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26. Il caos che si espande in un sistema isolato




Nei capitoli precedenti: Xanders è stato sollevato dall'incarico di Rettore dell'Istituto e Nicholas ha preso il suo posto , in attesa che a qualcun altro venga assegnato l'incarico. Il giorno del Comizio è alle porte.

Sistema isolato: si definisce in fisica un sistema che non interagisce in alcun modo con l'ambiente circostante, ovvero che non scambia massa, né lavoro, né calore; in poche parole, nessuna forma di energia. Proprio per questo motivo, come dedotto dal secondo principio della termodinamica, l'entropia di un sistema isolato non può far altro che aumentare, perché niente può giungere dall'esterno per contrastarne il caos.





La paura è una catena stretta intorno al collo.

Fa prendere decisioni tutte sbagliate e convincere di cose che in altre circostanze – lontano dal pericolo e all'asciutto dall'incertezza - non dovresti neppure pensare. La sento attorcigliarsi intorno ai miei polsi e strascicare sulle caviglie, senza che i miei tentativi di metterla a tacere sortiscano il benché minimo effetto. Questa è l'ultima volta in cui vedrai Xanders Samuel, sussurra, subdola come una pulce nell'orecchio e altrettanto insopportabile.

Non ne sono sorpresa: dopotutto, la paura sa essere bugiarda e priva di qualunque fondamento; o almeno è quello che continuo a ripetermi per scioglierne gli anelli pesanti, fatti di brutti presentimenti e scenari catastrofici.

Quando Xanders finisce di caricare in macchina i propri bagagli, la tensione che si respira tra i presenti accorsi per l'occasione si è fatta a dir poco velenosa. Nessuno a parte me riesce a sostenere il suo sguardo umido e un po' arrossato. Tutti lo evitano di continuo, distraendosi di proposito e facendo finta di trovare qualcuno di più interessante con cui parlare.

C'è da riconoscerglielo: Samuel prova a sdrammatizzare con ogni goccia di positività che gli è rimasta in corpo dopo il proprio licenziamento.

- Avanti, - ci canzona, sfregandosi le mani: - cosa sono questi musi lunghi?

La folta combriccola riunita intorno agli adulti in partenza resta avvolta nel silenzio. I ragazzi sembrano decisi a rifuggire ogni forma di contatto visivo, come se guardarsi negli occhi in una giornata di separazioni rischiasse di rivelare più verità di quelle che sono disposti a sopportare. Siamo ancora nell'atrio dell'edificio, disposti in un semicerchio poco ordinato, pronti a salutare Xanders, Amelia e la squadra che viaggerà al loro seguito, con destinazione Chicago.

I bambini sbadigliano e si perdono in giochi improvvisati sulle scale, ma il resto della compagnia se ne sta con l'espressione smorta e sospettosa di chi non vuole prendersela a bere.

Come dargli torto, sospiro.

È evidente che gli abbiamo mentito. Che continueremo a farlo, se necessario, almeno fino a quando il peggio non sarà passato. È stato Xanders a proporlo come unica – per quanto momentanea - soluzione alla sua dipartita. Tutto quello che abbiamo rivelato ai nostri amici è che Nicholas farà le veci del Rettore, vista la partecipazione di Xanders al Comizio di metà mese. Nessuno di loro sa che Samuel non farà ritorno in Minnesota, dopo che qualcun altro sarà stato nominato a posto suo. Nessuno sa che l'uomo che li ha tenuti sotto la propria ala negli scorsi cinque anni non metterà più piede all'interno del loro nido.

- Dovreste essere contenti di avere la Villa a vostra disposizione mentre io sarò via.

Lo vedo sorridere, ma i suoi lineamenti hanno un non so che di sofferente.

- Sapete come si dice, no? Mentre il gatto non c'è, i topi ballano.

Leslie si pesta i lacci sciolti delle scarpe, poi asciuga le ciglia sulla manica del proprio vestito a fiori.

- Uffa, - singhiozza: - con Nicholas al tuo posto sarà già tanto se riusciremo a rimandare la sveglia di cinque minuti.

A qualche metro da me, Chol diventa più rigido di un pezzo di legno acuminato. Scocca un'occhiata indecifrabile in direzione di Leslie, ma il senso di quelle parole, unito alla realizzazione che è stata solo una bambina a pronunciarle, è abbastanza forte da fargli serrare la presa intorno alla moneta romana che Xanders gli ha consegnato nel suo ufficio: un simbolo del suo controllo, credo; un testimone.

- Ti tirerò giù dal letto di persona, - assicura, poi arriccia le labbra in segno di disgusto.

- E soffiati il naso, per amore della decenza: non abbiamo bisogno di un esame fisico1 del tuo moccio.

- Chol! - sbottano tutti e io reprimo il duplice impulso di stringergli la mano e tirargli un calcio in mezzo alle gambe.

Non era quello che voleva dire, riesco a leggerglielo in faccia; solo che non è nella condizione di lasciar trasparire la gravità della faccenda. Xanders è l'unico a rendersi conto delle sue reali intenzioni.

- Nicholas sarà troppo impegnato a risolvere le noiose questioni amministrative che mi tenevano occupato di solito, Leslie. Vedrai che ci andrà piano con voi.

In tutta risposta, la bambina comincia a grondare di lacrime. Shad le pulisce il naso all'insù con un fazzoletto di stoffa, mormorandole parole amorevoli e bonari incoraggiamenti. Per quanto si sforzi di rimanere positiva, sono in pochi a condividere il suo ottimismo.

- E chi si prenderà cura di noi mentre voi adulti non ci siete? – ringhia Maria, muovendo rabbiosamente le braccia. Leslie torna subito in suo soccorso: - Sì, - protesta - lui è piccolo!

La pazienza di Nicholas si esaurisce definitivamente.

- Sono grande abbastanza, nanetta.

- Altrimenti dove troverebbe lo spazio per tutta la sua tolleranza? – lo stuzzica Sam, trasportando le ultime valige davanti alle porte dell'ascensore.

- E per la sua simpatia, - tossisce Ivan, aggiungendosi al coro degli indignati.

Il minimo che io possa fare è concludere in bellezza: - E per la sua sconfinata modestia!

Si alza l'eco di una risata appena accennata.

Nicholas stronca sul nascere il mio tentativo di pungolarlo, ficcando l'indice in un passante della mia cintura per farmi perdere l'equilibrio. È un gesto ambiguo, quasi cattivo agli occhi di un osservatore esterno. In un modo o nell'altro, però, finiamo abbastanza vicini da toccarci.

- È solo per qualche settimana, non è vero? Voglio dire, - continua Maria, - sappiamo tutti che Nicholas rimane qui solo perché costretto da cause di forza maggiore. Tornerai prima che se ne vada anche lui.

Amelia finisce di baciare tutti i ragazzi sulle guance. Quando si avvicina per salutarmi, non posso fare a meno di notare l'assenza del crocifisso d'argento che era solita indossare. La commozione che sta cercando di trattenere è palpabile, ma io faccio finta di non accorgermene.

La prima persona che trova il coraggio di rispondere è Shad: - Ma certo, - mente.

Lei è l'unica a sapere che Xanders è stato sollevato dal suo incarico, e forse è proprio per questo che guarda nella mia direzione, senza alcun indizio che possa aiutarmi a capire che cosa si aspetta da me. Che la rassicuri? Che rassicuri tutti quanti, dal momento in cui Nicholas non è tipo da farlo?

- Chol non se ne andrà finché avremo bisogno di lui, - dico a nessuno in particolare e qualcosa nell'animo dei miei amici si acquieta come la superficie del Lago, dopo la tormenta dei giorni scorsi. Se la paura è una catena, magari possiamo trascinarla insieme.

La sola parola che lascia le labbra di Nicholas è proprio quella di cui avevamo bisogno: - Corretto.

La gratitudine che prova nei miei confronti lo rende ben disposto alle richieste dei suoi coetanei. Allo scoccare dell'orologio, quando tutti gli abbracci sono stati sciolti e le promesse di rivedersi presto riempite di menzogne, gli adulti imboccano l'ascensore che conduce all'autorimessa sotterranea.

Xanders è l'unico a trattenersi più a lungo degli altri, come se uscire da queste mura volesse dire non avere idea la minima di dove andare. La Villa è stata il principio e il fine ultimo di ogni cosa, per lui. Non sarà stato il leader più avveduto su cui potessimo contare, ma di sicuro è stato leale. Anche se qualche volta l'avrei lanciato fuori dalla finestra.

Nicholas avrebbe qualcosa da dire a riguardo, ma il modo in cui lascia che Xanders lo stringa a sé significa che c'era ancora speranza, per loro. Magari sarà la distanza a sanare il loro rapporto conflittuale. Chi può dirlo? Se le cose fossero andate diversamente, avrebbero continuato ad accapigliarsi come d'abitudine.

A me invece fa una promessa piuttosto seria: - Continuerò a sostenere la tua causa ovunque mi trovi, - dice, - ma questo lo sai già.

Lo so, annuisco, certo.

E mi sento troppo colpevole per mancargli della riconoscenza che merita. Gli avvolgo l'avambraccio nel saluto che i Novi si scambiano ad ogni incontro o dipartita, lasciando che la stoffa della sua giacca mi scorra sulla pelle.

Questa è l'ultima volta in cui vedrai Xanders Samuel, ripete la paura, rintonando lo stesso ritornello monotono fino allo sfinimento. L'unica cosa che mi resta da fare a questo punto è buttare fuori ciò che provo prima che mi divori dall'interno.

- Mi dispiace, - soffio di getto.

- Per tutto.

Nel precisarlo, il mento mi trema per l'emozione. Xanders aggiunge un'altra mano alla sua stretta e il suo umore resta sgombro da qualunque rancore.

- Non fate niente che possa compromettere l'esito della Riunione, - risponde lui.

- Comunque vada, arriveremo fino in fondo a questa storia. Ti avevo dato la mia parola e intendo mantenerla.

Faccio cenno di sì con il capo, mentre la maggior parte dei ragazzi si disperde per lasciarci un po' di privacy. Solo a quel punto Xanders aggiunge: - C'è qualcos'altro che vorresti fosse detto in tuo nome, oltre quello di cui abbiamo già discusso?

Nicholas rivolge a Xanders un'occhiata di vigile curiosità, prima di guardare nella mia direzione, in attesa scoprire che cosa ho in mente.

Soppeso la proposta con una strana euforia. Cos'altro potrebbe mai esserci, adesso che siamo alla soglia della mia destinazione? Sono stata io a fornire le prove che hanno incastrato la Fazione, e questo dovrebbe essere bastato a dimostrare quanto io sia determinata. Ci penso su, ripercorrendo una ad una le immagini che la mia memoria ha dovuto sopportare dal giorno del rapimento di Lilith. Il terrore, sconfinato e totalizzante, e a seguire il senso di perdita; la vergogna all'idea che mia sorella, così insignificante eppure infinitamente speciale, sia stata in grado di cambiare le nostre esistenze per sempre. Niente di quello che ho passato a causa sua andrà mai via, ma se la riunione prenderà la giusta piega, le gemelle Crowford saranno riunite come il giorno stesso in cui sono nate.

Le Fazioni se la vedranno per conto proprio, ma Lilith se la vedrà con me.

Per il male che ha fatto a me e a mia madre e ad Alphy e a tutte queste persone.

