1. L'imprevedibilità di una deviazione casuale
Deviazione casuale: nella fisica epicurea, si tratta di una deviazione spotanea degli atomi che cadono nel vuoto. Essa permette alle particelle di incontrarsi e formare la realtà delle cose.
Dicembre 2022, Marshall (MN)
Mi sveglio con l'assoluta certezza di stare per morire. Non appena spalanco gli occhi nel buio, un colpo mi scuote con tale violenza che il dolore, irradiandosi, raggiunge le costole con la stessa potenza di un'onda d'urto. D'istinto mi appiglio a tutto ciò che possa identificarmi come persona ancora in vita: lo stomaco che pulsa per lo spavento, come se il cuore vi fosse scivolato dentro; il sapore salato sulle labbra dischiuse; il sudore sotto i palmi delle mani; queste sensazioni sono solide e reali, il che può significare una cosa sola. Non sono morta: sono viva. Maldestramente abbandonata sul pavimento, con il naso premuto a terra e un attacco di panico che combatte con gli artigli per prendere il sopravvento, ma viva.
M'impongo di inspirare lentamente, espirare, inspirare di nuovo e buttare fuori aria a un ritmo regolare. Nel silenzio, prima ancora di sentire lo scricchiolio dei suoi passi nel corridoio, una parte di me la percepisce arrivare. Un attimo dopo Lilith sguscia nella stanza, materializzandosi con sguardo distante, come se stesse pensando troppe cose tutte insieme e il mio capitombolo fosse solo una fastidiosa interferenza.
- Sono caduta, - mormoro, facendo leva sulle braccia per alzarmi, - tutto qua.
Una fitta mi attraversa lo sterno, ma cerco di ignorarla e issarmi fino al materasso. Magari possiamo far finta che non sia successo un'altra volta.
- Tornatene a letto.
Afferro la sveglia per non dover guardare in faccia mia sorella. È notte fonda, eppure Lilith sembra perfettamente vigile.
- Dovresti accendere la luce. La probabilità di avere un'altra crisi diminuirebbe di almeno due quinti.
Le faccio cenno di sparire. Sono stufa dei calcoli matematici che usa per descrivermi, quasi volesse ridurmi a un problema di geometria. Ci sono occasioni in cui per lei non sono nient'altro che una linea spezzata a formare angoli troppo acuti.
Continuo a concentrarmi sulla respirazione, spalancando le narici. Lo psicologo della scuola ritiene che in casi come questo il training autogeno possa aiutare, ma a me fa venire sempre un gran mal di testa.
Lilith si avvicina alla scrivania e preme un minuscolo interruttore: la luce soffusa di una lampada a forma di gufo le illumina il viso dalle forme morbide, abbastanza da farmi cogliere l'estensione delle ombre che le sfiorano gli zigomi. Occhiaie: Lilith non ne ha mai avute prima, ma in questo periodo è solita rimanere a studiare fino a tardi. Forse è per questo che mi ha sentita cadere.
Passo le mani sulle lenzuola per asciugarle dal sudore, senza più aprire bocca. Lilith però non accenna ad andare via.
- Sai dove trovarmi, se hai bisogno di me.
Rimango così incredula che il mutismo mi sembra la replica più efficace. Mia sorella è sempre gentile e disponibile con tutti, ma non con me. I rapporti all'interno della nostra famiglia si sono deteriorati da troppo tempo e nemmeno ricordo l'ultima volta in cui è arrivata a offrirmi il suo aiuto.
- È che hai urlato, - si giustifica, - per tre virgola dodici secondi.
Inarco un sopracciglio come so fare solo io.
- Descrivi il fenomeno.
Il sarcasmo nella mia voce è palpabile e corrosivo. Detesto quando Lilith si sente in dovere di analizzare la realtà come fosse un insieme alfanumerico. È una maniera disgustosamente fredda di approcciarsi alle cose, ma a lei non sembra neppure importare.
- Quaranta decibel, d'intensità direttamente proporzionale all'attacco di panico.
- Grandioso, - cantileno, - ho superato qualche genere di record?
- No, per niente.
