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1. La persistenza della memoria ad anni luce di distanza

Prima di cominciare: se il capitolo ti piace (o non ti piace) fammi sapere che ne pensi. Ricorda inoltre che per leggerlo dovrai aver completato la lettura di Entropy – Il Sistema Isolato. Questa parte della storia è ambientata Friburgo, una città interamente percorsa da minuscoli corsi d'acqua chiamati bachle .

Per ulteriori note, guarda la fine del capitolo.


1. LA PERSISTENZA DELLA MEMORIA AD ANNI LUCE DI DISTANZA

Anno luce: è un'unità di misura della distanza percorsa dalla radiazione elettromagnetica (luce) nel vuoto nell'intervallo di un anno. Esso è comunemente utilizzato in astronomia per esprimere le distanze fra gli oggetti celesti, cioè per distanze su scala interstellare.


NICHOLAS

Aprile 2023


Franz ritiene che oggi sia una giornata terrificante per dipingere.

Vibra una luce soffusa, che si rifrange mollemente sulle cose come se all'ennesima rotazione del Pianeta intorno al proprio asse, il Sole fosse sorto stanco dal principio. L'ultima volta che sono venuto qui, la mattina brillava con l'intensità accecante di un cielo terso e privo di inquinamento atmosferico, e ogni metro quadrato del piccolo cimitero sembrava quasi vivo. Al nostro arrivo, quando gliel'ho detto, Franz si è piegato sulle ginocchia e ha cominciato a ridere con le braccia strette intorno allo stomaco, attirando l'attenzione dei custodi. L'ha trovata un'osservazione terribilmente grottesca da parte mia e ci ha scovato dentro un gioco di parole a cui il sottoscritto non aveva neppure fatto caso. Di questi tempi sono fin troppe le cose che sfuggono al mio controllo, sfilandomi dalle labbra senza il minimo senso logico. È uno degli effetti collaterali della mancanza assoluta di sonno, come se i filtri neuronali che mettono in fila i miei pensieri si sovraccaricassero di sostanze di scarto e le mie cellule gliali non riuscissero a ripulirli1.

Da qualche parte, in mezzo agli alberi di castagno, Franz ha cominciato a fischiettare un motivetto inventato. In un posto come questo - in un'occasione come questa - il suo buonumore finisce quasi per diventare impertinente e per un po' soppeso l'idea di ringhiargli contro per invitarlo al raccoglimento: quando ti vedono sorridere tra file ordinate di tombe e croci ricoperte di muschio, qualcosa negli schemi relazionali degli esseri umani si inceppa. L'omologia che assetta i nostri sentimenti in funzione delle circostanze è troppo rassicurante perché qualunque deviazione dalla norma non abbia il potere di spiazzarci. È la biochimica delle nostre emozioni, il segreto delle neuroscienze affettive.

Ma del resto, Franz è convinto che la quasi totalità delle persone siano insopportabilmente noiose, come copie mal riuscite dello stesso dipinto; e questo, in un certo senso, lo rende immune da qualunque forma di giudizio.

Lo vedo avanzare in mezzo alle lapidi con le scarpe di pelle inzuppate dalla rugiada e faccio l'appunto mentale di rimproverarlo per come si è vestito. Gli avevo elencato tasso di umidità, gradi centigradi e probabilità di pioggia poco prima di uscire. Lo faccio sempre.

Sono abbastanza certo che Franz si stia domandando quanto tempo debba ancora lasciarmi prima di raggiungermi davanti alla tomba di mio padre. Continua a orbitarmi intorno, come quando si mette in testa l'intenzione di dipingermi. È uno dei giochi che facciamo più spesso nelle occasioni in cui si annoia e vuole attirare la mia attenzione: io gli domando a che quadro stia pensando – già dipinto da qualcun altro o immaginato da lui stesso in quel preciso istante – e Franz me lo descrive. Lo abbiamo inventato da bambini, durante uno dei tanti viaggi interminabili in cui l'unico spazio in valigia era per i miei appunti e la Fazione non tollerava di vedermi con un giocattolo in mano.

- Chol, - chiama Franz, ma c'è ancora troppa disorganizzazione nella mia testa per interagire con l'esterno e dargli una risposta. Rimango immobile nello stesso punto, immaginando trame invisibili agli occhi di tutti gli altri: una retta che passa al centro esatto della lapide; la traiettoria ellittica tracciata da Franz, come quella di un elettrone intorno a un nucleo di cariche positive2; i volumi che appianerebbero tutti i dislivelli del terreno dissestato dagli acquazzoni e dalla neve sciolta. Ognuno anestetizza la propria mente con le giuste fantasie: quelle dell'ordine geometrico delle cose sono le mie.

