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19. L'oscillazione lenta di un sonno di ghiaccio - parte I

Avvertenze: in questo capitolo si segnala l'utilizzo di un linguaggio lievemente scurrile da parte di un personaggio.

Oscillazione lenta: fenomeno elettrico che nasce ritmicamente nel cervello quando il sonno è più profondo, investendo la corteccia come un'onda di potenziale. Nel tracciato elettroencefalografico essa appare costituita un picco negativo di assenza di qualunque attività delle sinapsi cerebrali e da un picco positivo in cui l'attività dei neuroni imita lo stato di veglia. Data l'inquietante somiglianza con le onde di contrazione e rilassamento del cuore, alcuni scienziati ritengono che durante il sonno profondo il cervello sia capace di svelare il proprio "battito".

Litigano senza interruzione da almeno tre quarti d'ora.

Il colosso d'uomo che ha assistito con disprezzo al mio interrogatorio sembra tutt'altro che rassegnato al fatto che Zelda, con le braccia conserte intorno al petto e i lineamenti distorti dalla rabbia, non sia il tipo di donna che si possa pensare di rimproverare. O anche solo di contraddire, o interrompere, o intralciare.

Il Sergente Luhanga e io ci lanciamo un'occhiata abbastanza eloquente da non dover commentare il triste spettacolo ad alta voce. Lei finisce per sospirare e io per sbadigliare con la mano arricciata davanti alla bocca, mentre scivolo con la schiena lungo la parete di vetro.

- Uffa, - ripeto all'infinito e Luhanga risponde di nuovo che berrebbe volentieri un caffè; solo che stavolta la sua espressione ha i contorni insofferenti di una muta richiesta di aiuto.

Mi massaggio l'attaccatura della mandibola nel punto in cui la sento più intorpidita, poi biascico: - Non me lo dica.

Se non posso avere un letto caldo, che mi diano almeno un espresso macchiato o del cioccolato. E un tappo per le orecchie, per favore.

- Ma fanno sempre così? – domando.

Luhanga si sistema una treccina dietro l'orecchio, piegando gli angoli delle labbra carnose in una smorfia tinta di malinconia e rassegnazione, come se Zelda fosse un po' anche figlia sua. Non mi stupisco che sia il suo braccio destro, così adulta e pacata e piena di tatto, forse l'unica capace di smorzare il temperamento d'acciaio del Capitano.

- Sempre, - confessa.

- Se vuoi la mia opinione, si tireranno i capelli perfino davanti all'altare.

Immagino la scena con un primitivo senso di disagio; perché oltre ad essere il secondo in comando della Polizia della Fazione e un membro tra i più illustri e potenti del Comizio, Garret Hartshorne è anche il compagno di Zelda. O almeno è quello di cui mi è subito sembrato convinto più della diretta interessata.

Lo squadro dall'alto in basso, tenendomi in disparte sul fondo della stanza: la sua è una stazza impressionante e scolpita, modellata nel completo nero a collo alto che gli avvolge la muscolatura. Ha la testa rossiccia, appuntita da un mento troppo sporgente, senza che il minimo accenno di barba ne mascheri le proporzioni, e gli occhi piccoli, scuri, iniettati di prepotenza. Nell'esatto istante in cui è entrato, poco prima che Zelda ufficializzasse il nostro colloquio, ho scommesso che lo avrei detestato: all'inizio non ha proferito parola, restandosene alle spalle di Zelda con le sopracciglia corrugate e lo sguardo attento, mentre lei mi riempiva di domande. Poi, senza alcun preavviso, ha iniziato a interrogarmi di persona. La faccia del Capitano non mi è parsa compiaciuta. Io di sicuro non lo ero affatto, ma non avevo altra scelta che stare al passo. Le sue richieste sono state più serrate e insistenti di quelle della sua fidanzata, partorite nella totale diffidenza.

Non avevo più energie per lavorare d'inventiva e di sfacciataggine: era come se la sua voce insopportabilmente aggressiva, stesse cercando di sfondare le mie difese in cerca della verità. Là dove Zelda si è accontentata di risposte vaghe e imprecise, lui ha scavato sempre più a fondo. Chi ti ha dato il codice dell'armadietto di tua sorella? Come conoscevate lo stato dell'edificio? Come hai convinto Reichenbach ad accompagnarti e perché ci sono tutte quelle chiamate perse da Ranulph Fleming? E poi ancora e ancora, una domanda dopo l'altra, fino a quando la tensione non mi ha prosciugato la bocca e sono stata soffocata dalla paura insensata che le mucose stessero per scollarmisi dai muscoli. Sapevo che era tutta una questione di pensieri intrusivi e di terrore, ma non sono riuscita a controllarmi: ho chiuso i palmi sulla bocca, ingoiando forte e poi non sono riuscita a parlare per un po'.