- Sì, - annuisco, alzando gli angoli della bocca con una spolverata di malizia: - in effetti, qualcosa c'è: ho un messaggio per mia sorella.

Qualcosa si incupisce sul volto di Nicholas.

Colpa della nota sinistra che risuona nella mia voce.

- Dica loro che non vedo l'ora di riabbracciarla. Dica loro che la sto aspettando.

E che gliela farò pagare, penso.

In un modo o nell'altro.

***

- Sei preoccupato, - osservo.

Nicholas piega il ginocchio in un affondo fulmineo del fioretto. La punta arrotondata della sua lama colpisce il bersaglio nel punto esatto in cui il fegato di un essere umano sarebbe finito infilzato da parte a parte. Pronto per cuocere allo spiedo, concludo, forse perché è l'ora della merenda.

- Sono a dir poco atarassico e in uno stato di assoluta beatitudine, - ansima lui; poi, con un balzo flessuoso sulle punte e una parata rocambolesca, si sottrae alla contromossa che il manichino automatizzato deve aver calcolato tramite uno dei propri algoritmi.

Nicholas si esercita alla scherma quasi ogni giorno, per scaricare lo stress e distendere i muscoli. Di tanto in tanto, quando lo raggiungo in palestra, mi insegna come muovere i piedi o colpire l'avversario senza slogarmi i polsi, ma la realtà è che non c'è uno sport che faccia al caso mio, oltre la corsa di un'ora e un quarto a cui mi dedico per allenare il fiato. Non è una questione di rimanere in forma o di tenergli compagnia mentre si allena. È che sudare fino a prosciugare le energie, con la mia playlist di fiducia al massimo volume, mi stanca abbastanza da tenere alto lo spirito. Anche solo per un po'.

Mi tampono la fronte con un asciugamano di cotone, rubando un goccio d'acqua dalla sua borraccia, ma Nicholas è troppo concentrato sul duello in corso per accorgersene.

Lascio che ogni linea affilata del suo corpo mi riempia la vista: le curve marcate dei suoi bicipiti, gli angoli acuti delle sue giunture che si flettono; perfino la ruga profonda all'attaccatura del suo naso, che stasera è come una ferita aperta. Più si fa pronunciata, più mi viene da pensare al mito greco sulla nascita Atena. È stato lo stesso Nicholas a raccontarmelo, l'ultima volta che siamo stati in biblioteca: un giorno, dopo l'ennesima delle sue malefatte, al dio Zeus venne l'emicrania. Non appena suo figlio Efesto si prodigò ad alleviare il suo dolore, aprendogli la fronte con un'ascia bipenne, la dea della Sapienza saltò fuori dal suo cervello con un elmo in testa e armata fino ai denti.

Un parto piuttosto cruento, se devo essere sincera.

- Riesco a vederlo, - dico alla fine.

- È come se avessi un nucleo incandescente al centro del cranio. La superficie della calotta è immobile e intatta, ma dall'unica faglia che consente una sbirciatina all'interno si intravede il magma in ebollizione.

Nicholas scatta sul lato sinistro del terreno di sfida e centra il bersaglio all'altezza della gola. Sopra di lui, un proiettore tridimensionale si illumina per tenere il conto dei punti, anche se è inutile specificare chi sia volato in vantaggio dall'inizio del match a questa parte.

- Hai fatto i compiti di scienze, - sorride fieramente, tornando in posizione di partenza.

Io mi accoccolo sul pavimento per fare un po' di stretching, stendendo le gambe in avanti e cercando goffamente di raggiungere la punta delle scarpe. Demordo dopo la prima fitta, ma senza renderlo troppo palese.

- Mi stai dando ragione, allora. Hai così tanti pensieri che sarò costretta ad evacuare la regione prima di vederti esplodere.

C'è un sospiro plateale, poi il silenzio. Nicholas mette in pausa il manichino e si slaccia il casco da spadaccino con una mano sola. I suoi capelli gli rimangono appiccicati alle tempie fino a quando non li sgrulla per scacciarne il prurito.

- La tua fantasia, - conclude e io lo fronteggio con un punto interrogativo stampato sul viso.

- Credo che sia la parte migliore della tua personalità, - spiega, - insieme all'incapacità che dimostri nel mantenere in funzione l'istinto di sopravvivenza quando c'è in gioco il benessere di altre persone.

Faccio spallucce, lusingata dai suoi complimenti.

Nicholas fa per stendersi al mio fianco, quando due ragazzine spalancano la porta della palestra e cominciano degli esercizi di riscaldamento. Ci lanciano occhiatine cariche di giudizio, bisbigliando tra di loro senza alcuna discrezione, e a me pizzicano le punte delle dita.

Avevo sottovalutato la tortura di avere Chol al mio fianco senza poterlo nemmeno sfiorare. La stanza è enorme e dispersiva e il rischio che qualcuno origli le nostre conversazioni è ridotto al minimo, ma sono passati cinque giorni dalla partenza di Xanders e Nicholas non è mai stato più paranoico. Raccatta le sue cose dal pavimento, poi registra la durata del proprio allenamento sullo schermo più vicino.

Ultimamente parla solo di noi due; di me e di lui e di tutto quello che faremo insieme quando ne avremo l'occasione. Non sta zitto un secondo sulla grandiosità delle sue ricerche scientifiche e su questa o quella scoperta fatta Dio-sa-dove e da Dio-sa-chi. A volte pretende che io faccia lo stesso; che gli parli della mia vita prima del nostro incontro; che mi interessi di tutto tranne che dell'evento in programma per la prossima settimana, come se non volesse focalizzarsi su ciò che io, al contrario, sto aspettando con la massima impazienza.

Il Comizio: ormai non penso ad altro.

Gli sbircio dietro le gambe prima di bisbigliare: - Lo so che hai mille grilli per la testa.

Lui non dimostra alcuna intenzione di rispondere, così aggiungo: - Parlane con me, per favore.

All'inizio, Nicholas non cede di un millimetro. Sono convinta che dissimulare i propri sentimenti, sollevando il mento in alto per intimorire i propri interlocutori, gli venga praticamente spontaneo. La possibilità di alleggerirsi un peso dalla schiena pare tentarlo, ma l'armatura che si è costruito attorno lo tiene incastrato come un calco di gesso. Non sono sicura che sappia come rimuoverla del tutto, ma apprezzo lo sforzo che sta facendo per essere sincero con me.

Controlla che la moneta romana donatagli da Xanders sia ancora al suo posto, nella tasca anteriore della tuta da combattimento, poi ripone il fioretto nell'apposita custodia.

- Hanno evacuato l'Istituto di Berlino, - sussurra dopo una pausa.

- Uno dei più antichi e illustri della nostra Specie. L'hanno liberato oggi stesso.

Io mi massaggio le articolazioni indolenzite, senza il coraggio di interromperlo.

- È dove si sono incontrati i miei genitori, - continua Nicholas: - dove ha studiato mio padre, quando aveva la mia età.

Uso ogni talento che ho a disposizione per nascondere lo sconforto che provo nel sentirgli ammettere certe cose.

- Perché? – domando. Che motivo avevano i Novi per chiudere battente? Voglio dire, sapevamo che ci sarebbero state ripercussioni per gli eventi dei giorni scorsi, ma la Villa è rimasta in funzione come se niente fosse.

Nicholas ficca le sue cose in un borsone di pelle, riordinando tutto con precisione maniacale.

- La USD dà la caccia a qualunque organizzazione non approvata dalla sua giurisdizione, - spiega, - e i Novi... beh, in teoria non dovrebbero esistere. Figuriamoci riunirsi in una comunità parallela a quella dei Sapiens. Le Fazioni non potevano rischiare che ficcanasassero nei nostri affari in un momento come questo, così hanno trasferito tutti gli accoliti ospitati nella Capitale, sbarrando le porte degli istituti più esposti.

Gli restituisco la borraccia e lui la scuote su e giù per controllarne il contenuto. Ho fatto attenzione a lasciargli un goccio del suo orribile intruglio zuccherato, ma trova comunque il modo di roteare gli occhi a mo' di rimprovero.

- È un disastro, - ammetto, in attesa che annuisca.

Nicholas non lo fa. Si siede al mio fianco per allungare i muscoli, flessibile come la gomma e troppo sospettoso per impedirsi di controllare la localizzazione delle sue compagne ogni dieci secondi. Il modo in cui le sue mani rimangono pallide e rigide nonostante tutto il sangue che gli fluisce nelle guance mette quasi i brividi.

- L'avevo previsto, - dice dopo una pausa.

- Te lo ricordi?

Che il Mondo sarebbe sprofondato nel disordine; che la Rottura fosse solo l'inizio. Nicholas l'aveva messo in conto.

- È già successo, - mormoro per confortarlo.

- Quattro anni fa. E con l'epidemia dello scorso anno. E con l'undici settembre e le migliaia di stragi umanitarie che l'hanno preceduto e seguito. Con la Seconda Guerra Mondiale e la Prima e chissà quante volte nel corso dei secoli.

- E ogni volta è più disastrosa della precedente, - sospira, - come un danno cumulativo.

Nicholas si gira verso di me, accaldato. Decine di ciocche bagnate gli graffiano le palpebre come una corona di spine. Lo vedo deglutire, contrarre la mascella, scuotere la testa.

- Il caos. È come se si espandesse, una particella alla volta; in tutte le direzioni e sempre più inarrestabile. Si nutre degli errori degli esseri umani come di linfa vitale.

- Le cose si sistemeranno, - insisto.

Dopotutto l'hanno sempre fatto.

- Stavolta no, - prosegue, quasi arrabbiato: - stavolta no, - e la disillusione sul suo volto è qualcosa che mi trova del tutto impreparata. Quando l'ho conosciuto, Nicholas mi era sembrato inarrestabile dietro il suo ego smisurato e la sua fiducia in sé stesso. La partenza di Xanders pare averlo svuotato di tutte le proprie convinzioni, abbandonandolo in balia del cambiamento.

Averci visto lungo, a quanto pare, era l'ultimo dei suoi desideri.

Gli sciolgo i nodi delle scarpe e me ne arrotolo i lacci intorno agli indici.

È una mossa incauta e infantile.

Dovrebbe chiedermi di smetterla, ma non ci riesce.

Ci scambiamo un'occhiata che produce fin troppo rumore.

- Hai qualcosa in mente, - concludo, - solo che non ne sei sicuro.

Nicholas inclina il capo nella mia direzione, accennando ad un sì poco convinto.

- E se Lilith fosse solo il tassello mancante in un piano più complesso? – azzarda.

- Se ci fosse un'infinitesimale possibilità che i Novi siano coinvolti in tutto quello che sta succedendo in giro per il Pianeta? Entrambi gli schieramenti, ognuno a modo proprio. La Fazione massimalista userebbe qualunque occasione per uscire allo scoperto e guadagnare autorità nella società del Futuro.

Risucchio l'ossigeno tra le labbra, sbattendo forte le ciglia. Lo pensa sul serio? Dopo avermi dato della complottista per mesi?

Sto per farglielo notare quando Nicholas dichiara: - Forse non sarebbe così sbagliato.

Che la sua specie ottenga il controllo della mia: è questo che intende.

- Nicholas, - balbetto.

Mi basta poco per portare sulla punta della lingua il nome di sua madre.

Serena von Kleist, la donna che ha messo i propri ideali invasati davanti alla vita del suo unico figlio.

Non posso credere che Nicholas speri di riconquistarne l'affetto; che se ne faccia ancora qualcosa, di qualcuno che non l'ha mai amato come merita.