- Avevo precisamente richiesto che venisse piantata della Calluna vulgaris, - mormoro alla fine.

Sono le prime parole che pronuncio da un'ora a questa parte.

- Ma naturalmente il giardiniere ha pensato che l'Erica fosse la stessa cosa.

Sono passati otto mesi dall'ultima volta che sono stato qui e Franz si aspettava che dicessi qualcosa di molto diverso. Una preghiera, o un messaggio di cordoglio sussurrato agli alberi che ci separano dal resto del parco; un'esclamazione di nostalgia, perfino. Perché è troppo raro che io non abbia niente di meglio da dire per sprecare fiato.

- La tassonomia3 delle Ericacee comprende tremilatrecento specie, - aggiungo: - forse avrei dovuto specificare.

Mantengo la stessa posizione, senza avvicinarmi di un solo centimetro. Osservo la pietra incisa da una certa distanza, con le mani inguantate che si intrecciano dietro la schiena e la compostezza così innaturale che di tanto in tanto qualche merlo mi svolazza sopra la spalla. Ogni volta che penso a mio padre, c'è sempre un elemento recidivante di irrazionalità da cui non riesco proprio a rinsavire. Continuo ad aspettarmi che spunti fuori dalla terra o che si materializzi dietro di me per darmi una pacca di conforto; che si apra uno squarcio tra i Mondi ultraterreni in cui lui - a differenza mia - credeva tanto, così da poterci scambiare un ultimo saluto. Ma non succede mai, ed è la cosa peggiore e allo stesso tempo più confortante dell'idea della morte: perché è definitiva, irreversibile e prevedibile con esattezza matematica. L'entropia fa il suo corso, disgregando la materia organica del nostro corpo come previsto dall'Universo e la vita semplicemente scompare. Se fosse altrimenti, non riuscirei a sopportarlo.

Ma se fosse altrimenti, lui sarebbe di nuovo qui, con il suo bastone da passeggio che portava solo per farci divertire e i suoi vestiti spiegazzati e l'entusiasmo inestinguibile.

Riafferro l'esatta posizione di Franz prima ancora di vederlo sbucare da dietro un tronco scurito dall'acqua. Tira su con il naso, raffreddato per la solita incoscienza con cui ha sottostimato gli sbalzi termici della primavera, ed è quello il primo segnale d'allarme che scelgo di ignorare: i Novi non prendono l'influenza; i Novi in genere si ammalano solo di rado e reagiscono alle patologie dei Sapiens tramite delle difese immunitarie impeccabilmente selezionate. Se Franz mangiasse come si deve, non avrebbe di questi problemi.

Allunga le braccia nella mia direzione, facendo cenno di avvicinarmi, ma io scuoto la testa per convincerlo a proseguire. Lo sento borbottare tra sé e sé, intenzionato a non arrendersi. Quando è in Germania, Franz viene a trovare la tomba di mio padre una volta al mese, a costo di rinunciare al più importante dei suoi impegni. Compie la stessa azione tutte le volte, come una specie di rito personale: ci lascia sopra un disegno ripiegato all'interno di una busta, raccogliendo i rimasugli imbrattati di quello precedente, poi pulisce la superficie della lapide con i polpastrelli intirizziti dal freddo, scansando la brina dalle incisioni come se stesse stringendo tra le dita i suoi pennelli da restauro. Ha dimenticato i guanti, realizzo. Il suo circolo sottocutaneo è in vasospasmo4. Faccio un altro appunto. Non sa nemmeno prendersi cura di sé stesso.

- Essere liberi è nulla, - legge ad alta voce, - diventarlo è cosa celeste.

Franz indugia con il palmo della mano sulla data di morte di mio padre, come a volerla nascondere.

- Ce lo diceva sempre, da bambini. Che la cosa più importante è il percorso da compiere prima di arrivare al risultato.

- È una citazione di Johann Gottlieb Fichte, - dico, ma produrre il benché minimo suono mi provoca una fitta così fastidiosa alla gola da impedirmi di deglutire.

- Il filosofo. Lo diceva nella sua "Dottrina della Scienza", che il sapere è lo sforzo infinito di spostare il limite tra ciò che conosciamo e ciò che ancora è da scoprire, perché è in esso che prendiamo atto della nostra liberta.

Franz si volta di scatto, ancora inginocchiato. I suoi occhi di mille sfumature diverse diventano lucidi e il mento gli trema. La mia risposta era corretta e non ho potuto fare a meno di pronunciarla ad alta voce, ma era anche la spiegazione più insensibile da rifilargli nello stato in cui si trova.

- Non mi importa un accidente di quello che intendeva Fichte, Nicholas.

Ci guardiamo a lungo, con rabbia e tristezza e tanto di quello affetto che doverlo gestire richiede una spesa infinita di energie.

- Lo so, - soffio.

- Perdonami.

Franz diventa a dir poco categorico: - Vieni qui, - inspira, - di fianco a me.

- No.

- Chol, - mi supplica e io gliela do vinta, come tutte le altre volte. Non mi inginocchio davanti agli arbusti in fiore che crescono sopra la bara, ma per la prima volta da quando sono arrivato a Friburgo mi concedo di far entrare qualcosa oltre lo strato spesso di indifferenza che ho meticolosamente ricostruito sotto la mia pelle. Socchiudo la porta dietro cui ho segregato il ricordo di mio padre e per un po' ci spio attraverso. Lascio che Franz gli racconti quello che abbiamo fatto nelle ultime settimane; dei musei che abbiamo visitato e degli studi che sto portando avanti grazie alla Fazione. Del fatto che siamo tornati qui per passarlo a trovare e comprare un gelato italiano nella piazza del Duomo deserta della città. Rimaniamo nella stessa posizione così a lungo che il freddo ci penetra nei vestiti, irrigidendoci le articolazioni, ma per qualche ragione il mio buon senso non trova il coraggio di interrompere questo momento. Domani saremo a Berlino e ci rimarremo chissà quanto e una parte di me non vuole provare niente che non sia un autentico appiattimento affettivo5; l'altra, invece, non sopporta l'idea di andare via.

Franz si asciuga gli occhi con la manica del cappotto, ridacchiando tra le lacrime.

- So che detesti sentirmelo dire, - ingoia, - ma mi manca così tanto che delle volte mi sembra quasi di sentirlo parlare. Come un bisbiglio nell'orecchio, o una voce dall'altra parte della stanza. Ti ricordi quando ci chiamava dalle rive del Seepark, perché si stava facendo tardi e dovevamo tornare a casa, e io e te continuavamo a tuffarci dal ponte di legno, urlando a perdifiato?

Lo guardo dall'alto in basso, mentre se ne sta raggomitolato su sé stesso.

- Forse sono davvero pazzo come dite tutti, - ironizza.

La mia mente torna a scomporre la realtà in tante mansioni diverse. Faccio una stima dei capelli sulla testa di Franz – che sono circa centoquarantamila – poi ci passo una mano attraverso; calcolo la distanza che ci separa dalla Capitale e preparo un calendario d'impegni per i prossimi giorni; contemporaneamente, mi sforzo di leggere la reazione del mio sistema nervoso alle sue parole. Perché è il metodo più immediato con cui interpretare i miei stati d'animo: registrare le funzioni vegetative che modificano il ritmo del mio sistema di conduzione6 e la mia frequenza respiratoria.

- Non è così, - sussurro.

Pettino le ciocce castane di Franz lontano dalla fronte e comincio a domandarmi come abbiano fatto a crescere così rapidamente senza che nemmeno me ne accorgessi.

- Non credi che io sia pazzo?

- Non detesto sentirtelo dire, - preciso e sa benissimo che non potrei mentirgli. È stata una realizzazione piuttosto fastidiosa, quella che esistesse qualcuno capace di studiarmi con l'accuratezza di una radiazione elettromagnetica7. C'è stato un tempo, subito dopo la malattia di mio padre, in cui il lutto di Franz mi avvelenava il sangue come arsenico; perché era lo stesso che provavo io e non tolleravo la possibilità che qualcuno a parte me lo riconoscesse sul mio viso. Poi, però, le cose sono cambiate.

- Quello che non sopporto è il fatto che oltre a me lo abbia perso anche tu, - ammetto e tutti i recettori dolorifici del mio corpo cominciano a bruciare fino alla tortura. Distolgo lo sguardo, tenendo il capo dritto. Faccio finta che il mio interesse sia rivolto altrove.

- L'incapacità di compiangere, - dice Franz, rialzandosi con le ginocchia che scricchiolano. Si spazza i vestiti dalla polvere e dalle foglie marce, abbozzando un sorriso da bambino.

- È il titolo del dipinto che ho immaginato mentre passeggiavo in mezzo alle croci. Potrei realizzarne uno schizzo prima di andare a dormire, non credi? Forse sì, molto probabilmente no.

Non mi sforzo nemmeno di trattenere un sospiro di sfinimento.

- Se vogliamo passare in città, dobbiamo darci una mossa. Sobràl è puntuale come un orologio svizzero e ha ricevuto ordini di riportarci a Berlino entro domani mattina.

Franz si tocca le labbra con due dita, poi sfiora pensosamente il nome sulla lapide.

Ephraim Reichenbach.

Vati8. Papà.

- Trovo che quell'uomo sia piuttosto spaventoso, - osserva Franz, infilando il braccio sotto il mio per riprendere a camminare. Lungo la via del ritorno riesco a sentire i brividi che gli corrono lungo la schiena a ogni fischio di vento proveniente dal bosco. Come alcuni tra i più famosi villaggi della Germania, Friburgo è avvolta da una distesa così fitta di alberi che sotto le loro fronde, se la nebbia è alta, il buio diventa quello di una notte poco illuminata.

È la Schwarzwald, meglio conosciuta come Foresta Nera.

Ci abbiamo trascorso così tanto del nostro tempo, da bambini, a studiare piante e animali e materie prime, che in più di un'occasione ci è venuta la malsana idea di addentrarci da soli al suo interno.

- Saranno passati due anni dall'ultima volta che ho messo piede alla Schlossbergturm9, - dice Franz.

- Credi che ritroveremmo la strada al primo tentativo?

- Io di sicuro, - sibilo, ma non ne sono troppo convinto. La Foresta si estende per un'area di seimila chilometri quadrati, come un labirinto sconfinato o una dimensione parallela, separata da tutto il resto: è curiosamente facile entrarci, ma altrettanto impegnativo raggiungere la via d'uscita.

Abbiamo quasi raggiunto le recinsioni sul perimetro del parco, quando una voce mi soffia dietro l'orecchio, paralizzandomi sul posto.

- "Celata dalle espressioni di rassegnazione e dalle parole gioviali, ho intravisto la tristezza dell'uomo", - recita una ragazza ed è come se un attacco di vertigine avesse mandato in frantumi il mio apparato propriocettivo10. Ruoto su me stesso, con la sensazione che il mio baricentro venga precipitato nel vuoto e dietro di noi compare lei.

Lei che infesta ogni mia azione e ogni mio pensiero di senso compiuto; che non mi lascia dormire, né rimanere sveglio per fare i conti con la sua assenza. Vorrei non doverla mai più guardare in vita mia e allo stesso tempo cucire il mio sguardo sul suo viso per non rischiare di perderlo di nuovo.

- È quello che dicevano di Alfred Sisley11, - sorride Franz: - l'unico artista che avrebbe potuto realizzare un capolavoro sotto una luce disgustosa come questa.

Assisto alla scena come fossi in uno stato ipnagogico12: Franz la stringe a sé, inspirando il profumo dei suoi lunghi capelli e del basco di feltro azzurro che impedisce alla brezza di scompigliarli; lei invece si sfila di dosso un foulard e glielo infiocchetta intorno al collo con la scusa di abbracciarlo.

- Tremi come un uccellino, - dice, con una voce troppo delicata per appartenerle.

Franz le scocca un bacio sulla guancia: - Siamo a metà aprile! - si lamenta.

- E io gradirei comunque una cioccolata calda, se qualcuno avesse voglia di accompagnarmi.

- Tutto quello che vuole e quando lo vuole lei, signorina Crowford. Siamo diretti al centro della città in ogni caso, giusto Chol? Voglio mostrarle la Cattedrale e farle una foto nelle bachle12. Mi sembra il minimo!

- Potremmo pranzare al Mercato coperto prima di tornare a Gerberau, - propone, - che ne dite? Magari c'è ancora qualche Sapiens in giro.

La ragazza annuisce con un entusiasmo accuratamente controllato.

- Mi sembra splendido, - risponde e la punta delle mie dita pizzica dal desiderio di sfiorarle una guancia. Proprio là, nel punto in cui un minuscolo neo sembra essere sparito. Ho perso il conto dei baci che ci avevo appoggiato sopra. Decine. Centinaia. Non abbastanza.

- Che mi venga un colpo, Chol, non startene lì impalato!