Lilith scuote debolmente la testa, con i capelli che le dondolano sulle spalle in una miriade di onde castane. La serietà con cui vuole darmi una lezione di acustica mi fa venire quasi da ridere.
- Un insegnante londinese ha emesso un urlo da centoventinove decibel, quindici anni fa.
Interessante.
- Bene, - sibilo, - grazie della spiegazione, ma adesso vattene. Chiudi la porta.
Lilith indugia come in attesa di qualcosa. Io le do le spalle per farle capire che ne ho avuto abbastanza per questa notte, eppure lei mi richiama con appena un filo di voce.
- Quando perdi il controllo, i test si attivano.
- Che? – strepito, voltandomi di scatto.
La porta viene di nuovo accostata e prima che io possa trattenerla Lilith è sparita. Al suo posto, vicino al letto, c'è un libro che non ricordo di aver mai comprato: "Selezione Naturale: trattato sull'evoluzione della Specie." Probabilmente Lilith stava studiando questa roba prima di piombare in camera mia.
- Maniaca, - deglutisco.
Il sonno non tornerà troppo presto, quindi tanto vale che trovi qualcosa con cui ingannare il tempo. Scelgo una pagina a caso e faccio scorrere lo sguardo sui paragrafi. Il primo concetto biologico di cui leggo il titolo basta a farmi dichiarare resa totale: "l'estinzione del più debole e la sopravvivenza del più adatto." Mi ritrovo a domandarmi se si possa definirmi una persona adatta, ma poi ci penso su e cambio domanda. Che cosa vuol dire esattamente essere una persona adatta? Lancio il libro dall'altra parte della stanza per scaricare la rabbia e finisco per rompere la mia unica lampada. Non c'è più luce.
***
Salgo in macchina con l'assoluta certezza che qualcosa andrà storto. Sono una ragazza piena di "certezze", come la maggior parte dei miei coetanei e - come per la maggior parte dei miei coetanei - queste certezze si rivelano spesso delle ciarle inconsistenti rivestite da una buona dose di fatalismo.
Appoggio la fronte sul finestrino umido della nostra utilitaria, ritrovandomi a pensare al nuovo psicologo della scuola: è un uomo sulla quarantina, con la fronte minuscola e lucida che si ricopre di sudore. Lilith ha confidato alla mamma che dopo anni di assiduo risparmio si è sottoposto ad un trapianto di capelli.
- Osserva il tessuto epiteliale lungo la linea dell'attaccatura, - ci ha spiegato l'altra sera, - è elementare.
Fa impressione che un uomo del genere mi abbia diagnosticato un "disturbo ansioso generalizzato" e a dirla tutta non sono sicura che una patologia del genere esista davvero: sono una persona generalmente ansiosa o la diagnosi in generale è generalizzata e incerta? Niente diagnosi, niente cura. Lilith non fa che ripeterlo.
Il fatto è che il signor Skoog non può definirsi un grande psicanalista. In compenso però è un ottimo giocatore di scacchi e durante le nostre sedute di terapia mi insegna sempre qualche trucchetto per la vittoria. Quando si tratta di affrontare le mie difficoltà, in ogni caso, la sua sentenza è sempre la stessa: "la gioventù d'oggi è oppressa dalla Rottura."
Lo dicono tutti da quando la pandemia globale ha segnato l'inizio del periodo storico più buio dai tempi della Seconda Guerra Mondiale: il Sistema economico è crollato, i continenti hanno cominciato a disgregarsi, le crisi ambientali e umanitarie sono peggiorate e gli Stati Uniti hanno violato la dichiarazione dei diritti dell'ONU. Tutto il resto è stato come giocare a domino e assitere impotenti alla caduta delle pedine. Insomma, la solita storia di tre anni fa.
Sbadiglio rumorosamente e chiudo gli occhi, anestetizzata dalla stanchezza della notte insonne e dal parlare incessante di mia sorella. Oggi è fin troppo loquace e infilarsi le cuffiette nelle orecchie non basta a coprire la cantilena sottile della sua voce, ma ad essere sincera non mi interessa. Se Lilith fa abbastanza chiasso da distrarmi, forse riuscirò a scrollarmi di dosso il presentimento sinistro che mi ronza dentro da stamattina.
Non è la prima volta che succede e il Signor Skoog ha detto che è normale per una persona "con problemi". Come se i problemi non li avessero tutti. Questa mattina, però, il senso di soffocamento legato allo stato ansioso mi si è appeso addosso a peso morto, strozzandomi i polmoni. Qualcosa andrà male, me lo sento, e al diavolo il fatalismo.
Mi sporgo sul sedile davanti per dare un'occhiata alla situazione. Lilith, con il suo completo verde chiaro e una treccia ordinata che le ricade sulla spalla, tiene stretto tra le mani un icosaedro di vetro. So che è un icosacoso solo perché lo sta spiegando nei minimi dettagli, aggiungendo decine di termini incomprensibili di cui non conosco il significato. Le scienze matematiche non sono mai state il mio campo.
Faccio per toccarlo con una mano, ma Lilith mi scansa come si fa con una farfalla, usando un'assoluta delicatezza per mascherare l'irritazione. Mi pizzico una gamba per distogliermi dall'idea. Skoog dice che è essenziale smettere di pensare male di chiunque: devo avere fiducia nelle persone, concedere loro il beneficio del dubbio e vedere il bicchiere mezzo pieno.
La mamma annuisce impacciatamente, con l'aria di chi a stento riesce a cogliere una parola su dieci. È piena di rughe intorno alle labbra, calchi di stanchezza e rassegnazione, ma il peggio per lei è passato. Finalmente la battaglia contro mio padre è diventata solo legale e nessuna di noi è stata costretta ad avere a che fare con lui negli ultimi cinque mesi.
- Spero di vincere il concorso nazionale, - afferma Lilith.
- Ho lavorato a questo progetto senza interruzione e sono pronta a farlo funzionare. La commissione ne sarà entusiasta.
- Vinci ogni anno, tesoro. Non sarà diverso dalle altre volte.
Arriccio il naso con disappunto: è scontato che Lilith porti a casa qualunque premio venga messo in palio, ma sentirselo ricordare tutti i giorni può diventare sfiancante, anche se nessuno pare rendersene conto.
- Non c'è niente che tu abbia compreso del mio lavoro, eppure trovi semplice minimizzarne i meriti.
C'è una frenata stridente. Devo puntare le ginocchia sul sedile anteriore per non volare via.
- Merda! – ringhio.
- SYBIL CROWFORD!
- Mannaggia, - mi correggo, - ho detto mannaggia.
C'è un breve istante di silenzio, poi mamma artiglia le mani sul volante e tiene gli occhi fissi sulla strada fino a quando non arriviamo davanti al cortile della scuola.
- Sei troppo intelligente per tutti noi, tesoro, - mormora infine, con una nota triste nella voce. Emetto un grugnito seccato e torno a guardare fuori, ma prima ancora di scendere dall'auto riesco a sentire Lilith che sibila qualcosa tra sé e sé.
- Già.
I nostri sguardi si incrociano per un istante attraverso il riflesso dello specchietto, ma subito dopo mia sorella scocca un bacio sulla guancia della mamma e scende come se nulla fosse accaduto. Già. Prima d'ora Lilith non si era mai vantata di quello che è universalmente riconosciuto da tutti: la mia gemellina è un genio. Le maestre di scuola sono state le prime a rendersene conto. Erano solite consegnare una caramella a chi imparava nuove lettere dell'alfabeto, rispondeva correttamente alle loro stupide domande o memorizzava per primo i versi delle loro filastrocche. Ricordo che ogni giorno Lilith tornava a casa e svuotava lo zainetto pieno di dolciumi sul tavolo del soggiorno. C'è dell'altro, però, qualcosa che mi è stato solo raccontato e di cui, troppo piccola, non potevo accorgermi. Prima ancora di levarle il pannolino Lilith aveva già compiuto prodigi: aveva cominciato a camminare e a parlare fluentemente con largo anticipo rispetto ad un bambino considerato precoce e a leggere, scrivere e fare di conto nel giro di tre anni. Senza neppure averne compiuti dieci, Lilith parlava già quattro lingue e a tredici ne conosceva sei. Ha sempre costruito oggetti tra i più insoliti e adesso che di anni ne ha sedici dipinge, suona e balla come se tutti i talenti del Mondo le fossero innati. Mi sorella è una punta di diamante in qualunque campo si sia mai applicata.
Fino a questo momento, però, non aveva mai guardato qualcun altro dall'alto in basso. Per lei, una ragazza dalle movenze eleganti e il parlare raffinato, nessuno ha mai avuto meno dignità e nonostante non scorra buon sangue tra di noi, Lilith non si è mai definita superiore a me. Si è perfino rifiutata di sottoporsi a test per il calcolo del quoziente intellettivo, o roba del genere. Almeno così credevo.
Invece di seguire mia sorella oltre l'ingresso della scuola, rimango appiccicata alla fiancata della macchina e batto un dito sul finestrino ricoperto di brina, nascondendomi tra le pieghe sfilacciate della sciarpa. Il vetro si abbassa, svelando la tensione sul volto di mia madre.
- Chiamami appena ti annunciano il verdetto, va bene?
Lei sembra pensarci un po' su, ma so che sta cercando di prendere tempo: la campanella dell'inizio lezioni comincia a suonare, lasciando la risposta sospesa nella brezza invernale. Il finestrino sale e io sono costretta a farmi da parte per non vedermi affettare le dita.
- Va bene? - insisto, cercando un assenso oltre i microscopici cristalli di ghiaccio.
- Non fare tardi, Sybil.
Mia madre ingrana la prima e l'auto si allontana. La guardo andare via senza sapere che cosa pensare: è diventato così semplice sfuggire a una conversazione spiacevole, che delle volte ho paura che questo sia solo il primo passo. Forse un giorno non avremo più bisogno di parlare l'uno con l'altro grazie alla scusa di non avere abbastanza tempo.
Mi sistemo lo zaino in spalla e strascico i piedi fino all'aula di matematica, dove mi lascio cadere sulla sedia e nascosta dal chiacchiericcio incessante dei miei compagni di scuola mi rintano a leggere. Smetto di pensare a qualsiasi altra cosa, smetto di sentire, di parlare e di preoccuparmi. Mi basta poco per far finta di essere da un'altra parte.
***
- Sei un disastro.
La classe è deserta quando mi guardo intorno: ci sono fazzoletti usati sui banchi e cartacce per terra. Lo sporco e la maleducazione spiccano solo quando qualcuno rimane indietro a contarne i danni, realizzo.
- Sybil, dico a te.
Il professore arriccia la fronte solcata da lunghe ragnatele di grinze.
- L'ho sentita.
- Dopo due ore di lezione. Ti ho già detto centinaia di volte che non sono concesse distrazioni durante le mie spiegazioni.
Infilo i quaderni in borsa con gesti che tradiscono il mio nervosismo. Solitamente è un gioco da ragazzi sfuggire alle sue ramanzine, ma quando si è in branco come lupi è più semplice sventare l'offesa di questa vecchia volpe.
- Vero, - confesso, - però Sharpe può mandare stupidi sms a quella tipa del quinto anno e Green può smaltarsi le unghie sotto il banco.
Mi alzo di malavoglia e aspetto una risposta, sfoggiando una finta aria strafottente.
- Non possono, naturalmente, ma se li richiamo, hanno almeno la decenza di improvvisarsi degli angioletti, rifilarmi un "non stavo facendo nulla di male" e tornare ad ascoltare la lezione.
- Per dieci secondi.
Il collo del professore D'hall si ricopre di chiazze rosse, segno che sta perdendo la pazienza. Se dovesse venirgli un attacco di cuore a causa mia, quasi sicuramente non potrei perdonarmelo.
- Per avere la tua attenzione dovrei comprarmi un megafono, Sybil e questo è inaccettabile, considerata la tua media nelle mie materie.
Abbassa lo sguardo sulla sua cartella e ne estrae un foglio ricoperto di linee rosse, ma non mi serve una delucidazione per capire di che cosa si tratta, così mi rassegno e prendo in mano il mio ultimo compito di matematica.
- È una D? - azzardo.
- È una F!
Firmo la verifica con l'amaro in bocca e subito dopo faccio per filarmela. Avrò un bel po' da fare durante le vacanze di Natale, ma ci sono abituata e con qualche ora di ripetizione me la caverò. È solo che vado forte nelle discipline umanistiche.