- So che tra quelle persone c'è qualcuno a cui tieni, ma –

Nicholas lo nega con fare quasi irritato.

- Sybil, ascoltami: solo perché loro sono dalla parte del torto, non vuol dire che i nostri abbiano ragione. Significa piuttosto che fino a questo momento siamo stati il male minore. Fodel, Hodgkin e tutti i potenti che hanno fondato la comunità della mia Specie l'hanno fatto con delle buone intenzioni; ma quelle buone intenzioni ci hanno portato a questo.

Le ragazze in tuta da ginnastica ci squadrano con intensa curiosità. Faccio loro cenno di circolare, la gola stretta e il fiato corto, e il messaggio viene recepito forte e chiaro.

- I miei simili hanno costruito un sistema isolato da tutto il resto, creaturina; un'esistenza nascosta dalla luce del Sole, così che i Novi restassero tagliati fuori dalla storia dell'umanità; agendo di nascosto e sullo sfondo, senza mai influire determinatamente sul destino del nostro Pianeta. Tu credi che vi abbiamo lasciati soli, non è vero? Ma la realtà è che noi siamo stati tenuti prigionieri.

- E il risultato è stato catastrofico, - ride amaramente.

- I Sapiens hanno compiuto genocidi ed estinzioni di massa; hanno inquinato in maniera irreparabile i sottili equilibri degli ecosistemi ed esaurito le nostre risorse naturali. Tutto mentre quelli come me rimanevano a guardare.

Sa che non approvo il modo in cui sta parlando, ma proprio non riesce a contenersi.

- Non può più funzionare, Sybil. Non avrebbe mai funzionato e i Novi l'hanno sempre saputo. È il dogma su cui si fonda la termodinamica dell'universo: in un sistema isolato, l'entropia può solo aumentare.

Il Caos si espande.

Inarrestabile.

Ineluttabile.

Per quanto mi sforzi di rimanere fiduciosa, le previsioni di Nicholas sembrano corroborate dalle prove inconfutabili delle mie sfortune. È partito tutto all'inizio di Dicembre, quando ho rischiato di finire abbrustolita nella mia stessa scuola. Da quel momento, si sono succeduti troppi alti e bassi per riuscire a tenerne il conto, fino alla disfatta della partenza di Xanders.

In qualche strano modo ci siamo ritrovati da soli, in un luogo disperso tra le foreste del Minnesota, mentre il resto del Continente è allo sbaraglio.

- La Riunione della prossima settimana, - comincio: - non riguarderà solo Lilith, vero?

- No, creaturina.

Nicholas torna in piedi e mi fa cenno di seguirlo fuori dalla palestra. Bisbigliamo nel corridoio come la coppia segreta che siamo diventati.

- La scomparsa di tua sorella è stata nient'altro che la rivendicazione di una trasformazione in atto. La Riunione riguarderà il posto che i Novi avranno nel Mondo da questo momento in poi. Non c'è più tempo per contendersi scoperte scientifiche dietro le mura dei nostri centri di ricerca. Le Fazioni avranno il compito di cambiare il Sistema che ci ha tenuti nascosti per tutti questi anni.

- Se sei così sicuro che i leader delle Fazioni abbiano qualcosa in mente, credo che dovresti parlarne con Zelda. Lei si fida del tuo giudizio, - dico, - lo sai.

- Ah. Zelda.

Nicholas rallenta il passo delle sue gambe chilometriche per camminare al mio fianco.

- Ci siamo sentiti a telefono ieri sera, - ammette.

- Era disattenta, distante anni luce. Credo che la sua concentrazione sia impegnata su troppi fronti e che l'emotività ne stia annebbiando il giudizio.

- Non sembra una cosa da Zelda Hodgkin.

- No, infatti, - osserva.

Poi rivela: - È che Franz l'ha chiamata.

A me per poco non viene un attacco apoplettico.

- A telefono. Il giorno dopo la sua partenza dalla Villa. Zelda dice che quando ha sentito la sua voce dall'altro capo della linea si è dovuta sedere per non svenire.

- Ma dai.

- A quanto pare voleva vederla, prima di tornare in Germania. E parlarle faccia a faccia. Lei... è convinta di aver accettato subito.

- Ne è convinta?

- È buffo, - ridacchia Nicholas: - Zelda era talmente scossa dall'accaduto che nemmeno se lo ricorda di preciso. Il giorno dopo se l'è ritrovato in appartamento, seduto sulla moquette, che giocava con il cane. Il suo compagno l'aveva fatto entrare.

- Cacchio.

Questa invece sembra proprio una mossa da Franz.

- Hanno passato la giornata insieme, fino a tarda notte, e lei ha insistito affinché rimanesse a dormire. La mattina dopo deve averlo riaccompagnato all'Istituto nella quale è ospitato, al centro di Washington.

- Questi sono i suoi ultimi giorni di vacanza, - dichiara.

Le informazioni mi si schiantano addosso a ondate successive, lasciandomi a bocca aperta e senza la prontezza di nascondere lo shock. Nicholas ha avuto abbastanza tempo per digerire le novità, mentre le mie difese erano del tutto abbassate, prima che si confidasse con me.

- Che cosa si sono detti?

- Tutto quello che si sono taciuti negli ultimi anni, suppongo. Franz si è scusato della scenata alla centrale di Polizia e per aver causato problemi all'albergo in cui ha trascorso la mattinata. Si è presentato con un assegno per ripagare i danni, ma per mia fortuna Zelda l'ha rifiutato, visto che il conto in banca di quel pericolo pubblico è offerto dal sottoscritto. Immagino che all'inizio sia stata un'esperienza terrificante, ma Hartshorne deve aver aiutato a sciogliere la tensione.

, sbuffo, come no.

Basta il ricordo di Garret Hartshorne e del suo fare inquisitorio a farmi venire le coliche.

- Dopo qualche ora di chiacchiere tra delinquente e Poliziotta, comunque, Zelda l'ha costretto ad affrontare il discorso; sul fatto che sono entrambi figli dello stesso bastardo, sai.

- E?

- Ed entrambi mi hanno caldamente invitato a farmi gli affari miei.

- Wow.

- Giusta osservazione, - dice lui, poi scoppia in una risata priva di emozione.

- Ho vissuto in uno stato di totale quiescenza per ventiquattro lunghi mesi e adesso che ne sono uscito, le novità non vogliono darmi tregua.

- Già, - ansimo.

Mi mordicchio le unghie con impazienza e Nicholas comincia una delle sue filippiche sulle norme igieniche da mantenere per evitare le pandemie.

- Uhm, - dico per interromperlo: - è un buon momento per ammettere che sono stata io a dare a Franz quel numero di telefono?

Raggiungiamo la sua cabina personalizzata - che da qualche giorno è anche la mia - e ci scambiamo un sorriso imbarazzato. Una volta al sicuro dietro le sue porte, Nicholas pianta un bacio leggero sulle mie labbra. Le sue hanno un sapore dolce e salato allo stesso tempo.

- Lo sapevo, - conferma, - ma ammiro la tua onestà, creaturina.

- Mi dispiace. È che in quel momento mi è sembrata la cosa giusta da fare. Sono fratello e sorella, Chol.

- Lo so. E so che in un certo senso dovrei ringraziarti: hai fatto la cosa giusta, Sybil. Vorrei solo che Franz si sentisse abbastanza al sicuro da chiedere certe cose a me.

- Temeva che gli avresti fatto cambiare idea?

- Temeva che lo avrei tenuto lontano dalle persone a cui importa di lui. È quello che faccio sempre, per un motivo o per un altro. Dovresti insegnarmelo, creaturina; come ci si prende cura di qualcuno senza lasciarsi ossessionare dal pensiero di perderlo per se –

- Smettila, – strepito.

Nicholas interrompe quello che stava facendo e mi dedica tutto il suo interesse.

- Non parlare come se fossi solo a dover affrontare tutto quanto, Nicholas. Non perderai Franz, né Shad, né Zelda, né me. Ognuno di noi è pronto a fare il necessario pur di averti vicino, okay? Tu non ci perderai, quindi smettila di parlare come se quello che abbiamo dovesse finire da un momento all'altro.

Qualcosa, nel quadrato di spazio nel quale siamo rinchiusi, si spezza.

Qualcosa nello sguardo febbrile di Nicholas.

Io lo abbraccio stretto, ma lui rimane immobile e a disagio, prima di mormorare: - Qui dentro si soffoca. Puoi aspettarmi di sopra mentre mi cambio?

- Oh, - soffio, come imbambolata.

Indietreggio per consentirgli di premere il pulsante d'apertura della cabina e un istante dopo sono fuori, tutta in disordine e con la maglietta spiegazzata. Quando le porte si richiudono tra di noi, Nicholas mi sta ancora squadrando fisso.

Per tutto il resto della settimana, lui non ritorna sull'argomento, né io insisto affinché si dilunghi in ulteriori spiegazioni. Quello che faccio invece è guardare il succedersi degli eventi attraverso le sbarre dorate del mio sistema isolato.

Sono tante le cose che cambiano, in maniera quasi impercettibile e senza destare troppo scalpore. La neve fuori dalla Villa si scioglie fino a scomparire e per terra non resta altro che l'erba sterminata dal gelo; i ragazzi smettono di tartassare i propri genitori di telefonate, non appena si rendono conto che da loro otterranno soltanto lavate di capo e sciocche rassicurazioni. I più impavidi tra di loro tentano addirittura di sottoporre Nicholas a una serie di interrogatori che terminano in litigi rumorosi e privi di risultati.

La sorpresa più grande, però, arriva niente di meno che dal mio amico Ranulph Fleming, non appena decide di – state a sentire – "prendersi una pausa". Da Lilith? Da me. Magari dai rischi che entrambe stiamo facendo correre a quelli che ci circondano.

Me lo dice in videochiamata, tra una chiacchierata e l'altra, mentre tiene lo sguardo basso su un vecchio circuito di cui sta studiando il funzionamento. I soliti occhiali dalla montatura ingombrante gli scivolano fino alle narici, e la fascia di pile che gli tiene i capelli lontano dagli occhi appare sfibrata e scolorita, come se fosse l'ultima rimasta sul fondo del suo armadio.

- Parto questo venerdì, - biascica, una vite tra i denti e i bulloni sparsi sulla scrivania.

- Con i miei genitori.

A studiarlo meglio, Alphy ha la stessa aria smorta di quel giorno che l'ho ritrovato nella mia camera d'ospedale. Lilith – la sua assenza, costante come una colonna sonora in sottofondo – è riuscita a privarlo della propria vitalità goccia dopo goccia.

Non l'avevo mai visto così: apatico.

- Staremo via per un po', - precisa, - niente di speciale.

- Partire adesso? E per dove?

- Non lo so, - ammette.

- Per qualche posto a sud di qui. Mamma e papà hanno ottenuto un permesso dal lavoro. Hanno bisogno di una vacanza, e preferiscono che rimaniamo insieme.

- Terrai il telefono acceso però!

Immagino che voglia essere informato sugli sviluppi della riunione prima di chiunque altro.

Una minuscola scintilla sfrigola tra i fili scoperti che sta maneggiando e Alphy emette lamento di dolore. Lo guardo succhiarsi il pollice bruciacchiato e scrollare il piccolo motore in riparazione per lasciarlo raffreddare.

- Non ci conterei, - mormora e io mi tiro indietro sulla sedia per tenere a bada lo sdegno.

