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16. La scoperta della materia oscura - Parte II

Materia oscura: in cosmologia rappresenta un'ipotetica componente di materia che non è direttamente osservabile. Pare che essa, a differenza della materia conosciuta, non emetta radiazione elettromagnetica e si manifesti unicamente attraverso gli effetti gravitazionali; non manca quindi di massa, ma di luce.





Schiaffo il palmo di una mano sulle labbra, strusciandolo fino al mento come se potesse aggrapparcisi.

Lo shock che mi esplode nella parte alta della pancia ha la stessa consistenza viscosa di quello provato la sera dell'aggressione, quasi il sangue si fosse addensato a tal punto da incollarsi alle mie vene; le raschia, le strappa uno strato alla volta, cominciando tutto d'un tratto, in una detonazione.

Qualche lobo tra i più temerari del mio cervello fa la conta dei danni: i timpani mi pulsano e la pelle punge dove l'orrore ha sbarrato la strada alla circolazione, ma è proprio su questo che mi concentro; sulle sensazioni fisiche, inconfutabili. Sono l'unica garanzia che la mia mente non si è ancora piegata a tonnellate di stress e che Jerome Ryars è davvero riuscito a materializzarsi a meno di mezzo metro dalla mia faccia.

È qui.

Ryars è qui.

Non è un'allucinazione.

Le sue labbra si muovono nella mia direzione, ma ne passa di tempo prima che mi sforzi di registrarne il suono.

Cerco di tendere le orecchie oltre il ritmo impazzito del mio cuore e ascolto.

Lo sento mormorare: - Signorina Crowford.

Lo dice come se l'avessi costretto a ripetersi più volte nell'ultimo minuto, ma non importa. Mi chiedo piuttosto se si sia accorto della fatica che sto facendo a tenere salda la presa sulla torcia.

Mi tolgo la mano dal viso ed è sudata e fredda e quasi insensibile.

Riascoltare la voce di Ryars dopo così tanto tempo è disturbante, e dà un forte senso di spaesamento. La ricordavo meno tombale e più profonda, o forse non me la ricordavo per niente. Possibile che avessi rimosso ogni istante del mio spiacevole incontro con l'Ispettore? Non un ispettore qualunque, per inciso: uno della USD, l'organo di difesa più potente del Mondo, trasferitosi alla centrale di polizia di Marshall appositamente per indagare sul disastro provocato da mia sorella.

- Che curiosa sorpresa ritrovarti qui, e dopo tutte queste settimane.

Mi viene da inarcare le sopracciglia.

È curiosita quella che prova? Non si direbbe, visto che Ryars, dalle corde vocali di pietra, è abbastanza apatico da sfiorare il monotono.

Ci studiamo a lungo, rimanendo in silenzio.

L'ispettore è diverso da qualunque altra persona abbia mai incontrato nella mia vita: più che ricordare uno stoico, dà l'idea che la luce e il calore siano stati completamente assorbiti al centro del suo sguardo per esservi soppressi, o incatenati dove nessuno dei suoi interlocutori possa mai ritrovarli.

Dovrei parlargli, e dovrei farlo subito, ma è come se il panico avesse risparmiato solo una minuscola bolla d'ossigeno nei miei polmoni: quella indispensabile per non svenire.

Parla, Sybil.

Muovo appena la lingua, ma non c'è un solo filo d'aria che mi attraversi la laringe.

Meglio così, comunque: è stato questo a impedirmi di urlare.

Ryars solleva il braccio con una lentezza disarmante, portandoselo al petto. Un debole scintillio all'altezza della clavicola richiama la mia attenzione sul distintivo a forma di scudo che porta appuntato sulla giacca.

- L'ho spaventata? - sussurra.

Faccio cenno di sì con la testa e mi accorgo di star battendo i denti, così li stringo forte. Cosa sperava di ottenere, apparendomi davanti come uno spettro? E da dove è entrato? Che nel quartiere fossero state piazzate delle telecamere della polizia in modo che Ryars venisse avvertito di eventuali intrusioni illegali? Stento a crederlo: Nicholas se ne sarebbe accertato, pur di non correre certi rischi. Ci metterei la mano sul fuoco. Se ne sarebbe accertato, vero?

Ma allora che cosa ci fa Ryars qui?

Non glielo domando perché potrebbe voler sapere lo stesso da me e perché sono paralizzata dalla sua presenza. Mi limito a fissarlo, fregandomene della discrezione. Non ha una torcia con sé, e la mia non basta a illuminarlo del tutto. In quest'ala della scuola l'oscurità non è fitta come in quella degli armadietti, ma Ryars è vestito di nero da cima a fondo e perfino la sua faccia scavata da lupo affamato è ricoperta da uno strato di barba corvina. A parte che con la pelle della sua faccia, l'ispettore riesce a mimetizzarsi alla perfezione. Mi tornano alla mente le parole di Alphy sui suoi occhi di inchiostro, e il solo pensiero basta a stritolarmi lo stomaco.

- Allora, - continua, - vuole spiegarmi il motivo per cui si trova qui?

Muovo la bocca a vuoto.

Non ci aspettavamo di incontrare nessuno, dannazione.

Non ho una scusa pronta.

Non ho nemmeno l'ombra di una scusa.

Ma devo inventarmi qualcosa.

- Sparisce dalla città per intere settimane e ricompare su una scena del crimine.

- Interessante, - aggiunge.

C'è l'assenza totale di qualunque espressione sul viso dell'ispettore, come se sottopelle non contenessealtro che stoffa. Capisco che il mio silenzio non può durare più a lungo di così e improvviso un: - Non è come pensa.

Banale, non discuto, ma poteva andare peggio.

Ryars non sembra apprezzare troppo il mio sforzo.

Ryars sembra non provare niente.

- Cosa crede che stia pensando?

- Che sia venuta a combinare qualcosa di losco, - deglutisco.

- Non è così, mi creda. Cercavo un ricordo di mia sorella, delle foto.

- Sai che inquinare le prove è un reato e che dovrò segnalare la tua presenza alla centrale di polizia?

No.

Non può.

Se lo fa Zelda Hodgkin saprà che sono stata qui, e non posso lasciare che accada.

Non posso lasciarglielo fare.

Devo avvertire Nicholas.

- Mi dispiace, - ansimo.

- Non ci avevo pensato, davvero. Me ne vado subito. E non ho trovato niente, comunque.

Mi lascio prendere dal panico. La cosa migliore da fare sarebbe muoversi compostamente e con disinvoltura, lavorando su quello che i miei lineamenti lasciano trasparire. Quello che faccio invece è girare nervosamente su me stessa per trovare l'uscita. È solo che all'improvviso sento tutto il carico dei ricordi traumatici legati a questo posto, e la loro instabilità, e il rischio sempre più alto che hanno di crollarmi addosso come queste pareti. Mi muovo da una parte all'altra, poi realizzo che se è riuscito a entrare, allora è lui che mi separa dall'uscita.

Ryars.

Quando lo sorpasso, blaterando altre scuse, la pesantezza della manica in cui ho nascosto il disegno diventa tanto schiacciante che mi convinco stia per staccarmi il braccio.

Gli passo vicino e ho paura che mi trattenga qui, afferrandomi per il polso. Non lo fa, però mi segue con lo sguardo, piuttosto annoiato. La sua voce è sottile come la carta pesta quando, poco prima che sparisca dietro l'angolo, mormora: - Devo assicurarmi che non abbia toccato niente, Signorina Crowford. Non può andare via.

Tiro su con il naso e mi impongo di sorridergli, muovendo appena la commissura delle labbra.

- Giusto, va bene. Pensavo che potesse fare uno strappo alla regola. Non può perquisirmi fuori? Sono un po' claustrofobica.

Ormai il danno è fatto.

L'importante, adesso, è che non colga Nicholas in fragrante; la mia presenza qui, per quanto illegale, può essere giustificata. Quella di un estraneo è semplicemente un reato.

Per una volta posso non mandare tutto all'aria e allontanare Ryars dall'edificio.

- Tutta questa fretta di andarsene da qui, - dice lui, - non vuole sapere come procedono le indagini?

Ah.

- In principio mi era sembrata piuttosto determinata a ritrovare sua sorella; poi non ho più avuto sue notizie.

Il suo discorso non fa una piega, in effetti.

Azzardo un: - Sono andata a stare da una amica.

- Così mi è stato detto.

- Se non sbaglio le avevo fatto recapitare un numero di telefono, - comincio, - eppure non sono mai stata richiamata. Ho tratto le mie conclusioni, ispettore.

Se ci fossero stati dei progressi, sarei stata la prima che avrebbero avvertito.

Avanzo verso quella che ricordo essere la vera uscita e per poco non vado a sbattere contro un muro di detriti. Non c'è niente da questa parte.

Ho sbagliato lato, fantastico.

Comincio ad agitarmi sul serio.

Da dove diavolo è entrato Ryars? Come me ne vado?

Mi auguro che Nicholas si trovi dall'altra parte della scuola e che Alphy lo abbia avvertito della presenza dell'ispettore.

Mi premo la fronte con i pugni e sento la pelle tirare come se bruciasse di nuovo.

Vado a fuoco, come l'ultima volta.

Pensiero sconnesso.

Sybil, non c'è alcun incendio.

Fuori sta addirittura piovendo.

- Può farmi uscire? - lo prego, ripetendomi di stare calma.

Ryars di certo lo è più di me.

A dirla tutta lo è fin troppo.

Non riesco a vedere nient'altro che la sua faccia quando soffia: - Sei da sola?

Per qualche secondo la sua domanda mi lascia appesa a metà tra la perplessità e il divertimento, per come spunta nella conversazione senza alcuna introduzione. Poi qualcosa, nella fissità di Jerome Ryars, la rende sinistra. Potrebbe andare a parare ovunque o da nessuna parte, senza che riesca a prevederlo.

Apro e chiudo le dita per riprenderne il controllo.

- S-sì, - balbetto.

Sto mentendo, ma spero che non sia così tragicamente palese.

- La mia amica è in città, ma sono venuta da sola a scuola.

Mi stringo un po' nel cappotto: non voglio ripararmi dall'umidità, ma tenere il biglietto che ho trovato il più vicino possibile al mio corpo.

Prendo un respiro profondo.

- Senta, ispettore, - dico, e stavolta voglio che mi ascolti.

- Parliamone fuori, va bene?

Non mi ascolta.

- Va bene?

Ryars comincia a frugare nella sua tasca destra. Mi aspetto che estragga un taccuino per segnarsi le mie generalità e trascrivere una dichiarazione sulla mia presenza nella scuola, prima di portarmi alla centrale, e invece tra le sue dita ossute compare una scatolina, e dentro di essa delle zollette di zucchero. Quadratini piccoli, quasi fosforescenti. L'ispettore se ne caccia uno caccia sotto la lingua, continuando a guardarmi con estrema placidità.

Proprio non capisce che ho un urgente bisogno di uscire da qui.

Provo di nuovo a sgusciare via, ma sono sicura che stavolta non me lo lascerà fare. Semplicemente lo sento nelle ossa. È per questo che il mio corpo non commette alcun movimento avventato, quando mi sbarra la strada. Piuttosto si tende tutto come una corda, e rimane in attesa di qualcosa, quasi i miei tendini venissero stirati dall'idea di un cattivo presagio. Ryars ricaccia la mano in tasca, afferrando un'altra zolletta di zucchero, ed è come quando all'asilo ti insegnano quello stupido trucco con i punti.

Il trucco è questo: all'inizio c'è un foglio è bianco, con solo dei puntini neri sparsi a renderlo disordinato. Poi inizi a collegarli con un ordine preciso, e uno tira l'altro, e quando tutto è stato unito sul foglio compare una figura. Quella vera. Quella che prima era là, sotto il tuo naso, nascosta dal nulla.

Il trucco è questo.

Parto dallo zucchero, perché è più o meno quello che ho visto fare a Nicholas fino a ieri sera, abusarne ogni volta che ce n'è l'occasione, come se il cervello dei Novi carburasse a una velocità superiore rispetto a quella di chiunque altro.

Poi traccio una linea e collego la zolletta alla prima volta che ho incontrato Jerome Ryars, e a come mi avesse colpito il suo straordinario senso dell'udito. Sovrannaturale, a dire poco. Sovrumano.

Passo al punto successivo: rievoco lo sconvolgimento che avvelenò il suo sguardo nel momento in cui gli dissi che Lilith era stata rapita, e che io avevo visto tutto.

Solo alla fine ripenso all'aggressione.

So che per completare il mio disegno è lì che devo appoggiare la matita, perché è in quel punto esatto che riaffiora l'immagine di che cosa mi abbia convinto a cambiare strada e a imboccarne una deserta, la sera in cui i Novi hanno cercato di uccidere me e Alphy.

Un blocco stradale.

No: un blocco stradale della USD.

Ecco che ho collegato tutto.

Il disegno è chiaro adesso, eppure è troppo tardi.

Le mie ginocchia si piegano impercettibilmente, mentre osservo lo spazio che ho a disposizione per lanciarmi in un lampo tra il braccio di Jerome Ryars e la parete. Un metro e mezzo. Se sono veloce abbastanza ho una possibilità.

L'unica cosa che possa fare prima di provarci è chiedere: - Le dispiace se metto il telefono in silenzioso?

È incredibile come la mia voce sia diventata incredibilmente pacata e tranquilla.

Non perché non abbia paura.

Ho così paura che potrebbe inghiottirmi.

È solo che sono uscita viva da questo posto una volta, e ora che so che è possibile voglio riuscirci di nuovo.

Per iniziare mi muovo a rallentatore.

- Queste chiamate mi distraggono.

- Accomodati, - mormora Ryars, senza fare una piega.

Getto lo sguardo sullo schermo del cellulare, constatando che Alphy non la finisce di chiamarmi. Respiro come indicato nelle video-lezioni di training autogeno, solo più silenziosamente, con il naso. Maneggio con i tasti del mio telefono come la personificazione della serenità, e so alla perfezione che se mi prendessi il tempo di scrivere un messaggio ad Alphy, Ryars se ne accorgerebbe. Mi faccio bastare tre tasti, quelli che servono per far partire un'applicazione, poi rinfilo in tasca il telefono.

- Sa, ispettore, - azzardo, - dovrei proprio andare a casa.

- La mia amica mi sta aspettando all'entrata del centro commerciale, due isolati più in là. E sta per piovere.

- Ti accompagno, - dice.

Ha capito che ho capito.

- Non ce n'è bisogno, - dico lo stesso, - grazie. Se vuole può perquisirmi sul cortile, però.

Ryars sposta lo sguardo dalla mia faccia alla mia torcia.

Chiede: - È qui che tua sorella è stata portata via?

- Sì.

- Mh, - sorride.

Sapete che c'è, a questo punto fingere non ha più alcun senso.

- È così, allora, - dico.

- Lilith e i suoi nuovi amichetti vogliono proprio farmi fuori.

Ryars fa un passo verso di me, rubando l'ombra a tutto il resto, mascherandola con la sua.

- Tutt'altro.

- E lei? - deglutisco, - Tanto è uno di loro. L'ho capito, sa.

- Io?

Il suo corpo nero continua ad avanzare.

- Dipende, signorina Crowford. Se prova a scappare dovrò ucciderla.

Peccato.

Un vero peccato.

Scappo lo stesso.

***

Finisco per pensare a quello che accadrebbe se dovessero ritrovarmi qui, sotto i calcinacci.

Morta.

L'immagine del mio corpo steso nella polvere prende forma con triste spontaneità. Non succede subito, ma quando infilo un corridoio a caso e tutto quello che posso fare è correre e schivare le macerie carbonizzate, senza mai guardarmi indietro. Non posso guardarmi indietro. È questo l'aspetto peggiore: non sapere quando l'uomo che sta tentando di uccidermi mi raggiungerà. Potrebbe essere a un millimetro dall'artigliarmi la spalla, o potrei averlo seminato, eppure non c'è alcuna speranza che lo scopra prima che mi prenda. Mi sforzo di tendere al massimo le orecchie, e di acuire i sensi, ma l'eco delle mie falcate e dei frammenti di muro che mi lascio dietro come una scia è assordante. Corro più veloce, schivando per un soffio lo scheletro di una porta. Nessuno è mai riuscito a credere che una persona tanto pigra potesse correre come corro io; come il vento, e a volte più veloce, ma mai tanto a lungo. Non ho mai retto per più di qualche minuto, prima d'ora. Prima d'ora, però, non ero mai stata inseguita da qualcuno che volesse farmi a pezzi.

Il raggio della torcia sventola da una parte all'altra. Non riesco a tenerlo dritto, a respirare e a correre contemporaneamente. Basta a non sfracellarmi contro una parete, ma è ancora troppo buio per avere indicazioni più precise su dove stia andando. Supero un banco rovesciato con un salto, inciampando e rialzandomi in una successione di movimenti disperati. Vado a fuoco. Le pareti si fanno meno pericolanti e io so che sto per avvicinarmi all'uscita.

Non resisto più.

Ma ci sono quasi.

Per qualche secondo, meno di un battito di ciglia nel buio, mi convinco che sto per farcela.

E invece vengo afferrata per il cappuccio e strattonata all'indietro, e tutto quello che posso fare è gettarmi di lato, contro il muro, afferrare l'estintore con due mani e -

***

Il metallo gli spappola la carne contro le ossa.

Le ossa gli si frantumano.

Colpisco Ryars sulla faccia, ma non riesco a capire in che punto.

Forse sulla mandibola, a livello del mento: la torcia mi è caduta sul pavimento e illumina due o tre denti insanguinati, vicino a dove è precipitato l'estintore.

Registro automaticamente che il raggio di luce è sempre più debole, ma che ancora non riesco a vedere Ryars.

Sento il sudore sotto le palpebre, sulle guance, e sbatto gli occhi e vengo piegata dalle vertigini, dalla nausea e dallo sfinimento tutti in una volta.

Fai un respiro, Sybil.

Inspira, espira.

Forse lo hai steso, ma non puoi esserne sicura se non cerchi il suo corpo sul pavimento. Respira più piano.

Lo cerchi più attentamente, ma non c'è. Lo hai ferito, ma non lo hai steso, e adesso non riesci a vederlo. Se ricominci a correre - e data la tua scarsa resistenza non ci riusciresti - potrebbe inseguirti di nuovo.

Sybil, respira.

Devi riflettere.

Sì che devo, e per farlo ce la metto tutta.

Scruto il buio come se potessi affettarlo con lo sguardo, e il pensiero che anche lui mi sta guardando mi fa tremare le gambe come se fossero sul punto di smontarsi. La differenza tra di noi è proprio che io non riesco a vederlo. Perché la torcia rotola e la sua scia luminosa si orienta verso la suola delle mie scarpe, mentre Ryars è quello inghiottito dall'ombra. Perché il mio cappotto è troppo chiaro, e il suo è del colore del carbone. Perché è come se percepissi la presenza di una figura, nel buio, a riempire lo spazio; come se lo curvasse con l'azione della propria massa, per costruire una trappola che mi attiri verso di sé.

C'è della materia oscura, là in mezzo, in agguato. E io non ho una chance di attaccarla per prima. Che differenza farebbe, del resto?

Poi questo, il peggiore dei cliché: la torcia si scarica e si spegne.

Tutto nero, più nero di prima.

E io in piedi, non emetto un suono.

È a quel punto che cinque dita si artigliano attorno alla mia caviglia e mi trascinano sul pavimento.

***

Urlo il nome di Nicholas così acutamente da sentirlo graffiare alla base della gola.

È tutto ciò che di cui riesca a rendermi conto distintamente, il rimbombo delle mie grida che rimbalzano sulle pareti a pezzi per cercare di raggiungerlo. Il resto è polvere ghiacciata sotto la nuca e sui vestiti, e guizzi di colori che sfuggono, e mani che mi tengono premuta sul pavimento come se volessero scavarmi una tomba nel cemento. Ryars è sopra di me, e nonostante tutto fatico ancora distinguerne i lineamenti. Sento il suo alito zuccherato sulla faccia, e il suo ginocchio sulla mia gamba mentre scalcio in tutte le direzioni per scrollarmelo di dosso. Mi colpisce al centro del torace, paralizzandomi il respiro per qualche secondo. Tutto quello che mi resta da fare è chiudere le dita attorno alla sua faccia, la sua barba sotto i polpastrelli, e scorrere fino agli occhi per infossarglieli nelle orbite.

Ricomincio a gridare.

- Aiuto!

Una luce si accende tra il mio corpo e quello dell'ispettore. Ryars approfitta del mio sfinimento: con una mano mi tira i capelli all'indietro e con l'altra tiene sospeso un cellulare affinché possa vederlo ghignare verso di me. Caccio un altro strillo.

- Nicholas!

- Aveva detto di essere venuta da sola, signorina Crowford.

Il volto dell'Ispettore è tumefatto dove l'ho colpito con l'estintore, ma è come se le sue ferite si stessero rimarginando e la perdita di sangue servisse solo a sgonfiargli il labbro.

- Mi lasci! - ringhio, contorcendomi sul pavimento.

Quasi mi sorprendo di non provare più alcun dolore: è come se ogni fibra nervosa nel mio corpo si fosse concentrata in un disperato tentativo di tenermi in vita. Devo sopravvivere, solo questo: il resto - la pelle sbucciata, il polso slogato, la mancanza d'aria - è superfluo.

- Se continua ad urlare dovrò tagliarle la lingua.

Al diavolo.

Odio la sua insostenibile compostezza, mentre mi schiaccia, mi lega, e mi rende incapace di ogni minima azione. Odio l'impassibilità con cui mi fa del male, e il non aver sospettato di lui. Odio tutto questo.

- Si può sapere che cosa volete da me?

L'esasperazione mi fa strepitare.

- Non vi è bastato prendervi mia sorella?

- Non faccia la finta tonta, Signorina.

- Smettila! - lo spingo, - smettila di parlarmi in questo modo! Perché l'avete presa? Che cosa avete fatto a Lilith?

- Credevo che sapesse tutto di Noi.

Allungo la testa per mordergli la spalla, ma Ryars mi tiene premuta per terra. Tra un po' mi mancheranno le forze.

Mi mancano già.

- So della vostra Fazione, - ansimo, - So che avete rapito mia sorella perché è una di voi.

- Lilith si è unita alla nostra Fazione di sua spontanea volontà. Chi credi che abbia costruito l'ordigno che ha raso al suolo questo posto?

- Perché voi l'avete convinta a farlo! - grido, pregando che qualcuno riesca a sentirmi.

L'ispettore ribatte con appena una nota di disappunto nella voce.

- Quello che abbiamo fatto è stato tentare di avvicinarla, ma nel momento in cui l'abbiamo raggiunta aveva già capito tutto da sé. Sua sorella non aspettava altro che di essere riportata tra le persone a cui appartiene.

Ci siamo allora: questa è la verità.

Per la prima volta, senza coperture: una confessione.

- Quindi lo ammetti! Ammetti che Lilith si trova con i Novi della tua Fazione!

- Naturalmente, signorina Crowford, - sorride. È forse la terza volta che ci riesce nell'arco della sua vita.

- Ma adesso basta parlare di sua sorella. Pensa che mi abbiano mandato in questo posto dimenticato da Dio solo per lei?

Cosa?

Gli affondo le unghie nel dorso della mano, più per istinto che per ferirlo. Ryars mi colpisce sullo zigomo con una tale energia da farmi schizzare la testa da un lato all'altro, ma non percepisco niente oltre lo schock.

È qui per me, e lo è sempre stato fin dall'inizio. Quest'uomo, capace di fare del male a una ragazzina che potrebbe essere sua figlia, è stato mandato a Marshall per cercarmi.

- Ti sei finto della USD per arrivare a me. Tu hai mandato quei sicari a farmi fuori.

Non c'è tempo per le formalità, adesso. Non dopo aver scoperto che sono sempre stata la missione che i Novi - quelli della Fazione opposta alla mia - hanno affidato a Jerome Ryars. Sempre che questo sia il suo vero nome, è chiaro.

- Oh, una sgradevole incomprensione. Chi avrebbe mai immaginato che la Fazione ti volesse viva?

Troppe informazioni per reggerle sotto tensione.

Mi sento svenire dal sollievo.

Potrei sbagliarmi, ma credo che non abbia il permesso di uccidermi.

Ma è più probabile che non gli importi e che lo farà lo stesso.

Fa per tapparmi la bocca, e io torno a scalciare.

Devo farlo parlare, costi quel che costi.

Devo capire.

- Perché? - boccheggio, - Che cosa sperano di ottenere? Che cosa volete?

Tra le dita dell'ispettore compare una siringa dal contenuto lattescente.

Vuole mettermi k.o.

- No, no, no, aspetta, io -

- Lei ha qualcosa che Loro vogliono, sua sorella e i suoi nuovi amici.

- Non ho niente, lo giuro. Non ho trovato niente tra le sue cose!

- Certo che non l'ha trovato, signorina Crowford. Ce l'ha addosso, non se n'è ancora accorta?

NO! Si può sapere di che cosa sta parlando?

La compostezza di Ryars diventa surreale.

- Visto che sei così desiderosa di rivedere tua sorella, ti porterò da lei, così che potrai consegnarci quello di cui abbiamo bisogno.

Brucio l'ultima goccia di resistenza che mi rimane per allontanarlo da me. Respiro forte, carico un pugno e con un colpo gli strappo la siringa dalla mano. La sento ricadere nel buio, troppo lontano perché uno dei due riesca a recuperarla.

- Io non vado da nessuna parte, - sibilo.

Non prima di aver estratto il mio cellulare dalla tasca.

Ryars tasta il pavimento senza successo. Le sue dita si stringono attorno a un oggetto dai riflessi verdastri, ma non è la siringa: è una scheggia di vetro di dieci centimetri. Quello che resta di una finestra.

- La condizione è che la riporti indietro viva, - mormora.

- Nessuno ha parlato del fatto che dovessi riportarla a Washington intera.

Non ho il tempo di immaginare l'infinita serie di torture che potrebbe infliggermi con una lama tanto aguzza.

La sento sulla fronte quando un urto violento, come una spallata d'acciaio, si abbatte contro la parete alle mie spalle.

All'improvviso il corridoio viene investito da un'ondata violenta di luce grigia, da giorno di pioggia, quando l'uscita che stavo cercando viene liberata dai calcinacci e dai detriti. Poi lui salta dentro, a gambe divaricate e braccia tese davanti al corpo, stringendo una pistola.

Una pistola?

Pare affilato come il vetro che si appoggia contro la mia gola quando Ryars ci trascina in piedi, attanagliandomi contro il suo corpo per farsi scudo.

- Capisco che ci sia un piacere viscerale nell'essere salvate dal sottoscritto, - dice il Principe, vestito di una smorfia implacabile e crudele.

- Ma ti avevo chiesto di non farti ammazzare.

***

- Nicholas.

Vederlo in questo momento è la cosa migliore e la cosa peggiore che mi sia mai successa.