- Buona giornata, professore.
- Sybil, - sbuffa lui, - i tuoi problemi familiari non sono una giustificazione, questo lo sai.
- Sì, certo che lo so.
- Se chiedessi a tua sorella di darti una mano, le cose cambierebbero. Possono sempre cambiare.
- No.
Il professore si pinza l'attaccatura del naso come a scacciare una brutta cefalea: - L'avevo detto che eri un disastro.
- No, - ripeto, poi esco dalla classe sbattendo la porta.
***
Il resto della mattinata non passa abbastanza in fretta da evitarmi un controllo ossessivo dello schermo del mio cellulare. All'ora di pranzo provo a mandare giù un boccone con qualche amico, ma stranamente lo stomaco si oppone all'ingresso di qualunque pietanza. So che non riuscirò a mangiare fino a quando mia madre non si sarà fatta sentire, così comincio a cercare Lilith in giro per la scuola. Il processo dovrebbe essersi concluso da un pezzo e di sicuro lei è più informata di me. Per qualche motivo, mia sorella è sempre la prima a venire al corrente delle novità.
La trovo sotto una quercia spoglia, impegnata in un'accesa discussione con i suoi compagni di corso. Il tipo smilzo che le sta sempre addosso è carino, però si chiama Ranulph ed è un tipo strano. Molto più strano di me, intendo.
Cerco di attirare la sua attenzione, sventolando un braccio per aria. Lilith non dà segno di essersene accorta e sospetto che in un certo senso ignorarmi le venga naturale.
Mi mordo l'interno della guancia a mo' di punizione. Devo avere fiducia nelle persone, ripeto.
Provo a tossicchiare platealmente, ma non funziona. Per sicurezza controllo lo schermo del telefono un'ultima volta, poi mi avvicino quel tanto che basta a farmi sentire e cerco di mantenere un tono distaccato.
- Hai dimenticato il tuo volume di biologia, - dico.
Svariate paia di occhi mi inchiodano sul posto. Non li definirei necessariamente ostili, quanto piuttosto sorpresi. Non mi meraviglierei se alcuni di loro nemmeno conoscessero il mio nome: Lilith non parla mai di me, né io di lei, ma la somiglianza tra noi due è innegabile. Non potremmo far finta di non essere sorelle.
- È nel mio armadietto, ma dovresti venire a riprenderlo prima che me ne dimentichi.
Lilith rivolge un cenno fin troppo eloquente al resto del gruppo e sussurra un "a dopo" dalla sua affabilità snervante. Il lato positivo dell'averla come sorella è che è una persona maledettamente perspicace. Le basta ascoltarti un istante per capire che c'è qualcosa che non va.
Nessuna delle due dice niente fino a quando non troviamo un angolo appartato del cortile. I suoi compagni hanno già distolto lo sguardo, ma Alphy - quel Ranulph, che è anche il suo migliore amico – continua a tenerci d'occhio con una certa insistenza.
- Che ha detto la mamma?
Lilith sospira, quasi divertita.
- Il volume di biologia, - ridacchia.
Mi agito con impazienza, dondolandomi sui piedi per scaricare l'agitazione. Scommetto che non ci sono buone notizie all'orizzonte.
- Non fare la finta tonta. Avrebbe dovuto chiamarmi appena emanata la sentenza, ma deve essersene dimenticata.
Dimenticata, certo.
- Tu hai saputo niente?
- L'udienza è stata rimandata. A quanto pare c'è stata una violazione del principio del contraddittorio.
Lilith lucida delicatamente il suo icosaedro di vetro. Le sue parole mi ronzano in testa senza controllo e fanno vorticare anche tutto ciò che mi circonda. Devo mantenere la calma.
- Che cosa significa?
- Non avresti dovuto farti illusioni.
Lo dice come se provasse pietà di me.
- Dimmi che significa!
La tiro forte per un braccio, ma lei si divincola dalla mia presa come se la tenessi stretta con una striscia di carta. Sentire i suoi muscoli contrarsi sotto il palmo della mano è inquietante: a vederla non si direbbe che Lilith nasconda tanta forza. Mi rivolge un'occhiata serena e la sua compostezza è una vista insoporttabile. Come fa a non scomporsi mai? Come ci riesce?
- Significa che è stato ingiustamente negato a nostro padre il diritto di difendersi in tribunale. Significa che svelata questa irregolarità, dobbiamo ancora sopportarlo. Mi meraviglia che ti aspettassi qualcosa di diverso.
Tento malamente di incassare il colpo, ma dal calore del sangue che mi brucia le guance capisco di aver toccato le sfumature più impensabili di rosso.
- Conosci la parola "burocrazia", Sybil?
Pensavo che le lezioni fossero finite e invece mi tocca sorbirmene un'altra.
- Non ha alcuna importanza. Del resto, le parole che conosciamo hanno sempre il significato che ci fa più comodo attribuirgli. In realtà la burocrazia è un gioco. Nonostante il caso sia assolutamente banale, l'avvocato di nostra madre sta giocando con il difensore legale di nostro padre per prolungare la durata del processo. Così faranno anche i giudici, del resto. Devo spiegarti perché?
Denaro, semplice. Non so che cosa fosse la burocrazia un tempo, ma dopo la Rottura deve essere diventata una macchina per guadagnare soldi.
Alzo lo sguardo su di lei, con gli occhi che pungono. La mia richiesta suona così stupida e infantile che mi faccio tenerezza da sola.
- Parlaci tu.
Tiro su con il naso. C'è che il raffreddore lo fa gocciolare, nient'altro. E c'è che non posso sopportare un altro mese di questo schifo. L'ho sopportato per sedici anni e il solo pensiero di doverlo fare ulteriormente è una sferzata sul cuore. Mio padre deve sparire dalla nostra vita, se non per dovere morale, per legge.
- Per favore. Lo hai fatto altre volte. Con quel neurologo, quello famoso, quando la mamma se la passava male. E poi con la preside e con la nostra commercialista. Sappiamo entrambe che parlando con l'avvocato troverai un modo, Lil.
Alphy, che nel frattempo si è avvicinato, ha teso un orecchio nella nostra direzione. Anche se non vuole ammetterlo, so che Lilith si vergogna della situazione almeno quanto me, per questo spero che lo mandi via.
- Allora?
- No.
Prima di proseguire ingoio a vuoto: - Perché?
- Perché ho sedici anni.
Sì, ha sedici anni. E a quest'età non si dovrebbero portare certi pesi sul cuore, né certe responsabilità, solo che un rifiuto da parte di Lilith è impensabile.
- Lo so, - dico a denti stretti.
So che sarebbe ingiusto chiederlo a chiunque altro, però mia sorella ne è capace. Lei può sempre fare qualcosa.
- Li ho anche io, sedici anni, ma a differenza tua non posso cambiare le cose.
Lilith mi fissa con l'espressione impenetrabile della Gioconda. Forse scorge l'invidia che da anni mi consuma dietro la consapevolezza di non essere alla sua altezza. Ci ho provato e riprovato, ma ogni tentativo è stato un buco nell'acqua. Che ironia della sorte: una delle gemelle è incredibilmente dotata e influente, mentre l'altra, suo esatto riflesso distorto, non è altro che una replica mal riuscita, troppo normale per riuscire a competere. Essere costretta a chiedere il suo aiuto non è che l'ultimo di una lunga lista di fallimenti.
- "C'è una forza motrice più forte del vapore, dell'elettricità e dell'energia atomica, - dice Lilith: - la forza di volontà."¹
Un suono gutturale mi esce dalla gola. Premo i palmi delle mani sugli occhi fino quasi a sfondarmi la fronte, mettendcela tutta per non cominciare a urlare.
- Allora usala, porca miseria. Se è una questione di volontà, che ti costa? Dio, stiamo parlando della nostra famiglia, e stanotte mi hai...
- Ho detto di no.
La guardo in cagnesco da dietro una gabbia di dita.
- Perché?
Lilith calcola l'ora attraverso la proiezione della sua ombra sul terreno. Sembra colta di sorpresa e indugia nella sua operazione più a lungo del solito: vuole esserne assolutamente certa.
- Non ho davvero tempo per queste stupidaggini. Non mi riguardano più.
Io non mi muovo. Rimango immobile in uno stato di fissità catatonica che sembra aver atrofizzato la mia gabbia toracia, per impedirmi di respirare e produrre troppo rumore. Non ho idea di che cosa sia la fissità catatonica. Non mi interessa. Non mi muovo.
Alphy e Lilith capiscono cosa sta per accadere prima ancora che sia io a deciderlo. Lo fanno quando ancora non mi muovo. Non mi muovo. Non mi muovo. Poi, però, i miei muscoli si contraggono senza un comando apparente e sfrecciano all'attacco. Mi lancio su quel genio di mia sorella con l'istinto ferino di spaccarle la testa a metà, ma all'ultimo secondo cambio idea e faccio a pezzi qualcos'altro.
***
Non riesco a credere di averlo fatto davvero. In un primo momento i cocci aguzzi dell'icosaedro di vetro e le crepe spezzate che attraversano quanto ne è rimasto hanno il potere di inorridirmi. Alla fine, invece, l'ilarità generale mi contagia e mi lascio trascinare dagli applausi dei nostri compagni di scuola che esultano per l'eccitazione. L'aria si riempie di risate sguaiate e fischi acutissimi.
- Oh, ti prego, no.
Alphy accorre e si lascia cadere in ginocchio sul prato, armeggiando con il congegno rotto di Lilith tra una parolaccia e quella successiva. Una manciata di ciuffi disordinati gli sfuggono dalla fascia di pile che li tiene lontani dalla fronte.
- Che diavolo hai combinato?
- L'ho lanciato. L'alternativa era la sua scatola cranica.
Ammicco al marchingegno, ansimando per lo scatto furioso con cui l'ho fracassato. È con estrema spensieratezza che mi rivolgo a mia sorella, che tiene ancora le mani sospese a stringere il nulla. Non provo nemmeno a nascondere il piacere infantile di aver distrutto un frutto del suo ingegno.
- Aggiustalo. Puoi farlo, no? Tu, o uno dei tuoi amici da premio Nobel.
- Non hai idea di quanto Lilith avesse lavorato a questo progetto. C'era in ballo il riconoscimento per le alte tecnologie più illustre della nazione!
Alphy è più buffo del solito quando è arrabbiato; qualcun altro lo zittisce. Vogliono godersi la scena, immagino.
- Rimonta il tuo giocattolo, schifosa egoista. Questo ti riguarda abbastanza, non è vero?
Altre risate. Chissà se Lilith si sente in imbarazzo. Guarda il suo tesoro di microchip e cavi, poi me. Di nuovo l'icosaedro in pezzi, di nuovo me. Ed è come vivere sulla propria pelle la deviazione casuale di una goccia di pioggia in caduta libera. È l'unica immagine che riesce a descrivere la sensazione che mi assale: un momento prima mi sto vantando del mio futile trionfo, quello dopo mi ritrovo senza fiato, in prenda allo smarrimento. La mia voce si incrina in un suono stonato, mentre sento il sangue addensarsi nelle vene e la nausea travolgermi come alta marea.
Maledizione, che mi succede? Strabuzzo gli occhi per focalizzare ciò che mi circonda, ma ci riesco a malapena. Non ho altri dubbo: il brutto presentimento di stamattina si è trasformato in un attacco di panico.
Una volta per tutte ho la prova inconfutabile di essere diventata pazza. Di solito, a meno che non stia sognando, le crisi non mi assalgono senza una causa scatenante e i miei sbalzi d'umore non sono mai tanto repentini da farmi sembrare una squilibrata. Non adesso, prego in silenzio. Per favore, non adesso. Lilith dovrebbe essere quella che perde il controllo, a questo punto. È scientifico, giusto? No che non lo è. Perché dovrebbe esserlo? Perché ci ho pensato? Niente pensieri sconnessi, Sybil, devi riuscire a tenerli fuori.
La folla è confusa, ma scommetto che trova l'evoluzione degli ultimi eventi un grandissimo spasso.
- Ripara la tua lampada, - mormoro: - potrebbe servirmi, visto che stanotte ho fatto fuori la mia. È una lampada, vero?
