad è di religione mussulmana perché in questa storia ci piace essere inclusivi.
7. La caduta di un passero: ALLORA. Non so se qualcuno ha riconosciuto queste parole, ma per chi non l'avesse fatto, sappiate che si tratta del mio passo preferito dell'Amleto di William Shakespeare, che ha ispirato tutto il dialogo finale di Nicholas. Anche la prossima nota è tratta da Hamlet. Che cosa vogliono dire queste parole? Che nonostante la virtù degli uomini, a volte il Destino è troppo forte. Le cose devono andare in un certo modo e lo faranno, e non c'è niente che possa cambiarle. Se ci pensate è l'opposto di quanto diceva Machiavelli ne "Il Principe", fatto abbastanza ironico visto che Amleto (il passero, metaforicamente parlando) era il Principe di Danimarca.
8. Non dubitarne mai: come appena detto, anche questo passo è ispirato all'Amleto. Il Principe, prima di fingersi pazzo e combinare tutto quello che ha combinato nell'opera di Shakespeare, volle rassicurare Ofelia sul fatto che il loro amore fosse sempre stato vero, a fronte di tutte le messinscene di Amleto, che in futuro sarebbe stato costretto a negarlo. Non dico altro perché non voglio spoilerare quello che succederà in futuro.
9. Manetta: è uno dei comandi dell'elicottero.
10. Godspeed: è l'augurio che si fa ai piloti quando stanno spiccando il volo; curiosamente, è anche l'ultima cosa che mi hanno detto i miei familiari (che vivono in Minnesota) prima che tornassi in Italia. Sapete che sono una romantica. La parola non vuol dire "alla velocità di Dio", come credono alcuni. È una trasformazione del modo di dire "God spede", che costituisce una specie di augurio, come "che Dio ti aiuti", o "buona fortuna". Anche questo fatto mi diverte, perché il nome completo di Nicholas è Gottlieb Reichenbach. Gottlieb a sua volta è formato dalle parole Dio e Amore, nonostante Chol sia ateo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro