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22. La perdita della memoria epigenetica - Parte 1




Epigenetica: insieme di reazioni chimiche che senza alterare la struttura del DNA possono influenzare l'espressione dei geni degli esseri viventi e di conseguenza il loro fenotipo1. Si pensa che l'epigenetica venga trasmessa di generazione in generazione, come memoria delle esperienze vissute dai nostri antenati.





Le telefonate ricevute da Lilith nei mesi che hanno preceduto l'attentato. Il mio corpo contro il muro. Un disegno; così simile a quello che ho difronte, con lo stesso corsivo affrettato della firma dell'artista marcato a inchiostro sul retro del foglio, una dedica indirizzata a mia sorella.

Telefono, corpo, disegno.

I miei pensieri si rimbalzano le parole sulle pareti della scatola cranica. Non c'è nessun collegamento o ci sono tutti i collegamenti del Mondo, come fili rossi che si annodano sui particolari dei miei ricordi: Franz Kopplen nell'ufficio del Questore Szilàrd, Franz Kopplen che punta il dito contro Armand e sbrana il Capitano Zelda Hodgkin a suon di minacce; Franz Kopplen che striscia intorno a Shad come un cobra dalle scaglie colorate, pronto ad avvicinarsi di soppiatto, mordere, avvelenare.

Significa meno di niente o significa che avevo ragione su di lui: è difficile pescare una conclusione razionale nel mare di bugie e intrighi che i Novi mi hanno aperto tutt'intorno.

Ho la sensazione di annegare.

Appena sollevo un braccio verso il dipinto, la coperta di lana che Nicholas ha usato per tenermi al caldo mi scivola dalle spalle, ammucchiandosi sulle sneakers. Parlo come se avessi da leggere un copione: - Forse è stato lui, - butto là, con la voce trasparente e un gesto rivolto al muro.

La reazione di Nicholas è praticamente inevitabile: il sorriso si prosciuga dal suo viso appuntito fino a scomparirgli sottopelle. Non ricordavo che stesse sorridendo, dopo aver pronunciato il nome di Egon Schiele e il titolo dell'opera a memoria. Se devo essere sincera, a stento ho percepito la sua presenza al mio fianco negli ultimi tre minuti trascorsi in silenzio, anche se in questo preciso istante è diventata abbastanza invadente da farmi sfrigolare l'attaccatura dei capelli di energia elettrostatica.

Nicholas appare sinceramente scocciato: dice che non capisce a cosa mi stia riferendo e sbatte le ciglia con rapidità per dissezionare sotto i suoi occhi affilati il mio sbalzo improvviso d'umore.

- Franz, - spiego, - il tuo amico: forse ha incontrato mia sorella, prima che venisse portata via.

Lui emette un'esclamazione di pura sorpresa. Lo vedo addirittura scomporsi quando un fremito lo percorre dalle spalle fino alla fronte increspata, dove se non la smetterà di crucciarsi gli verranno altre rughe.

Faccio scoccare la lingua.

E così dispensare espressioni di disgusto gli viene più spontaneo di quanto non riesca a nascondere tutte le altre emozioni che cova gelosamente dentro di sé.

Nicholas acidifica il tono da rivolgermi al minimo pH fisiologico, poi comincia a lamentarsi. Lo lascio alzare il mento e aizzarmisi contro tanto per vedere se indovino.

- Stai delirando, - sibila e io non riesco a trattenere un ghigno d'amarezza. Ti pareva.

- Si può sapere come ti è balenata in testa un'assurdità del genere, così, all'improvviso?

Faccio spallucce per farlo arrabbiare: se abbassasse le difese, finirebbe col rivelare tutta la sua verità. A quel punto potrei vomitargli addosso la mia prima che il pensiero di quello che è successo mi consumi dall'interno.

- Ho detto "forse", - gli faccio notare.

- È dato da sapere cosa ti abbia suggerito questa equazione impossibile? L'ultima volta che il mio ippocampo2 ha controllato, stavamo parlando di quadri. Forse, - sottolinea, - la sindrome di Stendhal3

ti ha dato di volta al cervello.

Lo spintono, ma non si muove di un millimetro: perché deve parlare la stessa lingua da cervellone in alienazione di mia sorella?

Adesso Nicholas è troppo vicino, abbastanza da sfiorare le punte dei suoi mocassini fatti a mano con quelle delle mie scarpe e io sono troppo stufa di litigare con lui per il nostro gioco di continui tira e molla: se me ne andassi ora, non se ne farebbe niente. Se mi scusassi e lasciassi cadere il discorso, Nicholas mi inviterebbe a tavola e verserebbe del vino pur sapendo che è illegale bere prima dei ventuno anni e parlerebbe di arte e di scienza, di come sono distanti e di come sono la stessa identica cosa.

Ma non ci riesco.

Piego le ginocchia per raccogliere la coperta e Nicholas rimane come un giudice sopra la mia testa.

- Lilith è stata avvicinata da uno dei Novi, - continuo, parlando piano per mantenere il sangue freddo.

- È quello che abbiamo sempre pensato, dal giorno in cui sono arrivata; che qualcuno l'avesse convinta a inscenare l'attentato.

Nicholas resiste alla tentazione di digrignare i denti. Sta andando alla grande.

- E secondo te il mio migliore amico, residente in Germania e senza nessun legame con il Minnesota ad eccezione del sottoscritto avrebbe potuto contattarla. Ti sei chiesta perché mai avrebbe dovuto? Tornatene a dormire, Sybil: se non conoscessi l'assoluta inadeguatezza del tuo istinto e la tua inguaribile perversione nel farmi infuriare penserei che tu abbia esaurito i neurotrasmettitori4.

Voglio restare calma e allo stesso tempo urlargli nelle orecchie finché non mi crede. Quello che faccio invece è scostarmi dal dipinto e mettermi la coperta di lana tra le braccia conserte.

- Ho trovato un disegno nell'armadietto di mia sorella, - confesso. Di sicuro commenterà che è solo uno scarabocchio. Lo pensavo anche io, del resto. Quando mi rassegnerò al fatto che niente è solo quello che sembra, sarà ormai troppo tardi: questi bastardi mi avranno fregata una volta per tutte.

- Der Maler qualcosa, di Egon Schiele, con una dedica sul retro, tipo "grazie per essere venuta a vederlo con me, baci-baci". Lilith non aveva abbastanza denaro per andarci con uno dei suoi amici di scuola e mi hai appena confessato che si tratta del pittore preferito di Franz.

Nicholas scuote altezzosamente la testa, le onde diafane dei suoi capelli che gli incoronano le tempie e la base della nuca. Il suo sguardo mi scorre addosso come era solito fare, le prime volte che ci siamo incontrati, quando lui era il nemico e io ero la Sapiens guastafeste che sapeva troppe cose per farlo sentire al sicuro. È come se qualcosa nel mio intero essere gli facesse venire il voltastomaco.

-  Non so perché lo stai facendo, - scandisce, - accusarlo, Franz che non è mai stato in Minnesota prima d'ora. Lo detesti senza averne alcuna ragione logica.

Ecco che arriva. La sento alzarsi attraverso l'esofago, come alta marea: provo a trattenere l'isteria, ma sono sul punto di esplodere.

- Lui mi detesta, - abbaio, stavolta con rabbia.

- Guarda caso mi ha sempre detestata, fin dal primo momento: come te lo spieghi?

Nicholas tenta di giustificarlo: - Ho passato più tempo con te nell'ultimo mese che con lui nel corso dell'anno; mi sono cacciato nei guai per te, ho rovinato tutto quello che avevo pianificato per te. Ritengo che non serva aggiungere al -

- Mi ha attaccata! - sputo fuori. Nicholas rimane di stucco.

- Il giorno di Natale, nella mia stanza. Ero sola e lui mi ha picchiata per farmela pagare del nostro litigio. Per quello che ho detto su tua madre.

Volevo urlargli di smetterla, fermatifermatifermati, ma stavo soffocando per la violenza con cui mi teneva stretta e volevo anche strappargli via le dita, ma le mie articolazioni si sono come sciolte sopra la morsa d'acciaio delle sue.

Penso tutto questo, lo penso fino a riviverne la sensazione, eppure non riesco a descriverglielo ad alta voce. Mi concedo solo un ringhio di frustrazione.

- Questo va oltre la vostra amicizia, Nicholas!

- Stai mentendo, - freme, - Franz non farebbe mai una cosa del genere. Non ad una ragazza. Me lo avrebbe detto, lui -

Mi sfilo via la felpa e stendo il collo verso l'alto per metterlo in mostra. Sotto porto nient'altro che una canotta bianca di cotone, eppure vado a fuoco come se dalla mia pelle uscisse del fumo: può ancora vederle, sotto il mento, sopra le clavicole, vicino al taglio superficiale inflitto dall'ispettore Jerome Ryars; le impronte di Franz sono diventate verdi e gialle, come se prima di strozzarmi si fosse pitturato i polpastrelli con del colore a tempera.

- I lividi che ho sul collo, - ansimo, - guardali, Nicholas. Guardali! È stato lui. Mi ha aggredita e ha fatto in modo che lo minacciassi. Che minacciassi tutti voi. E nel frattempo mi ha registrata, in modo da potermi ricattare. Se lo conosci come dici, guardami negli occhi e dimmi che non ne sarebbe capace.

- Mi ha giurato di non averti rivolto la parola, - ingoia, senza riuscire a distogliere l'attenzione dalle macchie sul mio corpo, - e io gli credo. Ti stai inventando tutto per mettermi contro di lui.

- Scommetto che è stata Zelda a costringerti, - dice infine e io muovo un passo indietro, inarcando le sopracciglia. Non può fare sul serio.

- Zelda? - rido, - Perché proprio lei?

Penso alla nausea che si è impossessata della donna alla vista di Franz e alla reazione spropositata di lui nell'essere toccato dalle mani del Capitano, nell'ingresso del grattacielo che fungeva da Dipartimento di Polizia. Che si conoscano è scontato, ma da qui a ipotizzare che Zelda mi abbia obbligata a mettere zizzania tra di loro, c'è una bella differenza.

- Franz non c'entra niente con questa storia: avresti potuto puntare il dito contro un passante e avresti trovato più prove contro di lui, che non uno stupido disegno. Non ha niente da nascondere, - conclude, dandomi le spalle per ripicca.

- E perché si trovava nell'appartamento del Questore Szilàrd, la sera in cui siamo entrati nel suo appartamento?

Nicholas si volta con la bocca semi-spalancata.

- Sì, vi ho visti uscire insieme dalle telecamere di sorveglianza.

- Tu, - esclama, - tu mi hai spiato? Cosa sono, il tuo giocattolino?

È davvero fuori di sé.

- Avevi giurato che non c'era nessuno, là dentro e invece c'era lui. Voglio che tu mi dia una spiegazione del perché lo stavi coprendo.

- Io non ti devo niente, - ribatte con strafottenza.

- Va' a quel paese, allora. La prima cosa che farò domani mattina è chiamare Zelda Hodgkin e raccontarle tutto. Le dirò che abbiamo ripulito il suo computer, se necessario. Sai che lo farò.

Nicholas passa in rassegna gli svantaggi dello sputare il rospo e non ne trova abbastanza da mentire.

- Franz era nella stanza di Szilàrd, - ammette freddamente, - e allora? Li ho fatti conoscere a Strasburgo e lui gli ha rilasciato un permesso per lavorare con i Sapiens, in una delle più importanti Accademie di Restauro del Mondo.

- E perché avresti dovuto nascondermelo?

- Perché Franz non aveva i requisiti necessari per ottenere quel documento e Szilàrd ha dovuto chiudere più di un occhio per concederglielo.

- Dio, - deglutisco, - ha barato sulla richiesta d'ammissione e non lo reputi capace di mettermi le mani addosso? Darò a Zelda il disegno, Nicholas: magari non è niente di utile, magari sì. Avrei dovuto farlo alla stazione di Polizia e invece l'ho sottovalutato. Sai che novità.

Lo sento inveirmi contro in tedesco.

- Oh, smettila Reichenbach. L'hai detto tu che non è una prova sufficiente a incastrare Franz!

- Se glielo consegnassi, rischieresti di farle scoprire del drive, Sybil. È l'unica pista che abbiamo, per continuare a indagare per conto nostro!

- Mi fido più del Capitano, che di quel maniaco del tuo amico. Correrò il rischio.

Giro i tacchi e lo saluto con la mano che sventola, avviandomi verso la porta. Non faccio in tempo a spingere la maniglia che Nicholas trita i rimasugli del suo orgoglio inscalfibile e mi supplica di restare.

- No! - si lascia scappare.

- Sybil, aspetta, ti prego.

Rischiare di guardarlo e lasciarsi convincere costituirebbe una sconfitta personale; non sono sicura di poter resistere, con tutta questa stanchezza in corpo e il desiderio segreto che Nicholas resti dalla mia parte, ma finisco per dargli una chance. Gli rivolgo un'occhiata impettita, il peso della lana che mi fa male alle braccia nel punto in cui le cicatrici delle scottature stanno scomparendo. Alla fine dei conti, tutte quelle creme medicinali di ultima generazione sono servite a qualcosa.

Lo vedo selezionare attentamente ogni sillaba della sua richiesta.

- Non puoi mettere Zelda contro di lui, per favore. È solo uno stupido disegno.

- C'è il disegno e c'è che mi ha picchiata, - dico, - e anche solo il fatto che tu lo stia difendendo mi fa vomitare. Sai qualcosa di lui e non vuoi rivelarmelo e io non posso fidarmi di te se non mi confessi come sta la faccenda. Quindi di' qualcosa, Nicholas. Sei così convincente, alle tue conferenze. Di' qualcosa che mi faccia cambiare idea, se ci riesci.

Nicholas abbassa la testa.

Non lo fa mai, ma qualcosa mi dice che non vuole esporsi troppo in momenti come questo. Non mentre sceglie di essere sincero con me, perché sa che è l'unico modo rimasto per convincermi.

Lo osservo stringersi il polso con il localizzatore tra le dita, come se gli facesse male, mentre annienta le proprie resistenze una ad una. Gli ci sono voluti due anni, per costruirsele intorno e adesso deve tirarne giù un pezzo e aprire uno scorcio tutto per me. Chi se lo aspettava.

- A Chicago, il giorno della Vigilia di Natale, mi hai chiesto se avessi visto il peggio di me, - sussurra.

Me lo ricordo.

- Hai risposto di no.

Nicholas annuisce compostamente.

- Io e Franz siamo cresciuti insieme, come due fratelli. È quasi inquietante, a dire il vero: non me la ricordo una vita senza di lui, a Friburgo. Siamo nati lo stesso anno, nello stesso quartiere e abbiamo frequentato la stessa scuola, la stessa casa, per anni e anni e anni; ogni giorno, ogni minuto della giornata, c'eravamo solo io, Franz e Zelda. Lei era più grande, ma le piaceva comandarci a bacchetta e a Franz piaceva che si prendesse cura di noi. Le volevamo bene. Non come io ne volevo a Franz, ma nonostante questo eravamo un trio inseparabile, cieco a tutto quello che ci capitava intorno: alla situazione politica europea, che colava a picco sotto gli occhi assopiti dei suoi cittadini, ai Sapiens che mandavano tutto in malora; ciechi ai miei genitori che si detestavano e perfino ai problemi della signora Kopplen, assolutamente incapace di gestire il proprio denaro. Lavorava per la Questura, come assistente, quando ancora non c'erano Fazioni e i Novi condividevano ogni cosa.

- Lei non... - s'interrompe, cercando il modo più appropriato per descrivere la situazione.

- Non stava bene. Non riusciva a occuparsi Franz, nelle sue condizioni e senza un marito a sostituirla, così lo fece mio padre, come se fosse stato figlio suo. È stato lui a insegnargli a disegnare, - dice dolcemente.

Io non muovo un muscolo nemmeno per respirare.

Se vuole il mio perdono, deve fare meglio di così.

- Franz odiava la chimica, la matematica e la fisica e mio padre era l'unico che alimentasse le sue passioni. Era bravo a nasconderci il bilico disastroso in cui si trovavano le nostre famiglie. Poi, quattro anni fa, poco prima della Rottura, le cose iniziarono ad andare a scatafascio. Mio padre decise di andarsene dalla Germania e di portare Franz con noi: sua madre non era più in grado di prendersene cura, così facemmo una richiesta di affidamento che lei accettò senza pensarci. Fu il padre biologico di Franz a opporsi ed era un uomo abbastanza potente da metterci i bastoni tra le ruote. Rifiutò sia di prenderlo con sé, che di affidarlo a noi ed è in questo modo che abbiamo scoperto la verità. Hermann Hodgkin: è il padre di Zelda. E di Franz. Franz nacque da una relazione extra-coniugale del Questore con una delle sue dipendenti: Hermann la abbandonò subito dopo aver scoperto che era rimasta incinta e la pagò fior di denaro per comprare il suo silenzio. Zelda non lo sapeva, o così ha sempre sostenuto. Quando lo scandalo venne fuori, però, lei e sua madre si trasferirono negli Stati Uniti e Hermann le seguì nel giro di qualche mese.

Nicholas mi guarda dritto nell'anima.

- Aveva diciotto anni, Sybil. Zelda avrebbe potuto prendersi cura di Franz, se avesse voluto, ma lo ha abbandonato, senza mai più rivolgergli la parola, stroncando ogni suo tentativo di mettersi in contatto con lei.

- Poi, che altro c'è? Ma certo, - ridacchia, anche se il suono che esce dal suo petto è più simile a un singhiozzo: - Il fragilissimo equilibrio che teneva in piedi la mia vita imperfetta si è spezzato in un soffio. Dopo la Rottura, mia madre se ne è andata e mio padre si è ammalato. Leucemia. Scommetto che Sharazad ti hi già raccontato tutto. Ricordo di aver pensato che lo avrebbero salvato, in effetti. Che ero sicuro che ce l'avrebbe fatta. Nel duemila-sedici, un uomo forte come lui e così tante terapie, dall'altra parte nient'altro che un tumore liquido. Milioni di cellule che proliferavano senza controllo nel suo corpo. Che vuoi che sia. Morì nove mesi dopo, nonostante il trapianto del mio midollo, le chemio e la ricombinazione genica, poco prima che vincessimo la battaglia legale che ci garantiva l'adozione di Franz. È successo così, nell'indifferenza di tutto il resto del Mondo: l'uomo più straordinario che avessi mai incontrato era morto. Ed era così insopportabile che non riuscivo nemmeno a concepire come qualcuno potesse provare quello che provavo io. Era straziante anche solo pensare che Franz reclamasse quel dolore come suo. Lui non era figlio di EphraimReichenbach, io sì. Mio padre era solo mio e non c'era più. E così non tornai più in Europa: dopo il funerale, chiesi di essere trasferito qui, in Minnesota, il posto più desolato del nuovo Continente. Quando sei distrutto la solitudine ti uccide meno lentamente di quanto non faccia la finta compagnia di quelli che ti conoscono: era quello che continuavo a ripetermi per giustificare le mie azioni. Dopotutto feci esattamente quello che aveva fatto Zelda; cancellai Franz e sua madre dalla mia vita, smisi di rispondere alle sue telefonate, smisi di dargli mie notizie, distrussi ogni contatto. Lo abbandonai fino a non saperne più niente di lui e in qualche modo riiniziai a vivere, senza mai concedermi di pensare a lui, convinto che avrebbe fatto lo stesso. E invece no. Sei mesi dopo, ricevetti una telefonata da Zelda e mi scoprì incapace di odiarla come la odiava Franz. Scoprì che a differenza mia aveva seguito suo fratello da lontano, a cadenza regolare: si teneva informata su di lui, una specie di angelo custode ferito nell'orgoglio, senza trovare il coraggio di rientrare a far parte della sua vita. È stata lei a informare Hermann. E me. Che Franz -

Si ferma.

Tiene i pugni così stretti da mandarli in ischemia.

Dio solo sa cosa impedisca alla sua voce di spezzarsi.

- Si era ammalato anche lui, - espira.

- Di un male del tutto diverso da quello di mio padre, ma altrettanto subdolo e letale. Ancora oggi non riesco a capacitarmi di come sua madre non se ne fosse accorta. Delle persone che frequentava. Delle sostanze che assumeva. Del fatto che vomitasse tutto quello che mangiava, dal primo all'ultimo grammo di cibo. Quando Zelda costrinse Hermann ad intervenire, Franz pesava quarantuno chili. Più o meno come le sue ossa e i suoi organi interni. Provarono a salvarlo, ricoverandolo in un centro specializzato nella cura di disturbi alimentari a Berlino, con le sacche dell'alimentazione assistita somministrate dal naso, fino a quando i farmaci e la psicoterapia non lo annichilirono abbastanza da convincerlo a mangiare di nuovo. E ce l'hanno fatta. Nel giro di un anno lo hanno rimesso in sesto, ma sua madre ha perso l'affidamento. Non che avessero alcun tipo di rapporto, ormai.

- Allora, - deglutisce, - siamo quasi alla fine della mia storia: la prima volta che ci siamo rivisti, da quando l'avevo lasciato, è stato lo scorso Febbraio, quando il mio cervello ha metabolizzato il fatto che lo avessi quasi perso. Ho preso un aereo e mi sono presentato di nuovo a Friburgo: Franz non mi ha rivolto la parola, così sono ritornato. Poi di nuovo, ancora e ancora, fino a quando un poco alla volta non è tornato da me. Perché è questo, il punto: Franz è sempre stato più fedele di quanto non mi meritassi da lui. Dopo tutto quello che gli avevo fatto, mi è bastato tornare a casa perché mi riaccogliesse nella vita che io, tra gli altri, gli avevo rovinato. Ed è stata la cosa migliore che mi sia capitata dall'ultima volta che mio padre ha camminato su questa Terra: come una dipendenza. Come se avessi preferito soffocare che lasciarlo andare di nuovo. O condividerlo. Averne solo una parte, Franz che è tutta la mia famiglia. E allora, Sybil, vuoi sapere che cosa ho fatto? Chi è Nicholas Reichenbach? Ho fatto richiesta alla FeEBS di prendermi a lavorare con loro. Ho aperto un fondo a suo nome con i miei soldi. Per comprarlo, hai capito, visto che sua madre non gli aveva lasciato niente di cui mantenersi. Ho distrutto tutte le relazioni che lo avevano salvato durante la sua convalescenza. Karina Lusverg, la sua migliore amica, cancellata. Wolfgang Lusverg, il suo ragazzo, cancellato. Ho fatto in modo che si lasciassero dopo quasi un anno della relazione più sana che Franz abbia mai avuto. E alla fine sono tornato il centro della sua esistenza, esattamente come prima. Esattamente come mi sono accorto di volere quando ho scoperto che lui era il fulcro della mia. Del resto è stato l'ultimo desiderio di mio padre: "non rimanere da solo, Chol, torna da tuo fratello, torna da Franz".

Nicholas prende il respiro, come se avesse parlato tutto d'un fiato. Ora non mi guarda più. Cuce l'attenzione su un dipinto qualunque e non accenna a spostarla.

- Ecco, - dice, - adesso hai visto il peggio di me.

Io lo guardo fisso, ma resto ammutolita.

Gli occhi mi pungono nel punto in cui uno sfogo liquido preme per uscire e inondarmi la faccia. Mi passo una manica sulla guancia nel punto in cui l'unica lacrima che mi è sfuggita ha lasciato una scia, poi riporto la mano all'altezza della pancia. Nicholas è di nuovo immobile, la sua collezione a giudicarne in silenzio l'espressione di sfida, come se non aspettasse altro che di essere scagliato al centro della Terra al posto dell'ultimo angelo ribelle che ha osato arrivare a tanto. Da qualche parte ho letto che perfino il Demonio, giù all'Inferno, imprigionato in un lago pieno ghiaccio5, piange disperato all'idea della sua miseria: Nicholas invece pare troppo disgustato da sé stesso per commiserarsi o anche solo provare a pentirsi delle proprie azioni. Crede che sia troppo tardi, per rimediare.

- Di' a Zelda del disegno, se vuoi.

Nicholas alza in alto le mani davanti a sé, perché sa che non potrei mai. Non potrei mai fare una cosa del genere, io che so cosa vuol dire essere abbandonati da chi è sangue del tuo sangue.

Apro la porta in un colpo secco.

- Ci vediamo domani alle nove in punto, - dico, come imbambolata, - davanti all'ascensore.

Lascio la stanza senza aggiungere altro, un buco nero spalancato nel punto in cui fino a dieci minuti fa c'erano i miei polmoni: non so se quello che ho appena ascoltato sia vero o falso.

So solo che il peggio di me non sarà mai peggiore del suo.

***

Busso dopo aver passato gli ultimi tre quarti d'ora rannicchiata sulla scala che collega il terzo piano al secondo. Entro lo stesso, anche senza aver ricevuto alcuna risposta. L'unica fonte di luce nella stanza proviene da una lampada orientale, dalle sfumature arancioni e con le decorazioni in ottone, che lei deve aver lasciato appositamente accesa affinché nessuno inciampasse sui tappeti persiani che ricoprono il pavimento.

- Shad, - bisbiglio, muovendomi con le mani tese in avanti per tastare il percorso, - sei sveglia?

Un cinguettio si alza dal letto a baldacchino più vicino all'ingresso, attutito dalle coperte che si è tirata sulla testa.

- Che c'è? - domanda, ma non c'è nota di ostilità nella maniera in cui mi si rivolge; suona solo preoccupata e giù di morale.

- Posso sedermi accanto a te? Ho bisogno di parlarti.

La sento scoprirsi controvoglia e scorgo la lucina lampeggiante di alcune delle sue spie, come una guida. Mi accoccolo sul materasso, con le gambe divaricate e i gomiti sulle cosce, cercando di non adattarmi abbastanza al buio da dover affrontare i suoi occhi assonnati.

Dopo quello che ho appena scoperto, non sopporterei l'idea di lasciare i conti in sospeso con le persone che amo: sarà per questo che il bisogno di fare pace con Shad mi agita peggio di qualunque compito in classe abbia mai dovuto affrontare, fino a farmi venire il batticuore.

- So che non dovrei essere qui, - comincio, - ma volevo dirti che mi dispiace di aver reagito in quel modo. Sono stata una pessima amica e hai tutte le ragioni per avercela con me. È solo che stanno accadendo così tante cose tutte insieme che non riesco a stare al passo. È come quando alle scuole medie, durante l'ora di ginnastica, mi facevano saltare quei dannati ostacoli di legno: se me ne cadeva uno, non ero abbastanza veloce da prepararmi a tutti gli altri e alla fine mi sbucciavo le ginocchia. Immaginati la scena.

Shad avvicina le gambe al petto e si stropiccia la faccia con le dita.

- Quello che dici non ha alcun senso, Sybil.

- Lo so, - mi raggomitolo, - scusa. Ho fame e ho sonno e vorrei che per una volta tanto non succedesse niente; che non ci fosse niente di nuovo da mandare giù, capisci?

Lascia passare qualche istante, prima di cercare il mio gomito attraverso le lenzuola. Lo stringe con un gesto di tenerezza, a riprova che non merito una persona come lei nella mia vita strampalata.

- Capisco, - dice e io mi scuso di nuovo. Mi accorgo che sta annuendo perché gli impianti biomedici che le sostengono la mandibola cigolano un po'. Alla fine, ingoio la dignità senza farmela andare di traverso e accendo un'altra lampada, arcuando le labbra nel modo più spontaneo di cui sono capace.

- Ti va di parlare di questo tipo?

- Non lo so, - scalcia le coperte, - non c'è molto da spiegare, a parte il fatto che non ho speranze con lui e che probabilmente mi scrive solo per essermi amico. Tu, piuttosto, perché non lo sopporti?

- Diciamo che abbiamo avuto una discussione, il giorno di Natale, dopo che Nicholas e Maria hanno litigato a colazione. Tu non c'eri, ma te lo avevo raccontato, ricordi?

- E che vi siete detti?

- Brutte parole, perlopiù. Non ci andiamo proprio a genio, - ammetto.

Le racconterò la storia per intero quando non avrò più bisogno della sua infatuazione. Shad ha ragione, dopotutto: non posso chiederle di non farselo piacere, ma posso sfruttare questa sciagura a nostro favore. Più al mio, che al suo.

La seguo con lo sguardo mentre afferra una spazzola dal comodino e inizia a pettinarsi i lunghi capelli corvini, districandoseli con la cura che gli dedica tutte le sere. Doveva esserle passato di mente, dopo che me ne sono andata.

- Con me è stato gentile, quando siete partiti. Mi ha invitato all'Art Institute di Chicago e al Navy Pier con i suoi compagni, per un giro sulla ruota panoramica. Sono stati così carini da non commentare tutti i vestiti che avevo addosso per coprire le protesi e abbiamo mangiato il miglior gelato al pistacchio che abbia mai assaggiato.

- Con questo freddo? - le tiro una spallata per scherzare, - Vedi che è un tipo strano?

- Sybil, - mi pungola e io le soffio un bacio con la mano. La guardo di sottecchi, prima di schiarirmi la voce e commentare: - Sai che ha la fama di essere un po' troppo intraprendente, vero? E non c'entra niente il fatto che sia bisessuale, - assicuro, - quello è un pregiudizio del cavolo. Riguarda proprio lui come persona.

- Lo è perché non riesce a trovare la persona giusta, - dice Shad.

- E comunque è un bel ragazzo, estroverso e interessante: un po' lo invidio, ad essere sincera. Non gli importa quello che gli altri pensano di lui.

Maddai, eccone un'altra cotta di Kopplen.

Fingo fin troppo entusiasmo: - Dai, fammelo vedere meglio. Lo avrai aggiunto su qualche social, no? Voglio accertarmi che sia abbastanza sexy da poter uscire con te.

Shad si copre la bocca aperta con il cuscino, il rossore nascosto dal colorito ambrato della sua carnagione.

- Sei tremenda, - protesta, però logga in una specie di social network dall'interfaccia personalizzata.

Shad digita "Franz" nella barra di ricerca e Kopplen è il primo profilo che salta fuori.

- Eccolo, - mormora, mordicchiandosi le unghie.

Scorriamo attraverso decine di foto di feste e mostre d'arte e di design, di drink colorati e pennelli spettinati, risalendo nel tempo di mesi interi che Franz ha passato sempre in compagnia. Condivide molti schizzi incompiuti e nessun'opera che possa considerarsi finita e Nicholas non compare che in una o due delle sue foto rese pubbliche. In tutte quante, comunque, Franz sembra circondato da decine di persone e in piena salute. Non mi rassegno e continuo a indagare finché mi è possibile: risalente a un anno e mezzo fa, sbuca la foto di un ragazzo altissimo e allenato, con i capelli biondi quasi rasati sotto un cappellino di lana nera. I suoi occhi sono di una sfumatura gelida di grigio, ha un piercing sul sopracciglio sinistro e un sorriso che Shad definisce tenebroso, facendomi sputare dalle risate. Torno seria non appena mi accorgo che le sue braccia ricoperte di figure sono strette attorno alla vita di Franz, a sollevarlo lontano da terra. Nella foto, Kopplen sghignazza fino alle lacrime.

- È il suo ex-ragazzo, - chiarisce Shad, anticipando di pochissimo la mia curiosità.

- Wolfgang Lusverg, diciannove anni, un futuro ingegnere militare. Ha una sorella e un fratellino più piccoli, vive a Berlino, suona la chitarra ed è un ex-fumatore.

Le confesso che la sua opera di stalking mi sta spaventando e Shad tenta di mettere una pezza.

- Mi sono detta: "conosci il tuo nemico", no? Dimmi la verità, è un po' alto come standard, secondo te?

- Altino, - concordo, - ma che ti importa? Non è più un contendente.

- Credo che lo sia ancora, in realtà. Erano entrambi all'esposizione di Chicago, il giorno di Natale e penso che abbiano riparlato dopo tanto tempo. Non dirlo a Nicholas, però.

- Figurati, - assicuro.

- So che cosa pensi: che non funzionerebbe mai, tra di noi, ma è una bella sensazione. Parlare con qualcuno che ti piace, passarci del tempo assieme. Mi fa sentire lo stesso calore in entrambe le metà del corpo, come se avessi tutti i pezzi ancora attaccati.

Provo a rievocare l'ultima volta che mi sono sentita come Shad, ma sembra distante e anche un po' infantile: è qualcosa che mi dà la nostalgia.

- Senti, - azzardo, pregando di essere convincente, - perché non lo chiami? Invitalo qui, Shad. È il compleanno di Nicholas tra poco più di un mese: se glielo chiedessi tu, verrebbe a trovarlo e farebbero pace.

Dondolo i piedi e rincaro la dose: - Credo che ne abbiano bisogno, sai? E comunque è una buona scusa per rivederlo.

Shad non riesce a credere alle proprie orecchie.

- Volevi che gli stessi lontana, - enfatizza, poi fa per collegarsi una manciata di cavi in punti diversi del corpo, sopra il fianco sinistro, poco sotto il seno e perfino dietro il collo, dove la carne incontra il materiale sintetico. Mi domanda perché ho cambiato idea e io abbasso la palpebra destra con il polpastrello dell'indice: - Ho visto il suo profilo, - fischio.

- Accidenti, che fondoschiena.

- E quelle mani, possiamo parlarne?

- Gli hai guardato le mani? Cos'è, una specie di feticismo?

- Sono perfette! - esclama, poi scoppiamo a ridere insieme.

- A parte gli scherzi, - annuisco, - voglio che tu sia felice. Lo voglio sul serio, Shad. So che ultimamente non ho fatto che pensare a me stessa, ma non ricapiterà, promesso.

Appoggia delicatamente la testa sulla mia spalla e parla tutta assonnata.

- Mi sei mancata, Sybil. Te l'avevo già detto?

- Anche tu, - mormoro, - tantissimo.

- Scriverò a Franz domani mattina, se troverò il coraggio; per adesso andiamo a dormire, d'accordo?

- D'accordo, - sbadiglio, - ti raggiungo tra un minuto.

Si rinfila sotto il piumone e si sistema su un fianco, prestandomi il portatile per scorrere qualche altra foto con il tasto sinistro del mouse: più torno indietro, più la figura di Franz si fa sottile e coperta di maglioni. Il ragazzo con il piercing compare in tante foto scattate in posti completamente diversi, anche se non riesco a leggerne le didascalie, visto che perlopiù sono in tedesco. Ce n'è una rubata sulle rive di un lago cristallino, al tramonto o all'alba: non saprei distinguerle con esattezza.

Il ragazzo - Wolfgang - tiene tra le mani una chitarra classica, di legno nero e con gli intagli più chiari. Ha le labbra schiuse come se stesse canticchiando e Franz è accoccolato contro le sue gambe mentre indica il cielo con un dito.

Guardo meglio le linee nere che si rincorrono sul lato interno del suo braccio magrissimo, zoomando più che posso, fino a delimitarne i contorni con l'unghia del mignolo.

È un omero.

È un tatuaggio a dimensione quasi reale del suo osso.

Nicholas ha detto la verità.

***

Si abbottona un camice bianco da Dottore all'interno della sua cabina-armadio di ultima generazione. Stamattina siamo entrambi di pochissime parole, così mi dedico anima e corpo ad osservarlo in silenzio, mentre si sistema qualcosa di simile a un fonendoscopio intorno al collo e una serie di dispositivi ignoti nella tasca cucita all'altezza del petto. Alla sottoscritta viene teso nient'altro che una bottiglietta di disinfettante per le mani e un paio di scarpe di gomma dalla suola sterile, tutto con gesti distaccati che sfiorano l'automatismo. Quando sigilla la porta della cabina con la propria impronta digitale sono le nove e venti del sette Gennaio e Nicholas Reichenbach sembra abbastanza innervosito da pensare che lo stiano costringendo agli straordinari dopo una notte insonne di lavoro.

- Il laboratorio di Medicina è libero, - dice senza intonazione, - useremo quello.

Faccio di sì con la testa e lo seguo attraverso una delle quattro braccia che si snodano nei sotterranei della Villa, ben attenta a non ficcanasare negli affari dei ragazzi che incontriamo lungo il percorso. L'unico a rivolgerci un saluto imbarazzato è Ren, che recentemente ha mollato i suoi studi di statistica - materia per cui era a dir poco negato - per dedicarsi all'antropologia. Ho il sospetto di essere stata l'unica a complimentarsi con lui, da quando ha scelto di seguire la propria passione.

Maria dal canto suo cambia strada non appena si accorge che stiamo percorrendo lo stesso corridoio, sebbene Nicholas non dia l'impressione di provare il benché minimo interesse per lei.

- Sai, - confesso a un certo punto, - non ero sicura che saresti venuto.

Arrivati al punto d'accesso del laboratorio, Nicholas appoggia lo schermo del proprio orologio su uno scanner che funge da maniglia, indossando una maschera di assoluta serietà per non dare a vedere che cosa pensa davvero della mia ammissione.

- Il lavoro prima di tutto, - taglia corto.

Io non so come interpretarlo.

Nicholas non fa alcun riferimento alla bomba che ha sganciato ieri sera per neutralizzare le mie intenzioni, ma è come se l'accaduto avesse scavato un cratere di distanza tra di noi. Un cratere enorme.

Il display sull'ingresso si colora in una scritta fosforescente di "accesso garantito" e Nicholas sguscia dentro la stanza con la mano ferma sulla porta per aspettare che lo raggiunga. Mi viene la pelle d'oca alla prima panoramica del laboratorio, un po' per la soggezione, un po' per le basse temperature che vigono negli ambienti in cui viene manipolato materiale biologico di qualche genere.

Faccio un giro di ricognizione mentre Nicholas dà avvio alle macchine che ci servono per effettuare i test che ha in mente. Ero già stata qui, ma solo di sfuggita: il posto è gigantesco e cristallizzato nel bianco che riveste ogni superficie, con l'eccezione degli oggetti di metallo e di alcuni strumenti disposti ordinatamente su banchi da lavoro. Ci sono camere separate dal cuore del laboratorio per mezzo di pareti spesse e trasparenti, che fungono da schermi sulla quale Nicholas avvia programmi abbastanza complessi da farmi incrociare gli occhi. Nel resto del sotterraneo, Xanders ha disposto frigoriferi alti come librerie, macchinari immensi che lavorano quietamente e lettini su cui stendersi e sottoporsi agli esami. Domando a Nicholas il nome di questo o quell'aggeggio e lui risponde senza quasi guardare dove punto il dito, tanto è indaffarato: ecocardiogramma, sequenziatori genomici, TAC ad alta rivoluzione, endoscopio. C'è abbastanza roba qui dentro da farmi sorgere il dubbio che non la sappia usare: Nicholas è un genetista, in effetti; quello che fa di professione è maneggiare il DNA, non le persone da cui è stato prelevato. Sto per farglielo notare quando mi ordina di spogliarmi.

- Togliti i vestiti, - dice in tono del tutto professionale, - ci deve essere un camice della tua misura dentro il guardaroba.

Ho sentito bene? Le mie gambe si ribellano anche solo all'idea di sfilarmi le scarpe, figurarsi a che mi veda in biancheria.

- È per la risonanza, - sbuffa e siccome non ho dormito abbastanza per discutere con lui e farla franca mi decido ad eseguire nonostante l'imbarazzo mi faccia scottare le guance. Nicholas mi dà le spalle quando comincio a rimuovere due strati di vestiti: - Non guardare, - intimo, slacciando la cerniera dei pantaloni con le mani tutte sudate. Tengo lo sguardo su di lui, sforzandomi di fare in fretta. Inciampo nel tentativo di togliere i calzini, ma Nicholas non se ne accorge nemmeno; tiene la testa dritta come se la sola vista del mio corpo nudo rischiasse di pietrificarlo. Il pensiero mi dà fastidio e mi deconcentra dall'allacciare i nastri verdi del camice dietro la schiena.

Alla fine mi schiarisco la voce: - Ecco fatto, - annuncio, stringendo le cosce come se servisse a coprirle. Per fortuna Shad si è improvvisata mia estetista, questa mattina.

Nicholas ammicca a uno dei lettini da ambulatorio e io mi metto comoda su di esso, senza riuscire a staccare gli occhi dal laboratorio deserto. Sembra meno sviluppato degli altri, nonostante il Minnesota costituisca un'eccellenza nel Campo della Medicina. È che qui non hanno molti pazienti in carne ed ossa su cui esercitarsi.

Nicholas si avvicina con in mano una siringa e un robot a forma di carrello porta-utensili che lo segue ad ogni passo.

- Quello è un ago, - ingoio. La constatazione dell'ovvio. Forse è stata una pessima idea, quella di venire qui. Comincio a balbettare: - Ho alcune domande, la prima è: qualcuno sa che siamo qua sotto?

Nicholas mi guarda di sfuggita, ma non sfiora nemmeno con un'occhiata il bordo inferiore del camice.

- Sì. Nessuno ha capito il vero motivo, naturalmente, ma conoscendoti spiffererai tutto a Sharazad nel giro di tre giorni. Meglio così, si occuperà di confrontare i nuovi dati con quelli collezionati da Lilith. Io non ne ho voglia.

- Adesso dammi il braccio destro, - comanda.

Invece di eseguire me lo stringo al petto.

- Ah-ah, non mi faccio toccare se non mi spieghi passo dopo passo quello che stai combinando e perché, quindi... che cosa vuoi farmi?

Nicholas alza gli occhi al cielo, bagnando un batuffolo di cotone con del disinfettante giallognolo e puzzolente. Tende il palmo affinché metta in mostra le vene che nonostante il mio pallore le infermiere hanno sempre penato per rintracciare, poi ordina al computer incorporato nel carrello di evidenziarle. Un fascio di luce violetta mi illumina la pelle e disegna le trame che i vasi sanguigni percorrono sopra i miei muscoli.

- Woh, - esclamo.

- Devo inserirti un'ago-cannula nel braccio ed eseguire due prelievi di sangue a distanza di almeno mezz'ora. Rifaremo un emocromo completo, più tutti gli esami che compaiono nella cartella clinica ma che sono più vecchi di un anno. Hai paura degli aghi, vero?

- No, - mento, - ma tu sai farle, tutte queste cose? Non è che mi ritrovo con una bolla d'aria nelle arterie e mi risveglio all'altro Mondo?

Nicholas rimane impassibile, come se non ci fosse niente di più semplice, ma rivela che con l'eccezione dei suoi genitori, la sua era una famiglia di Medici tra i migliori della Specie. Penso che si riferisca soprattutto al lato materno del lignaggio, ma non sto qui a indagare su parentele con cui non ha più alcun rapporto.

Allungo il braccio e gli chiedo perché non basta un solo prelievo.

- Voglio effettuare un dosaggio puntuale delle catecolamine, - chiarisce.

- Adrenalina, noradrenalina, dopamina, possibilmente anche le metanefrine: sono gli ormoni che il tuo sistema nervoso rilascia tutte le volte che si sente in pericolo o pronto ad affrontare una situazione stressante; è un'analisi che manca, tra quelle eseguite su di te, ma ritengo che sia una delle più importanti. I neuroni dei Novi sono differenziati per rilasciare un quantitativo di amine vasoattive superiore rispetto alla norma e queste hanno un tempo di turnover6 maggiore se comparato alle isoforme dei Sapiens.

- Fico, - ansimo, - di stress ne ho da vendere.

Nicholas mi consiglia di tenere stretto il pugno: appoggia l'ago-cannula sulla vena che reputa più semplice da raggiungere, l'attaccatura del naso solcata dalla concentrazione più assoluta. Mi preparo a un dolore pungente e alla comparsa di un ematoma nell'incavo del braccio.

- Preoccupata? - domanda e io mi mordo le labbra in tutta risposta.

- Non sentirai niente, creaturina.

Nicholas lo mormora con una sicurezza che mi rilassa tutti i tendini del corpo. Alza gli occhi verdi su di me, la siringa in posizione e realizzo che mi sta chiedendo il permesso di continuare: glielo concedo con un filo di voce. Un istante dopo l'ago trapassa la mia pelle in un pizzico leggero che non fa alcun male e una provetta sottovuoto si riempie di un liquido rosso scuro. Nicholas mi consiglia di distogliere lo sguardo, ma la maestria con cui la sua mano sinistra si muove per sfilare il laccio emostatico, rimuovere il campione di sangue e chiudere la cannula ancora attaccata al mio braccio è strabiliante. Mi preme una garza pulita all'altezza del gomito e in contemporanea ribalta la provetta per gli esami, contando fino a dieci. Quando la consegna al carrello, il robot la etichetta con il mio nome e la trasferisce a un macchinario dalle dimensioni quasi inquietanti.

A medicazione completata, Nicholas indugia con le dita sulla mia pelle, scivolando fino all'altezza del pugno che non mi ricordavo di tenere ancora serrato. Lo schiude pianissimo, sciogliendo la mia tensione con un tocco troppo cauto per uno come lui.

- Ti avevo detto di aprirlo, - osserva, - ma non mi stavi ascoltando. Ti ha fatto male?

- No, - ammetto, - no, sei stato fantastico.

Non riesce a non sorridere e io non riesco a non pensare che forse non è riuscito a dormire; che deve essere rimasto sveglio tutta la notte a pensare che lo avrei tradito e che sarebbe sceso al centro della X su cui hanno piantato le fondamenta della Villa, l'indomani, per riprendere la nostra battaglia senza scopo. Mi metto a sedere davanti a lui, aspettandomi che si ritragga di scatto.

Nicholas invece rimane nella stessa posizione.

- Senti, - sospiro, - non sono arrabbiata con te. Non proprio, almeno.

- Non mi sembra di avertelo chiesto, - dice, - e poi dovevi rimanere stesa per almeno cinque minuti.

- Non me lo hai chiesto, ma ci stai pensando. Ti stai chiedendo se ho già parlato con Zelda, o se lo farò una volta uscita da questo posto o non appena dirai qualcosa di abbastanza irritante da farmi infuriare. Beh, la risposta è no, non lo farò. Anche se non mi credi, anche se vorrei che mi credessi più di ogni altra cosa al Mondo, non darei il tuo migliore amico in pasto alla persona che lo ha quasi ammazzato: non per pietà, né perché lo perdono o perché penso che sia innocente, ma per te. Ricordatelo da questo cavolo di momento in poi, Reichenbach.

- Oh, credimi, mi ricorderò di te fino al giorno dell'estinzione del genere umano, - sibila.

Lo vedo afferrare un paio di forbici da sala operatoria per tenere la mente occupata, ma sono certa che le mie parole abbiano avuto un effetto inaspettato su di lui. All'improvviso Nicholas perde un tocco della sua precisione e urta il carrello con un ginocchio.

- Hey, - scherzo su, - quello potrebbe succedere da un giorno all'altro; deve essere più a lungo di così.

Nicholas reclina la testa all'indietro come si fa con le battute terribili che ti mandano un brivido lungo la schiena. Ma lui che ha, perché non ride, perché non si comporta come il diciassettenne che è e non la smette di bruciare le proprie tappe? Inforca le forbici con il pollice e il medio, poi le apre e poi le richiude.

- Fino alla morte del Sole, - aggiusta il tiro, - tra cinque miliardi di anni, più i diecimila che occorreranno alla massa di gas per scomparire del tutto. Ti basta?

- Non è per sempre, - lo stuzzico, - ma ci possiamo lavorare.

Nicholas mi taglia una ciocca di capelli senza avvertire. Il sequenziamento del DNA vale la mia acconciatura, dice e io lo rincorro per tutto il laboratorio fino a quando non comincia a ridere per la posa buffa con cui sono costretta a muovere il braccio.

È quando lo raggiungo che l'ingresso del laboratorio si spalanca e Xanders mi trova sul punto di frustare Nicholas con un catetere di gomma. Durante la mia frenata, sbatto contro la sua schiena di con forza sufficiente a farmi venire un bernoccolo. Nicholas sembra accorgersene di sfuggita.

- Xanders, - dice gravemente e scommetto che si sta rimproverando di non aver chiuso la porta a chiave.

Samuel è paonazzo, con un velo di sudore a imperlargli la fronte, come se avesse affrettato il passo pur di raggiungerci nei laboratori. Scruta il mio abbigliamento insolito a confronto del camice lindo indossato Nicholas, poi esordisce: - Ti era stato ordinato un giorno di riposo, Nicholas. Che state combinando?

Non so se è peggio non aver preparato alcuna scusa da rifilargli o avere la certezza che ci penserà Nicholas con una delle sue frecciatine imperdonabili. Lo vedo preparare una smorfia mefistofelica per l'occasione: - Giochiamo al Dottore, - sorride, - non si vede?

Mi spiaccico i palmi delle mani sulla faccia.

Non può averlo detto sul serio.

- Sta scherzando, - soffoco, ma Xanders comincia a strepitare.

- Nonlovogliosapere, - dice tutto d'un fiato, poi proietta sullo schermo alle nostre spalle un telegramma fresco di spedizione, collegandolo al suo palmare. Se già sospettavo che Xanders si fosse pentito di avermi coinvolta, a questo punto ho davvero l'impressione che mi detesti per aver corrotto la sua bionda e insolente macchina da soldi.

- Ringraziate che abbia deciso di informarvene, - si lamenta, sistemandosi i pantaloni sui fianchi: nelle ultime settimane deve aver preso almeno cinque chili. Si rivolge a Nicholas con finta autorità, come se doverlo rimproverare lo mettesse in soggezione, ma la realtà è che Xanders appare visibilmente turbato dalle ultime notizie che sono giunte alla sua attenzione.

- Appena finite di giocare, - sputa, - ti voglio nel mio ufficio. Io e te dobbiamo fare una bella chiacchierata, signorino.