Non riesco a capire se stia scherzando o faccia sul serio.

- Mamma dice da quelle parti c'è poco campo.

Alza gli occhi sul mio dispiacere, poi raddrizza le lenti piene di ditate. Fa una smorfia strana che gonfia sopra un'aurea di tristezza. È la stessa che mi ha riservato Nicholas qualche giorno fa, noto di sfuggita. Di questi tempi, nessuno sembra più capace di sorridere come si deve.

Alphy si accorge che il suo distacco deve avermi spezzato il cuore.

È solo che l'abbiamo cominciata in due, questa avventura: volevo che lui rimanesse al mio fianco in vista della fine. Se non altro, per poter affermare di avercela fatta in due.

- Tornerà presto, - dice, - promesso.

Mi accorgo che sta parlando di Lilith, ma rimango impassibile per non dargli a vedere niente.

Da quella volta, comunque, smettiamo di sentirci.

***

È seduta tra i cespugli di fiori gialli2 che la nonna ci regalava da bambine, con le gambe piegate sotto di sé e la treccia lunga impigliata ai ramoscelli appena sbocciati. È qui, davanti ai miei occhi, abbastanza reale da sentirne il canto tra il fruscio delle foglie, ma allo stesso tempo lontanissima, come un miraggio sotto il sole di un deserto.

Qui non è a casa nostra; né alla Villa, né in Minnesota. Qui è la campagna d'oro grezzo da cui proveniva la nostra famiglia, da qualche parte nel centro-Italia, dove lei prometteva che sarebbe tornata e avrebbe vissuto, lontano dall'inquinamento delle metropoli e dagli imbrogli dell'industria.

Lilith tiene la testa sul mento, le ciglia abbassate e i palmi appoggiati al terreno arido tappezzato di crepe. È così strano, per una come lei, che di solito non sta mai ferma; che ha sempre qualche progetto tra le mani; matite dietro le orecchie; occhi bene aperti.

Nell'aria c'è il profumo delle cose belle che ho vissuto da bambina, il loro ricordo sgargiante come i petali che la circondano. So che anche lei ci sta pensando, dal modo in cui la sua bocca si tende verso il basso e la sua espressione diventa quella malinconica di chi patisce la lontananza.

Delle volte, se mi sforzo, posso ancora leggerle la mente come lei fa con me.

Carpirne un segreto, tra tutti quelli che tiene lontani dalla superficie.

La mia voce proviene da nessun punto in particolare, ma riecheggia in ogni molecola dell'atmosfera, facendola rabbrividire: - Sai dove trovarmi, - la rassicuro, - se hai bisogno di me.

È una delle ultime cose che Lilith mi ha detto la notte prima dell'attentato, e chissà quanto le è costato, dopo un'infanzia di silenzi e sciocche bisticciate. Mia sorella stringe le palpebre per abituarsi alla luce, poi smette di intonare il motivetto che stava sussurrando. Trova il mio corpo immateriale e ci guarda attraverso in cerca di qualcosa che solo lei riesce a vedere.

- Lo so, - risponde, mantenendo un'intonazione dolce delle sue.

- È per questo che sto venendo a prenderti.

***

Mi sveglio con l'assoluta certezza di stare per morire.

Non appena spalanco gli occhi nella luce, una stretta mi circonda con tale forza che la pressione, impennandosi, mi ingabbia le costole fino a farle scricchiolare. Istintivamente mi appiglio a tutto ciò che possa identificarmi come persona ancora in vita: il sudore ghiacciato che mi ricopre da capo a piedi come una pellicola sottile; gli avambracci contratti di Nicholas che mi tengono ancorata al materasso, mentre le mie gambe scalciano in alto a colpire il vuoto; le sue labbra che mi sfiorano la tempia tra una supplica e l'altra.

- Sei sveglia, - ansima, - alles ist gut3. Creaturina, sei sveglia.

Sveglia e maledettamente viva; con le corde vocali scorticate dallo sforzo, una sete insostenibile che mi brucia la lingua e un attacco di panico che ha già preso il sopravvento. Terrorizzata e nauseata, ma viva. E quello che ho avuto è stato solo un sogno. O un incubo servito su un piatto d'argento dal mio inconscio esasperato, a seconda dai punti di vista.

Nicholas mi pettina i capelli con le dita, costringendomi a respirare a un tempo scandito dalle sue indicazioni, e tra una ventilazione e l'altra riesce addirittura a riempire un bicchiere d'acqua sul comodino.

Mi aiuta a mandarlo giù tutto d'un fiato, tenendolo all'altezza della bocca, mentre mi sorregge la nuca per impedire che mi strozzi. Se riuscissi a sentire la superficie degli arti, gli risparmierei tutta questa premura nei miei confronti, ma la verità è che non riesco a muovere un solo muscolo che non sia quello in fibrillazione al centro del mio petto.

- Che ore sono? – gracchio, i canini che battono l'uno sull'altro, producendo un baccano insopportabile.

Nicholas lancia un'occhiata fuori dalla finestra, poi si tira su una manica del pigiama per averne conferma.

- Le sei e ventisette della mattina, - osserva, riservandomi un tono calmo e poco impressionato.

- Il momento perfetto per la fase onirica del ciclo del sonno4.

L'ho notato.

Mi lascio ricadere in mezzo alle sue lenzuola morbide e profumate, inspirando l'odore di sapone di Marsiglia con cui Nicholas fa lavare la propria biancheria. Dice che lo fa pensare a un pulito autentico e senza macchie. Secondo me, rievoca immagini felici di quando era bambino.

Rimaniamo a fissarci per un lasso di tempo imprecisato.

Io concentro tutte le mie fibre nervose sulla sua presenza solida al mio fianco, sfruttandola per rischiacciare la paura in fondo alla mia coscienza. Se è da lì che è uscita, con un po' di impegno posso costringerla a rientrare.

Nicholas mi asciuga la fronte con un angolo della coperta, l'espressione vigile e attenta di chi è abituato a funzionare fin dalle prime ore del giorno, senza dover aspettare che le proprie sinapsi si scaldino abbastanza da mettersi in moto.

Sembra indeciso su cosa dire. Ci eravamo ripromessi di dormire in stanze separate per evitare che qualcuno ci scoprisse, ma per una volta la mia spericolatezza ha preso il sopravvento sul suo buonsenso da stratega.

Tiro su con il naso e biascico la domanda scomoda che mi frulla per la testa: - Ho urlato, - dico, - non è vero?

Nicholas si raddrizza appena prima di annuire.

- Senza alcun preavviso, - mormora, - e per tre virgola cinque secondi. Movimenti oculari rapidi a parte, niente faceva supporre che stessi avendo un incubo.

Poi dice: - Se lo avessi saputo, ti avrei svegliato.

Non posso fare a meno di girarmi su un fianco per guardarlo meglio, pallido e sfuggente come una Luna che si è rintanata al sorgere del mattino. Lo avrebbe fatto davvero? Che Nicholas Reichenbach conosca anche questo, il modo di proteggermi dai miei stessi demoni?

Faccio un sospiro abbattuto e mi premo un braccio formicolante sulla faccia. Penso alla mia stanza, ai miei libri sugli scaffali impolverati; alla mia lampada rotta a forma di gufo e ai poster sgualciti dei miei film preferiti. È come un dejà vudi quel due Dicembre in cui Lilith si è materializzata ai piedi del mio letto per controllare come stavo; il giorno in cui tutto si è rotto.

Forse perché c'era così poco a tenerlo saldo.

- E invece ti ho svegliato io, - osservo.

- Bel regalo, eh?

Torno al presente giusto in tempo per godere della sorpresa che gli mette in mostra il verde brillante delle iridi. Sono due cerchi, regolari e perfetti, dai contorni scuri e il centro che sfuma verso una tonalità più vivace. È comprensibile che Kopplen senta il bisogno costante di dipingerli e collezionarne il ricordo nel suo album da disegno.

- Buon compleanno, vossignoria - sorrido.

Perché dicembre è passato da un pezzo e gennaio è volato in un soffio e le due settimane che abbiamo trascorso insieme – tra le più felici che io abbia mai avuto - sarebbero dovute non finire mai.

E invece, com'era inevitabile, hanno portato a oggi.

- Adesso sei perseguibile penalmente, - ironizzo, ingoiando la bile.

L'insonorizzazione della stanza concede a Nicholas la risata cristallina di chi ha già una battuta in serbo per l'occasione.

- Galileo! – esclama: - Per fortuna ho già commesso tutti i miei crimini peggiori. A parte uno, s'intende.

- Ma davvero? – lo punzecchio: - E quale sarebbe?

Lui mi tira l'elastico dei pantaloni, poi lo fa scoccare in una frustata secca che mi arrossa la pelle.

- Ahia!

- Uscire con una minorenne, - risponde lui, gongolando di soddisfazione.

Gli disintegro il cuscino sul centro esatto di quella faccia da schiaffi, poi, visto che i miei legamenti hanno ripreso a funzionare, riavvicino la sua testa alla mia e lascio che mi mordicchi il labbro inferiore in un gesto di protesta.

- Tredici febbraio, - ingoio.

Che possa diventare il mio nuovo giorno fortunato?

Dal canto suo, Nicholas deve aver imparato a disprezzarlo; è quello che succede, quando non hai nessuno vicino che voglia festeggiare in tuo onore, senza contratti da farti firmare nelle tasche e secondi fini dai risvolti lavorativi. Ho un regalo per lui nascosto sotto il letto della mia stanza, ma suppongo che non sia troppo interessato a spegnere le proprie candeline prima del verdetto di questo pomeriggio.

- Hai sognato del Comizio? – mi chiede e per un po' faccio finta di non aver capito.

Assaporo la tenerezza delle sue nocche che mi solleticano il collo, calde e spigolose contro il freddo umido della mia pelle. Provo a ignorare la sua domanda, senza aspettami che funzioni.

- Il tuo picco sistolico5 sarà arrivato alle stelle, - giudica.

- Più che il polso di un essere umano sembrava di palpare la scarica di una rivoltella.

- Per poco non me la facevo sotto e invece di aiutarmi mi hai misurato la pressione?

Lo dico sbuffando, ma lui pare ancor più divertito.

Ci vuole un po' prima che mi convinca ad aggiungere: - Ho sognato di rivedere Lilith.

Nicholas ritrae la mano come se gli avessi ringhiato contro. Tra le varie possibilità che aveva preso in considerazione, non sono sicura che si aspettasse proprio questa.

- Ed era così spaventoso? – domanda, scoprendo appena gli incisivi drittissimi.

- Mi permetto di razionalizzare l'accaduto: se tua sorella è carina quanto te, rincontrarla nelle sfere più torbide del tuo es6 non può essere stato tanto orribile.

Lo spingo lontano da me con fare quasi stizzito, schizzando via dal materasso per non dargli la soddisfazione di avermi infastidito. Ci sfiliamo il pigiama dalla testa, non più in due stanze separate, ma ancora sfuggenti agli sguardi affamati dell'altro e impacciati per l'imbarazzo. Il pensiero che Nicholas possa trovare attraente l'aspetto di mia sorella – più curato ed elegante del mio – mi indispettisce più di qualunque altra provocazione.

