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4. Lo shock termico che raggela ogni cosa

Nei capitoli precedenti: Sybil è una dei sopravvissuti all'Apertura del Sistema. Dopo il ritorno di Zelda, accetta di mettersi a disposizione della Fazione alleata affinché l'ascesa al potere dei Novi venga fronteggiata. Il piano della Resistenza è quello di raggiungere l'Europa, dove la maggior parte dei superstiti si sono rifugiati. Al suo fianco non rimangono che alcuni dei vecchi studenti della Villa e il suo nuovo amico, Wolfgang Lusverg, con cui Sybil condivide giù di quello che riesce a immaginare. A Berlino, nel frattempo, è stata avviata la sperimentazione più ambiziosa del ventunesimo secolo, il cui esito rimane ad oggi sconosciuto...


4. Lo shock termico che raggela ogni cosa

SYBIL - Maggio 2023

Shock termico: si tratta di uno stato di sollecitazione interna ad un materiale causato da forti variazioni termiche. Se queste risultano particolarmente brusche, possono causare in elementi fragili la loro definitiva rottura. Nell'essere umano, si parla di stress – o shock – termico per indicare un rapido abbassamento della temperatura corporea che interrompe le funzioni vitali e distrugge i tessuti organici, conducendo l'individuo alla morte.


Finisco spiaccicata contro il portello anteriore del velivolo. Arrivata a questo punto, segnalare la mia presenza con un leggero colpetto delle nocche non rappresenta altro che un'inutile cortesia, ma per qualche oscura ragione non riesco ancora ad impedirmi di bussare. È più un'abitudine, credo, che un vero e proprio segno di rispetto. Non mi aspetto che qualche membro dell'equipaggio ficchi il naso oltre la cabina di pilotaggio per invitarmi ad entrare, ma con un po' di fortuna vorranno accertarsi dell'origine di tutto questo baccano.

- Mmh, - grugnisco, strizzando gli occhi per combattere la nausea.

Stiamo sorvolando l'Oceano Atlantico, in mezzo a venti che scivolano sulle ali del nostro aereo a centinaia di miglia orarie. Il numero totale è di cinquantasette passeggeri, tutti assegnati ad un Boeing progettato per il trasporto di merci e generi alimentari, dove gli unici posti a sedere sono disposti parallelamente alle pareti ricurve della fusoliera. Hartshorne ha insistito che la nostra traversata si svolgesse con la protezione delle nubi e delle perturbazioni metereologiche, anche a costo di doverci dichiarare dispersi in mezzo alla tempesta, ma di tanto in tanto le sferzate di corrente che scuotono il nostro guscio di alluminio raggiungono una tale intensità da farmi perdere l'equilibrio.

Indietreggio con il palmo della mano premuto sul rigonfiamento di un bernoccolo, e d'un tratto l'ennesima turbolenza che attraversa l'aria mi spedisce al tappeto.

Stiamo per precipitare, mi ripeto. Stiamo decisamente per precipitare. È impossibile convincermi che qualche banale principio dell'aerodinamica vieti a questo ammasso di materiali pesanti di sfracellarsi in mezzo al mare. Non con questo tempo da lupi, non quando ce ne stiamo sospesi a trentamila piedi d'altezza da almeno sei ore.

- Avevi una regola da seguire, - dice qualcuno.

C'è il rumore di uno scatto, appena percettibile sopra il fracasso opprimente dei motori a propulsione. Quando il senso di vuoto allo stomaco si attenua abbastanza da permettermi di scollare le palpebre, la porta della cabina è già stata aperta e richiusa alle spalle di una figura slanciata. Zelda ne è spuntata fuori con un portatile sotto il braccio e una sorta di piccolo ricevitore agganciato agli anelli della cintura.

- Rimanere seduta, - specifica, prima che l'arrivo inaspettato di un altro scossone mi faccia rotolare via come una biglia in discesa. Mi rialzo a fatica, arrampicandomi lungo il supporto teso del suo braccio, poi mi mordo la lingua per trattenere una nota di isteria.

- Avevo male al collo, - mi lamento, - e non riuscivo più a stare ferma.

La Hodgkin lancia un'occhiata esasperata in direzione di Jiwoo, come se stavolta toccasse a lui a rimproverarmi, ma l'agente deve essersi addormentato con il cappello calato sopra gli occhi e le gambe incrociate di fronte a sé. Il capo gli ciondola sul petto ad ogni sobbalzo del sedile e per un po' mi viene il sospetto che stia solo facendo finta di rilassarsi. O magari è davvero sfinito a causa delle interminabili ronde notturne che gli sono state assegnate nelle scorse settimane, chi può dirlo. Zelda mi conduce qualche sedile più avanti, per evitare che la nostra conversazione finisca per privarlo del suo raro momento di riposo.

- Siamo solo a metà del percorso, - insiste.

- Forse dovresti prenderti un sonnifero, Crowford. Ci sarà molta strada da fare dopo l'atterraggio e secondo i piloti il resto del viaggio sarà parecchio movimentato.

C'è un abbaglio di luce fuori dai finestrini e io mi copro subito le orecchie come a ripararle da un rumore improvviso. È un gesto stupido e infantile, che mette allo scoperto tutti gli eventi traumatici che hanno sfigurato la mia psiche dal giorno dell'attentato, eppure Zelda si lascia rabbonire. Mi permette di sedere al suo posto per riprendere fiato, poi comincia a frugare nel vano portabagagli per riporre il computer dentro un ampio borsone di pelle.

- Erano anni che non salivo sulle montagne russe, - sdrammatizza, ma senza un reale accenno di divertimento.

Il percorso luminoso che delimita le uscite di sicurezza si accende e si spegne come in preda a un malfunzionamento e io ficco le mie unghie mangiucchiate nell'imbottitura dei braccioli.

- Ho due domande, - balbetto, assorbendo una manciata di scosse.

- La prima è semplice: stiamo per morire?

Zelda torreggia sopra di me, sfoggiando la più severa delle sue espressioni. Suppongo che si stia sforzando di non scacciarmi in malo modo, perché a lei che di aerei ne prende di continuo, la fobia di una ragazzina di neppure diciassette anni deve suonare assolutamente ridicola.

- Non sarà un temporale ad abbattere questo aereo, - risponde, - te lo assicuro.

Lo dice per tranquillizzarmi, ma lo strato di calma apparente con cui cerca di rivestire ogni parola o azione pare essersi incrinato. C'è uno scambio continuo di messaggi in codice tra la Hodgkin e la squadra di ispettori assegnata alla sua divisione, e capita perfino che alcuni dei suoi agenti più fidati si riparino nel perimetro di uno scompartimento per confabulare su chissà quale informazione in possesso della Polizia. Roba top secret, di quella per cui poi si è costretti ad uccidere.

Una cosa comunque l'ho capita senza che nessuno degli uomini in divisa dovesse prendersi il disturbo di spiegarmela, ed è che il nostro volo non appare sui comuni radar a disposizione dell'aeronautica militare. Chi ne controlla la traiettoria ha anche il compito di mimetizzarne il passaggio sopra le torri di controllo, affinché passi inosservato lungo le mappe aeree dei Sapiens, ma per quante precauzioni siano state adottate dal nuovo Capitano, questa traversata non può contare su alcuna garanzia. Basterebbe abbassare la guardia per la durata di un millisecondo, realizzo; basterebbe che qualcuno degli informatici a servizio della Fazione riuscisse a intercettare le nostre comunicazioni, e un missile a lungo raggio potrebbe finire dritto contro questo aereo.

Ci stiamo gettando a capofitto nell'occhio del ciclone: più ci avviciniamo ai confini dell'Europa e più il pericolo di un attacco da parte dei nostri nemici diventa concreto; dall'insieme dell'eventualità, a quello della possibilità; da quello della possibilità, a quello delle previsioni.

- Passo alla seconda richiesta, - soffio, raschiando il fondo del mio autocontrollo per tenere a bada il senso impellente di catastrofe. Mi obbligo a piegare il busto in avanti come se volessi confidarmi, ma anche senza voler origliare la nostra conversazione i Novi più vicini finirebbero per coglierne qualche spezzone. Ho parecchie cose che preferirei rimanessero private e detesto l'idea che queste persone percepiscano la preoccupazione che logora le mie giornate nella speranza uno sviluppo.

Il modo più crudele di annientare l'animo umano è lasciare che appassisca nell'attesa di qualcosa. Mi pare di averlo letto in un romanzo, di quelli che la mia professoressa di letteratura ci assegnava insieme ai compiti per le vacanze estive, ma il ricordo del testo è confuso come tutti quelli legati alla mia vecchia vita. La memoria c'è ancora, chiusa in qualche cassetto che posso aprire e chiudere a mio piacimento, ma la sensazione è che nulla del mio passato appartenga a ciò che sono ora.

- Abbiamo notizie di lui? – domando, risparmiandole troppi giri di parole. Zelda fa leva sulle ginocchia, piantandosi sul posto per ammortizzare uno sbandamento verso il centro del corridoio. Detesta essere messa alle strette, ma le condizioni della nostra collaborazione sono già state messe in chiaro e l'ex Capitano non è qualcuno che venga meno ai propri impegni con il solo scopo di addolcirmi qualche pillola.

Verità e nient'altro che verità, lei e Jiwoo me l'hanno giurato con la mano sul cuore.

- Nessuna, - ammette gravemente. Prende a fissarmi con quei lineamenti duri, né abbastanza delicati da risultare femminili, né così squadrati da conferirle l'aspetto di un maschiaccio, e per un po' la sua vicinanza mi fa sentire in soggezione. Sette anni di differenza non sono poi molti, ma a volte ho come l'impressione di essere una palla al piede che il corso degli eventi ha costretto Zelda a trascinarsi dietro.

- Nessuna, - ripeto a fior di labbra. Nessuna informazione da parte di Alphy Fleming. Da giorni. Dalla mattina in cui è stato confermato che l'avrebbero sottoposto ad un processo sperimentale e potenzialmente letale. 

Zelda si chiude la cerniera della giacca fino ad arrivare sotto la curva del mento, liberando le punte dei capelli rimaste imprigionate nel colletto.

- So che sei in pensiero per lui, - sospira, - ma sta per accadere qualcosa di grosso. I nostri Servizi Segreti hanno fiutato una pista. Che sia o meno collegata alla Sublimazione del paziente zero, non ci lasceremo cogliere alla sprovvista.

Parlare al plurale le viene fin troppo facile. Siamo entrambe delle ricercate in fuga, ma sembra che a sentirsi mancare la terra da sotto i piedi sia unicamente io. Mi ero raccontata che il ritorno di Zelda avrebbe costituito il primo passo per condurre i sopravvissuti fuori da questo pasticcio, ma la realtà è che il peggio deve ancora arrivare. Ci sono tante cose che vorrei dirle, ma che potrebbe farsene? Ha questioni più importanti da risolvere dei grilli che mi passano per la testa.

- Potrebbe essere morto, - mormoro allora. È l'unico timore a cui concedo di rompere gli argini delle mie corde vocali. La Hodgkin interrompe quello che stava facendo per guardarsi intorno e anche se i suoi colleghi fanno finta di non avermi sentito, lei preferisce accertarsene di persona.

- Crowford.

Dice solo il mio nome, come un'ammonizione pronunciata da una sorella maggiore.

- Potrebbero averlo scoperto, - proseguo io, ma non mi fermo neppure quando mi si para davanti al muso per tapparmi la bocca con l'indice alzato.

- Sybil, - scandisce e finalmente ubbidisco. Dall'altro lato della cabina di pilotaggio, i comandanti del velivolo sono impegnati in una discussione con chissà quale interlocutore. Le vibrazioni che si propagano attraverso lo schienale del sedile mi penetrano fin dentro la cassa di risonanza delle costole, come quando la musica echeggia ad un volume troppo alto e i bassi suonano le ossa quasi fossero dei vecchi strumenti.

Sussurro così piano che un Sapiens probabilmente non riuscirebbe a sentirmi.

- Non credi davvero che l'abbiano sottoposto a quell'esperimento, - dico, ma ho la bocca secca e impastata perché mi sono dimenticata di bere durante tutto il volo; e perché il mio corpo sta cercando di autosabotarsi, e perché dentro ho un'angoscia tale da inaridire ogni cosa.

- Mia sorella non l'avrebbe mai permesso.

Su qualcun altro magari sì, ma non su Alphy. Non sulla persona che l'accompagnava a pattinaggio artistico tutti i martedì e i giovedì. Non sull'amico che le teneva sempre la mano all'uscita dalle elementari e che faceva il tifo per lei ai concorsi di matematica indetti dalla scuola.

Il fratello che Lilith avrebbe voluto a posto mio, penso. Alphy.

Non posso accettare la possibilità che il loro legame costituisse qualcosa di così vano da venire sacrificato per una sporca scommessa. Perché questo vorrebbe dire che mia sorella è finita oltre qualunque limite di redenzione. Che è uguale a Nicholas, se non addirittura peggiore di lui.

Zelda mi chiude le dita intorno ad una spalla, facendo da scudo per evitare che la mia reazione spaventi il resto dei passeggeri. Solo adesso, nella penombra bluastra della notte, mi rendo conto di quanto debba aver lavorato in preparazione della nostra nuova missione: ha una brutta cera e la sua posa è terribilmente stanca, ma non c'è stata una sola occasione in cui l'abbia udita protestare o esprimere a gesti e parole un sentimento di sconforto.

Non ha paura di volare, certo, ma mi chiedo se abbia mai avuto paura di morire. Di rimanere vittima di qualche imboscata, in quanto bersaglio più in vista tra quelli presi di mira dalla Fazione.

- C'è una cosa su cui il Censore Hartshorne ha ragione, - insiste.

- Non possiamo permetterci di sottovalutare gli scopi dei nostri nemici solo perché è troppo doloroso immaginarli mentre compiono delle azioni criminali.

Sento la sua presa allentarsi, ma a fare male è l'onestà brutale con cui ammette: - Sono in vantaggio, Crowford. Hanno più soldati di noi, sia tra i Novi che tra i Sapiens impiegati tra le file della USD. Hanno più denaro e più mezzi di comunicazione e maggiori raggi d'attacco. E soprattutto dispongono di qualcosa che la nostra Fazione non ha saputo tenersi stretto dal giorno dell'Apertura del Sistema.

Vuole che mi riscuota, capisco. Che sia io ad arrivare alla soluzione del suo enigma, per accertarsi che abbia cominciato ad afferrare quali regole governano questo gioco di potere tra le Specie. Penso a quello che è successo alla Villa, al numero di studenti che sono stati portati via e di cui non si è saputo più nulla, e di colpo mi viene un'illuminazione.

- I ragazzi, - indovino. Zelda sbatte le ciglia una volta sola, come per annuire.

- L'ultima generazione di Homini Novi. Ci sono migliaia e migliaia di giovani talenti tra le schiere del Sistema e il loro ruolo è quello di sfornare strategie di ogni sorta per rafforzare il controllo del Nuovo Ordine. Non abbiamo a che fare solo con Nicholas e con tua sorella, Sybil. Secondo le nostre fonti, la Fazione ha costruito un tale esercito di giovani scienziati che la nostra civiltà potrebbe venirne riformata nel giro di un paio d'anni.

Il boccone che deve mandare giù è amaro e pare quasi che deglutirlo serva un enorme atto di volontà.

- Non è chiaro se tutti loro abbiano sposato gli ideali della Fazione di proprio accordo. È verosimile che quelli prelevati dai nostri Istituti siano stati minacciati o obbligati a prestare servizio con la violenza. Quello che posso dirti è che l'opinione pubblica riserverà ai ragazzi un trattamento di favore. Se i Novi scegliessero di piazzarli sotto i riflettori, faranno apparire la nostra opposizione in una luce completamente diversa.