Con estrema, estrema lentezza Lilith si sistema i polsini della camicia e qualcosa nel suo intero essere si trasforma. È una metamorfosi impercettibile e terribilmente chiara allo stesso tempo: per la prima volta in vita mia, scrutandola, mi sembra di avere davanti un'estranea.
- Non è una lampada, - mi rimprovera: - è il primo previsore sismico della storia.
Il poliedro scheggiato scatta su sé stesso. Alphy fa un balzo all'indietro, con gli occhi sul punto di uscirgli fuori dalle orbite.
- Lilith, io non... Non ho attivato niente, pensavo fosse rotto!
Due aste di metallo scuro escono dal marchingegno e si infilano nel terreno umido del cortile, mentre una luce artificiale comincia a tremolare tra le facce di vetro infranto. Sta lampeggiando, e senza spiegarmi come sia possibile è in quella in quella spia intermittente che trovo la chiave della mia crisi di panico.
Sta per succedere qualcosa di brutto. Qualcosa di inevitabile.
- Di cosa hai detto che si tratta? - balbetta Alphy.
- Di un previsore sismico.
- Non esistono macchine del genere, Lil. Il brevetto per un'invenzione del genere ti renderebbe una delle persone più ricche del pianeta.
Alphy si fa più vicino, con aria sospettosa. Essere al centro dell'attenzione è un'agonia, per i tipi come lui.
- È impossibile prevedere un terremoto, tantomeno con questo scricciolo. Sarebbe come fare a gara con la Natura e arrivare un passo davanti a lei.
- No che non si può! – strepito, solo per far uscire aria dal corpo e abbassare la pressione che ribolle al suo interno. Un istinto vecchio come il mondo mi divora dalle budella: mi urla di scappare, di correre a perdifiato, perché qualcosa di orribile sta per accadere. È così chiaro che pare scritto nella Terra stessa.
- Ma lei adora giocare a fare Dio, - le sibilo addosso.
Ho paura, ma non so di che cosa. Forse ho paura di tutto, ed è questo che intendeva il signor Skoog quando parlava di "disturbo generalizzato". Tutto ciò che so è che in questo preciso istante Lilith mi sembra il nemico peggiore che abbia mai avuto.
Sto impazzendo.
Sono andata.
Eppure, mia sorella non batte ciglio. La sua espressione si fa calma e concentrata. Mi esamina attentamente, come se il resto del Mondo non esistesse, come se le risate dei nostri coetanei facessero meno rumore di un granello di polvere che cade. Annuisce con pacatezza, poi muove le labbra in un bisbiglio.
- Se non te ne vai subito, prenderanno anche te.
Non è reale. Ho già avuto sintomi del genere una volta o due e dovrei avere imparato a riconoscere quando il mio cervello si spegne. Andrà tutto bene. Scuoto forte la testa per scacciare la follia. Devo avere fiducia che sia tutto qui, dentro la mia mente. Ho solo bisogno di una partita a scacchi con il mio psicologo.
Lilith sposta la sua attenzione sul terreno e dalla serietà della sua espressione pare quasi che riesca a guardarvi attraverso. Chissà quante cose vede, cose che noi altri nemmeno immaginiamo.
- Non è esattamente un sisma, - sospira, - ma il prototipo di previsore funziona.
C'è una vibrazione sorda nel terreno. È così che comincia, mentre mia sorella sorride, dolce come il miele. Ma non è reale, giusto? Non se l'ho percepito solo io.
È a quel punto che una scossa più violenta fa gridare l'intera scuola e pietrifica Alphy in una maschera di puro d'orrore. Quando le sirene dell'Istituto scattano per dare l'allarme, prendo in considerazione l'idea che non sia poi tutto un frutto della mia immaginazione. Ma è è impossibile, mi rifiuto di crederci.
Solo mia sorella non sembra farci troppo caso.
Irreale, mi ripeto.
Fuori i pensieri sconnessi.
Non riesco a capire.
Ma devo avere fiducia.
Lilith si porta le mani sulle orecchie come una bambina in attesa dei fuochi d'artificio. Poi la scuola esplode.
1. Citazione di Albert Einstein;
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