Sfugge alla reazione spietata di Nicholas dileguandosi nel corridoio, ma nessuno dei due è abbastanza intimorito o anche solo interessato ai problemi di Xanders da riacciuffarlo prima che raggiunga l'ascensore. Ci avviciniamo in coppia alla parete trasparente che funge da schermo del laboratorio e quasi per fatalità il polso comincia a prudermi sotto la stretta costante del bracciale di localizzazione: guarda caso, il telegramma porta il simbolo del Dipartimento di Polizia della Fazione.

- Hanno trovato le prove che cercavano, - legge Nicholas.

Il sangue mi scorre così forte nelle vene da ovattarmi le orecchie.

- L'altra Fazione è stata chiamata in Giudizio dal Console Fodel e ha accettato la convocazione senza alcuna contestazione. Il Comizio si riunirà il tredici Febbraio, in presenza dei più alti rappresentati delle due parti.

Ci guardiamo come se dovessimo risvegliarci da un sogno lucido nella quale siamo capitati per sbaglio. Sulla mia bocca sbocciano delle parole che non pensavo avrei più pronunciato dal giorno in cui ho deciso che avrei riportato a casa mia sorella: - È fatta.

Nicholas risponde cupamente: - È fatta.

Abbiamo raggiunto il primo obiettivo che ci eravamo preposti, eppure non riusciamo a festeggiarlo. Osserviamo il telegramma con un'aura di inquietudine che aleggia nella stanza: qualunque cosa accada da questo momento in poi, non possiamo più tornare indietro. La data è stata fissata il tredici di Febbraio, proprio il Giorno del compleanno di Nicholas.

Recitiamo alcuni nomi dei Novi che parteciperanno al Comizio: la maggior parte mi sono del tutto sconosciuti, ma alcuni suonano familiari grazie all'esposizione che si è tenuta a Chicago la settimana scorsa. Tra quelli che riconosco con sicurezza spiccano i nomi di Zelda, Szilàrd, Hartshorne, Xanders, Amelia e a tutta la famiglia Navier. Ci sarà perfino il ragazzo di Armand, Avan Celik, accompagnato dai suoi genitori.

- Guarda guarda, - dice Nicholas con malcelato disprezzo, - quella palla al piede di James Mateots è l'avvocato di Armand.

Trovo una conferma delle sue parole nel comunicato ufficiale della Polizia. Non so come spiegare a Nicholas il brutto presentimento con cui la mia mente reagisce alla notizia, ma sono sicura che risponderebbe che è tipico di me arrovellarmi su problemi inesistenti.

- Strano, - azzardo allora.

- Quell'uomo, Mateots, aveva promesso a Xanders che avrebbe lavorato per supportare la mia causa e adesso si schiera dalla parte della persona che ci ha venduto ai miei nemici. Forse pensa che non sia stato lui.

- Ma è stato lui.

Nicholas prepara la siringa per il secondo prelievo di sangue e lascia cadere il discorso. Abbiamo più di un mese da trascorrere in questo posto, fa notare, ed è meglio renderlo produttivo. Come dargli torto. È che rimugino sull'ultimo messaggio che Armand mi ha fatto recapitare prima di venire arrestato, poi sul nome dell'uomo che ha donato il sismografo di Lilith al Crystal Palace di Chicago: Hermann Hodgkin. Suona bene come Zelda Hodgkin. E Franz Hodgkin.

Nicholas intima che si sta stufando di aspettarmi, ma io ho un'ultima curiosità.

- Nicholas, chi difenderà Avan Celik? Per l'altra Fazione, intendo. Mi auguro che non sia un avvocato troppo cattivo.

- Oh, - comincia Nicholas, facendoci gli auguri come se avessimo già perso.

Per rispondere usa un tono del tutto indifferente.

- Il Questore Serena von Kleist, - dice solo.

- Mia madre.








Angolo dell'autrice: questo capitolo mi sta facendo penare come pochi nella mia vita. Non posso assicurare che nella revisione dell'opera rimarrà come tale, ma per adesso eccolo qua.

Ho sempre scritto questa storia con l'intenzione di dare ai suoi personaggi un significato utile. Non cerco tanto il drama, quanto la rappresentazione di categorie spesso discriminate. Da tre anni studio medicina con la speranza di diventare una psichiatra, perché da sempre interessata alla cura delle persone che soffrono di depressione, disturbi alimentari, psicosi e altro. Il personaggio di Franz è ispirato a una persona molto importante della mia vita, che dopo aver subito un abbandono da parte del padre e dei fratellastri ha manifestato gravissime conseguenze a carico della propria sanità mentale e ha perpetuato, perfino da adulta, comportamenti assolutamente poco raccomandabili. Storie del genere purtroppo esistono nella vita reale e non dobbiamo mai dimenticarci che tutti potrebbero stare combattendo una battaglia di cui non abbiamo alcuna idea.

Se qualcuno di voi sta vivendo un momento difficile nella propria vita, sappia che non è solo e che non deve vergognarsene. Vi sono vicina <3

Tornando al capitolo, Sybil e Nicholas si avvicinano sempre di più, complice l'essere stati allontanati da tutti gli altri. Il problema è che ormai c'è una data di scadenza anche per loro: il 13 Febbraio le Fazioni si incontreranno per ammettere, forse, che Lilith è stata prelevata da uno degli schieramenti. Che pensate succederà?

Sybil dal canto suo si fa sempre più furba: di solito le protagoniste degli YA sono accusate di essere un po' tonte. My girl sta facendo del suo meglio, ve lo assicuro: la storia di Franz le ha spezzato il cuore, ma non ha smesso di sospettare di lui tutto d'un tratto. Vuole affrontarlo faccia a faccia, ma per farlo ha bisogno che Shad lo inviti alla Villa.

Sono curiosa di conoscere le vostre supposizioni, i vostri pareri, le vostre reazioni. Commentate e stellinate se il capitolo vi è piaciuto e diffondete il verbo per far crescere la storia. Vi ringrazio enormemente per il supporto che continuate a manifestare anche solo leggendo in silenzio il capitolo, ma adoro parlare con voi di Entropy e dei suoi personaggi <3

Vi mando un bacione e vi ricordo che il titolo del capitolo sarà spiegato nella seconda parte.

A presto, vi lascio con le note:

1.       Fenotipo: insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali di un individuo, dunque il suo aspetto fisico e il modo in cui funziona il suo intero organismo.

2.       Ippocampo: porzione del cervello deputata alla conservazione della memoria a breve termine, alla memorizzazione e all'evocazione dei ricordi.

3.       Sindrome di Stendhal: senso di malessere e confusione che si manifesta quando persone particolarmente sensibili si trovano al cospetto di opere d'arte di straordinaria bellezza, soprattutto quando conservate in spazi molto piccoli.

4.       Neurotrasmettitori: molecole utilizzate dalle cellule del nostro sistema nervoso per comunicare e svolgere le proprie azioni.

5.       Sybil cita indirettamente la Divina Commedia, che al di là di quello che pensiate è abbastanza conosciuta e amata in America. O meglio, lo sono alcuni passi dell'opera, come quello del Diavolo imprigionato nel ghiaccio dell'Inferno.

6.       Tempo di turnover: tempo che intercorre dal rilascio di una sostanza, per esempio un ormone, e la sua eliminazione.

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