Che cosa penserebbe Lilith di me e Nicholas? Lei è sempre stata circondata da persone interessate ad uscire con lei: ragazzi stregati dalle sue battute sagaci e dai suoi tratti raffinati; coetanee affascinate dalla sua mente brillante e dalla sensibilità con cui si rendeva disponibile a risolvere i problemi degli altri. Eppure, mia sorella non ha mai voluto nessuno al proprio fianco. Mai, neppure una volta. Neppure Alphy, rifletto. Sono certa che disapproverebbe ciò che mi lega a Chol indipendentemente dalla realtà a cui appartengono quelli come lui.

Anzi, scommetto che lo rifiuterebbe con la sua solita educazione da ipocrita per bene.

Lo sbircio di sbieco, evitando di farmi scoprire, e mi accorgo che Nicholas sta ghignando.

È un pensiero sgradevole e azzardato, il mio, ma ho come la sensazione che nonostante tutto Lilith finirebbe col piacergli. La sola ombra di mia sorella nei nostri discorsi continua a incuriosirlo come un enigma da risolvere.

- Non riesco a credere che Lilith Crowford sia il tuo incubo peggiore, - mi stuzzica.

Io mi limito ad infilare lo stivale tenendomi in bilico su una gamba sola, il gomito appoggiato sulla maniglia del suo studio. Nicholas l'ha chiuso a chiave, osservo, dandogli le spalle per mascherare il nervosismo. Non può essersi accorto del fatto che mi sono introdotta nella sua stanza mentre lui e Franz erano via, giusto? Credevo che Beatrice avesse desistito all'idea di informarlo.

- Non lo so spiegare, - ansimo distrattamente, lottando contro i lacci ancora annodati.

- Ti capita mai di avere un brutto presentimento? Una sensazione tanto forte da sentirla arrivare? Tipo un lampo prima del tuono, o il vento caldo prima di una scossa sismica.

Nicholas controlla sul proprio laptop la lista di impegni da portare a termine nell'arco della giornata, ma come c'era da aspettarsi, non ci sarà molto a tenerci distratti dal match-point che si giocherà a Chicago a partire dalle quattro di questo pomeriggio.

Che vuoi che sia, ingoio: c'è solo il mio destino in ballo. Quello di Nicholas, quello delle Fazioni. Faccio finta che sia tutto sotto controllo solo per non perdere la poca sanità mentale che mi è rimasta.

Nicholas mi scruta con l'affetto che prima d'ora gli ho visto riservare solo a Franz, ed è una sensazione unica nel suo genere; intimidatoria perfino.

- Non c'è alcun aumento di temperatura prima di un terremoto, creaturina. È solo una leggenda metropolitana.

- Giusto, - dico, - dimenticavo: i terremoti non si possono prevedere.

- A meno di non disporre del prototipo di ultima generazione collaudato dalla scienziata sedicenne –

- C'è un modo sicuro ed efficace per farti chiudere quella bocca da saputello? – sbraito.

Lui mi fronteggia a braccia conserte, ma senza alcuna voglia di litigare.

In un momento come questo il più futile dei battibecchi potrebbe consumarci le energie.

- Usa l'immaginazione, - sibila con un certo sarcasmo: - non posso suggerirti tutto io.

- Sei odioso.

- E tu sei intollerabile.

- Ma la nostra equazione porterà allo stesso risultato, - afferma, - domani e dopodomani e tra giorni, settimane e interi mesi. Al di là di quello che verrà deciso oggi.

È il suo modo cervellotico di dirmi che nonostante il nostro futuro sia incerto, la sua presenza nella mia vita non è più un'incognita, né una variabile. Le cose potranno cambiare; alcune finiranno e altre, probabilmente, inizieranno da capo. Nicholas, però, mi sta promettendo di restare.

- Credi a me, - dice: - sono io quello bravo in aritmetica.

Lo zittisco nell'unico modo che mi viene in mente per tenere occupate le sue labbra.

E funziona.

***

Il resto della mattinata non passa abbastanza in fretta da evitarmi un controllo ossessivo delle notizie giunte all'attenzione di Nicholas. Ogni volta che lo vedo armeggiare con il proprio tablet di ultima generazione o con l'auricolare collegato al pannello di controllo della Sala Circolare, non riesco a non sottoporlo all'ennesimo interrogatorio.

- Ci sono novità? – premo.

- Ti hanno anticipato qualcosa?

-Notizie dal fronte occidentale?

Da principio, lui scuote la testa con fare professionale e continua a svolgere tutte le mansioni che gli competono in quanto Rettore dell'Istituto: risponde ai comunicati ufficiali e alle richieste di collaborazione, controlla i progressi di ogni singolo studente col giudizio spietato di un professore che non si lascia abbindolare, e si preoccupa che tutti i macchinari necessari agli esperimenti siano in perfetta funzione.

Non sono l'unica a stare sulle spine, ma l'attitudine di Nicholas al controllo è capace di mettere in riga perfino i più polemici tra i ragazzi: Maria, Ren e nell'arco dell'infinita ed esasperante mattinata di calma piatta, perfino Beatrice.

Si materializza davanti all'ufficio da cui Nicholas coordina la struttura senza nemmeno bussare; a passo svelto e leggero, tanto che per un istante quasi non ci faccio caso. Appare diversa dal solito, meno appariscente e quasi malaticcia: la sua pelle è secca e tirata attorno alle ossa come la buccia di una cipolla, e i suoi capelli sembrano spenti, così raccolti in uno chignon che pende pericolosamente verso sinistra. Ci guardiamo per qualche secondo, ma lei esita sul da farsi. Rimane sulle punte degli stivali, una ballerina che ha dimenticato la propria coreografia. Indecisa.

Nicholas mormora il suo nome con sincero stupore: - Beatrice.

Nei suoi occhi da tigre non c'è il disprezzo che mi ha sempre riservato, perché a conti fatti di me non le importa un accidente. Tutto quello che vede davvero è Nicholas, seduto a gambe accavallate dietro la scrivania a semiluna.

E la gelosia prende il sopravvento sulla mia buona educazione, rendendomi il sangue amaro come veleno. Non è quello che mi aspetto da una come me, ma ultimamente non riesco proprio a sopportare la sua presenza. Dopotutto sono diventata io quella che ha tutto da perdere.

- Ti serve qualcosa? – sibilo e la sua testa scatta nella mia direzione ad una velocità impressionante. Perfino Nicholas rimane pietrificato dall'astio nella mia voce.

- Sai che giorno è oggi, no? Abbiamo da fare, se non ti dispiace.

Beatrice si stringe le braccia intorno al corpo snello e sinuoso, quasi avesse l'influenza. Ma l'interno dell'edificio è rimasto caldo e accogliente e i riscaldamenti non hanno mai smesso di funzionare. Nicholas si alza con cautela. Non per andarle incontro. Solo per riavere la sua attenzione.

La riottiene al prezzo di ridurle la voce in pezzi.

- Franz sta preparando una sorpresa, - sussurra: - per il tuo compleanno.

Io e Nicholas sgraniamo gli occhi per la rivelazione inattesa. Non ha alcun senso: perché mai avrebbe dovuto dire una cosa del genere? In un momento di insopportabile tensione come quello che stiamo passando, poi. È come se Beatrice non si rendesse conto di quello che sta per succedere. Forse, nessuno a parte Nicholas se ne è ancora reso conto.

- Ho pensato di dovertelo dire, - ingoia, alzando le spalle: - Tu detesti le sorprese.

Questa è forse la terza volta che Nicholas rimane a corto di parole, da quando lo conosco. Si limita a studiarla, ignorando gli avvisi che compaiono a ripetizione sullo schermo del proprio computer.

- Chol? – azzardo, ma lei mi interrompe.

- Non la rovinerai, - dice con foga, - non è vero? Per lui.

Nicholas si barrica dietro una calotta di distacco: - Preferisco fare le cose secondo i miei termini.

Poi aggiunge: - Senza sorprese.

Lo spirito di Beatrice si rianima tutto d'un tratto. C'è convinzione nel suo sguardo, unita a qualcosa di più oscuro che non riesco a decifrare. Annuisce nella nostra direzione con il sorriso cattivo di chi non aveva troppe aspettative e cercava solo la dimostrazione dell'ennesima delusione.

Scompare oltre la porta dell'ufficio senza un'altra parola, e nessuno dei ragazzi la vede per il resto della mattinata.

Da quel momento, il ciclo ricomincia.

I bambini continuano con le loro lezioni; i ragazzi procedono con le loro ricerche finanziate dalla Fazione e alcuni si limitano a controllare silenziosamente i loro telefono in cerca di aggiornamenti. Sono tanti i parenti e gli amici che prenderanno parte al Comizio del pomeriggio, ma nessuno è disposto a condividere quello che sa.

Io inganno il tempo rimuginando in maniera ossessiva sulle parole di Beatrice; su tutto quello che potrebbe andare storto e cadere in rovina. Faccio una lista, perfino. Per esorcizzare la sfortuna. O perché sono una persona fin troppo drammatica.

Quando comincia a diventare troppo lunga, mi decido a sorseggiare un caffè in compagnia di Sharazad, che è di certo la migliore ascoltatrice che ho a disposizione, nonché quella più rassicurante.

- Vuoi che ci sia anche io, - dice pacatamente, - quando Xanders si farà sentire?

- No, - dico, prendendo la sua mano meccanica nella mia e stringendola forte. Riesco a sentirne il calore vivo, come se fosse vera. Shad fa questo strano effetto quando le stai accanto.

- No, grazie, - mi correggo.

Non voglio che patisca quella telefonata insieme a me.

Mi basta sapere che avrò delle braccia in cui lanciarmi se le cose andranno bene.

O delle spalle su cui piangere, se per caso andranno male. Ma Shad dice che devo smettere di pensarci o finirò col farmi venire un'ulcera duodenale.

- Terrò gli altri lontano da te, allora; in modo che non facciano gli spioni, mentre tu e Nicholas prendete una boccata d'aria fresca.

Poi aggiunge scherzosamente: - Smettila di reggere il fiato prima del tempo, Sybil, o ti verrà un'acidosi respiratoria7.

Shad ha ragione.

Per soffocare c'è ancora tempo.

Al Comizio mancano cinque ore.

***

Il vento sferzante che mi graffia le guance.

È quello di cui ho bisogno in questo momento di vuoto dilatato e totalizzante. Nicholas lo chiama horror vacui8: la paura del niente; per me, credo, la paura dell'attesa; per lui, l'insostenibilità della propria ignoranza. Io voglio che tutto questo finisca al più presto e Chol vuole sapere che cosa ci aspetta.

Camminiamo verso il Cenotafio e poi indietro sulle rive del lago, lasciando impronte sul fango fino all'erba ghiacciata che tappezza il bosco. Ci scaldiamo a vicenda per evitare di rientrare, parlando di continuo e riempiendo i silenzi.

Io non voglio vedere nessuno a parte lui.

Non voglio dover affrontare nessuno, a parte lui. Perché la presenza di chiunque altro rischierebbe di uccidermi all'istante, ma sento che se Nicholas si allontanasse da me anche solo per un secondo, l'ansia potrebbe afferrarmi in una morsa e sgretolarmi come argilla.

Sollevo il telefono all'altezza del naso, le unghie dissanguate dal freddo rigido dell'Inverno e le vene che si rincorrono lungo la linea pallida del mi polso come strade svuotate. È una videochiamata in entrata, concludo. Da Xanders Samuel.