Non sono sicura di aver compreso in pieno quello che sta cercando di comunicare, ma c'è un elemento su cui Zelda sembra non nutrire il minimo dubbio: i nostri nemici sono pronti a qualunque cosa pur di diventare la Specie dominante. Non sarà l'eventualità di far fuori un adolescente a fermare la mano di queste persone, perché fin dal principio era previsto che dei ragazzini fossero coinvolti nell'Apertura del Sistema. Il fine giustifica i mezzi, esalo. Tutto ciò che conta è il risultato finale.

Mi sollevo in uno scatto, sgattaiolando sotto il gomito di Zelda per mettere la giusta distanza tra di noi. Non ce l'ho con lei, ma a tratti non so che farmene delle informazioni che è costretta a rivelarmi. Mi sento impotente, come una pedina sacrificale il cui unico ruolo è quello di essere spostata sul reticolo di una battaglia navale, giusto per guadagnare un po' di tempo e ritardare la sconfitta.

- Perché mi stai dicendo tutto questo? – sibilo a denti stretti, - Che importanza ha?

Volevo solo sapere se Alphy stesse bene, ma non mi ero resa conto di quanto le mie speranze suonassero prive di fondamento. Non starà bene. Dal modo in cui l'azzurro delle iridi di Zelda scompare dietro i suoi occhi chiusi, suppongo che la stessa cosa varrà per tutti noi.

- Ce l'ha eccome. Perché voglio che tu sia pronta. Che non ti riducano in pezzi. Siamo sull'orlo di una guerra di cui non si sono ancora decisi gli schieramenti, Crowford, e abbiamo bisogno di qualunque risorsa a nostra disposizione se vogliamo avere una chance di portare a casa la vittoria.

- E io sono una delle poche che vi rimangono? – la pungolo. Non perché voglia sfidarla, né per una mera protesta nei confronti dei Novi. Ciò che mi serve è una ragione per continuare a combattere quando tutte le persone che avrei dovuto proteggere mi sono state portate via. Mia madre, Sharazad, e adesso perfino Alphy.

Zelda scuote la testa.

- No, - dice.

- Tu sei l'unica risorsa che non hanno loro.

***

Mi incammino a passo incerto, senza mai mollare la presa sui supporti che mi capitano a tiro. Maria si offre di sorreggermi durante il tratto di percorso che conduce verso il mio posto a sedere, ma mi limito a rivolgerle un gesto di diniego per non essere di disturbo. Non è là che sto andando e comunque mi dispiacerebbe farla scomodare. Contro ogni previsione, è una delle poche persone ancora sveglie. Di solito, Maria sostiene che gli aerei la facciano sentire perfettamente al sicuro, con il cuore più leggero tanto più si trova in alto nell'atmosfera rarefatta; per lei che ne progetta le componenti, qualunque mezzo capace di librarsi verso il cielo deve rappresentare una sorta di spazio propriocettivo.

Rimane a guardarmi con un misto di stupore e disappunto, come se non riuscisse a trovare il fine di tanta fatica; poi però si arrende all'ennesima delle mie stranezze, tornando a vagare tra le nuvole con la punta del naso premuta sul vetro di un oblò. Se i miei piani per la serata includono di lottare ferocemente contro una successione di turbolenze, non sarà certo lei a prendersi la briga di fermarmi.

Proseguo a tentoni, seguendo i neon incastonati sulle strisce illuminate del corridoio e ogni volta che mi sbilancio verso il lato esterno del Boeing finisco per spalancare qualche occhio sofferente e smanioso di tornare a dormire.

- Scusate, - mormoro, - scusatemi tanto, - ricevendo solo mugugni di disapprovazione.

Lusverg non è seduto con il resto della sua famiglia, nelle poltrone che la nostra scorta ci riservato per garantire ai civili un minimo di comfort. Se ne sta accoccolato tra due reti di sicurezza disposte sopra cumuli di container, e tiene le piante degli stivali puntate contro una cassa dal contenuto imprecisato. Per impedirsi di scivolare, indovino.

- Hai intenzione di rimanere qui tutto il viaggio? – domando, piegando le gambe per gattonare fino al suo nascondiglio. In grembo ha l'ennesimo prototipo di un dispositivo meccanico, ma non sta facendo altro che stringerne le brugole con uno strumento da cui escono cacciaviti di diverse dimensioni. Il rumore dei motori è assordante, eppure gli organi di senso dei Novi si sono evoluti per poter funzionare in condizioni ben peggiori di quella in cui ci troviamo. Lusverg deve avermi udito all'istante, ma a meno che non ritenga indispensabile di dover sprecare il fiato, semplicemente non mi degnerà di una risposta.

- Mi hanno dato una delle vostre misteriose pasticche, - continuo, andando alla disperata ricerca di sistemazione. Sentirmi comoda, ma al contempo riparata da occhi indiscreti: non mi sembra di star chiedendo la Luna, giusto?

Premo la schiena contro i ganci che fissano la montagna di rifornimenti alle travi del pavimento, ma basta l'ennesimo sobbalzo perché le nostre spalle finiscano per collidere. Wolfgang viene elettrizzato da un fremito, poi si contrae su sé stesso come se gli avessi appena tirato una bastonata. Rimane nella stessa posizione, ma fa di tutto per ridurre al minimo il nostro contatto.

- Quelle per il mal d'aereo, - specifico e mi accorgo di suonare infastidita.

- Direi che hanno funzionato, o ti avrei appena vomitato sulla felpa.

Lo vedo sollevare lo sguardo dal suo marchingegno mezzo smontato, giusto per verificare che non sia seria come il mio tono di voce pare suggerire. Temo che le battute gli vengano difficili da interpretare e che in un primo momento si affidi sempre al significato letterale delle parole.

- Cosa dovrebbe esserci di misterioso in un antistaminico di quinta generazione1? – borbotta.

Io soffoco una risata sconsolata nelle maniche della giacca, sbirciandolo di sbieco.

- Facevo per dire. Gesù, sei il più antipatico tra gli antipatici.

Lusverg rimane con le sopracciglia aggrottate e il capo abbassato, senza sapere che farsene delle dita, e io capisco che nonostante tutto se l'è presa. Beh, io che cosa ci posso fare? A questo tipo serve un corso accelerato di ironia.

Quando riprende a trafficare con i suoi utensili macchiati d'olio, appare perfino più cupo e scostante dei suoi standard; fenomeno che ha dell'incredibile, se proprio devo essere sincera.

Lo vedo lavorare con un'urgenza che finisce inevitabilmente per inciderne la precisione: un minuscolo componente d'acciaio gli sfugge dalle mani, perdendosi verso la coda inclinata dell'aereo, mentre Wolfgang si lascia sfuggire un'imprecazione bassa voce. In passato la sua lingua di sillabe aspre e lunghissime parole mi graffiava le orecchie come una brutta stonatura. A forza di starle ad ascoltare, però, le sue esclamazioni in tedesco hanno cominciato a stimolare il mio interesse. Nascondono una musicalità intensa, stranamente piacevole.

- Ti ha mandato la Hodgkin? – sibila in inglese, come se gli fosse bastato premere un interruttore.

Non riesco a capacitarmene, ma la sua accusa mi destabilizza più di quanto non faccia una serie di oscillazioni costanti ad alta quota. Studio dal basso verso l'alto le pieghe che gli incidono la fronte per effetto della rabbia, ma per quanto mi sforzi di interpretare il suo stato d'animo, non trovo alcuna spiegazione a quello che sta insinuando.

- Perché mai avrebbe dovuto? – indago. Non c'è niente di sano nella diffidenza con cui delle volte tende a chiudersi in sé stesso, ma non so da che pulpito potrei permettermi di fargli la predica. Mi raddrizzo per riallacciare le stringhe delle scarpe e lasciargli il tempo di rispondere, ma Wolfgang è sprofondato in uno dei suoi spropositati silenzi. C'è un accenno biondiccio di barba sotto l'angolo della sua mandibola, come se avesse dimenticato di radersi, e questo aspetto trasandato lo fa apparire ancora più grande. Lo vedo riporre gelosamente i suoi strumenti di lavoro e capisco che prova un certo imbarazzo nel mettersi all'opera davanti alle persone.

Mi sento come se l'avessi colto in flagrante, colpevole di qualche delitto imperdonabile.

Ma cosa potrebbe pretendere Zelda da uno come lui? Deve essersi rassegnata all'idea di parlargli di Franz, almeno fino a quando non ci saranno questioni più serie di cui occuparsi. Avere a che fare con l'ennesimo adolescente dal cuore spezzato non rientra nella lista dei suoi impegni, di questo ne sono piuttosto convinta. Eppure, l'unico soldato a cui Lusverg rivolga la benché minima parola è Jiwoo: tutti gli altri, Wolfgang li tiene alla larga come se si aspettasse di venirne aggredito da un momento all'altro. Che sia uno di quegli spiriti ribelli che ce l'hanno a morte con le forze dell'ordine?

- Uffa, - strepito, dondolandomi sul posto.

- Non è così che funziona, sai? Non puoi rifiutarti di rispondere a qualunque domanda non ti vada a genio.

Dopotutto, io con lui mi sono confidata. Quando gli faccio presente che è l'unico a conoscere per filo e per segno la natura del mio rapporto con Reichenbach, Wolfgang estrae una barretta energetica dalla borsa e me ne consegna metà in segno di pace. Per tenermi la bocca occupata, immagino. Stacco un morso di quella robaccia insapore e per poco non mi viene da sputargliela dritta in faccia. Ha una consistenza molliccia, che rimane appicciata sui denti, ed è così dolce da farmi venire la carie.

- Proviamo con qualcosa di meno personale, - tossisco, pulendomi i polpastrelli sulla superficie dei pantaloni. Lui mastica senza convinzione, ma almeno si decide ad ascoltarmi.

Facciamo progressi.

- Credi che possa funzionare? – azzardo.

Le nostre teste sono molto vicine e non riesco a impedirmi di sbirciare oltre il bordo dei container che ci riparano dal resto dei passeggeri. Girano tante voci su di me, tra le più assurde e ingiustificate, ma neppure Lusverg mi è sembrato un individuo così popolare tra i suoi simili. I Novi hanno iniziato a fare pettegolezzi dalla prima volta che ci hanno visti sbucare dallo stesso angolo di foresta.

- Il processo di trasformazione da un Homo Sapiens a un Homo Novus, - gli spiego.

- Credi che il vostro progresso scientifico abbia davvero raggiunto un livello tale da renderlo possibile?

Wolfgang soppesa la causa della mia incertezza, trangugiando un sorso d'acqua dalla sua borraccia.

- Perché lo domandi a me? Quella tua amica, Tonia Peirce, è specializzata in biologia molecolare. Chiunque altro dei tuoi compagni saprebbe darti la spiegazione che cerchi, molto meglio di quanto non ci riesca io.

- Ma voglio sapere che cosa ne pensi tu, - preciso, e so già che finirebbe per controbattere se gliene dessi l'occasione. Lo precedo giusto di secondo, lasciando che a convincerlo sia la trasparenza con cui sono pronta ad affrontare il discorso.

- Perché non sei come tutti gli altri, - aggiungo subito.

Qualcosa nella mia osservazione gli fa sgranare la rima degli occhi per lo sconcerto. Mi chiedo se il suo carattere sia sempre stato questo, impenetrabile e pessimista, o se Kopplen abbia inflitto una ferita così profonda nella sua personalità che il solo pensiero di lasciarla scoperta abbia trasformato Lusverg in un disadattato.

- È il modo in cui ti guardano gli adulti, - ingoio, scampando all'inquisizione del suo sguardo.

- Quasi ti volessero mettere un collare intorno al collo. È lo stesso modo in cui guardavano Nicholas Reichenbach.

Fa una smorfia disgustata, ma tutto sommato mi perdona.

- Non sai di che cosa parli, - taglia corto.

- Non mi hanno mai riservato lo stesso trattamento che spettava a lui. Reichenbach era il loro fiore all'occhiello, Crowford. Non c'è stato nessuno che i Novi abbiano ricoperto di soldi e gloria più di lui.

- E tu allora che cosa sei?

- Voglio dire, - lo incalzo, - cos'è che fai per la Fazione?

Il muso dell'aereo si inclina lievemente verso l'alto e i motori prendono a rombare con più potenza. Stiamo continuando a salire, forse per scampare alle intemperie, forse per rendere le nostre tracce ancora più difficili da recuperare nel passaggio da un emisfero all'altro. Non me ne intendo di aerodinamica e di principi d'inerzia, ma l'aumento di energia cinetica mi sta spappolando la gabbia toracica fino a sgonfiarmi i polmoni.

Lusverg mantiene tutti i muscoli contratti per opporsi all'aumento di velocità, ma per il resto rimane vigile.

- Niente, - dice.

- Non lavoro più per nessuno di loro. Ho smesso, ormai.

- La mia amica Shad diceva che eri un ingegnere militare. Che disegnavi progetti destinati all'industria bellica, o qualcosa del genere.

- Sharazad.

Wolfgang ne mormora il nome tra sé e sé, rigirandolo con una delicatezza che non si addice alla sua stazza, né al suo stile da rockstar. È come se l'immagine di una vecchia conoscenza avesse preso ad aleggiare sotto il suono di quelle otto lettere, riportandolo indietro ad un tempo completamente diverso. La conclusione a cui giungo, per quanto dolorosa, non è che una diretta conseguenza del suo cambio d'umore.

- La conoscevi, - indovino, e lui non prova nemmeno a negarlo.

- Abbiamo parlato, una volta. Mi ha contattato lo scorso gennaio, dopo l'esposizione di Chicago a cui entrambi abbiamo partecipato. C'eri anche tu, - ammicca, - solo che ancora non sapevi chi fossi.

Non ricordo di averlo notato, quella volta, ma del resto sono successi così tanti guai in Illinois che non c'è stato davvero modo di razionalizzarli. Non credo di aver razionalizzato niente di quello che è successo negli scorsi sei mesi, se proprio devo essere onesta. È stato tutto un susseguirsi di eventi, come durante una reazione di innesco e accensione ed esplosione. Ci sono giorni in cui pare che siano passati anni interi, e delle volte in cui ogni cosa si restringe nella dimensione dei minuti. Devo essermi perduta all'interno di un pensiero troppo sconnesso, di quelli che mi hanno affollato la mente a partire dallo scorso semestre, o non sarei finita col perdere in maniera tanto irreparabile il contatto con la realtà.

- Tramite il suo computer, intendi. Forse te lo sei dimenticato, ma si trattava di me. Stavo usando il suo profilo per avere informazioni sugli affari di Kopplen.

La pioggia che sferzava sui finestrini del velivolo pare essersi fermata. Siamo troppo in alto perfino per il temporale, adesso, e nonostante l'altitudine mi sento come quando mi rifugiavo in cima alle scale di casa mia, a metà tra due piani diversi. Appesa in un luogo in cui posso mentire a me stessa e ripetermi che troverò una soluzione.

- C'è stata un'altra occasione, - mormora Wolfgang, stavolta più piano, come se recitasse una preghiera.

- Prima di quella che ricordi, in cui Sharazad mi ha chiesto di poterlo avere per sé.

- Franz, - sospira e io sento una puntura acuta negli occhi. È come se della polvere ci fosse finita dentro all'improvviso. Mi ammutolisco, facendo attenzione a non battere ciglio. Non sono pronta a scoprire quello che potrebbe sfuggire dai miei occhi se li chiudessi di nuovo.

- Mi ha chiesto di fare un passo indietro, affinché lei potesse azzardare un tentativo.

Lo vedo sorridere. È un accadimento raro, per Wolfgang Lusverg. Preferirei che fosse una smorfia amara di derisione. Vorrei che mi desse la possibilità di sgridarlo, per scaricare anche solo una goccia della pressione che mi schiaccia verso il centro della Terra quando penso alla mia amica. E invece il suo sorriso è di una dolcezza di cui non credevo fosse capace. Che ricorda quella di Shad, perfino. Pulita. Buona. Quella di una brava persona.

- Non sapevi che le piacesse? – domanda e io mi volto dalla parte opposta per mascherare la mia espressione.

- Lo sapevo, - deglutisco.

- Solo che Shad non era il tipo da mettere i propri desideri davanti a quelli degli altri.

Lui fa spallucce. Un gesto pacato.

- Che c'è di male? Tutti sognano qualcosa di bello per sé.

Qualcosa di bello, esalo, . Shad se lo sarebbe meritato più di chiunque altro, lei che sognava una storia d'amore da mille e una notte e che credeva che le anime gemelle prima o poi si sarebbero incontrate, perché legate da un filo rosso intorno al dito. Mi concedo di tornare da lei, con l'aiuto del buio. Ai ricordi della sua figura composta, che applicava il kajal2davanti allo specchio della toeletta, circondata da decine di contenitori di cristallo e fermagli e candele profumate; alla metà umana del suo viso, deliziata e paziente, che si illuminava ogni volta che la guardavo lavorare ai suoi progetti e la riempivo di domande a cui non vedeva l'ora di rispondere.

Sharazad avrebbe dovuto disporre di tutto il tempo del Mondo per portarli a termine. Avrebbe dovuto ottenere tutto quello che sognava, più di chiunque altro; una pietà che nessuno però le ha dimostrato.

- Che cosa le hai risposto? – soffio, spalancando di nuovo gli occhi sui container, ed è come strapparsi un sacco nero dalla testa e tornare a respirare ossigeno fresco. Ogni volta che provo a rivivere quello che è successo è come se mi immergessi in acque da cui non sono sicura di avere la forza per risalire. Ad ogni tentatvo mi sento più vicina ad annegare e so che non è questo che la mia amica avrebbe voluto da me, ma senza di lei non ricordo più come si fa a nuotare. È come se la mia corda di sicurezza fosse stata tranciata in due.

- Che le auguravo ogni bene, - risponde Wolfgang.

- Solo questo.

Mi scappa un suono strozzato. Potrebbe passare per una risata, ma anche come un singhiozzo. Lo metto a tacere strofinandomi la faccia sulla spalla, eppure le mie guance sono asciutte.

- È morta, - dico alla fine.

- L'hanno ammazzata davanti ai miei occhi.

L'augurio di Wolfgang nei suoi confronti non è bastato. Cosa avrebbe potuto, del resto, contro lo scoppio di decine di proiettili? Riesco ancora a visualizzare i dettagli del fucile che l'ha martoriata di colpi, con la sua lunga canna scura e stretta e il puntatore di precisione; la forma zigrinata dei fori impressi nella sua carne, come tante macchie dai bordi sbavati. Lusverg si ammutolisce e io preferivo starlo ad ascoltare. Gli colpisco gli anfibi neri con la punta dei miei, tirando su con il naso.

- Quindi, - riprendo dopo una pausa, giocherellando con una fascia contenitiva che dondola oltre il bordo di una rete.

- È quello che fai sì o no? Progetti armi per la Fazione, in modo che i Novi possano servirsene per chissà cosa?

Di tutti gli studenti che ho incontrato, lui è il primo che conosco a ricoprire un ruolo del genere. Ho conosciuto giovani chimici, specialisti di macroeconomia, astronomi e perfino geologi, ma da quello che mi risulta, nessuno dei suoi coetanei è immischiato con l'esercito. A seconda dei punti di vista, il suo potrebbe sembrare un lavoro come un altro, oppure un lavoro decisamente sporco.

Wolfgang si tira su le maniche, accaldato tutto d'un tratto e all'ennesimo ritaglio di pelle che si scopre un nuovo tatuaggio ne spunta fuori, poco sotto la piega del gomito. La scritta è in stampatello, leggermente sbiadita dopo essere guarita.

Omnia praeclara rara3.

Wolfgang è così, carta bianca per un racconto di cui solo lui conosce il significato. Ne appunta tutte le battute su di sé, come se volesse crederci abbastanza da cucirsele addosso con un ago imbevuto d'inchiostro.

- Non più, - assicura e pare che debba giustificarsi per qualunque scelta sbagliata abbia commesso in passato.

- Sono cinque mesi che ho smesso di vendere i miei progetti alla Polizia.

Dallo scorso dicembre, realizzo, spiazzata dall'assurdità di quella coincidenza. Proprio nel periodo in cui mia sorella è stata fatta sparire, i rapporti professionali tra Lusverg e la sua Fazione d'appartenenza si sono misteriosamente interrotti. 

- Perché? – lo pungolo, gattonando verso il lato opposto del nostro nascondiglio. Se non lo squadrassi dritto in volto, potrei lasciarmi sfuggire qualcosa d'importante. Gli scossoni sembrano essersi arrestati e i miei movimenti si sono fatti abbastanza precisi da non rischiare di inciampare sulle sue lunghe gambe da atleta. Wolfgang le ritrae lo stesso, stringendosele al petto. È troppo spilungone per lasciarsi minacciare dalle mie iniziative, eppure lo vedo impallidire fino a quando il contrasto con le tonalità scure dei suoi vestiti non diventa ancora più accentuato.

- Che cosa ti è successo?

Se il mio tono suona inquisitorio, è perché non posso farne a meno: Lusverg si comporta sempre come se l'avessi sorpreso nello svolgimento di qualche atto osceno; non si aspettava che avessi la perspicacia per arrivare ad una conclusione tanto precisa, e adesso non sa come tirarsi fuori da questo interrogatorio. Perché ho ragione, non è vero? Deve essere rimasto coinvolto in qualcosa di pericoloso, che l'ha segnato come uno dei suoi marchi neri. Del resto, una storia d'amore finita male non può essere l'unica causa dell'isolamento forzato a cui Wolfgang si costringe, rimanendo alla larga da chiunque non sia sua sorella Karina, sempre in disparte e con il muso lungo.
Quello che non mi spiego è il motivo per cui la Polizia della Fazione continui a girargli intorno, proponendogli questa o quella riparazione, contendendosi il suo tempo e ricevendo in cambio nient'altro che un muro di ostilità. Forse l'aver coperto Franz non costituisce il suo unico segreto.

- Lusverg, - insisto, ma lui trova il giusto modo per cambiare discorso.

- Può funzionare, - dice d'un fiato, sperando che interrompa la mia sfilza di domande per sapere che cosa intende. Banale. Mi limito a piegare il capo da un lato, più scocciata che incuriosita.

Sul serio, non vorrà cavarsela con il minimo sforzo?

Wolfgang si accerta di essere ancora fuori dalla portata dei suoi genitori, poi riduce la distanza tra di noi affinché legga le sue labbra sopra il rombo delle ventole e lo scricchiolio dei nostri bagagli.

- La modificazione del DNA di un Sapiens, per favorirne il processo evolutivo. Se avessero davvero decifrato le informazioni che ci rendono diversi gli uni dagli altri, potrebbero riuscirci.

- Reichenbach ha le carte in regola per potercela fare, - dice alla fine.

- Ma certo, - cantileno.

- È così intelligente.

Non ho mai avuto la percezione che Lusverg mi guardasse con sufficienza, o sentisse di poter sminuire le mie capacità, ma è come se in questo istante si fosse accorto di quanto Nicholas abbia piantato in me le sue radici. Radici ricoperte di spine contaminate, come quelle di una pianta parassita.

- Non è niente del genere, - dice.

- Il motivo per cui sono convinto che quel bastardo l'avrà vinta è un altro. Reichenbach è un essere malato, Crowford. Nel cervello. Tu non l'hai conosciuto quando l'ho conosciuto io e so che tipo di abbaglio si possa prendere in presenza di persone come lui.

Ci sono cascato anche io, pare volermi dire. È per questo che ho permesso al Diavolo di entrare in casa mia e maledirmi l'esistenza.

- Si è sempre spacciato per un eroe agli occhi della Fazione, ma la verità è che Nicholas costituisce il nemico naturale della tua Specie. Non si è mai fermato davanti a niente e non lo farà neppure stavolta, a costo di dover condurre esperimenti mortali su delle persone innocenti.

Preferirei togliere il disturbo e tornarmene di nuovo al mio posto, ma una gamba si è addormentata sotto il peso del mio corpo e il piede mi formicola come se non mi appartenesse. Sono incastrata qui, a fare i conti con questo sentimento ripugnante che mi riempie completamente, senza lasciare spazio al resto.

- È disumano, - mi sento mormorare.

Wolfgang si fa di nuovo distante, come a volersi mimetizzare.

- Il punto è proprio questo, - conclude.

- Chi non è umano può fare cose senza precedenti. Se c'è qualcuno che può mettere in atto la Sublimazione, Crowford, si tratta di lui.

***

Accade tutto in fretta, con fare sbrigativo. Non appena l'aereo sfiora la pista d'atterraggio, frenando in uno stridio assordante del carrello, i soldati assegnati all'unità di Zelda schizzano in piedi per organizzare la fase successiva del nostro trasferimento. Ci ordinano di slacciare le cinture, raccattare le nostre cose nel minor dispendio di minuti e disporci in fila indiana affinché la pancia del velivolo si spalanchi per formare una rampa di discesa.

C'è qualche altro Sapiens a bordo, incaricato di seguire le direttive dell'Agente Jiwoo, ma la maggior parte degli uomini e delle donne muniti di pistole sono sotto il controllo dell'ex-Capitano. Li vedo bisbigliarsi frasi brevi e apparentemente senza senso, in un passaparola di linguaggi in codice e occhiate furtive scoccate nella mia direzione. Quando i passeggeri del cargo cominciano a defluire verso l'esterno, uno di loro si offre perfino di accompagnarmi, ma io rifiuto con un cauto ringraziamento. Mi unisco al resto dei ragazzi, accettando la stretta rassicurante della mano di Armand, e non appena le suole delle mie scarpe toccano la superficie ruvida dell'asfalto i miei organi di senso vengono come scombussolati. Mi sento ondeggiare, quasi la pista d'atterraggio rischiasse di trasformarsi in un rullo scorrevole pronto a slittare. Non proprio in volo, ma neppure sulla terra ferma.

- Va tutto bene? – chiede Armand, strizzandomi debolmente il palmo della mano. Veniamo raggiunti dalla sua famiglia, mentre il Boeing viene svuotato da qualunque cosa e persona siano state ospitate al suo interno durante l'orribile traversata. Vorrei confidarmi con i miei amici e alleggerirmi il petto da tutto questo peso, ma la presenza dei loro genitori mi fa mordere la lingua in mezzo ai denti. Annuisco con lo stesso sorriso stereotipato che ho imparato a sfoggiare quando sono in mezzo alla folla, anche se Armand e Maria hanno imparato a conoscermi meglio di chiunque altro qui intorno. Non posso certo dargliela a bere.

- Non c'è niente che desideri più di un vero letto, - sospira lui, massaggiandosi la nuca per alleviare il torcicollo. Si è fatto emaciato, con le guance scavate sotto le ossa sporgenti degli zigomi, eppure la sua eleganza è rimasta quella di sempre. Parla e si muove come se ci trovassimo nella nostra vecchia sala da tè invece che in un aeroporto clandestino, circondati da guardie del corpo pronte a fare fuoco al primo segnale di pericolo.

- Un espresso, - s'intromette Maria, dandomi un pugnetto sul fianco, - e un bel letto pulito. Mi ero dimenticata di quanto fossero lente quelle quattro turboventole.

Qua e là si alzano mormorii afflitti di assenso. Abbiamo impiegato dodici ore per raggiungere la nostra destinazione, eppure non riesco ancora a figurarmi dove siamo andati a finire.

- Ci troviamo in Repubblica Cieca? – sbadiglio, stirando braccia e gambe per sentirle scrocchiare. È notte fonda, e a causa del fuso orario non vediamo la luce del sole da più di mezza giornata, ma la temperatura dell'aria è la stessa di quella che abbiamo lasciato negli Stati Uniti.

Armand fa scorrere lo sguardo sui contorni del paesaggio, cercando di leggere attraverso le diverse tonalità di nero che indicano la presenza di costruzioni all'orizzonte, ma per quanto la sua vista sia affinata non c'è nulla di particolarmente riconoscibile a tradire le coordinate di questo rifugio. Deve trattarsi di una pista d'atterraggio privata, appartenente a qualche ricco alleato della Fazione, perché il nostro velivolo è l'unico in vista oltre la fila di camioncini blindati parcheggiati al di là delle recinzioni.

- Ne dubito, - bisbiglia, e Maria si dice d'accordo con lui.

- Di sicuro non siamo in Italia. È probabile che la Polizia voglia informare delle nostre coordinate il minor numero di persone, ma a giudicare dalla distanza che abbiamo percorso punterei sul sud della Germania.

- Monaco? – propongo, e loro abbozzano una smorfia come a dire: "è una possibilità". Quando ne abbiamo discusso, Zelda non era ancora a conoscenza del luogo esatto in cui i sopravvissuti sarebbero stati fatti riunire, ma quella rappresentava una delle opzioni disponibili. Armand mette i suoi ricci corvini al riparo della foschia, infilandoli sotto un baschetto di lana, poi passa in rassegna i soldati incaricati di accogliere il nostro arrivo.

- Scommetto che neppure il pilota sapeva esattamente dove sarebbe atterrato.

- La traiettoria sarà stata controllata da remoto, - prosegue, - almeno fino al momento della discesa. C'è da supporre che le stesse precauzioni verranno utilizzate con gli autisti di quegli automezzi.

Guidare senza avere la minima idea di dove si è diretti? Mordicchio le cuticole intorno all'indice della mano destra, incerta su come reagire alla notizia: se le indicazioni stradali venissero fornite in tempo reale, una talpa non avrebbe modo di ricostruire una mappa del territorio e consegnarla nelle mani dei nostri nemici, eppure l'idea di essere praticamente dispersi in mezzo a un continente straniero mi riempie di agitazione.

- Ci sono così tanti soldati, - sussurro. I sopravvissuti riuniti nei nostri accampamenti sono stati trasportati a gruppi di circa quaranta persone, ma questo luogo brulica di uomini armati fino ai denti.

- Sì, - sbadiglia Maria, - c'è perfino il nuovo Capitano della Polizia. Guardate là.

Seguiamo il puntatore invisibile offerto dal suo sguardo, allungando il collo oltre l'andirivieni di militari. Hartshorne se ne dritto in mezza ad uno spiazzo, con il cappotto che gli svolazza tra le gambe a causa degli ultimi colpi di vento generati dalle eliche e i capelli ramati a renderlo inconfondibile. Lo sorprendiamo in un singolare momento d'intimità, in cui si concede di sfiorare le dita di Zelda prima di intrecciarle alle sue con la complicità della notte.

- Deve essere successo qualcosa mentre eravamo in volo, - realizzo e non so quale intuizione mi consenta di arrivarci prima di tutti gli altri. I miei amici si appoggiano l'uno all'altro, in cerca di calore o supporto o rassicurazioni che nessuno di noi è in grado di fornire. Il solo sentore di cattive notizie, del resto, ci ammutolisce seduta stante.

C'è un breve attimo di assestamento in cui la Polizia controlla che tutti i nomi sulla lista dei sopravvissuti siano effettivamente giunti a destinazione, ma dura giusto il tempo di crearci false aspettative. L'ispettore Luhanga, il braccio destro di Zelda, ordina ai presenti di raccogliersi fuori dalla pista d'atterraggio, sotto i lampioni di un grosso edificio. Non è ancora arrivato il momento di separarci in base alla missione a cui verremo assegnati, eppure la rapidità con cui veniamo divisi in sottogruppi non lascia presagire nulla di buono. Io vengo affidata all'agente Jiwoo, più imbronciato e tagliente del suo solito, come se il sonnellino che gli avevano promesso non fosse durato a sufficienza. Accenna a trascinarmi in una direzione opposta a quella dei miei compagni, ma non appena Armand se ne accorge, lui e Maria mi si parano davanti quasi fossero disposti a fare a pugni.

- Vi prego, - sospira Jiwoo, - sono già parecchio stressato.

Sventola un braccio nella speranza che i genitori di Armand li richiamino all'ordine, ma sono io a convincerli a proseguire.