- Che diavolo le è preso? - ha chiesto lui e io volevo dirgli il nome del mio problema, quello buffo che gli ha affibbiato il mio psicologo, ma ero così in imbarazzo da non avere fiato. Il Sergente Luhanga deve essersi accorta che la mia difficoltà era sincera: mi ha dato dell'acqua, riempiendomi di rassicurazioni e Zelda ha approfittato della situazione per concludere l'interrogatorio a modo suo.

Ho risposto con sincerità ogni volta che potevo e con un'atroce confusione ogni volta che ero costretta a mentire. Non le ho detto che siamo entrati nel suo ufficio. Non le ho detto che abbiamo hackerato il suo pc, né che abbiamo usato le sue informazioni per pianificare la spedizione a scuola. Però le ho confessato che Alphy era con noi.

Ho avuto tutto il tempo la sensazione che Zelda sapesse che forse Nicholas aveva detto meno balle di quante non gliene avessi rifilate io, ma non c'era possibilità di esserne certi.

Adesso che la nostra chiacchierata si è conclusa, le mie bugie sembrano come spillate in bella vista sui miei vestiti.

Mi sforzo di arrancare fuori dalla mia testa e osservo la stessa scena ripetersi di continuo come in un loop.

- Che cosa credi di fare, eh?

- Arrestare il figlio di Delphine Navier, - ringhia Hartshorne, - una delle colonne portanti della nostra Fazione, senza uno straccio di prova?

- E poi? Sentiamo, fare irruzione in ogni dannato Istituto d'America alla ricerca della mocciosa scomparsa e mandare all'aria anni e anni di accordi per i capricci di una Sapiens?

Alzo un dito in segno di protesta e vengo ignorata.

- Convocare il Comizio, - dice Zelda, dritta e con il petto gonfio.

- Tutto il Comizio, i Nostri e i Loro, faccia a faccia.

Il questore recita la sua risata peggiore.

- Tu sei pazza.

- E tu sei un vigliacco, - sputa Zelda, - come tutti gli altri.

Le mani di Hartshorne falliscono nel tentativo di raggiungere le spalle del Capitano: lei se le scrolla di dosso, ferita nell'orgoglio. Fino a un'ora fa non avevo la minima idea che ci fosse qualcuno di intimo nella sua vita, ma in questo momento giustifico tanta freddezza: stanno lavorando, tutti e due. Certe confidenze a Hartshorne non dovrebbero essere consentite, soprattutto quando appaiono così forzate.

Il Questore fa un passo indietro.

- Ci sono troppe falle nella versione della ragazza.

- Hai ascoltato la registrazione o sei diventato sordo?

- Sei troppo coinvolta in questa storia per prendere delle decisioni, - continua lui.

- E sei emotiva e istintiva e quello che provi ti rende cieca alle conseguenze delle tue azioni, Zelda.

- Capitano, - scandisce lei.

- Sono il Capitano Hodgkin, per te, Questore. Questo ti aiuterà a ricordare chi prende le decisioni sulla sicurezza della Fazione, con o senza il tuo consenso.

Ci sono tanti tipi di silenzio, quelli imbarazzati che seguono una battuta infelice, quelli che riempiono il tempo quando non è rimasto nient'altro da dire e poi c'è questo: il silenzio che separa due persone quando qualcosa tra di loro si spezza.

Solo che ho l'impressione che tra Zelda e il questore Hartshorne non ci siano più molti punti di contatto a tenere insieme i pezzi.

Siamo proprio sicuri che siano una coppia vera?

- Indagheremo su Armand Navier e Jerome Ryars; convocheremo un Comizio appena avremo informazioni a sufficienza per rendere formale la nostra richiesta e chi di dovere risponderà della scomparsa di Lilith Crowford.

- Non ne hai il diritto, - sibila lui.

Zelda risponde ammiccando al suo distintivo: - Ne ho il potere.

- Sergente, Questore, siete congedati.

Luhanga mi rivolge un ultimo sguardo afflitto prima di infilare la porta.

Poi anche Hartshorne gira i tacchi e mugugna: - Sei solo una ragazzina.

- Fuori!

Zelda lo grida nell'esatto istante in cui la porta si chiude alle spalle del Questore, facendomi drizzare i peli sulle braccia.

Siamo di nuovo sole, adesso e fuori è quasi mattino. Ogni cellula del mio corpo è prosciugata di energia e i miei muscoli sono tesi in un rigore che pare quello di un morto. Mentre mi alzo, stiro un po' il collo per rilassarlo, ingoiando il fastidio.

- Bel tipo, - dico.

Zelda mantiene il pugno chiuso davanti alle labbra, fissando il pavimento in cerca del controllo. Quando alza di nuovo la testa risponde: - Mi dispiace.

- Che ti abbia aggredita durante l'interrogatorio e che sia stata costretta ad assistere a questa sottospecie di penoso teatrino.

- Si figuri, - ridacchio.

- Tra tutto quello che mi è toccato sopportare nelle ultime ventiquattro ore, questo è il minimo.

Trovo il coraggio di chiederle di più: - Lui chi è, comunque?

- Garret Hartshorne, uno dei Questori della Fazione. Si occupa di sicurezza, legalità e di tutte quelle regole che tu sei così brava a infrangere.

- Grande, - annuisco, - sapevo che saremmo andati d'accordo.

Lo dico con tono divertito perché la situazione sembra già abbastanza tragica da non doverci piangere su per drammatizzarla. Zelda mi guarda di sbieco.

- Ho dovuto avvertirlo, - ammette.

- Farà di tutto per impedirmi di aiutarti, ma non c'era modo di tenerglielo nascosto: Hartshorne è la legge.

- Pensavo che lei lo fosse.

- E quando mai a una donna viene concesso di avere solo per sé quello che si è guadagnata?

Rimango in attesa che aggiunga qualcosa, ma non lo fa: all'improvviso mi accorgo di non riuscire più a dubitare di Zelda come ho fatto quando ho scoperto che suo padre aveva donato all'esposizione di Chicago il sismografo di mia sorella. C'è troppa responsabilità nel suo sguardo, troppa onestà.

E spesso è questo che rende scontrosi agli occhi degli altri.

Vorrei dirle tantissime cose, ma non riesco a metterle in ordine.

Butto fuori la prima che mi passa per la testa.

- Mi crede, non è vero? Adesso che ha ascoltato quella registrazione per intero, sa che i Novi sono la causa di tutto quello che mi è successo.

Zelda sfiora la sottile cicatrice sotto il suo occhio sinistro, grattandosela con l'indice. L'ho osservata per tutto il tempo, mentre ascoltava la memoria vocale della mia aggressione: ho osservato lo shock nella sua espressione quando Ryars ha confessato e l'angoscia che l'ha investita quando Nicholas ha premuto il grilletto e ho giurato a me stessa – a quella minuscola parte del mio cervello che non è il suo disturbo - che era sincera; che dovevo avere fiducia in lei.

- Ti credo, - dice e io mi concedo di espirare.

- Mi creda, questa è la prima buona notizia che ricevo da più o meno un secolo.

- Che cosa succederà ora? – aggiungo.

- Invierò la registrazione al Console questa sera stessa, con la richiesta di convocare una riunione urgente del Comizio. Potrebbe volerci del tempo: se tutto va come previsto, superato il trauma iniziale, si riuniranno prima i leader della nostra Fazione, poi si passerà alle accuse vere e proprie.

- Dovranno confessare, - continua, - la mia squadra sta analizzando il cadavere di Jerome Ryars in questo preciso istante. Non ci sono dubbi che sia dei Novi.

Non ho intenzione di accertarmi di come lo stiano verificando.

Quando Zelda mi accompagna verso la porta capisco che l'epopea della giornata è davvero finita: - La polizia non resterà con le mani in mano, - promette.

- Con una prova del genere il Console dovrà fornirmi tutti i mandati che mi sono stati negati nelle scorse settimane. Indagheremo più a fondo, su nuovi elementi e con diversi strumenti. E non ti inietteremo la molecola dell'oblio in circolo, sta' tranquilla.

- Sì, ma noi?

- Io e Nicholas, - la incalzo, - che facciamo nel frattempo?

Il mio senso di inquietudine è difficile da spiegare: è che fino a ieri ero sospesa in una bolla di insicurezze, senza nessuna pista per riportare a casa mia sorella, senza nessun alleato importante. Tutto d'un tratto sono tornata in vantaggio e non ho idea di come ci si comporti.

Il twist è un ritmo che mi destabilizza.

- Nicholas è in una posizione molto delicata, - dice Zelda, la voce di nuovo cupa.

Immagino che avere il suo appoggio non significhi essere riemersa dal mio mare di guai: è più probabile che mi sia solo spostata in acque diverse.

- Ho bisogno che voi due restiate alla Villa, al sicuro, dove posso tenervi d'occhio.

Faccio per controbattere.

Non esiste che non mi facciano vedere mia madre.

Tornerò da lei a piedi, se necessario.

- È per il vostro bene, Sybil. Ti terrò aggiornata e mi servirò del tuo aiuto ogni volta che sarà necessario, ma pretendo che tu comprenda la gravità dell'intera faccenda.

- Nemmeno con tutto l'impegno del Mondo sareste potuti cacciarvi in una situazione peggiore, - aggiunge.

Come darle torto.

- Spero che l'abbia realizzato, Capitano: io ho un talento naturale.

Zelda rotea gli occhi. Forse, un giorno, una delle mie battute riuscirà a farla sorridere, ma non è questo il giorno.

- Quel ragazzo, Armand Navier: sarò costretta a portarlo via affinché venga interrogato insieme alla sua famiglia. Da questo momento in poi è sotto accusa.

- Vuol dire che non tornerà più alla Villa, - mi spiega.

- Va bene, - deglutisco.

Non voglio più sentir parlare di lui.

Zelda tiene con sé il mio telefono, ma si offre di riaccompagnarmi all'uscita. Scopro che Xanders è arrivato a Minneapolis e che non aspetta altro che di ammazzarci con le sue mani. Rallento il passo perché non sono pronta a sopportarlo.

- C'è un'ultima cosa che voglio dirti, - mormora Zelda.

- Una volta usciti da qui, sarò costretta a rendere pubblica la notizia dell'omicidio di Jerome Ryars, pur risparmiando alla stampa delle Fazioni i particolari sulle prove in nostro possesso.

La mia voce echeggia lungo il corridoio che porta all'ingresso dell'edificio. Fuori riesco a sentire il frastuono dei clacson e delle sirene delle ambulanze che sfrecciano attraverso i grattacieli.

- Ma così i miei nemici sapranno che siamo vicini alla verità!

- E sapranno che sei sopravvissuta, - mormora Zelda.

- Per tre volte.

Siamo una di fianco all'altra, adesso, davanti a una porta a vento. Piego la testa nella sua direzione, ma lei ha lo sguardo fisso davanti a sé, sicuro e concentrato.

- Mi costa un certo sforzo ammetterlo, Sybil Crowford, ma sei più dura di quello che pensassi.

- E sei una ragazza coraggiosa, - dice.

Il cuore mi batte all'impazzata e io non posso fare a meno di pensare che si sbaglia: che questa cosa dentro di me, questa paura senza causa, né forma, che mi attanaglia la mente e mi imbroglia il corpo, non mi permetterà mai di essere coraggiosa; che sarò sempre spaventata e in balia dei miei pensieri sconnessi.

- Sono solo una ragazza così disperata da non riuscire a lasciar perdere quello che la fa soffrire, - sussurro.

Solo questo.

- È per questo che piaci tanto a Nicholas, - dice Zelda, senza nessuna inflessione nella voce, poi spinge la maniglia della porta per farci strada.

- Deve aver capito che non abbandonerai mai tua sorella.

La seguo senza sapere come commentare.

Se sapesse che cosa ho fatto, per Lilith. Se sapesse il prezzo che sto pagando.

- È proprio questo il mio problema, Capitano: io non abbandono mai nessuno.

***

Lo vedo da lontano. È seduto su una poltrona in similpelle, con la stessa divisa riciclata che indosso io, di un arancione così importabile che accecherebbe chiunque.

Anche lui mi vede.

Non appena gli occhi di Nicholas, cerchiati dalla stanchezza, mettono a fuoco la mia figura, le sue gambe scattano in piedi in un arco a riflesso a cui la scienza non ha ancora dato un nome.

Subito dopo siamo in movimento. Quando me ne accorgo, la furia plateale di Xanders è una parentesi ovattata nello spazio che mi circonda; è là, nell'angolo più remoto del mio campo visivo, che gesticola, mi addita e strepita, sfuocato, come una cornice in dissolvenza.

Sfreccio lontano da Zelda, oltre il profilo di Amanda e di Damon e del resto dei poliziotti, poi, a metà strada, i nostri corpi s'incontrano.

È più una violenta collisione che un contatto umano.

Mi toglie il respiro.

Mentre riprendo fiato Nicholas sussurra: - Creaturina, - e io gli butto le braccia intorno al collo.

Assaporo la sensazione della stoffa grezza che scorre tra le mie dita e ancora più sotto la consistenza di un'opera viva di muscoli irrigiditi, pelle e calore. Nicholas non l'aveva previsto, ma del resto nemmeno io: è questo il vero senso dei movimenti involontari.

Quando il cervello non è abbastanza veloce da reagire, il corpo deve riuscirci da sé; prendersi ciò che gli serve, se necessario. E che mi piaccia o no, al mio serviva questo.

- Sapevo che ci avresti preso gusto, - mormora e quasi mi sembra di sentirlo sorridere. Chiudo gli occhi umidi per non lasciargli sfuggire niente e inspiro forte con il naso: riconosco il profumo dei vestiti puliti e del sapone dei bagni di servizio. È diverso dal solito odore di Nicholas, più chimico, ma meno invadente della sua acqua di colonia. Lo stringo più vicino per accertarmi che sia davvero lui.

- Dopo questa superflua iniezione di sarcasmo ti è concesso di abbracciarmi senza dover rinunciare al tuo onore, Nicholas.

Non lo fa con la stessa spontaneità che io ho riservato a lui, ma alla fine ubbidisce. È così cauto all'inizio, quasi scostante. Le sue mani si posano sui miei fianchi come se avessero paura di scottarsi con il fuoco, nonostante la minima pressione dei suoi palmi mi faccia rabbrividire fino alle ossa. Li sento scorrere sempre più in alto, a reclamare una specie di ascesa e fermarsi dietro la mia schiena con la punta delle dita che si sfiorano l'una con l'altra.

Alla fine si concede di appoggiare il mento sulla mia spalla, aggrappandosi con più decisione.

Percepisco le occhiate di tutti quanti e le accuse di Xanders e i silenzi di Zelda e so che Nicholas la sta guardando fisso. Lo trovo inappropriato.

L'idea mi infastidisce: vorrei che capisse che questo è più importante.

- Stai bene? - mormoro, cercando di richiamare la sua attenzione.

Le mie labbra rimangono premute contro la sua clavicola fino a quando una delle ciocche diafane che mi pizzicano le guance non mi fa starnutire.

Nicholas si ritrae con la faccia schifata, pungolandomi la punta del naso con l'indice.

- Stavo bene – annuisce, - prima che mi attaccassi l'Haemophilus Influenzae.

La sua maschera di divertimento appare un tantino forzata, dopo quello che abbiamo passato. Mi stringo nelle spalle, parlando a bassa voce mentre lui controlla il cerotto che l'infermiera ha utilizzato per ripararmi la ferita. Si sofferma sul nastro di lividi che mi circonda la gola, studiandolo da vicino.

Lo interrompo prima che rischi di commentarlo.

- Mi hanno interrogata, Nicholas.

Lui non dice niente.

- Non avevo la minima idea di che cosa dargli a bere, - sussurro.

Nicholas preme la mano sotto il mio orecchio e fa finta di darmi un buffetto, inarcando le sopracciglia.

Non adesso, è questo che intende.

Quello che dice invece è: - Ho saputo della registrazione.

- Sei stata geniale. Spericolata e folle come al tuo solito, ma allo stesso tempo geniale.

- Sei un paradosso vivente, creaturina.

Gongolo di soddisfazione.

- Ripetilo di nuovo, - sbuffo.

- Mi è venuta voglia di registrare anche questo. Non si sa mai, per i posteri.

Nicholas apre la bocca in vista di una battuta delle sue, ma credo che nonostante la sua finta sicurezza sia troppo scosso per far carburare l'ingegno.

Rimane in silenzio troppo a lungo e Xanders prende la palla al balzo.

- Adesso basta, finitela, stop.

- È con voi due che sto parlando, pronto?

Facciamo un passo indietro per separarci, voltandoci con straordinaria coordinazione: io metto le mani sui fianchi, sfoggiando un'espressione scocciata da telenovela argentina e Nicholas calibra l'altezza del mento ad un angolo che sa di beffa e di sfida aperta.

L'abbiamo fatta grossa, è vero, ma di strigliate ne abbiamo ricevute a sufficienza.

- Sono le cinque del mattino, Xanders: risparmia il fiato, - sospira Nicholas.

Gli tiro una gomitata.

Xanders si morde il pugno chiuso per non spaccarglielo sulla testa, con l'aria di un pomodoro a cui sta per schizzare la polpa sulla moquette.

- Oh, l'unica ragione per cui non vi metto le mani addosso è perché siete degli stupidi minorenni! – urla.

- E perché sei circondato dalla Polizia, - dico io.

- E perché ti metteremmo al tappeto, - dice Nicholas.

- Zitti, state zitti, tutti e due!

Non l'avevo mai visto così fuori controllo. Nelle settimane che ho passato alla Villa, è capitato spesso che Xanders apparisse esasperato o sconvolto o alterato, ma fino a questo momento non era mai stato davvero arrabbiato.

È come se non fosse rimasto alcun affetto per nessuno dei due, in lui: come se avesse sempre saputo che un giorno lo avremmo tradito e non avesse aspettato altro che di vomitarci addosso tutto il suo rancore. Difficile prevedere che Xanders ne fosse così pieno: di rancore, frustrazione e delusione.

- Avete idea di quello che avete combinato?

- Ci è quasi venuto un infarto, Nicholas.

- Quella è stata l'aterosclerosi: dovresti provare con una dieta più sana, Xanders.

- STAI. ZITTO, - urla lui.

- Nicholas, - soffio, - ti prego.

Pagherei oro per risparmiare a me stessa e al resto dei nostri spettatori una scenata così sopra le righe; non occorre che Nicholas faccia degenerare la sfuriata di Xanders nel secondo omicidio della settimana.

Voglio dire, sapeva che sarebbe successo, no? Ma forse è proprio perché aveva previsto tutto che conosce perfettamente le parole che faranno infuriare Xanders fino all'esaurimento nervoso.

Brancolo con le dita in cerca del bordo della sua manica: faccio per tirarla, ma non c'è stoffa da stropicciare intorno al suo polso.

Solo pelle.

La divisa gli sta piccola.

Ci ritraiamo alla velocità della luce e io mi mordo l'interno delle guance.

- Ci dispiace, - annaspo.

- È questo che intendeva Nicholas, non è vero?

- No, - dice lui.

- A meno che non abbia sviluppato l'afasia di Wernicke nelle ultime due ore.

La che?

Rimango come imbambolata.

Non ho la minima idea di cosa stia blaterando.

- Area di Brodmann ventidue, - mi incita, indicandosi il lato destro della testa. Torno a guardare Xanders più scocciata che contrita.

- Senti, a me dispiace, - gli dico, - ma –

- Avete rovinato tutto, - sbotta lui, la barba ramata che luccica di sudore e i capelli spettinati. Ho come l'impressione che negli ultimi giorni siamo riusciti a invecchiarlo e a renderlo più sciatto.

- Avete mentito a tutti noi, vi sete approfittati della nostra fiducia e avete distrutto ogni singolo sforzo che sia mai stato anche solo concepito per darti un futuro degno delle tue capacità, Nicholas.

Batte un piede per terra a mo' di bambino spazientito. Apprezzo l'impegno dei Poliziotti che ci circondano nel fare finta di niente: solo Zelda, appoggiata contro la una colonna ricoperta da specchi, ci squadra a denti stretti.

- La partita dei Twins, - esclama, Xanders, - sul serio? E io che ci ho perfino creduto.

Giusto, è la scusa che gli abbiamo rifilato pur di farci prestare una macchina. Sto per informarlo che l'abbiamo seguita davvero, la partita, ma mi rendo conto che il putiferio che abbiamo scatenato è troppo grande per festeggiare la sconfitta degli Yenkees. Mi strofino le mani sugli avambracci, un po' troppo interessata alla punta delle mie scarpe rimediate per risultare credibile.

Poi Amanda si avvicina al fianco di Xanders, secca e tesa come sempre da quando l'ho incontrata per la prima volta. Parla a bassa voce, ma suona affranta.

- Avete idea delle conseguenze che le vostre azioni avranno sulla vita dei vostri compagni? – sibila.

Alzo la testa di scatto.

No che non ne ho idea.

Fino a qualche ora fa le mie prospettive di rimanere in vita erano talmente limitate che non mi ero concessa di pensare al futuro. Sarebbe stato come peccare di superbia, scommettere che sarei arrivata a fine nottata. Quello che ho fatto invece è stato vivere minuto per minuto, contando i secondi, pensando a nient'altro che a me stessa e a Nicholas.

Ma Amanda ha ragione: questa faccenda cambierà ogni cosa.

Per Armand.

Per i suoi fratellini.

Per Shad e Beatrice e Maria.

Per tutti i Novi e per la mia famiglia.

Ci saranno tante di quelle conseguenze da non riuscire a prevederle.

- Non sapete come sono andate le cose, - dico, strizzando le palpebre. Ci vedo sempre peggio e non so se è una delle mie improbabili somatizzazioni o se è tutto vero o se sono semplicemente sfinita dalla mancanza di sonno.

Mi pizzico la coscia con due dita, realizzando con dispiacere che stavolta non funziona.

L'ansia rimane vigile, guadagnando posizioni.

- Sappiamo esattamente come sono andate le cose, Sybil. Pensavi che la Polizia non ci avrebbe raccontato tutto?

Xanders mi punta il dito sul petto, dove prima che la sequestrassero c'era la mia medaglietta d'acciaio.

- Mai avrei immaginato che ti approfittassi del nostro supporto fino a questo punto, signorina.

- Tu pensi di aver fatto qualcosa di utile per me, non è vero?

- Se fosse stato così, Xanders, non sarei stata costretta ad agire di testa mia, - mi lamento.

- O forse, il problema, è che sei sempre stata troppo capricciosa per pensare a qualcun altro che non sia te stessa, - sputa lui.

Trattengo uno spasmo sul viso, distogliendo lo sguardo. Perché è così difficile da credere che tutto quello che ho rischiato l'ho rischiato per la mia famiglia? Per la malattia di mia madre e perché Lilith è l'unica che riesca ricacciarla da quel pozzo profondo di dolore e oscurità. E per mia sorella. Perché deve pure aver significato qualcosa, per lei, venire al mondo quando l'ho fatto io.

E pensare che l'ho perfino lasciata passare per prima.

- Sei un essere disgustoso, - dice Nicholas.

Gli lascio prendere le mie difese perché non riesco a tenerle alte dopo un'accusa così affilata.

- E tu sei un talento sprecato, - risponde Xanders.

- La Polizia non ha ancora rilasciato una dichiarazione ufficiale e nonostante questo le voci hanno già iniziato a circolare. I principali creditori della Villa hanno momentaneamente congelato tutti i nostri contratti. Quando avranno verificato quello che tu e Armand avete fatto, ci molleranno tutti.

- Cosa?

Tutto questo non ha alcun senso. La notizia della morte di Ryars non può essersi già diffusa fuori da questo edificio, a meno che qualcuno dei Poliziotti non l'abbia fatto di proposito. Penso ad Hartshorne: lui avrebbe spiattellato tutto più che volentieri.

Mi schiarisco la voce.

- Se non avesse sparato a quell'uomo, sarei morta.

- Possedeva un'arma illegale, - ringhia Xanders.

- La nascondeva nella Villa, in mezzo ai ragazzi. In mezzo ai bambini.

- Tra meno di un mese l'avrei fatta sparire, - dice Nicholas.

Xanders si abbandona a una risata quasi isterica, alzando le braccia al cielo: - Ho appena ricevuto una telefonata da Melissa Sievers: sei stato licenziato dalla FeEBS, Nicholas. E sei bloccato in Minnesota fino a data da destinarsi, - esclama.

- Non potrai più tornare in Germania.

Il campanello d'allarme che si scatena nel mio cervello è convinto che a Nicholas verrà un attacco apoplettico. Lo vedo già per terra, con le orbite ribaltate e gli arti che si muovono a scatti, solo che è troppo plateale e fuori dal personaggio per risultare realistico. La verità è che Nicholas rimane fermo, poco più pallido del suo solito, ma visibilmente scosso. Deglutisce compostamente, poi fa per passarsi una mano tra i capelli nello sforzo di trovare le parole.

È forse una delle prime occasioni in cui qualcuno sconvolge i ruoli delle sue recite e lo interrompe per primo.

- Sono stato uno stupido, - dice Franz Kopplen.

Tutti ci voltiamo appena in tempo per scorgere la porta di un ascensore che si richiude alle sue spalle ricurve, mentre il Sergente Luhanga lo scorta verso di noi. Franz punta i piedi per terra, con la rima delle palpebre abbastanza rossa da sembrare che sia sul punto di piangere sangue. Dalle sue labbra piene e color ciliegia pende un mozzicone di sigaretta spento da chissà quanto.

- Sono stato proprio uno stupido a pensare che non mi avresti deluso di nuovo, come hai fatto ogni singolo giorno dal momento esatto in cui hai messo piede su questo cazzo di Pianeta, - scandisce ed è come se il suo accento raschiasse il fondo dei timpani di Nicholas con una punta affilata.

La mia coscienza si svuota in un istante.

- Franz, - dice Nicholas, molto lentamente, quasi con reverenza e io capisco che nient'altro avrebbe davvero il potere di ridurlo in pezzi, in un momento del genere, più dell'influenza che Franz ha su di lui.

- Ich beschwör –

- No, - ringhia Franz e Nicholas inizia a decomporsi tassello dopo tassello. Il ragazzo dalla battuta caustica e la presenza scottante che fino a qualche ora fa impugnava una pistola con sicurezza, si accartoccia su sé stesso come carta straccia. Lo vedo respirare a spezzoni e stringere i pugni contro lo stomaco, mentre tutte le operazioni di calcolo che si arrovellano nella sua testa affondano nel dolore.

Improvvisamente è come se i suoi neuroni si stessero preparando alla morte cerebrale.

- Non dire una parola: io ho chiuso con te.

Nicholas strascica un piede in avanti, sussurrando: - Fammi spiegare.

- Non c'è più niente da spiegare. È finita, stavolta sul serio.

Franz si precipita a grandi falcate verso l'ingresso, scrollandosi di dosso i poliziotti che gli si parano davanti per rallentarne l'uscita di scena. Li spintona da un lato, lanciandosi verso l'uscita con solo una giacca di cotone a ripararlo dal freddo. Cambiamenti climatici o no, non ha idea della morsa letale che lo aspetta non appena messo piede fuori da qui. Le leggendarie temperature del Minnesota non perdonano nemmeno un tedesco dal sangue freddo.

- Levatevi di mezzo, - strepita, senza che Luhanga riesca a riacciuffarlo.

- Signor Kopplen, Minneapolis è una città troppo pericolosa di notte e lei non ne conosce le strade: aspetti almeno che un taxi l'accompagni in hotel.

- Che si fotta la città!

- Andate tutti all'Inferno! – dice, poi una mano si artiglia attorno al suo polso slanciato all'indietro, arrestandone la corsa in una strattonata secca.

È quella di Zelda.

Quando Franz sembra realizzarlo, un'espressione di puro orrore lo trasforma nella personificazione dell'odio e della repulsione.

Perfino Zelda rimane fossilizzata nella stessa identica posizione, senza azzardare il minimo movimento del capo, quasi si fosse accorta di aver combinato qualcosa di drastico e irreparabile.

Un peccato originale.

Il crimine peggiore di tutti.

Racchiuso nel suo palmo.

- Franz, - esala.

Lui le sputa la cicca di sigaretta sulla faccia.

- Levami quella mano di dosso o giuro su Dio che ti uccido, - dice.

- Tu e quel figlio di puttana di tuo padre: vi uccido.


Angolo autrice: buon anno, bimbi miei, buon anno! In apparenza questo capitolo è pieno di chiacchiere, in realtà si gettano le basi per tutto quello che accadrà da adesso in poi. Avete fatto la conoscenza di Garret, per esempio: ce lo vedete con Zelda o pensate che lei sia interessata a qualcun altro? La loro è una relazione molto strana, in ogni caso. E avete scoperto il prezzo che Nicholas dovrà pagare per aver salvato Sybil! Se lo merita un round di pacche sulla spalla, questo poveretto, soprattutto adesso che il suo migliore amico ce l'ha con lui. A proposito.... Ma Franz e Zelda? EH. Bocca cucita. Passando ad altre note, il titolo del e capitolo verrà spiegato nella seconda parte.

Vorrei ringraziare tutte le persone che, entusiaste, continuano a commentare la storia con piacere. Il vostro tempo significa molto per me. Sento che alcuni di voi sono davvero legati a questi personaggi e voglio dirvi che ciò mi riempie di gioia. Spero di non deludervi. Fatemi sapere cosa ne pensate e stellinate se il capitolo vi è piaciuto ❤️

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