Rivolgo un'occhiata spaesata a Nicholas e lui fa un cenno d'assenso con il capo. Sicuro di sé. Ottimista, ma in maniera quasi plateale. Premo il tasto 'rispondi' al centro dello schermo, deglutendo a vuoto e per un po' trattengo il fiato. Quando il sorriso affannato e familiare di Xanders compare sullo schermo, la speranza mi riempie in quantità tale da lasciarmi quasi stordita.

- Sybil! – esclama.

- E c'è anche il nuovo Rettore dell'Istituto, se non mi sbaglio.

Nicholas abbassa la testa sopra la mia clavicola, l'espressione seria e i modi pratici che non lasciano trapelare alcuna emozione. Non so che cosa stia provando alla vista dell'uomo a cui abbiamo consegnato il nostro destino: tutto quello che Nicholas sembra desiderare è venire al punto.

- Aggiornaci, - dice solo. Io almeno riesco a balbettare un saluto.

Xanders si preme una cuffia minuscola sull'orecchio sinistro, le occhiaie gonfie e scure di chi ha lavorato sodo e riposato troppo poco. Intorno a lui, in un edificio anonimo e dall'arredamento costoso, sfrecciano decine di persone: uomini e donne, giovani e anziani, in abiti eleganti e strane uniformi. Mi ritrovo a fissarle senza spiccicare parola. Nauseata. Piccola e inutile come mi sento da ore.

Sono proprio lì, alla portata di una connessione internet, eppure distanti centinaia di chilometri. Le persone che hanno causato tutto questo dolore e che sotto il loro rivestimento dorato covano – almeno secondo i sospetti di Nicholas – la minaccia più grande ai danni della mia gente.

Non gli è bastato ribaltare la mia realtà e sconvolgerla per sempre. Quello che i Novi vogliono è spazzarla via per riscrivere la propria, e tutto quello che posso fare è aspettare che siano loro a decidere per tutti quanti.

- Inizieremo a breve, - dice Xanders, ruotando la visuale in direzione della porta. Io e Nicholas aguzziamo lo sguardo, piegando il collo per osservare meglio. Sembra che Xanders si trovi all'ingresso di un'enorme sala congressi, brulicante di individui.

Il via vai di sconosciuti che vi passano attraverso basta a farmi venire il mal di testa.

- È tutto pronto e definito nei minimi particolari: Hartshorne non ha potuto fornirmi i dettagli delle prove che sono state fornite all'ordine dei Questori, ma secondo lui la ricostruzione fornita dalla Polizia non lascerà campo ad alcun dubbio.

Xanders si fa più vicino per mantenere un minimo di discrezione: - E detto tra noi, l'arringa di Mateots ha il sapore di una catilinaria9. C'è una ragione se è considerato il migliore sul campo. Credo che i nostri avversari avranno del filo da torcere.

- Armand, - gracchio, incurvando la schiena sotto un peso senza nome. Dietro di me, alto e immobile come una colonna portante, Nicholas emette un suono insofferente.

- C'è anche lui? – indago, schiarendomi la gola.

Non so che cosa mi spinga a chiederlo. Il ricordo del nostro abbraccio, il giorno in cui ci siamo intrufolati nell'ufficio del Capitano della Polizia; o semplicemente quello della sua presenza quieta, e piacevole, nella sala da tè in cui ci ritrovavamo a parlare quasi tutte le sere.

Armand Navier, l'amico che ci ha pugnalati alle spalle.

Xanders inforca gli occhiali a mezzaluna e si gratta la barba ramata come a voler prendere un po' di tempo.

- Sia lui che la sua famiglia sono già stati scortati in tribuna, - ammette alla fine, - ma non ho avuto modo di parlargli. La Sala era già piena, quando io e Amelia siamo arrivati.

Nicholas colpisce dritto al punto, come in uno dei suoi affondi da spadaccino.

- Ci sono tutti? – domanda, svuotando la propria richiesta da qualunque tonalità, così che Xanders non possa farsi strane idee sul suo stato d'animo. Dopo giorni spesi in simbiosi, senza mai allontanarci l'uno dall'altra e quasi assuefatti dalla reciproca compagnia, mi ero dimenticata di che cosa fosse capace: dell'impersonalità asettica della sua espressione; del tono quasi sprezzante di chi sta dedicando alla questione fin troppe cure. Il suo repertorio di maschere taglienti è ancora in grado di cucirglisi addosso come le scaglie di un camaleonte.

Gli lancio un'occhiata inquieta, inspirando dal naso per non perdere la concentrazione.

La risposta di Xanders arriva così in ritardo che non mi stupisco del suo contenuto.

- Quasi tutti, - precisa.

- Sobràl e i suoi collaboratori sono arrivati da un pezzo.

- Aucan Sobràl è il capo delle forze dell'ordine dell'altra Fazione, - dice Nicholas, anticipando la mia domanda senza staccare gli occhi dallo schermo, dove Xanders si fa sempre più irrequieto e su di giri.

Per un attimo la domanda incalzante di Nicholas rimane priva di qualunque significato.

- Zelda Hodgkin, - insiste solo: - puoi passarmela?

Lo dice con una certa scocciatura, ma in principio non faccio caso all'urgenza con cui si rivolge a Samuel per ottenerne una risposta. Forse perché mi sento come se qualcuno mi avesse scollegato dal mio stesso cumulo di ossa; come se ci fosse qualcosa di inanimato a tenerle in piedi e io le guardassi rimanere in bilico dall'alto di una nuvola.

Vedo tutto, certo, ma il mio cervello si rifiuta di processarlo.

- Ecco, lei –

Il vociare dei Novi dall'altra parte del telefono diventa peggio di un vespaio nella quiete assoluta del tramonto. Mi innervosisce. Mi fa venire il voltastomaco. È come quella volta, a scuola, quando io e Lilith stavamo litigando e i nostri compagni si erano riuniti tutt'intorno per fare scommesse su di noi; c'era un chiacchiericcio assordante, quel giorno, prima del silenzio.

Me lo ricordo ancora.

- Di lei non c'è alcuna traccia, - dice Xanders.

Il telefono scivola dalla mia presa, rischiando di finire sul terreno congelato. I riflessi di Nicholas si dimostrano fulminei nell'effettuare un salvataggio d'emergenza, mentre il mio braccio rimane sospeso nella stessa identica posizione. Tremante. Di gelatina.

Mi volto piano, in preda allo shock, guardando il pomo d'Adamo di Nicholas che gli sporge a forza sulla pelle quando si sforza di deglutire.

- Non credo di aver capito, - ansima.

Nemmeno io, vorrei dirgli, ma il ronzio nelle mie orecchie si fa proporzionale all'offuscamento improvviso che intacca la periferia del mio campo visivo.

È una sensazione già provata.

Quella della deviazione casuale di una goccia che precipita.

Un momento prima, il nulla. Quello dopo –

L'estraneità della reazione di Nicholas mi riporta a galla senza lasciare che l'istinto mi allontani dal presente.

Xanders deve essersi sbagliato, giusto? Non può averlo detto sul serio.

Ma lui continua: - Hartshorne non ha idea di dove sia.

Sembra mortificato più per noi due che per il potenziale pericolo dell'intera situazione.

- Il Sergente Luhanga, la seconda in comando, ha solo annunciato che sarebbe arrivata in ritardo. A quanto pare c'è stata un'emergenza di natura personale di cui doveva occuparsi a tutti i costi.

- Personale, - singhiozzo, e una punta di dolore mi fa stridere le corde vocali come quelle stonate di un violino. Cosa può esserci di più importante di una Riunione tra i massimi sistemi di Governo della loro Specie?

Personale.

La donna a cui ho consegnato tutto ciò che sapevo sulla scomparsa di mia sorella ha davvero anteposto le sue priorità alle mie, nonostante il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire nel Comizio?

L'incredulità di Nicholas supera di gran lunga la mia.

- Impossibile, - sbotta.

- Un comportamento irresponsabile, - concorda Xanders, - sono d'accordo. Fino all'ultimo pezzo grosso tra i nostri oppositori è pronto a darci il ben servito e l'alleata più potente che abbiamo ha delegato la difesa della nostra causa ad una rappresentante. Roba da matti!

Qualcosa si agita alle mie spalle. C'è un movimento rapido, poi un brivido di freddo dove Nicholas si è staccato dalla mia schiena per allontanarsi di qualche metro. Mi passa al volo il telefono e comincia ad armeggiare con il suo, parlottando a denti stretti.

- Nicholas, - esclamo, - che cavolo stai facendo?

- Bitte, - mormora, - kommen!

- Bitte, bitte, bitte10.

Comincia a camminare in circolo, a testa china e come un pazzo che abbia appena perso il senno da qualche altra parte. Io mi lecco le labbra prosciugate da un'angoscia inspiegabile, avvicinando i gomiti per occupare meno spazio possibile.

- Non, - balbetto, strabuzzando le palpebre: - non so che cosa gli sia preso.

E non so che cosa sia preso a Zelda. O a me. E alle mie giunture molli e al senso di morte imminente che mi oscura qualunque pensiero razionale.

- Xanders, - dico tentativamente, ma lui deve accorgersi della difficoltà che sto provando. La attribuisce alla tensione accumulata in vista del grande giorno.

- Andrà tutto bene, Sybil, non c'è nulla da temere.

Il suo volto mi appare troppo gonfio e troppo rosso per essere reale. Stringo gli occhi e li riapro.

Non mi sento molto bene. Ho le palpitazioni.

- Molte persone estremamene potenti sono dalla tua parte, - continua lui: - Le prove che hai fornito al Comizio sono toppo inconfutabili per non strappare una confessione a quei farabutti. Rivedrai Lilith prima di quanto credi, Szilàrd ne è sicuro.

Il portavoce del vecchio Console Fodel in persona; uno degli uomini più in vista della Fazione, nonché, secondo Nicholas il più influente in assoluto.

- Kornel Szilàrd si è interessato al caso? – esalo. Quell'uomo, il suo carisma spiccato e il rispetto che i Novi nutrono per la sua carriera, potrebbero cambiare tutte le carte in tavola; rivoltarle a mio favore, se possibile.

- Lo ha preso a cuore! – promette Xanders.

- Durante la nostra intera permanenza, ha messo le sue guardie del corpo a mia completa disposizione; mi hanno accompagnato per tutta la mattinata, - sorride, gonfio d'orgoglio, fino a rendersi ridicolo.

Sto per tirare un sospiro di sollievo.

Sto per ringraziare il cielo e stampare un bacio sullo schermo.

Sto per farlo, quando una donna sulla trentina chiude la propria mano inguantata sulla spalla di Xanders.

- Professor Samuel, - dice, con un forte accento a indurirne la voce: - il Comizio è quasi cominciato e il Questore si sta mettendo in linea con il Console in questo preciso istante.

- Oh, - dice Xanders, spostandosi di lato per inquadrare la propria interlocutrice: - ma il Capitano Zelda Hodgkin –

La donna fa un passo avanti per rinforzare la presa: - Non possiamo più aspettare, - taglia corto, - mi dispiace. È ora di andare.

È in quel momento che i nostri sguardi s'incrociano attraverso l'occhio stretto della telecamera. Il suo, di un azzurro glaciale e senza vita, e il mio, di un castano inghiottito dalle pupille dilatate. Nel millesimo di secondo in cui la sua espressione falsamente gentile viene proiettata sullo schermo del mio telefono, ho come l'impressione che sia lei a riconoscermi per prima. E che io non sia altrettanto lucida e veloce per fare lo stesso.

- Xanders, - comincio, - aspetta.