- Andate, - annuisco: - Io vi raggiungo più tardi.

- Ma siamo appena arrivati, - insiste Maria, - cosa mai potrebbero volere da te?

Già, sospiro, che cosa? Ma la risposta è là, nell'espressione grave di Hartshorne; nelle squadriglie di uomini che ha sguinzagliato per proteggere questo carico di passeggeri, come se a bordo ci fosse stata la merce più preziosa in possesso dei suoi alleati.

- Non lo so, - ammetto, - ma di qualunque cosa si tratti, credo c'entri mia sorella.

Devo averli convinti, perché smettono subito di opporsi. Armand cerca qualche genere di conferma sul volto dell'agente, ma quando vuole Jiwoo sa essere incredibilmente professionale; diventerebbe un ottimo giocatore di poker, se volesse.

- Fate tutto ciò che vi viene indicato, - sta dicendo Luhanga al resto dei rifugiati: - Passerete la notte all'interno di questi due edifici, quindi vi prego di riunirvi secondo i nuclei familiari di vostra appartenenza. Riceverete acqua, cibo e coperte per tenervi al caldo fino al sorgere del sole.

- Alle sette in punto di domani, - comanda, - ci metteremo in strada per l'ultima volta.

Jiwoo non mi lascia ascoltare la seconda parte del suo discorso. Comincia a trascinarmi dalla parte opposta della pista, né troppo forte da farmi del male, né abbastanza delicatamente da consentirmi di rimanere indietro per colpa della stanchezza, ma non ho bisogno di sondare il terreno per constatare che tutta la squadra di Zelda è diretta nello stesso identico punto.

- Credevo che la nostra base militare fosse a poche centinaia di chilometri da qui, - sbuffo.

- Perché non partire subito?

- Ci sono stati degli sviluppi.

È sbrigativo, impaziente. Non si concede neppure una sigaretta per fare il carico di nicotina dopo il lungo volo.

- Temo che ci terranno occupati per un po', quindi è meglio se manteniamo un basso profilo per alcune ore. Almeno fino a quando non avremo ideato una nuova linea d'azione.

Raggiungiamo la porta antincendio di un piccolo magazzino, da cui proviene il vociare concitato di due dozzine di persone. Oltre lo spiraglio della porta riconosco Zelda, con la fronte premuta sulle nocche incrociate e il Capitano Hartshorne chino su di lei. Come se volesse confortarla. Come ad accertarsi che sia pronta.

- Jiwoo, - lo blocco, strattonandolo per un braccio. Lui si arresta all'istante. Preferirebbe non entrare.

Io invece voglio solo sapere cosa aspettarmi, per prepararmi a dovere.

- Si tratta del mio amico, non è vero? Alphy Fleming.

Nessuna risposta.

- Dimmi che va tutto bene, - lo scongiuro e lui cambia idea. Si accende subito una sigaretta, perché non potrebbe cavarsela senza tre rapidi tiri di quel fumo acre di cui gli piace riempirsi le narici.

Poi dice: - Siamo nella merda, ragazzina.

Molto chiaramente, senza mezzi termini.

- Fino al collo.

***

- Sedetevi dove potete.

Hartshorne è un tipo pragmatico e le sue accoglienze lasciano parecchio a desiderare. Ci indica scatoloni sparsi in giro per la stanza, casse di legno e barili su cui appoggiare le nostre cose, come se si aspettasse di vederci cedere le gambe da un momento all'altro. Lui sceglie di rimanere in piedi, con l'intento di scrutarci dalla giusta angolatura, ma sono l'unica su cui i suoi piccoli occhi castani si soffermino abbastanza a lungo da lasciare intendere che abbia qualcosa da domandarmi. Sono anche l'unica civile ad essere stata convocata, in effetti. Tutti gli altri spettatori, Sapiens o Novi che siano, portano un distintivo di riconoscimento e una pistola ben infilata nella fondina, e non sembrano troppo contenti che un'adolescente di neppure diciassette anni venga coinvolta nei loro loschi affari.

Hartshorne aspetta che ognuno dei presenti abbia preso posto all'interno del magazzino, poi si sfila l'orologio dal polso e lo posiziona su un piano rialzato che qualcuno deve aver preparato per l'occasione. Lo vedo imprimere dei comandi tattili sulla superfice squadrata dello schermo, mentre uno dei suoi sottoposti abbassa le tapparelle delle finestre fino a far sprofondare l'ambiente in una fitta oscurità. Fuori è ancora buio, ma le precauzioni non sono mai sufficienti. Resta solo da capire se a dover rimanere un segreto siamo noi, o quello che Capitano è sul punto di rivelarci.

Dopo essersi assicurato che i preparativi siano terminati, Hartshorne proietta un fascio conico di luce in direzione della parete, ricreando una sequenza di immagini a grandezza naturale. Le tonalità appaiono leggermente sbiadite ma di qualità sufficiente ad avere l'illusione che si possano toccare.

- È successo mentre eravate in volo, - dice, - circa sette ore e mezzo fa. Avremmo voluto avvertirvi, ma temevamo che ogni comunicazione diretta potesse venire intercettata. Sobràl ci cerca con ogni mezzo a disposizione della USD e non potevamo rischiare di ritrovarcelo addosso.

Un soldato sulla quarantina alza la mano per prendere la parola: - Mi faccia indovinare, - sbuffa, - quel pagliaccio del loro portavoce ha rilasciato un altro dei suoi discorsetti motivazionali.

Impiego più del necessario per rendermene conto, ma sospetto l'uomo stia facendo riferimento a Szilàrd. Il suo tono è sprezzante, quasi canzonatorio, eppure la sua previsione viene accolta con scarso entusiasmo dal resto dei colleghi. Hartshorne lo corregge all'istante, come se non vede l'ora di passare oltre e pianificare un contrattacco: prima affronteremo la radice del problema e prima andremo alla ricerca di una soluzione.

- È più di questo, - sanziona, invitandoci a mantenere la calma.

- Sto per presentarvi un filmato di quarantatré minuti sul processo di conversione che i nostri nemici definiscono "Sublimazione".

Si alza un'ondata di subbuglio da far tremare le pareti. Io stessa schizzo sull'attenti, ma Jiwoo mi riprende per la cintola dei pantaloni per rimettermi seduta.

- Silenzio! – urla Zelda.

- Non abbiamo molto tempo, quindi rimandate a più tardi i commenti. Guardate attentamente il contenuto del messaggio, senza lasciarvi sfuggire niente.

- Potrà turbare alcuni di voi, - conferma Hartshorne, evitando di indugiare su di me, - ma sappiate che non siete i primi ad averlo visto. Tutt'altro. Probabilmente è già stato visionato da mezzo miliardo di persone, e nel giro di due giorni il numero potrebbe triplicare.

Se devo cedere al richiamo del panico, questo è il momento giusto per farlo. Eppure, c'è un sentimento più feroce, dentro di me, che acuisce i miei sensi e mi costringe a rimanere lucida. Per mia madre, per Alphy. Perché se quello che penso sta per essere mandato in onda, a lui è toccato un destino molto peggiore del mio.

- Non lasciargli credere che hai paura, - sussurra Jiwoo, come fossi un libro aperto che chiunque sarebbe in grado di leggere. Lo fa pianissimo, così che solo io riesca a sentirlo, ma prima che possa rispondergli un logo azzurro e fluorescente compare al centro della proiezione. È una specie di bastone4, circondato da un'unica molecola di DNA che gli scivola intorno e mantiene il suo moto a spirale; entrambe le sagome sono incastonate in un cerchio perfetto, sul cui sfondo compaiono due lettere dal carattere elegante.

H.N.

Homo Novus.

Mi basta guardarlo per capire cosa Jiwoo stia cercando di dirmi.

Fazioni, schieramenti. Non ha la minima importanza: io sono una Sapiens.

Se la Sublimazione ha funzionato, la mia Specie non sarà più al sicuro.

***

Inizia con una lunga introduzione, filmata sullo sfondo di un ufficio dal mobilio raffinato.

Szilàrd - proprio come avevamo previsto - è il primo a comparire davanti all'obiettivo della telecamera, ma le uniche incombenze di cui si occupa all'interno della ripresa sono di natura politica. La sua è una pubblicità lineare, eppure piuttosto efficace. Lo ascoltiamo mentre si riempie la bocca di belle menzogne circa gli effetti che l'integrazione dei Noviavrà sul resto dell'umanità: "una nuova era per la Specie umana", promette, fatta di progressi scientifici che risolveranno le grandi crisi del nostro secolo, da quella climatica a quella economica. Qualunque conflitto tra le grandi potenze mondiali in lotta per le fonti di energia; qualunque minaccia nucleare, o disastro ambientale: risolto grazie all'avvento del Nuovo Ordine.

È così che viene definito: il piano è quello di istituire un governo globale, al cui vertice venga posto un Ministero della Salute e del Welfare, interamente incentrato sulla scoperta scientifica del nostro secolo.

Quando Szilàrd passa il testimone alla giovane ricercatrice seduta al suo fianco, è come se mi avessero trascinato al cinema per la visione di un film di fantascienza. Ogni fotogramma è stato girato con il tocco di un professionista, dall'illuminazione, al montaggio sonoro del sottofondo. Perfino la donna che è stata scelta per illustrare i passaggi della Sublimazione appare impeccabilmente curata, ma dal volto semplice e privo di singolarità, come se avessero preferito non distogliere l'attenzione dei telespettatori dai veri protagonisti dell'evento. Il suo compito è di descrivere il progetto di ricerca che ha condotto verso lo sviluppo della terapia, colorandolo di buoni intenti e filantropia: non parla di eugenetica o di esperimenti sugli esseri umani, ma di medicina del futuro e di evoluzione e di grandi speranze di guarigione. Dietro di lei c'è la proiezione analogica di un timer, ma ogni secondo del suo discorso è stato calcolato alla perfezione. È allo scadere dell'introduzione, infatti, che la ricercatrice presenta al grande pubblico il reale fautore della Sublimazione.

- Il Dottor Nicholas Gottlieb Reichenbach, - esclama, - coadiuvato dalla Dottoressa Lilith Crowford!

L'inquadratura della telecamera si modifica e d'un tratto loro due entrano in scena.

Loro. Che hanno scoperto il filo intricato di DNA capace di deviare il corso della storia. Che se ne stanno fianco a fianco, così giovani, così seri.

La loro espressione è un rompicapo indecifrabile di riservatezza e distacco, eppure il loro splendore pare avere la consistenza di un sogno. Si trovano all'interno di un piccolo osservatorio, con le pareti di vetro affacciate in direzione di una sala operatoria di ultima generazione. Portano dei completi neri dal taglio finemente cucito e il camice diafano con cui li hanno imbellettati serve solo ad appaiare le loro figure in una sorta di studiata armonia. Come elementi chimici compatibili, realizzo, come fossero inseparabili.

Non era questo il modo in cui io e Nicholas apparivamo agli occhi delle persone. Con me era fuori dal suo ruolo, fuori dal suo habitat naturale. In compagnia di Lilith sembra tornato a casa.

Il legno della cassa sulla quale sono seduta scricchiola sotto la morsa delle mie dita. Vorrei che mi risparmiassero dalla tortura insopportabile di riascoltare la sua voce, ma le mie preghiere continuano ad essere ignorate.

- Cominciate, - lo sento dire ed è come se i miei timpani venissero improvvisamente perforati. Mi strapperei le orecchie a mani nude, se servisse a metterlo a tacere e revocargli il potere di entrarmi nella mente.

- Procedere con il primo step di induzione farmacologica.

Resto a guardare con orrore mentre un'equipe di medici e infermieri si passa il controllo del corpo di Alphy, quasi fosse un manichino da esercitazione: gli abbassano una maschera sopra l'attaccatura del naso, costringendolo a respirare una miscela di gas anestetici, e sebbene la presentatrice dissezioni il processo passo dopo passo, io non riesco ancora a credere che stia accadendo davvero. Che sia già accaduto, e che questo filmato ne sia la prova.

Quando mia sorella apre la bocca per parlare è la prima volta che glielo sento fare dal giorno esatto in cui la nostra scuola è stata rasa al suolo.

- Infondere chemioterapici tra dieci secondi, - dice, molto chiaramente e con decisione. Alla Lilith. Perfino quando il suo migliore amico è sul punto di rischiare la vita in nome di questa follia.

Poi succede. Non in tempo reale, ma sotto forma di spezzoni e scene proiettate secondo una sequenza ben precisa. Ci vengono mostrati i momenti focali della conversione e le tappe attraverso cui i parametri vitali di Alphy si modificano dopo la somministrazione delle molecole estranee che gli fluiscono nelle vene. Ore e ore e ore di operazione riassunte in quaranta minuti di immagini, che creano un'aspettativa tanto angosciante per la sottoscritta, quanto sorprendente per chiunque altro le stia a guardare.

Il sistema immunitario di Alphy viene polverizzato, come nel tentativo di curare un tumore maligno; solo che quel cancro non è una malattia invasiva, ma la sua natura stessa di Homo Sapiens. La fase più pericolosa della trasformazione è proprio il momento in cui i veleni sintetizzati dai Novi distruggono qualunque cellula potrebbe interferire con l'introduzione di DNA estraneo nel corpo di Alphy. Al termine dell'infusione i suoi reni, il suo cuore e perfino le onde che segnalano l'attività della sua corteccia cerebrale sono stati condotti sulla soglia della non ripresa.

Lo uccideranno, mi ripeto. Lo hanno già ucciso.

E invece Nicholas emana il suo giudizio finale, senza mai distogliere lo sguardo dal corpo esanime del paziente, e il tono con cui pronuncia la sentenza è qualcosa che pare essere sfuggito alla pianificazione maniacale delle riprese. Non c'è autorità, né impazienza di vedersi calare sul capo la corona della fama, ma soltanto una leggera increspatura del suo stato animo. Nessuno la riconosce sui tratti appuntiti del suo viso, perché nessuno vi ha mai assistito prima a parte me.

È un singolo dubbio, che dura il tempo di un respiro. Come se Reichenbach avesse compreso che le sue terribili istruzioni potrebbero finire per ritorcersi contro la stessa persona che le ha inventate.

Alla fine, però, il Principe sbatte le ciglia. E l'umanità lo abbandona.

- Trasferimento della sonda di ricombinazione, - dice, segnando il punto di non ritorno.

Quello che accade a seguire scorre in maniera troppo veloce perché io riesca a stargli dietro. A detta della presentatrice, Alphy è stato lasciato in uno stato di coma farmacologico della durata di diverse ore, affinché i suoi alleli accogliessero le modificazioni epigenetiche configurate dal mio frammento di DNA. C'è un breve intermezzo di Szilàrd prima che il Ministero della Salute riveli al Mondo gli esiti della Sublimazione, ma viene fatto intendere che durante l'assorbimento della terapia gli scienziati a servizio della Fazione non si siano mossi di un millimetro.

Quando torna al centro dell'obiettivo, il mio amico è ancora del tutto addormentato e i medici impegnati nella supervisione dei suoi parametri si sono dati il cambio in vista del suo risveglio.

- Per favore, - sussurro a fior di labbra, fissando la sua figura esanime sul lettino.

Per favore, sopravvivi. Per favore, in qualunque forma tu lo faccia, apri gli occhi. E Alphy miracolosamente lo fa.

La sua però non è una risalita semplice. Nel momento in cui viene interrotto il flusso di anestetici all'interno del suo apparato respiratorio, Alphy prende a contorcersi come sotto l'effetto di una scarica elettrica. Gli sfilano il respiratore dalla laringe e dalla sua gola si alza un grido agonizzante.

Di sfuggita mi accorgo che Jiwoo si è premuto il dorso di una mano sulla bocca, e che alcuni degli agenti sparpagliati per il magazzino stanno strizzando le palpebre per non dover assistere ai particolari del suo supplizio. Nelle scene a seguire, Alphy si porta le mani al collo e vomita oltre un lato del lettino, strappandosi l'accesso venoso dal braccio come un pazzo in preda al delirio.

Le sue pupille si restringono fino a due spilli e la sua frequenza cardiaca schizza fino a quando il bip dell'elettrocardiogramma non diventa uno stridio continuo.

- È spaventoso, - dice una poliziotta, spalmandosi contro la parete.

No.

È come se avessero spazzato via ogni briciola di ciò che era.

- Che senso ha diffondere una cosa del genere?

Hartshorne non ha bisogno di placare il caos all'interno del magazzino, perché la spiegazione arriva proprio da quello che viene mostrato nel resto filmato. Intorno al corpo tremante di Alphy si è formato un cerchio di persone, che lo sfiorano con la punta delle dita per cercare di rassicurarlo. Lui sta sanguinando dal braccio sinistro e inciampa nei fili che lo ricoprono dalla testa ai piedi come una moltitudine di cordoni ombelicali. D'un tratto, però, qualcosa lo paralizza.

Tratteniamo il respiro, come i Novi inquadrati all'interno della ripresa, mentre Alphy solleva una mano davanti a sé. Improvvisamente lo zampillo di sangue che gli sgorga dalle vene si arresta, quasi per effetto di un potere soprannaturale. La sua ferita si rimargina fino a scomparire, proprio come aveva fatto quella di Nicholas il giorno in cui ci siamo incontrati.

- Lilith? – balbetta. Vivo, ma del tutto spiazzato.

Mia sorella lo guarda a occhi sgranati, la mano artigliata dentro quella di Nicholas.

Da qualche angolo del laboratorio una voce dice: - Funzioni biologiche e neurofisiologiche compatibili con il nuovo stadio evolutivo.  Processo di Sublimazione completato. Conversione da Homo Sapiens a Homo Novus perfettamente riuscita.

- Benvenuto al Mondo, signor Fleming.

***

Deve esserci stato un errore. Deve essere tutta una montatura, filmata sullo sfondo di un telo verde e ricostruita grazie all'aiuto di un computer. Perché non è possibile che sia successo davvero, quando le statistiche erano a loro sfavore e ogni nozione di biologia a disposizione degli esseri umani avrebbe scommesso contro la riuscita della Sublimazione.

Ma allora che cosa sto guardando? Cos'è il trionfo che vedo sfilare attraverso i raggi luminosi della proiezione?

Siamo finiti tutti in piedi, di riflesso ai nostri nemici; noi fulminati sul posto e incapaci di fiatare, loro in preda a un'euforia così sadica da non riuscire a credere che sia spontanea.

E invece è tutto vero, penso, dalla prima all'ultima sequenza.

Alphy viene abbracciato dalla sua equipe di laboratorio come un eroe al ritorno dalla guerra, mentre un'esplosione di festeggiamenti si scatena oltre il vetro della sala operatoria a rivelare un pubblico che non sapevamo stesse assistendo all'esperimento. Vengono inquadrati Szilàrd e la ricercatrice senza nome: lei ha ripreso a parlare, ma è comparsa un'emozione commossa nella sua voce, che vibra attraverso i microfoni come se fosse sul punto di scoppiare a piangere di felicità. Sotto di loro i principali esponenti del Nuovo Ordine si stringono le mani, sbarazzandosi dei propri oggetti personali con lanci per aria e scoppi di risate. È un successo totale.

Lilith e Nicholas non si accorgono del momento in cui l'obiettivo torna a zoomare su di loro, o magari sono solo bravi ad accendere a comando l'interruttore della propria finzione. Si sono appena voltati, con la bocca dischiusa e la rima degli occhi appena allargata, specchiandosi l'uno nell'altro come in cerca di una conferma che solo a vicenda potrebbero donarsi. Quel loro muto confronto pare trascinarsi senza fine, come un fermo immagine, eppure oltre il fuoco dell'inquadratura decine di persone saltano da un lato all'altro del laboratorio per congratularsi, scuotersi per le spalle, ululare fuoricampo.

Ed è crudele.

È crudele l'insistenza con cui la cinepresa si cristallizza intorno al loro attimo sospeso fuori dalle linee temporali; a quel binomio di biondo e castano chiaro, due tonalità che si sfiorano su uno sfondo pallido come venature all'interno del marmo.

Dal petto di Lilith si alza un leggero sospiro e di colpo qualcosa la riscuote dal suo stato di trance. La osservo sollevarsi sulle punte, per raggiungere Nicholas in altezza. Osservo le sue braccia che si sollevano un poco alla volta, intrecciandosi attorno al suo collo per unire i loro corpi. Mia sorella bacia la guancia di Nicholas senza alcuna esitazione, né vergogna, né riservo, come se le fosse sempre stato concesso, e non ci fosse niente di più giusto al Mondo. Preme il volto sulla sua pelle, con un vigore tale da imprimerci sopra un'impronta rosata, e per un lungo istante Nicholas rimane praticamente stregato. I suoi occhi verdi si fanno enormi, tornando a puntarsi in quelli di Lilith quando lei si distacca e gli rivolge il più contento dei suoi sorrisi.

Alla fine la testa di Reichenbach s'inclina, come attratta dalle forze invisibili che sostengono l'Universo, e la sua fronte si appaia a quella di Lilith per sovrapporre le loro labbra.

- Il mio compagno di grandezza5, - soffia Lilith. Prima che si tocchino, però, Nicholas scivola nell'incavo nel suo collo e trasforma la loro unione in un abbraccio.

Poi la trasmissione s'interrompe.

Hartshorne la spegne con un comando vocale, rigettandoci nella penombra della notte, e io sprofondo a peso morto sulla mia sedia. Da principio nessuno pare avere il coraggio d'intervenire, così i soldati si limitano a rialzare le tapparelle delle finestre e riaccendere le prese della corrente. Ci sono borbottii disorientati, ma perfino Zelda impiega un'infinità di secondi per digerire la notizia.

- Su tutti i canali, hai detto?

Jiwoo è il primo a farsi avanti.

- Questa... roba, - sibila, storcendo la faccia per il disgusto, - comunque la si possa definire.

- Un'opera di propaganda, - lo aiuta Hartshorne. Con giusto un po' di antipatia.

- È stata trasmessa in televisione?

- E sulla maggior parte dei social network. È andata in onda senza alcuna censura.

- Ma non era una diretta, - commenta Zelda, ricurva su sé stessa per lo sforzo di riflettere. Ha un colorito verdastro, come se avesse dovuto ingoiare un conato di bile.

- Secondo i nostri tecnici si tratta di un filmato registrato la scorsa settimana. L'hanno proiettato solo oggi, dopo un attento processo di montaggio, ma non ci sono dubbi sul fatto che sia autentico. È finito praticamente ovunque, sottotitolato in decine di lingue, grazie all'aiuto delle intermittenti televisive messe a disposizione dai Sapiens. Non vedevano l'ora di avere l'esclusiva, immagino, ma il contenuto della ripresa deve essere stato fornito loro alla stessa identica ora.

- E tutto quel teatrino attorno ai due mocciosi? – chiede uno dei soldati, - Che diamine di senso aveva?

- Ve l'ho già detto, - scandisce Hartshorne, come se stesse parlando con una manica di imbecilli: - propaganda.

Ci sono mormorii inebetiti, che Zelda zittisce risollevando lo sguardo sul Capitano. Franz non è apparso all'interno del videomessaggio, ma la vista di Reichenbach deve averla turbata almeno quanto me.

- Avete avuto l'impressione di guardare un film, - spiega, - su due giovani eroi venuti a salvare il Pianeta. Vi è stato mostrato un esperimento che va contro qualunque principio di bioetica, eppure per il telespettatore medio sarà stato impossibile non fare il tifo per loro. O perlomeno lasciarsene incuriosire.

- Pura e semplice influenza subliminale, - concorda Hartshorne.

- Hanno permesso che due adolescenti ci mettessero la faccia, con la speranza che la loro storia avrà una presa di ferro sull'opinione pubblica. Non capita tutti i giorni che due individui di quell'età costituiscano il fulcro di un cambiamento epocale.

Si riallaccia l'orologio intorno al polso, controllando l'orario come se il tempo a nostra disposizione fosse agli sgoccioli. Da quanto è stato messo a capo delle forze dell'ordine alleate, Hartshorne pare sempre sul punto di dover scappare in direzione del suo prossimo appuntamento.

- Perfino il peggiore degli scettici si mostrerebbe più comprensivo nei confronti di due ragazzini. A maggior ragione se la loro missione è stata venduta al pubblico come ciò che salverà l'umanità dall'estinzione. Crisi climatiche e pandemie globali hanno convinto i Sapiens di essere una Specie vulnerabile e la soluzione ipotizzata dal Nuovo Ordine suonerà tanto misteriosa quanto allettante. Se lo stesso filmato si fosse concentrato su degli adulti, la gente avrebbe urlato alla dittatura sanitaria prima ancora di vederlo finire.

- E dopotutto, - conclude Zelda, centrando il vero punto della situazione: - la Sublimazione è opera loro.

Ha ragione. Reichenbach non avrebbe permesso che altri si prendessero il merito del suo duro lavoro.

- Quindi ci sono riusciti? – m'intrometto, e il solo fatto di essere riuscita ad allentare il groppo che ho in gola mi dà il coraggio di affrontare i presenti. Decine di occhi mi trafiggono in contemporanea, come se avessero dimenticato che alla sciagurata sorella di Lilith Crowford era stato concesso di presenziare alla riunione.

La replica di Hartshorne in effetti è più stizzita di quel che mi aspettassi: - Non è forse quello che hai appena visto? – domanda.

- Io ho visto un filmato, - sibilo, - in cui viene affermato che Alphy Fleming è stato trasformato in un Homo Novus. State dando per scontato che sia reale, ma chi ci dice che non sia tutta una messa in scena? È più facile utilizzare degli effetti speciali che giocare con il DNA di un essere vivente. Con le vostre tecnologie avrebbero potuto ricostruire quelle immagini da zero.

Jiwoo è ipnotizzato dall'accuratezza della mia rilevazione.

- Non fa una piega, - ghigna. Stuzzicare il Censore è un hobby a cui non vuole proprio rinunciare, ma Zelda interviene prima che la situazione possa scaldarsi.

- Passiamo alla notizia successiva, allora. I risultati dell'esperimento sono stati messi a disposizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, in modo che la comunità scientifica possa vagliarne il contenuto. Tutti i parametri vitali e neurofisiologici del paziente zero, tutte le analisi e gli esami strumentali effettuati su di lui; ogni informazione è stata inviata ad alcuni dei più importanti centri di ricerca del Pianeta, insieme a dieci campioni tissutali raccolti prima e dopo la conversione. Immagino che i Sapiens rilasceranno l'esito del confronto nei prossimi giorni, ma possiamo affermare che i nostri nemici stanno facendo di tutto per provare la veridicità di quel filmato.

- L'unica cosa che hanno tenuto per sé è la sequenza di DNA che hanno utilizzato all'interno della Sublimazione, - conclude Hartshorne, concedendosi un'occhiata nella mia direzione, - ma il resto è divenuto di dominio pubblico. I Novihanno anche rilasciato un comunicato in cui è stato reso noto il loro intento.

- Il Manifesto del Nuovo Ordine, - afferma, - è così che lo hanno definito. Una proposta ufficiale di omologare la Specie e convertire tutti i Sapiens in Homini Novi. Non appena la terapia verrà brevettata, faranno in modo di diffonderla su larga scala.

- Alphy, - sussurro.

Non è possibile. Non posso neppure immaginarlo.

Credo di aver cominciato a scuotere il capo, perché Zelda non fa che chiamare il mio nome.

- Crowford, - insiste, - hai visto quello che è successo alla sua mano. Una tale capacità di guarigione non appartiene alla tua Specie. Se ti rifiuterai di accettarlo, non potrai aiutarci a scoprire come ci sono riusciti.

- È come si vociferava, allora.

Una giovane donna con la divisa militare fa rimbalzare lo sguardo tra i suoi superiori.

- Lei e sua sorella costituiscono la matrice da cui è nata quella sonda.

- Qualcuno di voi aveva ancora qualche dubbio?

- No, - s'intromette Hartshorne, - l'abbiamo sempre sospettato dal giorno dell'Apertura. Sapevamo che Reichenbach aveva condotto studi su di lei, ma volevamo sentirlo da te, Generale Hodgkin.

- Stava cercando di proteggermi, - preciso, perché non sopporto l'arroganza con cui questa marmaglia di persone ha preso a rivolgersi nei confronti di Zelda. La ritengono troppo compromessa per lavorare a questo caso con la giusta imparzialità, ma a onor del vero è l'unica che possa anche solo capire quello che sto affrontando.

- Mmh, - mormora Jiwoo: - Questa puzza di fascismo ci rende tutti un po' nervosi, eh? Lo capisco, lo capisco, ma c'è un punto su cui nessuno si è ancora soffermato. Il poveretto, quell'Alphy Fleming. Sta bene?

- Da quello che abbiamo potuto constatare nel filmato, sì. Possiamo solo attendere che sia lui a mettersi in contatto con noi, o rischieremmo di tradire la nostra posizione. Abbiamo il sospetto che ci abbia già provato in qualche modo, ma è ancora presto per poterlo affermare con certezza.

Alphy ha fatto un tentativo di inviarci un messaggio? E come avrebbe potuto, dopo quello che gli è stato fatto? È uno di loro, adesso; io e lui non siamo più uguali. Ma è un pensiero tremendo ed egoista e voglio risucchiarmelo lontano dal cervello. Perché il risultato di quell'esperimento non cambia affatto le cose: dobbiamo portarlo in salvo, lontano dagli psicopatici che l'hanno messo sotto i ferri. Se sono stati capaci di rischiare la sua vita in nome della scienza, Dio solo sa che cosa ne sarà di lui nel momento esatto in cui scopriranno il suo ruolo all'interno della Resistenza.

Essere un Homo Novus non lo metterà al sicuro. Se possibile, servirà solo ad aggravare il suo tradimento.

- I nostri hacker hanno individuato una sequenza criptata all'interno del filmato. Con molta probabilità si tratta di un messaggio in codice che è stato rivolto a noi, ma ci vorranno almeno cinque o sei ore per decifrarlo dall'inizio.

- Domani sapremo dirvi di più, - conclude Hartshorne, facendoci cenno di liberare la stanza.

- Per il momento andate a riposare. La mia squadra rimarrà a guardia della pista d'atterraggio e terminerà i preparativi per la nostra partenza. Riceverete aggiornamenti al vostro risveglio.

Oh, ma che sollievo.

Il magazzino si svuota con una flemma che non ha nulla a che vedere col sentirci spossati: ad annichilire gli agenti è la consapevolezza che l'ennesima mossa dei nostri nemici pare andata a buon fine. Eccola, penso, un'altra sconfitta contro cui non abbiamo potuto far altro che restare a guardare.

Sono sul punto di filare quado Zelda mi chiede di raggiungerla all'estremità opposta dello stanzone. Hartshorne congeda l'agente Jiwoo con un gesto impaziente della mano, ma lui non accenna a scollarsi dalla scatola sopra cui è appollaiato: preferirebbe ricevere un richiamo ufficiale che lasciarmi nelle grinfie del Censore senza il supporto di un altro Sapiens, di questo devo dargliene atto.

C'è un silenzio ingombrante che non accenna a volersene andare e Zelda pretende che sia io a romperlo a posto loro: - Dì qualcosa, - scongiura, ma nessun vocabolario al Mondo contiene termini capaci di descrivere ciò che ho provato alla vista di quelle riprese.

Perché non studiano anche questo? Perché non lo mettono sotto il microscopio, per aiutarmi a capirlo? Questo strazio. Questa ripugnanza. Non può pretendere che la razionalizzi. Non può chiedermi di scendere a patti con il male che mi hanno fatto Nicholas e Lilith.

Così dico: - Avete intenzione di unirvi a loro?

Hartshorne interrompe quello che stava facendo. Mi scruta con le sopracciglia aggrottate, più minaccioso che mai.

- I membri del Consiglio, - comincio, hanno visto la Sublimazione funzionare. La prospettiva di una società popolata da soli Novi avrà scatenato qualche genere di reazione, giusto?

È ironico, come il significato della mia accusa gli venga facile da interpretare. Eppure, la loro reazione pare autentica e immediata: devono averci pensato, ma da una prospettiva piuttosto diversa dalla mia.

- Non essere ridicola, - dice Hartshorne.

- Le ho fatto una domanda, Capitano, e le uniche risposte possibili sono due. C'è la possibilità che la vostra Fazione accetti di collaborare con il Nuovo Ordine, sì o no?

- No, - sputa Zelda, mentre l'uomo soppesa la mia accusa per qualche secondo. È la prima volta che mi rivolge uno sguardo che non sia di fastidio o diffidenza, come se il nostro improvviso scambio di ruoli gli avesse lasciato intravedere una parte di me di cui ignorava totalmente l'esistenza.

- L'ideale su cui si fonda il nostro Partito è quello della difesa della Specie umana, - dice.

- Non tollereremo alcuna forma di tirannia che ne metta a rischio l'incolumità, Crowford, neppure se ad attuarla dovessero essere i nostri stessi simili.

Hartshorne me lo giura davanti a due testimoni: - Hai la mia parola.

Non so quanto possa valere la sua promessa, ma da qualche parte dovrò pur partire. Non posso essere per la Resistenza ciò che mia sorella rappresenta per il Nuovo Ordine, ma la mia mancanza di risorse non può certo rimanere una scusa dietro cui ripararmi.

Non dopo quello che Alphy ha rischiato per tutti noi.

- Che cosa posso fare? – sospiro. È l'unica cosa che mi impedirà di arrendermi. L'illusione che anche il più piccolo dei miei gesti possa fare la differenza.

- Startene lontano dai guai, - sbotta Jiwoo, - nient'altro. Per favore, Crowford, andiamocene a dormire.

Zelda gli tira torcia in testa, ma lui la acciuffa in un baleno. I suoi riflessi sono strabilianti.

- Qualcosa effettivamente ci sarebbe, - conferma Hartshorne.

- Siamo a corto di personale e organizzare un'operazione di rappresaglia quando si è in minoranza rappresenta un compito fin troppo complicato. Abbiamo bisogno di qualunque volontario sia disposto a mettere i propri talenti a disposizione della Polizia, indipendentemente dalla sua età.

Sta cercando di indirizzarmi da qualche parte, capisco.

- Aveva in mente qualcuno in particolare, Capitano?

- Wolfgang Lusverg, - dice Zelda. In un colpo secco.

Io non ce la faccio a rimanere impassibile.

- So che siete entrati in buoni rapporti, nell'ultimo periodo. Le sue capacità inventive costituirebbero un'arma preziosa per la difesa della Fazione, ma ogni tentativo di avvicinamento da parte nostra è fuori discussione.

Ti ha mandato la Hodgkin?

Perché avrebbe dovuto?

Nonostante il suo astio, Wolfgang ci aveva visto giusto.

- Non lo convincerete, - sbotta Jiwoo, - il ragazzo non ne vuole sapere di tornare a vendere armi. Credevo che vi foste rassegnati.

- Perché? – li incalzo, - Per quale motivo ha smesso di vendervi i suoi progetti?

- Non lo sappiamo. Un bel giorno ha semplicemente impedito che venissero diffusi. È stata svolta una breve indagine su eventuali irregolarità nei rapporti commerciali tra la famiglia Lusverg e i nostri organi di difesa. Commissioni non pagate, - azzarda, - o qualcosa del genere. Non è emerso niente di niente.

Magari si è solo stufato di rendere la Terra un luogo più pericoloso di quanto non sia già. Ce la passiamo abbastanza male senza che qualcuno si faccia venire in testa nuovi modi per distruggerci.

- Avete davvero bisogno di lui? – gracchio.

- Possibile che nessuno dei vostri ingegneri sappia fare meglio di un diciannovenne?

Zelda e Hartshorne si scambiano un'occhiata d'intensa, come se al di là dei propri continui battibecchi si capissero alla perfezione. Provo a immaginarmeli in un contesto completamente diverso, quello dove sono insieme e hanno appeso il distintivo, con il loro cane e la loro vita di coppia al riparo dagli oneri del lavoro, ma per quanto mi sforzi di fantasticare non riesco a figurameli in un ruolo diverso da quello che ricoprono in pubblico.

- È un visionario, - rivela Hartshorne, senza lasciarsi sfuggire ulteriori dettagli.

- Le sue creazioni non sono niente che abbia mai visto costruire da qualcun altro.

Se devo essere sincera a me pare un'esagerazione, ma sono troppo assonnata per discutere del ruolo che le persone potrebbero giocare in questo scontro.  Mi stropiccio gli occhi, poi faccio un lungo sospiro per allentare la morsa che mi si è chiusa intorno al petto dopo la proiezione di quel filmato; dopo che le meraviglie e gli orrori di cui mia sorella è capace sono stati rivelati al Mondo intero, mentre io sono ancora costretta a nascondermi nell'anonimato.

- E va bene, - mormoro, - lasciate che ci provi io. Farò in modo che sposi la vostra causa. Mi farò venire in mente qualcosa.

- Ma voi smettete di starmi addosso come delle sanguisughe, - aggiungo subito, alzando un dito davanti al naso, - così che possa parlargli senza essere spiata da ogni angolo.

Pensavano che non me ne sarei accorta? Da quando è tornata, Zelda mi ha messo alle calcagna almeno due o tre guardie del corpo, che continuano a svolazzarmi intorno con la scusa di compiere qualche azione sconclusionata.

- Dobbiamo assicurarci che non ti accada niente di male, Sybil. Adesso che la Sublimazione si è rivelata possibile, dobbiamo andare alla ricerca di qualunque punto debole si nasconda al suo interno.

- Lo capisco, - assicuro, - ma non potete sprecare tutte le vostre risorse per difendere una persona sola. Allentate la presa e troverò il modo di avvicinarmi a Lusverg. Devo fargli credere che si alleerà come me piuttosto che con l'ex Capitano della Polizia.

Un lampo di delusione le attraversa il volto come se l'avessi pizzicata. Non volevo ferirla, davvero. Voglio solo farla finita e andare a riposare.

- E comunque non credo di essere importante come speravate, - alzo le spalle.

- Dopotutto è bastato che mi facessero qualche analisi preliminare, no? Sono giunti alla Sublimazione anche senza avermi là con loro.

Dopotutto Nicholas ha fatto quello che doveva fare, poi mi ha gettato via senza più guardarsi indietro.

***

Mi concedo un sonno agitato, interrotto da continui risvegli. Quando arriva il momento di sgusciare dal sacco a pelo e riconsegnarlo alla squadra di soccorso, fuori è spuntata un'alba annebbiata dalla foschia, che filtra i raggi del Sole fino a risucchiarne ogni briciolo di colore. Mi stropiccio gli occhi con i pugni, accettando la colazione offerta dagli agenti di Polizia dentro delle buste di cartone. Caffè solubile, due sandwich al prosciutto e una mela dalla scorza lucida: più di quello che c'era nel frigo di casa mia quando era ora di andare a scuola.

Io e i miei amici mangiamo in silenzio, mentre gli adulti se ne stanno riuniti in circoli in cui non siamo i benvenuti. Ci sono discussioni mormorate a mezza bocca e braccia conserte e volti resi cupi dalle brutte notizie. Tutti quanti sono stati messi al corrente dell'esperimento compiuto sul paziente zero, ma solo alcuni sono riusciti ad accaparrarsi il filmato dell'intero documentario. Li riconosco dal modo in cui mi spiano di sottecchi, tra un sorso di tè e quello successivo, come allucinati: trovarsi faccia a faccia con il volto di Lilith Crowford, vederlo fotocopiato sopra il mio da qualche errore di replicazione cellulare, questa mattina li confonde più che mai.

Anche Armand ha una brutta cera, e Maria mi pare a dir poco indiavolata. La reazione più inquietante però è proprio quella dei Novi con cui non ho mai stretto alcuna confidenza. Gettano lunghe occhiate, a me e ai pochi Sapiens che orbitano attorno all'agente Jiwoo, come se quello che fosse successo nei laboratori di Berlino ci avesse incollato una targa di riconoscimento addosso.

Come se ci fossimo trasformati in animali a rischio di estinzione.

Non li biasimo. Hartshorne non conferma il mio indiretto coinvolgimento all'interno della Sublimazione, ma neppure si preoccupa di smentirlo al resto dei nostri alleati: suppongo che arrivati a questo punto, chiunque debba quantomeno sospettare che io c'entri qualcosa.

Nonostante le voci sul mio conto, comunque, riesco a defilarmi dal controllo estenuante della Polizia. La mia ombra torna ad essere una e Zelda si concede di abbassare la guardia ad un livello che entrambe possiamo ritenere accettabile. Mangio senza averla intorno, spazzolando il contenuto del mio sacchetto personalizzato, poi mi dedico agli ultimi preparativi prima della partenza. Raccolgo i capelli in una coda alta, lasciando che due ciuffi castani mi ricadano lungo i lati del viso, e rabbatto tutte le mie cose all'interno di uno zainetto.

Quando mi dirigo verso il punto di ritrovo del nostro convoglio, decine di autocarri sono già pronti per mettersi in moto in direzione della Base. Per la maggior parte sono destinati al trasporto di rifornimenti, ma alcuni vengono messi a disposizione per ospitare i passeggeri: su ognuno dei veicoli saliranno un autista e un soldato armato, mentre i civili verranno smistati a gruppi di cinque o sei persone.

Non sto qui a scervellarmi. Oggi non ho proprio l'iniziativa di articolare un pensiero di senso compiuto, così mi limito a camminare verso l'autocarro più distante da quello della Hodgkin; in parte perché non me la sento di fare i conti con lei dopo quello a cui abbiamo assistito e in parte perché spero che Lusverg faccia la stessa identica cosa. Mi trascino dentro il retro dell'abitacolo, issando una gamba alla volta, poi mi pulisco le mani impolverate sfregandole sui pantaloni.

Vorrei sprofondare sui sedili di metallo per riprendermi dallo sforzo, ma l'arrivo inviperito di Maria mi impedisce di sonnecchiare. Non sono sicura che farmi un po' più in là valga come invito, ma lei salta dentro l'autocarro in ogni caso.

- Mio padre non la smette di blaterare, - sbuffa, imitandone il tono drammatico con il solo intento di tirarmi su il morale.

- Oddio, - piagnucola in italiano, - o mamma mia! Siamo spacciati!

Fa roteare gli occhi color cioccolato, poi si mette a braccia conserte e con le gambe distese davanti a sé. È come una piccola generalessa, che fa finta di storcere il naso davanti a qualunque dimostrazione di debolezza o fragilità.

- Se avessimo fatto il resto del viaggio insieme mi sarei diseredata da sola.

Non è questa la ragione per cui è qui, ma se glielo facessi notare finirebbe per arrabbiarsi. Ricordo il modo in cui lei e Nicholas entravano sempre in competizione, dimostrandosi in costante disaccordo, e di come anche io non vedessi di buon occhio il suo maledetto caratteraccio. Eppure è venuta qui, perché non tollerava l'idea che rimanessi da sola in un momento come questo. Non mi dirà che le dispiace per quello che è successo ad Alphy, né mi riempirà di inutili consolazioni su come io non sia responsabile delle azioni di mia sorella; però rimarrà al mio fianco, lamentandosi di questo o quel fatto che considera insopportabile, e io decido che me lo farò bastare.

Sto per mormorare una specie di ringraziamento quando tre figure bussano sulla portiera per attirare la nostra attenzione.

- Possiamo unirci alla festa? – chiede l'unica di loro che ancora non conosco, e Maria annuisce con sincero entusiasmo. Karina Lusverg si sistema proprio di fronte a me, lungo il lato più vicino alla portiera, mentre Toni va ad accoccolarsi dietro il separatorio che ci divide dal vano guidatori. È angosciata, più silenziosa e introversa di come siamo abituate a conoscerla, ma non faccio fatica a immaginare la ragione del suo malumore. L'ultima passeggera assegnata al nostro veicolo si siede dirimpetto a Maria, costringendola a ritirare le ginocchia per permetterle di entrare.

- Un convoglio di sole ragazze, - osserva con un ghigno divertito, - si può dire che trasporti merce pericolosa.

La sua è letteralmente l'unica faccia sorridente che abbia visto in giro da questa mattina e per un po' mi chiedo cosa ci trovi di tanto divertente in mezzo a questa enorme montagna di schifo. Avanti, vorrei dirle, fa ridere anche il resto dei presenti; alla fine però mi tiro un pizzicotto sulla coscia e la mia aggressività ingiustificata si ritrae. Non è giusto che me la prenda con chi non ha alcuna colpa.

- Meno uomini ho intorno e meglio è, - annuncio, rivolgendo una smorfia di scuse in direzione dell'autista. Riusciamo appena a intravedere la coppia di militari che hanno assegnato al nostro furgone, ma nessuno dei due uomini si degna di rivolgerci la benché minima occhiata.

- Senza offesa, - dico, anche se entrambi tengono lo sguardo fisso davanti a sé con l'intento di ignorarmi. Siamo proprio tutti di cattivo umore, concludo.

- Ti capisco, - sospira Karina, mentre il van viene richiuso dal passaggio di alcuni agenti. Rimaniamo in cinque, e nessun altro dei sopravvissuti si aggiunge al nostro appello: ci sono ancora due posti liberi a disposizione, così riusciamo a metterci comode.

Osservo Karina stringersi i codini biondi che le penzolano alla base della testa, quasi non sopportasse di sentirli allentare.

- Mio fratello è caduto in uno dei suoi stati catatonici, - spiega, cercando di interpretare il nostro silenzio. La ragazza seduta al suo fianco le dà giusto un colpetto di conforto, ma più riflette sul comportamento di Wolfgang e più la voce di Karina si fa spezzata.

- Non so più che cosa fare, con lui, - dice alla sua amica o a me o a nessuno in particolare. Prende a sbeccarsi i rimasugli dello smalto, come a voler sfogare la frustrazione.

- Sento che ha smesso di reagire. Non è mai stato un tipo di tante parole, ma con me si è sempre confidato. Da qualche giorno a questa parte invece non fa che scrivere in quel suo dannato taccuino, senza neppure spiccicare parola.

Alza gli occhi grigi per impigliarli dentro i miei, e io capisco che si aspetta qualche genere di giustificazione.

- L'unica con cui l'ho visto parlare sei tu, - ammette alla fine, facendomi arrossire in maniera così accesa da appiccarmi un fuoco addosso. Incespico sulle mie stesse parole, con le gambe che scalpitano sotto il sedile per un imbarazzo che non so spiegare.

- No, - balbetto, - voglio dire... Wolfgang si limita a lasciarsi tormentare. Tutto qua. Abbiamo giusto qualche sciagura in comune.

L'espressione delle ragazze si fa interrogativa e io realizzo di essermi lasciata sfuggire più di quello che dovrei. Che cretina. Il problema è che fingere è un'arte difficile quando non ci sono più spazi interstiziali tra le persone e si è costretti a condividere ogni minuto della propria giornata.

- Dai Kari, - interviene l'unica sconosciuta del gruppo, - sono notizie difficili da buttare giù! Le cose non fanno che peggiorare. Secondo mia madre qualcuno di noi finirà per perde la testa.

- In effetti io sono a un passo dal dare di matto, - sbuffa Maria, stiracchiando la schiena fino a farla scrocchiare. Segue un buffo giro di presentazioni, che ci vede incrociare maldestramente le braccia da un lato all'altro dell'autocarro in partenza.

- Mi chiamo Tarisai Jones, - prosegue la ragazza, - e sono la figlia maggiore dell'ispettore Luhanga. Credo che alcuni di voi abbiano avuto modo di incontrarla.

Da sotto il suo casco di ricci neri arriva un occhiolino da combinaguai: - Tutti mi chiamano TJ.

- O terajoule, - sghignazza Karina, - perché è un vero concentrato d'energia.

Se non altro studiare fisica in compagnia di Reichenbach mi permette di apprezzare queste assurde battute sulle leggi della termodinamica.

- Sybil Crowford, - rispondo, ricambiando la sua stretta.

- La celebre Sybil Crowford, vorrai dire. Cavolo, - soffia, - sei proprio identica a tua sorella.

Karina si schiaffa i palmi delle mani sopra la bocca, come se non riuscisse a credere alla mancanza di tatto della sua amica.

- TJ!

Se fossimo davvero così uguali, adesso non ci troveremmo sulle soglie di una guerra mondiale, vorrei rispondere. Però tutta questa faccenda è così inverosimile che mi scappa una risata indecente.

- Lei è quella intelligente, - sdrammatizzo, - e assolutamente pazza.

Da quel momento il clima all'interno dell'autocarro si fa meno opprimente e se non altro inganna la durata del lungo viaggio. I van destinati al nostro trasferimento abbandonano l'aeroporto privato, disponendosi in una fila ordinata in cui ogni due o tre automezzi si inseriscono le jeep d'assalto della Polizia. Il nostro carro è l'ultimo a partire e Jiwoo si sporge fuori dal finestrino della sua macchina per lamentarsene con l'autista.

- Stateci dietro, - ordina, prima di rimettersi in moto, e quando tutti sono scesi in strada anche noi cominciamo a muoverci. Nessuno sa quanto ci impiegheremo di preciso, ma non mi aspetto di arrivare a destinazione prima di due o tre ore.

Per un po' inganniamo il tempo a suon di battute e per un po' facciamo quattro chiacchiere per conoscerci meglio, scambiandoci opinioni sugli effetti che la Sublimazione avrà sul corso degli eventi. Mi rendo conto che tutte loro sono specializzate in qualche ambito di studio e che in un modo o nell'altro hanno già ottenuto un impiego all'interno della Fazione. Maria è un ingegnere aerospaziale e Toni è una biologa; Karina va forte con l'elettronica, mentre TJ studia legge ed è intenzionata ad entrare in Polizia.

- Sapete già che cosa farete una volta raggiunta la Base militare? – domando loro. Le ragazze paiono doverci riflettere sopra, come se non si fossero ancora concesse di immaginare il proprio futuro.

- Voglio dire, gli impieghi proposti dalla Fazione sono volontari, ma so che so che siamo a corto di personale.

TJ scopre i denti in una smorfia maliziosa. C'è spazio tra un incisivo e l'altro e di tanto in tanto la vedo ficcarci dentro la punta della lingua.

- Che le piaccia o no, io farò richiesta per essere assegnata all'unità operativa di mia madre. Ho già compiuto diciotto anni e spetterà ai suoi superiori accettare o meno il mio incarico.

- Non guardarmi così, Kari, - aggiunge subito dopo.

- Siamo sul ciglio di un regime totalitarista: non me ne starò ferma a guardare mentre i nostri simili prendono il controllo del Pianeta! Avremmo dovuto combattere fin dal primo accenno di ribellione.

Per quanto minuta, Karina sa essere piuttosto tagliente.

- Siamo dei ragazzini, - sibila, - non sarà il nostro intervento a cambiare le cose.

Chissà perché sento un bisogno così insistente di correggerla.

- Anche Nicholas Reichenbach e Lilith Crowford sono dei ragazzini, - puntualizzo, - eppure guarda che cosa hanno combinato.

È arrivato il momento che qualcuno affronti questo discorso.

- Per quanto mi riguarda, TJ ha ragione. Insomma, quei due hanno convinto tutti di essere i migliori della classe, ma chi dice che persone come voi non possano essere all'altezza? Secondo la Hodgkin, i nostri nemici hanno reclutato tutti i giovani talenti su cui sono riusciti a mettere le mani, e che questo sia uno dei motivi per cui i loro piani proseguono senza ostacoli. È come se disponessero del doppio della manodopera.

Vedo Maria e TJ annuire, mentre Toni si fissa la punta delle scarpe.

- È insensato che tengano noi altri lontano dall'azione, - dice lei, ma Karina scuote forte la testa.

- Magari è quello che vogliamo.

- O magari no.

Maria raddrizza il capo per affrontarla.

- Hanno preso mio zio, - dice.

- E tutta la sua famiglia. Facevano parte del Comizio di Chicago, il giorno dell'attentato. Non abbiamo più notizie di loro dall'accaduto.

- La vendetta è qualcosa di personale, - sussurra Karina, - che non ha niente a che vedere con la rivoluzione di un intero Sistema.

- Abbiamo visto la nostra casa venire rasa al suolo; i nostri amici, le persone con cui siamo cresciuti, venire rapite o uccise davanti ai nostri occhi. E adesso siamo costretti a fuggire come bestie durante una battuta di caccia, - ringhia.

- Non voglio vendetta, ma giustizia. E se posso fare qualcosa per ottenerla, non mi tirerò indietro.

I miei occhi sono puntati oltre lo scorcio di paesaggio che si intravede dall'apertura nel vano del guidatore. Tendo il collo al massimo per sbirciare sopra la testa di Toni, e non appena si accorge di quello che sto facendo anche lei prende a scrutare verso l'esterno.

- Lo siamo già, - osservo, ma è solo un pensiero pronunciato ad alta voce.

- Siamo rimasti indietro.

La strada davanti al nostro autocarro è deserta. Non so quando è accaduto di preciso, ma le jeep della Polizia e la fila di autocarri che ci precedevano lungo il percorso si sono come volatilizzati, lasciandoci isolati in mezzo al bosco. Da questa angolazione non riesco a vedere l'asfalto, ma dal modo in cui il nostro veicolo sobbalza ad ogni curva, sembra quasi di essere finiti sopra una via sterrata.

- Il resto dei convogli era davanti a noi quando siamo partiti, - conferma Toni e le ragazze si scambiano un'occhiata di sincera confusione. TJ si sgancia la cintura di sicurezza per comunicare meglio con gli uomini incaricati del nostro spostamento, premendo il naso contro il separatorio.

- Agenti, - sbotta, - siamo sicuri che la strada sia quella giusta?

- Lo è, - dice l'autista. L'altro soldato invece rimane zitto e al suo posto. TJ deve essersi accorta di qualcosa di losco, perché il suo tono si fa più indagatorio e i suoi pugni cominciano a battere sull'abitacolo come a volerlo sfondare.

- Eravamo gli ultimi della fila, - insiste, senza ricevere alcuna risposta - dove diavolo sono tutti gli altri? E perché il monitor del veicolo è spento?

La mia mente corre molto velocemente. O tutto il resto pare svolgersi a rallentatore. La mia non è capacità di calcolo, ma l'accendersi improvviso di un barlume d'intuito. Una scintilla che suggerisca quello che sta per accadere, sussurrandomelo in un orecchio. Una pulce messa giusto in tempo.

- Hey! – urla TJ, - Stiamo parlando con voi!

- Agenti!

Agenti. Ricordo di averli visti entrambi, ieri, mentre Hartshorne ci mostrava quel filmato. Devono aver sentito saputo della richiesta nei confronti di Zelda, affinché le forze dell'ordine allentassero la presa su di me. Devono aver sentito che avremmo abbassato la guardia.

So che cosa sta per succedere, ma non c'è alcun modo di fermarlo.

L'unica cosa che posso fare è avvertire le ragazze.

- Tenetevi! – grido.

È a quel punto che il nostro autocarro sterza a tutta velocità e precipita fuori strada.

***

Sono appesa a testa in giù, con il sangue che mi gocciola da un taglio sul mento fino a coagularsi sul tettuccio capovolto dell'autocarro. Le cinture di sicurezza hanno impedito che venissi sbalzata da un lato all'altro del veicolo, ma in questo momento costituiscono l'impiccio che mi trattiene dal fare qualunque cosa che non sia boccheggiare in cerca di ossigeno. Sono a penzoloni, con le gambe piegate sul busto e la testa pesante per l'accumulo di liquidi, ma le mie braccia sono ancora libere di muoversi in varie direzioni.

Non ho tempo di fare mente locale.

Non ho tempo di riflettere. Posso solo portarle all'altezza delle clavicole nel tentativo di sganciare le cinghie che mi tengono intrappolata, ma i polpastrelli sono appiccicosi e da questa posizione non riesco a visualizzare il punto in cui la lingua di aggancio s'inserisce dentro la fibbia di chiusura della cintura.

- Sybil, - tossisce qualcuno, - stai bene?

Maria è riuscita a liberarsi prima di me, ricadendo rovinosamente verso il basso. La sento rialzarsi a fatica, dolorante ma all'apparenza illesa, mentre Karina e TJ ne sostengono il peso per aiutarla a tornare in piedi.

- Fatemi scendere, - grugnisco e la paura indefinita che ho provato finora prende le sembianze di puro e semplice istinto di sopravvivenza.

Ci hanno teso un agguato, indovino, mentre tre paia di mani si rincorrono lungo il mio corpo appeso. L'autista del nostro convoglio ci ha tradito. TJ mi sostiene all'altezza dei fianchi e Karina fa da appiglio con le sue spalle sottili. Il compito di scagionarmi da questo intreccio spetta a Toni e a Maria, costrette a saltare sulle punte per rimuovere la sicura che tiene insieme i pezzi dell'impalcatura. Quando ci riescono, succede tutto molto velocemente, in un battito di ciglia. Precipito a peso morto sopra di loro, senza neppure un secondo d'intervallo per ripararmi la faccia.

- Tiriamola su, - ansima Maria, poi si accerta che nonostante la collisione io sia ancora tutta intera. Il mio organismo è più fragile del loro, ma l'incidente è stato provocato con il solo intento di buttarci fuori percorso e lasciarci abbastanza smarrite da non sapere come reagire. Siamo miracolosamente illese e le nostre ferite appaiono del tutto superficiali, ma la sensazione che proviamo è di pericolo imminente. Non sappiamo dove siamo, né possiamo essere certe di quello che è realmente accaduto.

L'impulso di Maria è quello di scagliarsi contro la porta dell'autocarro per aprirsi una via di fuga, eppure una specie di presentimento sinistro mi costringe a fermarla prima che possa anche solo avvicinarsi alla maniglia.

- Aspetta, - sussurro a denti stretti, - non lo fare.

Non c'è niente che le ragazze desiderino più di filarsela alla svelta da questa trappola di lamiere, ma l'angoscia nella mia voce riesce a spaventarle abbastanza da allontanarle dall'uscita. Indico la minuscola finestrella incastonata tra i sedili, poi faccio cenno di rimanere in ascolto. Il loro udito è abbastanza sviluppato da poterci tornare utile.

- Riuscite a sentire qualcosa? – mormoro.

- Acqua corrente. Siamo nelle vicinanze di un fiume.

- Motori in fase di raffreddamento.

- E nessun segno di vita da parte degli agenti che ci facevano da scorta, - conferma Maria. I soldati si sono volatilizzati subito dopo lo schianto, quasi fossero saltati fuori dall'abitacolo in via del tutto intenzionale. Volevano che ci accartocciassimo contro un albero per venire messe ko, ma sospetto che questo incidente non sia stato pianificato affinché ci risultasse mortale.

TJ si fruga nelle tasche in cerca di qualcosa con cui improvvisare una strategia di difesa, chinandosi sulle ginocchia per sbirciare attraverso l'abitacolo. La vediamo ritrarsi di scatto, con i denti affondati nel labbro inferiore e la posa trattenuta.

Parla pianissimo, quasi ansimando.

- C'è qualcuno là fuori.

- Chi?

- Non lo so.

- Quanti sono?

- Non lo so.

- Tre, - deglutisce, - forse quattro. Non lo so. Sembrano dei nostri, ma sono armati.

Toni ha un brutto livido sulla tempia e ha iniziato a piangere in uno squittio abbastanza stridulo da tradire la nostra ripresa di coscienza. Karina invece è così pallida da sembrare sul punto di svenire, ma a rivivere il trauma vivido dell'attacco alla Villa siamo soprattutto io e Maria; a sentirne gli effetti sulle vecchie cicatrici, anche nei punti in cui sono guarite. Siamo tornate dentro una gabbia, ed è come se lo stress ci impedisse di elaborare un modo sensato per farla franca.

La mia mente verte in uno stato di fissità totale, mentre il cuore mi batte all'impazzata: il contrasto che generano è insostenibile.

- Perché mai avrebbero dovuto farci una cosa del genere? – singhiozza Toni.

- Cosa vogliono da noi?

Questa volta non ho bisogno di un suggerimento. La risposta la conosco a metà e non ha alcun senso elaborarla.

- Me, - scandisco, con le mani premute su un fianco.

- Stanno cercando me. Aspettano solo di vederci uscire, poi mi salteranno addosso.

Forse Zelda aveva ragione e i Novi di ambedue le Fazioni hanno avuto la conferma del mio coinvolgimento. Non c'è stata alcuna dichiarazione ufficiale su cosa abbia condotto Nicholas alla creazione di quella sonda, ma perfino un bambino si sarebbe accorto dell'interesse che la Polizia ha cominciato a nutrire nei miei confronti. Sono troppi i dettagli che mi puntano il dito contro.

Ma se la Sublimazione ha funzionato davvero, che ruolo mi è rimasto all'interno del Nuovo Ordine? Perché continuare a darmi la caccia?

Negli occhi delle ragazze si accende una strana forma di comprensione: Maria è la prima a trarre le sue conclusioni, eppure non mi chiede di spiegare.

- Se rimaniamo qui troppo a lungo, verranno a prenderci comunque. Che ci piaccia o no dobbiamo uscire.

- Se mi facessi avanti, - deglutisco, - forse...

- Nemmeno per sogno.

Lo dicono in coro, in maniera imprudente. Fuori c'è una calma surreale, mentre noi facciamo fin troppo baccano. TJ si sforza di ridurre al minimo il volume, poi calcola la rincorsa da prendere per sfondare la portiera dell'autocarro.

-  Nessuna di noi si sacrificherà. La scamperemo tutte e quattro.

- E come?

È Karina a rispondere, infilandosi le mani ingioiellate dentro le tasche del parka. Dentro deve trovarci qualcosa di importante, perché il suo viso da fata si contorce in una ferocia che mette quasi i brividi.

- Il fiume, - esala tra sé e sé, prima di rivolgermi un interrogativo serissimo.

- Sybil, sei assolutamente certa di essere il loro obiettivo?

- Non mi spareranno a meno di non esserne costretti, se è quello che intendi. Credo che per un motivo o per un altro mi preferiscano viva.

Lei annuisce, ma con scarsa convinzione. Sta scommettendo sulla nostra sopravvivenza perché l'alternativa è scommettere sul fatto che moriremo tutte e quattro, o che ci preleveranno senza lasciare alcuna traccia del proprio passaggio.

- Scardineremo la porta, - soffia.

- A quel punto tu dovrai correre più veloce della luce.

- E dove?

Dove mai potrei scappare?

- Verso il torrente, - risponde subito.

- Lascia che ti inseguano, ma metti quanta più distanza possibile tra te e loro. Dovrai attraversarne il letto e uscire dall'acqua il prima possibile. Intesi?

- È un piano suicida, - sibila Maria, - e non ha alcun senso. Forse dovremmo semplicemente aspettare che la Polizia venga in nostro soccorso.

- Qualcun altro lo ha già fatto.

Karina mi guarda dritto negli occhi, per essere sicura che abbia capito. Non ho idea di che cosa stia cercando di dirmi, ma le opzioni a nostra disposizione sono poche e il tempo che avevamo per risolvere questo rompicapo è scaduto.

- Non ti fermare, Sybil. Qualunque cosa succeda, non ti fermare.

***

Un colpo solo, ma ben assestato nel punto più distante dall'asse di rotazione della portiera. In fisica, è ciò che chiamerebbero "trovare il momento della forza", e funziona. Il pesante blocco di metallo che ci protegge dall'esterno si spalanca sotto una spallata di TJ, sfracellandosi contro l'uomo appostato sul retro del veicolo, in attesa che uscissimo allo scoperto. La collisione è violenta e TJ rotola sul terreno umido del bosco per ammortizzare la caduta.

Quando saltiamo giù dal contenitore ammaccato dell'autocarro, io e le ragazze siamo nascoste sotto l'ombra di un cappuccio e pronte a sparpagliarci in quattro angoli differenti del bosco. La speranza è che la confusione dei nostri inseguitori ci conceda qualche secondo di vantaggio, ma Maria e Karina hanno una corporatura troppo diversa dalla mia e Toni è l'unica ad essere presa di mira insieme a me.

L'aria odora di fumo ed erba bagnata e gasolio. La radura è in lieve pendenza.

Schizzo in direzione del fiume con tutta la velocità che i miei muscoli riescano a macinare, come una freccia scoccata verso l'obbiettivo. Non posso voltarmi per contare il numero di sicari da cui sto scappando, ma devono essere almeno in due. Uno di loro mi è alle costole, che corre e ansima e calpesta le foglie alla stessa rapidità con cui io faccio balenare un piede davanti all'altro nel tentativo di seminarlo. Sono sempre stata una scheggia, ma lui è un soldato; allenato all'inseguimento, più di quanto io non lo sia alla fuga.

Alle mie spalle ruggisce il suono di un nuovo motore e le grida delle mie amiche si fanno ancora più acute. Chiunque voglia catturarmi, ha mandato dei rinforzi.

- Corri, Sybil!

- Non ti fermare!

Non intendo farlo, non quando ho un uomo armato alle costole e una jeep sbucata dal nulla che mi insegue a tutta birra. Era un colpo premeditato, dunque. Alcuni degli agenti devono averci tradito. Faccio un balzo ampissimo, atterrando nell'acqua gelida che mi arriva fin sopra le ginocchia. Il fondale del torrente è abbastanza basso da essere percorso a piedi, tutto ciottoli e frammenti di rami portati via dalla corrente, ma non avrei dovuto sottovalutare la violenza con cui la natura si sta opponendo al mio passaggio. Sento le rapide schiaffeggiarmi le gambe e la melma scivolarmi sotto le suole degli stivali. Cado con le mani nell'acqua e i miei vestiti s'inzuppano dalla testa ai piedi, mandandomi una scarica di freddo lungo la schiena. Devo rialzarmi, anche se con il carico di stoffe fradice addosso comincio a sentirmi pesante.

Ma non mi posso fermare. Proprio non posso, perché il piano è uscire dal fiume prima che mi acciuffino e al momento il piano è l'unica cosa che abbiamo.

- Non ti fermare! – urla Karina e io riprendo la traversata.

Non mi prenderanno, non glielo permetterò. Devo solo raggiungere la riva, una falcata alla volta, combattendo con ogni singolo movimento del corpo portato allo stremo.

- Lasciala andare! – dice Maria ed è strano, perché nessuno mi ha ancora messo le mani addosso.

Faccio un ultimo salto e finalmente mi ritrovo fuori dal turbinio delle rapide. Poi la collisione con il mio inseguitore mi spinge abbastanza lontano da ricadere lontano dalle sponde, con le unghie affondate nella fanghiglia e un uomo che è il doppio della mia stazza avvinghiato al bordo della giacca. Me la sfilo torcendo le braccia dietro la schiena, scalciando alla cieca per levarmelo di torno, ma vengo presa per i capelli e strattonata di nuovo verso il basso. Rotoliamo sulla melma, mentre le sue mani si stringono intorno ai miei polsi e mi ricoprono di fili d'erba e frammenti di cortecce ammuffite. Riconosco l'autista assegnato alla guida del nostro autocarro e quando cerco di graffiarlo mi tira uno schiaffo in pieno viso. Due dei suoi complici hanno appena il tempo di guidare la propria jeep in mezzo all'acqua, quando Karina mette in atto la sua mossa.

Appare proprio alla periferia del mio campo visivo, dove la vedo estrarre un paio di sfere d'acciaio dalle dimensioni troppo grandi per il palmo delle sue mani: ne ruota in senso opposto le due metà, come a volerle schiudere in cerca di una sorpresa. Poi, quasi temesse che possano esploderle tra le sue dita, le lancia entrambe verso di me.

Non so cosa dovrei aspettarmi. Il tiro è impreciso e solo una delle sfere rotola oltre il limite del fiume. L'altra finisceletteralmente con un buco nell'acqua, ricadendo tra le ruote dell'autocarro venuto a prelevarmi.

Nessuno dei soldati ha il tempo di riacciuffarla.

Prima che possano anche solo provarci si scatena l'Inferno.

***

L'Inferno, sì.

L'Inferno è un posto freddo.

È stato Reichenbach a insegnarmelo, durante uno dei nostri pomeriggi di quiete passati in biblioteca. A corroborare la sua tesi, nient'altro che il poema più famoso della storia della letteratura italiana.

Trattengo l'illusione di vederlo sorridere, con il libro illustrato sotto il naso e le gambe accavallate oltre il bordo del divano. I suoi lineamenti sono rilassati e il maglione che indossa gli si arriccia intorno ai fianchi fino a farlo apparire insolitamente scompigliato.

Il Cocito, sta dicendo: un enorme lago ghiacciato, situato sul fondo della Terra, dove per volere divino Lucifero è stato scagliato; nato dalle lacrime cristallizzate del Veglio di Creta, che imprigionano il demonio nel freddo e nella solitudine riservata solo ai traditori.

Immerso nel gelo, come me.

Come tutto nei di dintorni.

Quando schiudo gli occhi è come se l'ordine stesso delle stagioni fosse stato spazzato via da un intervento sovrannaturale. L'inverno è sceso. Sulle cose. Sulle persone. Uccidendo ogni forma di vita, senza alcuna discriminazione; dalla più buona – animali e piante, colorati di bianco o con le foglie incastonate in una guaina di vetro – a quella più cattiva.

Rotolo su un fianco, poi faccio leva sui gomiti per alzare il capo verso il bosco. Il contatto diretto con la neve ha conferito alle mie dita una sfumatura bluastra e i miei capelli sono ricoperti da decine di minuscole stalattiti; dalla mia bocca si alza una condensa fitta di vapore, a riprova che sono miracolosamente viva, anche se sul punto di finire in ipotermia.

L'uomo che mi stava assalendo invece è stato ucciso da tre pallottole piantate all'altezza della gola in una mira impeccabile. Mi trascino sulle ginocchia per individuare il punto da cui sono partiti gli spari, ma devo essere rimasta svenuta per almeno un minuto, perché sul ciglio rialzato della strada sono comparse quattro volanti di soccorsi. Jiwoo è ancora con la pistola tesa davanti a sé, con le due mani strette attorno al manico e le gambe ben piantate sul ciglio di un vecchio ponte.

Striscio in mezzo alla poltiglia di neve e sangue, grugnendo per il dolore.

È questa la cosa strana, l'elemento fuori posto: nessuno dei presenti viene ad aiutarmi. Né Jiwoo, né i poliziotti arrivati sulla scena dopo aver aggirato la sponda orientale del fiume. Tutti sono come paralizzati da uno stato di incredulità e orrore che cuce i loro sguardi sullo scenario alle mie spalle.

Arrancare è difficile e il freddo mi penetra in mezzo alle viscere come una colata d'acqua gelida. Forse sarebbe meglio rimanere immobile per accertarmi di non aver rotto qualche vertebra cervicale, ma il buonsenso non è mai stata la mia dote principale. Mi risollevo a tentoni, con la schiena piegata in avanti e l'equilibrio fin troppo precario, ruotando piano la mia testa.

Ed è così la vedo.

Con la sua forma geometrica, scagliata come una piaga divina in mezzo all'erba sterminata dal cambio di stagione: si tratta di una delle sfere di metallo, dalla dimensione di una mela e con la superficie costellata da fori triangolari.

Mi chino per raccoglierla, facendomi sfuggire un sibilo di fastidio dalle labbra. È gelida, di un gelo che pare non appartiene alle unità di misura umanamente riconosciute. Non rimane attaccata alla mia pelle come farebbe qualunque altro materiale sotto gli zero gradi della scala Celsius, eppure la scotta con la stessa potenza corrosiva dell'azoto liquido.

La mia presa cede e la sfera ricade inutilizzata in mezzo a un cumulo di neve. Qualunque fosse il suo compito, il dispositivo all'interno del primo pomo deve aver fatto cilecca.

Solo che le sfere lanciate da Karina in principio erano due.

Seguo il tragitto della seconda, puntando lo sguardo verso il letto del fiume, e finalmente mi scontro con quello che tutti gli altri stavano fissando.

- O mio Dio, - balbetto.

Solo questo, e al momento non c'è altro che io sia in grado in grado di dire, fare o pensare.

Perché il corso d'acqua è scomparso, e al suo posto, come dal nulla, si è eretta un'enorme parete di ghiaccio. Le sue dimensioni sono tali da inglobare un'automobile e il colorito grigiastro pare sporcato dalla presenza di fango. Il muso dell'autocarro mandato a prelevarmi è rimasto impigliato al suo interno, e con lui il resto dei Novi che hanno partecipato all'agguato. I loro corpi se ne stanno là, come se galleggiassero, ma il passaggio di stato dovuto agli sbalzi termici deve averli deformati. Orbite e interiora sembrano essergli scoppiati e nessuno di loro è sopravvissuto all'attacco.

Sono stati congelati in un istante, come i pesci, le alghe e qualunque organismo vivente popolasse l'ecosistema del torrente: ogni cosa è morta grazie a quel piccolo globo di metallo, incastonato alla base della parete come un fossile in mezzo ad un ghiacciaio.

Sulle pendici della strada, nel punto in cui è avvenuto il primo schianto, qualcuno ha cominciato a gridare a gran voce in una lingua che non conosco. Alzo piano il capo, come se avessi paura di sentirlo cadere, ma non riesco a scorgere niente oltre la barriera naturale che si è materializzata nella radura. Credo che ad urlare sia stata Karina, perché la vedo riapparire lungo il dislivello del terreno da cui siamo precipitate. Si getta tra le braccia del fratello, completamente abbandonata al suo sostegno, ma è ai suoi genitori che si sta rivolgendo. Non li ho visti arrivare sul luogo dell'incidente, ma entrambi hanno un'aria raccapricciata per lo spettacolo di inverno e morte a cui siamo sopravvissute.

- Ci avrebbero portato via, mamma! Avremmo potuto morire!

Sono distanti, ma parlano così forte che riesco ancora a sentirle.

- Du warst est? – risponde la donna, con la mano premuta sulla bocca.

Ma non è a Karina che si sta rivolgendo.

- Du warst est, Wolfe6?

Wolfgang Lusverg. Lui non si azzarda a fiatare. È come se fosse sordo e immobile e in assoluta contemplazione, mentre sua sorella cerca di convincere tutti delle sue buone intenzioni. Perlopiù la Polizia la ignora, troppo sbalordita dalla distruzione provocata da una singola arma di cui nessuno era ancora a conoscenza.

Il Capitano Hartshorne è l'unico a trovare il coraggio di fiatare, ordinando che qualcuno dei suoi uomini venga in mio aiuto e mi risparmi lo shock termico. A guardare l'enorme lastra di ghiaccio, comunque, la sua espressione si fa ammirata.

- Professor Lusverg, - tuona: - Le ideazioni di suo figlio sono a dir poco straordinarie.

Bastano quelle parole affinché la scena del nostro incontro nella foresta faccia capolino nella mia memoria. Wolfgang deve essersi accorto della mia improvvisa epifania, perché i suoi occhi lucidi vanno alla ricerca dei miei come a volersi accertare di essere uscito allo scoperto.

Ma certo, realizzo.

La sfera era la stessa che stava costruendo il giorno in cui ci siamo stretti la mano, ma in quel momento non potevo sospettare che si trattasse di un'autentica creazione mortale.

D'un tratto, invece, tutto diventa incredibilmente chiaro.

Perfino il motivo per cui l'esercito vuole avere il controllo su di lui.

Questo è ciò che cercano.

Questo è ciò di cui Wolfgang Lusverg è capace.


Angolo dell'autrice: cari lettori, bentornati e buone feste! Lo so, ci ho messo più di quanto speravo ad aggiornare la storia, ma questo capitolo mi ha fatto penare (è anche fitto di accadimenti, direi). Inoltre mi sono trasferita e ho iniziato un nuovo lavoro, quindi ho avuto tantissimo a cui pensare. Allora, che ne pensate dei recenti sviluppi di Entropy? Sybil non ha veramente una gioia, ma nonostante le torture a cui la sottopongo è una ragazza coraggiosa. Ci sono tante cose che vorrei discutere con voi circa questo capitolo. La cosa più interessante dell'utilizzare due pov è che non tutto ciò che vede un personaggio corrisponde alla verità per l'altro protagonista, e credo che questo sia un espediente letterario molto succoso. Un altro tipo di materiale super divertente da scrivere è rappresentato dalle creazioni (assolutamente fantascientifiche) di Wolfgang: il conflitto interiore di uno scienziato al servizio della guerra mi ha sempre segnato ed è una tematica che vorrei affrontare in questo secondo libro. Lusverg vi riserverà delle sorprese, lo prometto.

Scusatemi se ci sono refusi sparsi in giro per il testo e se la forma definitiva necessita di un'ulteriore correzione. Volevo assolutamente tenervi compagnia durante questo ponte dell'Immacolata, ma revisionare 30 pagine di word è estenuante, quindi confesso di aver diviso l'ultima rilettura in tre momenti, cosa SBAGLIATISSIMA, almeno per me: puntualmente mi sfuggono ripetizioni, errori di battitura, periodi scritti male nella forma e/o nel contenuto. Però okay, devo smetterla di essere una perfezionista o non uscirò viva da questo romanzo.

Fatemi sapere che ne pensate! Commenti e voti sono sempre belli da ricevere. Quando leggo cosa scrivete di Entropy mi si scalda il cuore e non vi ringrazierò mai abbastanza. Vi lascio una breve playlist che ho ascoltato durante la stesura del capitolo, insieme alle canoniche note:

Spotify: https://open.spotify.com/playlist/10aWuRGCzNOUd8WRG1t20n?si=d3d16f03b5c64a79

Note:

1. Antistaminico di quinta generazione: spesso i farmaci che combattono il mal di auto/mare/aereo appartengono alla categoria degli antistaminici. Quelli di quinta generazione non esistono, ma questo è un romanzo di fantascienza, quindi faremo finta di sì.

2. Kajal: eyeliner usato nei paesi arabi.

3. Omnia preclara rara: "ogni cosa bella è rara"; si tratta di un detto latino con cui si voleva spiegare che la purezza di spirito è qualcosa di estremamente difficile da trovare.

4. Bastone di Asclepio: si tratta del simbolo della medicina, utilizzato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. I Novi lo hanno modificato, sostituendo al serpente una molecola di DNA.

5. "l mio compagno di grandezza": è una citazione (revisitata) del Macbeth di Shakespeare. Come sapete il personaggio di Nicholas trae enorme ispirazione dalle tragedie del nostro vecchio William. In questo caso, credo che il rapporto tra il personaggio di Macbeth e sua moglie, entrambi spietati e ambiziosi, sia perfetto per riflettere su quello di Nicholas e Lilith. Non lo negherò, dovete aver letto l'opera in questione per capire efficacemente il rimando, ma vi basti sapere che l'influenza di Lady Macbeth sul consorte era quasi quella di un'incantatrice: lei conosceva ciò che di torbido nascondeva il cuore del protagonista e non ha fatto altro che alimentarne il desiderio di potere.

6. Du warst est, Wolfe: in tedesco vuol dire "che cosa hai fatto, Wolfe"? Wolfe in Germania è un comune diminutivo di Wolfgang.

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