È qui, dopo aver sperato che se ne fosse andato, e poi che fosse tornato, e che potesse compiere di nuovo quel miracolo: la sua comparsa dal nulla, proprio quando tutto è perduto.

- Lasciala andare, - scandisce.

Il suo sguardo è cucito nel punto in cui il vetro mi solletica la pelle. La carotide o la giugulare o qualunque vaso sanguigno vada a spasso da quelle parti preme contro l'arma ad ogni pulsazione. Uno spasmo e finirei all'altro Mondo.

Nicholas stabilizza la presa sulla pistola, chiudendo la mano destra attorno a quella sinistra, con le nocche rosse che spiccano rispetto ad ogni altro millimetro di pelle visibile che riesca a individuare. Non perdo tempo a chiedermi dove si sia procurato un oggetto del genere: prima della Rottura avrebbe potuto comprarlo da Walmart per quarantuno dollari, ma adesso le cose sono cambiate. Pensiero sconnesso.

- Lasciala andare subito, - ripete, - e forse non ti farò saltare in aria la testa. Mi pare onesto come accordo.

Dubito che Ryars sia della sua stessa opinione. Mi stringe a sé, e sebbene la sua corporatura non sia abbastanza imponente da sovrastarmi, la sua forza è sconvolgente: non riesco a muovermi.

Del resto, se anche lo facessi, mi sgozzerebbe.

- Guarda guarda chi abbiamo qui, il giovane favoloso di cui tutti parlano. È un peccato incontrarla qui, Nicholas Reichenbach.

- Non ho idea di chi sia tu, ma se le levi le mani di dosso posso addirittura firmarti un autografo.

- E quella che impugni è una pistola, - commenta Ryars. Noto con raccapriccio che la sua espressività ha fatto progressi da quando è entrata in gioco la violenza.

- Sono sinceramente colpito.

Non riesco a smettere di ansimare.

- Nicholas, - singhiozzo, il filo della scheggia sempre più vicino, - devi chiamare aiuto.

È davvero quello che intendo.

Quando ho chiamato il suo nome non avrei mai immaginato che le cose potessero mettersi tanto male: con due armi puntate, e io nel mezzo. Non esiste una soluzione a una dinamica così incasinata.

- Perché è qui? - sbuffa Ryars, più scocciato del solito, come se di tutte le persone che sarebbero potute arrivare in mio soccorso Nicholas rappresenti la seccatura più grande.

- Lasciala andare.

Nicholas non riesce a fare mezzo passo senza che Ryars mi artigli la testa per esporne meglio l'attaccatura.

Emetto un suono strozzato.

Sono stata una stupida a pensare che sarei uscita viva da questo posto per due volte di fila.

- Prova a muoverti e le apro la gola da una guancia all'altra. Ti voglio fermo, dove posso vederti. Sotto la luce.

- Ti ho chiesto perché sei qui, - insiste.

Rivolgo un'occhiata disperata a Nicholas.

Vedo tutto di lui, anche se nel buio, fino a qualche minuto fa, non riuscivo nemmeno a scorgere la sagoma di Jerome Ryars.

È una realizzazione assurda, in un momento come questo, ma delle volte, quando l'ansia inizia a divorarmi, è quello che accade.

Ogni particolare diventa insopportabilmente amplificato, ogni suono o colore o odore o vibrazione.

Guardo Nicholas passarsi la lingua sulle labbra, come se il nervosismo gliele avesse prosciugate.

Guardo dei ciuffi diafani ribaltarsi da una parte all'altra della riga della sua pettinatura, come se fosse in disordine, mentre il suo petto si alza e si abbassa con irregolarità.

È così strano: il mio cuore si spezza alla consapevolezza che l'implicazione di Armand nell'ufficio di Zelda Hodgkin era vera.

Ma certo.

Non è che non l'avessi capito.

È solo che è difficile accettare che Nicholas Reichenbach sia ancora troppo umano per superare tutto, e risolvere perfino questo rompicapo; difficile accettare che può sbagliare, e che premendo quel grilletto potrebbe uccidermi prima che lo faccia Ryars.

Lo sento mormorare: - Ti avrò piantato un proiettile in testa senza che abbia anche solo il tempo di farla sanguinare.

Ryars parla a un millimetro dal mio orecchio.

- Sta mentendo, non può salvarla. Se sparasse colpirebbe anche lei, Sybil.

Lo so.

Lo so perfettamente.

Chiudo gli occhi e li riapro e una lacrima mi cade sulla punta della scarpa.

- È uno di voi, Nicholas.