Capelli lunghissimi e biondi, tanto piatti da aderirle ai lineamenti spigolosi; aspetto androgino e rumore di tacchi spessi ogni volta che si muove. La donna si sofferma un attimo di troppo a fissare nella mia direzione.

Con sconcerto.

Con odio.

- Non c'è più tempo, Professore.

Il suo comando suona definitivo e Xanders annuisce senza discutere ulteriormente.

- Arrivo subito, - promette, poi mi rivolge un ultimo saluto: - Per aspera ad astra11, Sybil. Ce la faremo, vedrai.

- Xanders, - urlo, - no!

Ma lui riattacca.

E l'interfaccia della videochiamata lascia il posto al display del telefono, nero e riflettente come uno specchio. La mia immagine sul vetro protettivo del dispositivo pare distorta da un orrore senza precedenti. Rimango a fissarla come in preda a un altro dei miei sogni lucidi dai retroscena inquietanti, il succo gastrico in bocca, le ginocchia instabili.

Poi comincio a richiamare Xanders. Una, due, tre volte, a ripetizione.

Mi accorgo di star mormorando qualche sorta di stupida preghiera, nonostante la segreteria risuoni nelle mie orecchie come la più crudele delle cantilene: il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Riprovare più tardi. Riprovare più tardi. Riprovare più tardi.

Quando Nicholas si riprecipita al mio fianco, è il pallore cadaverico sul mio volto a catturare la sua attenzione.

- Creaturina, - dice, le sopracciglia aggrottate e il fiato che si alza dalla bocca in spessissime volute.

- È caduta la linea?

La mia testa si muove da una parte all'altra, come per inerzia.

- No, - deglutisco, - ma la Riunione stava per iniziare.

Lo fisso a occhi sgranati, paralizzata da un turbamento che ormai conosco a memoria.

Con impotenza e confusione.

Magari me lo sono solo immaginato, penso.

Magari dovrei mettermi ad urlare.

- Franz non risponde a telefono, - sbuffa Nicholas.

- Strano, non è vero? Come si fa a utilizzare un dispositivo di comunicazione per qualunque altra funzione che non sia il comunicare?

- Lui, - comincio, umettandomi le labbra: - lui sa dove si trova Zelda?

- No. Non lo so. Ma lei non avrebbe mai evitato un confronto con il Comizio se non fosse successo qualcosa a uno di noi due.

- Quante persone hai detto che avrebbero partecipato? Alla riunione, intendo.

- Centosessantotto, dei trecento che compongono il Governo delle Fazioni. I più importanti rappresentanti della specie sono tutti là, con l'eccezione dei due Consoli, - spiega, - e a quanto pare di Zelda.

Tutti i loro leader, raccolti sotto lo stesso tetto, sospesi nello stesso grattacielo d'acciaio. Allo stesso identico momento.

- Tutti quanti riuniti nella stessa stanza? – ansimo.

- È un po' rischioso, non ti pare?

Nicholas non dà segno di soppesare l'allusione nelle mie parole. Continua ad armeggiare con la rubrica dei propri contatti e a incastrare il telefono tra l'incavo del collo e l'orecchio sinistro, ignaro del fatto che io stia stritolando il mio.

- Coraggio, Franz. Ti prego.

La sua segreteria è diversa da quella di Xanders.

Il numero di Kopplen è ancora in linea, ma viene segnalato come occupato. Ritentare all'infinito non ci porterà da nessuna parte.

- Nicholas, - insisto, - c'è una cosa che –

- Lasciami fare questa telefonata, okay?

- Stammi a sentire, io –

- Risponderà, - insiste, - dammi solo –

- No! - strepito, artigliandogli il polso a mezz'aria.

Le mie unghie affondano dentro di lui fino a lasciare il segno. Non per rabbia, né per aggressività: ma per il senso primordiale di pericolo imminente che acuisce tutti i miei sensi fino a rendere ogni secondo che passa un'autentica agonia. Nicholas non ha bisogno di altre indicazioni per capire la gravità della faccenda.

- Hai presente la notte in cui ci siamo incontrati? – soffio.

- In quel sobborgo malfamato di Marshall?

- Sybil, non è il momento di perdersi nei ricordi.

Vomito le parole senza alcuna interruzione.

- Facevi parte della squadra mandata da Xanders per guardarmi le spalle. Tu l'hai visti, Nicholas.

- Chi?

- Loro, - esclamo, - i sicari. So che li hai visti. Avevano un coltello puntato contro le nostre gole. Un uomo e una donna, entrambi sulla trentina.

Nel suo sguardo si accende un lampo di interesse. Quasi riesco a vedere i suoi processi mnemonici che cominciano a scandagliare la memoria in cerca di un'immagine.

- Biondi, - dice immediatamente: - sul metro e settanta, con un accento est-europeo. L'uomo aveva una strana cicatrice alla base della nuca; come una scottatura.

- Sembravano fratelli, - conclude.

Annuisco con decisione.

- Credo di averli visti, Nicholas. Stavano scortando Xanders, erano le guardie del corpo di Kornel Szilàrd.

L'implicazione di quello che gli sto raccontando pare colpirlo come uno schiaffo in pieno viso. Nicholas non si scompone, né indietreggia per l'attonimento, ma la sua espressione diventa quasi risentita. Vedo la sua mascella contrarsi con lo sdegno di chi ha preso il senso del discorso sul personale.

- No, - dice, - ti stai sbagliando. Szilàrd sistemerà le cose: mi ha dato la sua parola.

- L'ho guardata dritta negli occhi, Nicholas. Era lei, la donna che mi ha quasi fatto fuori!

- Sei solo spaventata, Sybil, lo capisco.

- Ti dico di no! – singhiozzo, tirandogli una manica.

Lo supplico con le lacrime a gli occhi, perché l'idea di non essere creduta, qui e adesso, dalla persona a cui tengo di più, dall'unica che conosce la posta che c'è in gioco, finisce per distruggere qualunque rimasuglio del mio autocontrollo.

- Devi fidarti di me, Chol. Sta per succedere qualcosa, okay? Abbiamo bisogno di Zelda!

Nicholas scrolla il braccio lontano dal mio. Frustrato. Ferito.

- No, - dice, - non dobbiamo. Sarà lì a momenti, ne sono sicuro.

Faccio un passo lontano da lui, poi un altro. Poi gli volto le spalle e comincio a marciare di buona lena verso l'ingresso della Villa, imponendomi di non aspettare che mi segua.

- Dove stai andando? – grida.

- Alla sala circolare, per mettermi in contatto con la Polizia. Vuoi avere ragione a tutti i costi, Nicholas, ma stavolta faccio di testa mia.

Lo sento correre per raggiungermi.

- Sybil, - mi chiama, - fermati!

- Stai commettendo un errore, - gli ringhio contro, - un errore che non ci possiamo permettere.

- Forse sì, - dice e basta questo a farmi vacillare. Il senso di colpa nella sua voce, così diverso da tutto quello che gli ho sentito provare. Rabbia, tristezza, desiderio, trionfo. Non è rimasto niente di simile in lui. Solo... rimorso?

- Ma non c'è stato un giorno in cui io non abbia cercato di fare la cosa giusta, - confessa.

- Per la mia famiglia. Per te. E per tutti quanti.

Siamo a poco più di due metri di distanza, adesso. E io non riesco a procedere oltre per colpa sua.

Sussurro il suo nome come se lo vedessi per la prima volta in tutta la mia vita.

- Nicholas, - dico pianissimo, - di che cosa stai parlando?

- Tu non capiresti, Sybil. Non lo capiresti mai.

Vuole toccarmi, credo.

Lo capisco dall'esitazione dei suoi gesti. Ma io non voglio lasciarglielo fare; non voglio che quello che proviamo l'uno per l'altra ci offuschi la mente in un momento come questo.

Sto per dirglielo, quando un boato secco scuote il terreno sotto i nostri piedi.

Un boato, registro. Come di terra che si spacca a metà e svela l'accesso all'oltretomba.

- Che cosa – comincio, senza il coraggio di terminare la frase.

Mi limito a fissarlo, mentre sbatte le ciglia, con un'espressione allucinata. Nicholas detesta le sorprese: è quello che ha detto Beatrice. Lascio che mi esamini attentamente, come se fossi il bene più prezioso al Mondo e lui stesse cercando l'unico modo esistente di tenermi al sicuro. Non sposta lo sguardo sul terreno, come avrebbe fatto Lilith. Non ne ha bisogno. Quasi avesse già capito, nella risoluzione di uno dei suoi incomprensibili quesiti, il guaio che sta per succedere.

Qualcosa che molto probabilmente noi altri neppure immaginiamo.

C'è un'altra vibrazione sorda nel sottosuolo.

È così che comincia, e Nicholas esala piano, freddo come brina.

Non è reale, mi dico.

Non è reale.

Non può essere reale.

Continuo a ripetermelo finché un'altra scossa, più violenta della precedente, fa tremare la Villa davanti ai nostri occhi. Solo a quel punto balzo verso Nicholas come in cerca di un appiglio. Di un senso. Di una risposta.

- Che cosa sta succedendo?

Nicholas sposta le mani sempre più in alto. Per un po' credo che voglia premersele sulle orecchie, proprio come aveva fatto mia sorella, un'istante prima che la scuola saltasse in aria. Prima che l'Inferno aprisse i suoi cancelli e la inghiottisse viva. Ma non lo fa.

Prende la mia testa tra le sue dita, i palmi proteggermi dalla minaccia di un rumore troppo forte.

- Nicholas, - lo chiamo, ma quella è la parte peggiore. Guardarlo negli occhi. Realizzare che è terrorizzato.

Un fischio fende il cielo arancione sopra di noi.

Poi, tutto d'un tratto, una voragine inghiotte il terreno intorno alle braccia della Villa, rivoltando il fango.

E Nicholas riesce appena a pronunciare una parola, prima che abbiano inizio.

Una dopo l'altra, come una pioggia di meteoriti.

Le esplosioni.

***

Il disastro non ha suono.

C'è solo un innaturale silenzio qui intorno, qui dentro, qui. Al centro del petto, dove non riesco a sentire il soffio del mio respiro; dove non c'è nient'altro che un baratro informe di dolore.

Cieco e bruciante, quello delle schegge di legno infilzate nella mia pelle e dell'aria bollente che mi carbonizza gli alveoli12.

Morirò soffocata.

Così è stato deciso e così era stato scritto all'inizio della mia storia; tra le fiamme che divorano il bosco, lambendo gli alberi dalle radici con guizzi di tentacoli scarlatti; consumandone la corteccia.

Consumandone la vita.

Quando le lacrime lavano i miei occhi dalla cenere che aleggia nell'aria e la fine del Mondo si spalanca dinnanzi ad essi, sono ancora del tutto sorda. Stavolta sul serio.

C'è del sangue che cola dal mio orecchio sinistro e carne che trasuda liquidi sierosi dal mio stinco, nel punto in cui un tizzone ardente deve averlo colpito. Percepisco solo la pulsazione ininterrotta del mio zigomo sinistro, gonfio e cedevole, e il peso ingombrante del mio polpaccio ustionato.

Dicono che l'adrenalina metta a tacere ogni cosa, come un anestetico che fluisce nelle vene; qualche volta, in passato, devo averlo creduto possibile. In un'altra realtà, distante da questa, ormai giunta al capolinea. Quando avevo ancora tutti i tessuti attaccati ai muscoli.

Mi contorco sul terreno, con le unghie che si spezzano, scavando tra zolle divelte e ciuffi di prato fumante.

So che sto urlando di dolore, ma per quanto mi sforzi, non riesco a sentirmi.

Non sento niente a parte un male indescrivibile che mi divora ogni singola radice nervosa. Quello e la sensazione delle sue braccia che mi sollevano di peso per rimettermi in piedi. A malapena focalizzo la sua immagine nella mia retina acciecata dalle detonazioni.

Nicholas.

Devo aver piagnucolato il suo nome. E la mia voce lo raggiunge, ma la sua è schiacciata da uno stridio acuto che riecheggia nei miei timpani fino a farmi impazzire. Non riesco a vedere la sua faccia, al di sopra della mia spalla, ma solo le sue nocche spaccate e le sue dita annerite che mi stritolano i fianchi per trattenermi. Ma è tutto inutile. Non sento la forza nelle gambe, né la solidità del cortile sotto le suole delle scarpe.

Solo il dolore. Ancora e ancora.

E l'odore acre del fumo che impregna l'aria.

Sbarro gli occhi pieni di polvere verso l'orizzonte, facendomi strada attraverso un velo spesso di pianto. E quello che vedo è l'impossibile. L'impossibile inizio di tutto quanto. Che si ripete da zero, come in un cerchio infinito.

Gli ettari di foresta che circondano la Villa stanno bruciando. E con essi il braccio a nord-ovest dell'edificio, dove i dormitori dei ragazzi si aprono su lunghi corridoi illuminati.

Brucia tutto. Il legno, le foglie e l'intonaco.

Perfino il terreno umido a pochi metri da noi.

Vorrei poter f –

Uno strattone improvviso mi fa perdere l'equilibrio.

Il mio corpo ricade all'indietro come un peso flaccido, ma Nicholas lo sorregge contro il suo. È come quella volta al Cenotafio. Il suo cuore è un motore che scarica colpi incessanti contro le mie costole e i suoi ansimi mi spostano fili di capelli sulle guance.

Pensieri sconnessi.

Non riesco a formularne di diversi.

Nicholas comincia a trascinarmi, arrancando verso l'interno dell'edificio e lontano dal pericolo. Ma l'incendio corre rapido e i miei talloni strisciano per terra, lasciandosi dietro una scia irregolare. Forze d'attrito. Emorragie. La mia coscienza va e viene.

Tossisco acqua e sangue e non riesco a respirare. Rimango abbastanza lucida da realizzare che stiamo per morire, ma non ho abbastanza ossigeno nel cervello da supplicare Nicholas di lasciarmi qui e mettersi in salvo. Di abbandonarmi, come ha fatto con tante persone che appartenevano alla sua vecchia vita.

Anche se è l'unica cosa che voglio. Non che io muoia. Ma che lui sopravviva.

Gli artiglio i pugni chiusi attorno al mio addome, reclinando il capo per cogliere anche solo un ultimo barlume del suo viso. Quando trovo la sua espressione sfregiata dalla disperazione, però, non è me che Nicholas sta guardando.

Ma loro.

Figure amorfe, rivestite di perle.

Decine di uomini in tuta protettiva, così bianchi da riflettere le sfumature di colore. Avanzano verso di noi come se danzassero al ritmo delle fiamme, esattamente come la prima volta.

Incolumi e pronti a prenderci.

Mi aggrappo al braccio di Nicholas per trovare il modo di puntare i piedi. Solo per compiere un giro completo sul posto. Solo per potergli parlare.

Corri, tossisco, stringendo i denti.

E il dolore è insostenibile.

Il dolore è tutto.

- Vai, - mi sforzo di gorgogliare, ma lui non lo prende neppure in considerazione.

Nicholas è malconcio almeno quanto me, ma il suo organismo sta cercando di reagire al meglio delle proprie possibilità. Ho giusto il tempo di accorgermi che le sue ferite si stanno rimarginando, prima che lui mi prenda in braccio e scelga di ignorare le mie grida.

Fa dietrofront, strascicando un piede.

Poi comincia a zoppicare verso l'ingresso della Villa, dove la porta principale è rimasta aperta.

Spalancata su un rifugio.

Su una chance di salvezza.

Nicholas ci si lancia attraverso, mentre la mia testa ciondola sulla stoffa insanguinata del suo cappotto, dando le spalle alla linea del bosco; alle sagome che sbucano dal suo inferno come un esercito di diavoli.

Crede di poter raggiungere l'atrio prima che qualcuno ci faccia fuori, realizzo.

Lo fa perché non può vedere quello che sta per succede dietro di lui. Non può vedere che tre degli uomini che circondano il perimetro dell'Istituto hanno appena impugnato qualcosa di pesante.

Fucili lunghi, del colore del latte.

Puntati contro di noi.

I nostri assalitori non esitano neppure per il secondo di cui avevo bisogno per avvertire Nicholas.

Sparano a vista, puntando verso il basso, e i colpi dell'arma da fuoco sono i primi suoni a fare breccia nella cappa ovattata che le esplosioni mi hanno chiuso intorno.

Quelli, poi il sibilo dei proiettili che ci sfiorano i piedi. Uno di loro graffia Nicholas nel momento esatto in cui riusciamo ad oltrepassare la porta principale, facendogli perdere l'equilibrio.

Ci ritroviamo sul pavimento, io sopra e lui sotto ad attutire la mia caduta; sporco di rosso, con un sopracciglio tumefatto e i capelli bruciacchiati sulle punte; nello sguardo, un fuoco diverso da quello che lambisce tutto il resto.

Freddo, frenetico e furioso.

La squadra di sicari ripreme il grilletto, e stavolta mi rendo conto che le pallottole sono così grandi da sfondare il mogano e forare la pietra. Mi accascio sul marmo, in attesa che ci raggiugano e ci trivellino di colpi, mettendo fine alle nostre sofferenze.

Ma Nicholas non è del mio stesso avviso. Lo vedo portarsi l'orologio in frantumi alle labbra, prima di urlare: - Protocollo d'emergenza quattro-centoundici! Sistema di sicurezza livello sei, inizio delle procedure di isolamento ignifugo.

- Invio del segnale di soccorso mockford, - ordina, - elettrificazione del perimetro dell'edificio, - tutto d'un fiato, rotolando di lato per farmi da scudo.

C'è un'altra scarica di spari.

Più vicina della precedente.

Io e Nicholas non ci siamo mai tenuti più stretti di così.

- Serratura totale di tutti gli ingressi, - supplica, - Vai, vai, vai!

Siamo ormai a tiro perfetto dei cecchini, quando un tonfo assordante fa tremare i muri dell'atrio e un buio fitto cala nella Villa.

Accade tutto in un battito di ciglia.

I proiettili percorrono la giusta traiettoria, ma rimbalzano contro una superficie invisibile interposta tra i nostri corpi inermi e le loro masse in movimento. Una specie di campo di forza. Una protezione.

Gli uomini in bianco sembrano accorgersene all'istante. È per questo che cominciano a correre verso di noi, mentre Nicholas trattiene il respiro che io, arrivata a questo punto, sto perdendo del tutto.

Ci raggiungeranno, mi dico.

Ci raggiungeranno di certo.

E invece non lo fanno.

Perché il lastricato dell'ingresso si apre in una faglia rettangolare, troppo nera e profonda a contrasto con le fiamme che sfrigolano all'esterno dell'edificio, e un blocco spesso di titanio si solleva verso il soffitto.

Serrandoci al sicuro, dietro intricatissime serrature e tonnellate di metallo.

Lasciandoci nella penombra.

Vivi.





Angolo dell'Autrice: prendete un bel respiro, voi che potete. Cercate di rimanere calmi. Lo so che volete linciarmi per aver appena mandato in fumo la felicità di Nicholas e Sybil, ma non sarebbe Entropy se non ci fossero colpi di scena di questa portata, o almeno così voglio sperare. Quindi, ricapitoliamo. Un attentato, l'ennesimo, stavolta nel luogo che è il cuore stesso di questo romanzo. Le domande sono tante: chi è stato e perché? Dov'è Zelda? Dov'è Franz? Voglio sapere TUTTE le vostre ipotesi, mi raccomando!

Non ci crederete mai, ma questa è stata una delle prime scene che ho ipotizzato quando delineavo la trama nella mia testa. Volevo che questo capitolo fosse scritto in modo molto preciso, come un'immagine chirale – e dunque speculare - del primo. Forse avrete notato che la struttura della narrazione e molte delle frasi che compaiono al suo interno sono le stesse de "L'imprevedibilità di una deviazione casuale". Spero che la stessa sensazione di déjà-vu di Sybil l'abbiate provata anche voi.

Sono tempi difficili per tutti; io, per esempio, sono sparita per un lungo periodo; negli scorsi mesi ho dovuto affrontare alcuni dei momenti più stressanti della mia vita e mi sono tenuta lontano dalla scrittura proprio perché sapevo cosa stava per succedere ai miei personaggi. Finalmente, però, sono tornata. Ci tenevo a portarvi un po' di svago in questo periodo di quarantena.

Mi auguro che stiate tutti bene, insieme alle vostre famiglie. Ricordatevi sempre che "la speranza si può trovare anche nei momenti più bui, se solo ci si ricorda di accendere la luce."

È quello che ha detto uno dei miei personaggi letterari preferiti e credo proprio che abbia ragione.

Attendo vostre notizie e vi mando un forte abbraccio. Non potevo immaginare che alcune delle realtà descritte in questa opera di finzione diventassero vere, ma delle volte la realtà supera l'immaginario. Grazie di essere ancora qui, non smetterò mai di ripetere quanto lo apprezzi.

Vi lascio alle note:

1. Esame fisico di una secrezione: in medicina, consiste nell'osservare il colore, la limpidezza e l'aspetto di un campione. 

2. Le ginestre, tipico fiore dei paesaggi italiani e nello specifico marchigiani. Conoscerete tutti la celebre poesia di Giacomo Leopardi dedicata alla ginestra, opera che svolgerà un ruolo all'interno delle vicende di Sybil e Nicholas e che è già stata citata da quest'ultimo nel corso del romanzo. 

3. Va tutto bene, in tedesco.

4. La fase REM, cioè quel momento del ciclo del sonno in cui il nostro cervello è abbastanza attivo da sognare.

5. Picco sistolico: il valore massimo di pressione nel sangue, che corrisponde alla sensazione di pulsazione che potete palpare sulle arterie. Corrisponde grossomodo all'onda di polso. 

6. Es: secondo Freud, la sfera dell'inconscio e dell'istinto. 

7. Acidosi respiratoria: quando smettiamo di respirare per troppo tempo, il nostro corpo accumula anidride carbonica, che combinandosi con l'acqua forma l'acido carbonico. Ciò concorre ad abbassare il pH del sangue, rendendolo, appunto, acido. 

8. Horror vacui: in latino, la paura del nulla/del vuoto. 

9. Catilinarie: conoscerete tutti quelle che sono ad oggi le arringhe più famose della storia, cioè quelle dell'oratore repubblicano Marco Tullio Cicerone contro il famigerato Catilina. 

10. "Bitte, kommen!": per favore, rispondi, per favore, per favore, per favore. 

11. Per aspera ad astra: dalle difficoltà, alle stelle; è stata la prima cosa che ho imparato quando studiavo latino!

12. Alveoli: le parti del polmone deputate allo scambio di aria.

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