- Lavora per l'altra Fazione, - dico, - e sa dove si trova mia sorella. È uno di voi, hai capito?

"Siete alla pari", è questo che intendo. Questa volta non può contare di essere in vantaggio.

- Che cosa intende fare, uccidermi? - Ryars indietreggia, portandomi con sé.

- Se lo farà, verrà rinnegato dalla sua Specie e da quella dei Sap -

- Hanno un piano, - continuo, e non mi importa un accidente di parlare sopra all'Ispettore.

- Hanno un piano e lo metteranno in pratica da un momento all'altro. Ascoltami, Nicholas, stanno tramando qualcosa, e se io...

Cos'è che voglio dirgli?

Se io dovessi morire?

Se non dovessimo più rivederci?

Non voglio non rivederlo. Non voglio non rivedere i miei amici, e mia madre, e i laghi della mia città, e qualunque altra cosa ci sia, fuori da qui, per una ragazza di diciassette anni. Non può essere arrendersi l'unico modo per ritrovare mia sorella.

O forse sì.

- Devi andartene da qui, okay?- singhiozzo di nuovo.

- Devi chiamare aiuto e dirlo a Xanders.

Fa cenno di no.

- Ti prego.

- No, - sussurra.

- Che le prende, Reichenbach? Non faccia lo sciocco, abbassi la pistola. Sa almeno come funziona?

- Se ti lasciassi andare, la tortureresti. Ti ho sentito. Ho visto quello che stavi per farle.

- Che importa? È inferiore a Noi, Reichenbach, lo sa. È uno strumento.

Basta.

Non voglio più starlo a sentire. Quello che conta è che Nicholas si decida a guardarmi negli occhi; che capisca che preferisco essere portata via con la forza, che finire ammazzata in questo modo; che non ho mai avuto tanta paura come al pensiero che sto per morire.

- Nicholas, - lo supplico.

- Non. Sparare.

Non può uccidere Ryars senza colpire anche me.

È impossibile, gli sono davanti.

- Torcile un altro capello, - sussurra, come se non mi sentisse. Tra le sue sopracciglia è scavata la ruga che gli solca la fronte quando è concentrato e tutti i suoi pensieri sembrano accumularsi in un punto preciso.

- Temo che non abbia compreso la gravità della circostanza, signorino Reichenbach. Le dico che cosa succederà da questo momento in poi: lei abbasserà la pistola, e io porterò via Sybil Crowford e lei tornerà da dove è venuto, da bravo ragazzo. E se mi verrà voglia di mutilare il mio ostaggio, è esattamente quello che farò.

- No, - dice.

- Da questo momento la lascerai andare.

C'è una nota di definitività nel modo in cui Nicholas alza il mento con quella spavalderia che è solo sua.

- Andrà tutto bene, Sybil, - promette.

- Nicholas, ti prego, ti prego, non sparare, vattene e cerca aiuto.

- Fidati di me.

Siamo di nuovo a questo punto? Quello in cui devo avere fiducia?

No, stavolta non posso.

Non così.

- Si faccia da parte, Reichenbach: se spara, morirà anche lei.

Ma non potrebbe.

Non lo farebbe mai, giusto?

Non mi sparerebbe mai.

Lo chiamo un'ultima volta per accertarmene.

- Nicholas.

Non se ne parla di morire adesso.

E invece succede tutto in un secondo.

Sblocca la sicura della pistola.

Anche Ryars se ne accorge, ed è per questo che ruota il braccio verso l'esterno per tagliarmi la gola.

Poi, finalmente, mentre la lama si fa spazio nella mia carne, Nicholas si decide a guardarmi.

Prende la mira.

Spara.





Angolo autrice: e niente, ragazzi, ho passato Anatomia, scoglio insormontabile per una studentessa di Medicina, ve lo giuro. Prima di riniziare con Fisiologia ci tenevo amandare un pochino avanti la storia, perché insomma, siamo a un punto di svolta. Che diavolo ha combinato Nicholas? E quindi Ryars... eh già, sta con i "cattivi". Qualcuno di voi l'aveva sospettato, altri non mi pare proprio! Spero di avervi sorpreso. Non ci sono note da fare, a parte forse una. I sintomi che Sybil associa ai suoi disturbi ansiosi sono ahimé reali; ognuno in realtà somatizza ansia e panico in maniera diversa, ma vi assicuro che possono far provare delle sensazioni raccapriccianti, come appunto la perdita di sensibilità sulla faccia e sulle mani. Come sempre, stellinate, commentate, esprimete consigli, correzioni e pareri. Mi farebbe molto piacere! Mi aguro che siate arrivati alla fine del capitolo con il fiato sospeso <3

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