Franz mi scuote per una spalla, sgranando gli occhi come se non riuscisse a capacitarsi della mia reazione.

- Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma, - ride.

- Franz, - dice Lilith Crowford, - non essere cattivo con lui.

- Sperava nella gemella sbagliata.

***

Friburgo è una città vuota, come la maggior parte delle altre da quando la Fazione ha annunciato l'Apertura del nuovo Sistema. I Sapiens sono ovunque, eppure escono di mal grado, quasi starsene richiusi dietro strati di cemento armato li aiutasse a digerire la verità sconvolgente che gli abbiamo rivelato. Di tanto in tanto, dei bambini escono a rincorrersi lungo i canali che irrorano Friburgo come un sistema cardiocircolatorio di limpide arterie e i loro genitori restano a guardarli dagli scorci squadrati delle finestre. Gli universitari sembrano essersi estinti e la gente parla sottovoce; non c'è musica nei cortili, i tram scivolano lungo le rotaie senza nessun passeggero a bordo e non c'è traccia delle biciclette che erano solite infestare le strade. Neppure durante la Rottura Friburgo aveva assunto un'aurea così spettrale.

- Gerberau, - spiega Franz, improvvisatosi nostro Cicerone: - il quartiere più famoso della città.

Ero così assorto a contare le serrande abbassate dei negozi che quasi non mi ero accorto di dove fossimo diretti, eppure questa parte della città la riconoscerei tra milioni. Sebbene Lilith si dimostri una turista estremamente posata, tutto ciò che è nuovo ha una presa immediata su di lei e finisce sempre per interessarla. Di tanto in tanto mi concedo di abbassare la guardia e lanciarle un'occhiata fugace: la vedo intrecciare le dita a quelle di Franz, per restargli accanto ovunque decida di trascinarla, e allargare la rima delle palpebre come se il diaframma castano delle proprie iridi potesse scattare una fotografia dei dintorni. Il sovrapporsi delle loro sagome all'interno del mio campo visivo mi distrae, impedendo di orientarmi.

Sono nato e cresciuto in questo posto, ma la sensazione che mi assale nel vederli interagire è quella di non sapere dove metterei i piedi.

- Non ho mai visto niente del genere, - sorride Lilith, allungando il collo per vedere meglio.

- È bellissimo, come uno dei tuoi acquerelli.

- Non sei mai stata in Italia, - mi intrometto io, raddrizzando la schiena per sembrare più alto. Lilith si sporge oltre il bordo del canale, ma piega il capo nella mia direzione come a voler decifrare la nota di polemica nelle mie parole. Le pieghe della sua gonna si gonfiano e si sgonfiano quando il vento ci soffia attraverso e i lacci dei suoi stivaletti scalpicciano contro le caviglie. Intorno alla sua massa di materia c'è una fluidità che la sorella non ha mai avuto, come un'atmosfera personale che le aleggia intorno per effetto di una forza centripeta. Sybil era una miccia accesa, che tenevo sul palmo di una mano con il brio dell'incertezza; Lilith invece è una fiamma stabile a cui non ho nemmeno il coraggio di avvicinare un dito. Emana luce e calore in maniera costante, ma conserva la promessa di bruciare.

- In realtà sì, - mi corregge, con le labbra a disegnare una curva perfetta e io sento il sangue affluire sulle guance fino a scottare. Ridicolo.

- Una volta, poco prima che la mia bisnonna morisse di vecchiaia, andammo tutti a trovarla.

- Non lo sapevi? – domanda, aggrottando appena la fronte per fingersi colta alla sprovvista. L'implicazione nelle sue parole è solo l'ennesima stoccata all'interno della nostra sfida personale: Sybil non te l'ha detto?

Il rumore dell'acqua che scorre rapida verso il fiume non è sufficiente a contenere gli sghignazzi di Franz. - La senti questa scarica di endorfina?14 – esclama, avvolgendo le braccia intorno alle spalle di Lilith.

- È l'effetto che si prova nel contraddire Nicholas Reichenbach.

Lilith si limita a sfoggiare un'espressione soddisfatta, ma senza mai risultare malevola. Franz ha passato con lei molto più tempo di quanto non abbia fatto io, quando ero ancora in Minnesota e costretto a mantenere la mia copertura, ma è bastato poco perché tutti i nostri alleati finissero per affezionarsi all'ultima arrivata. Lilith è gentile in un modo che rende universalmente accettata la sua determinazione, là dove la mia, al contrario, è considerata insopportabile; è bella e talentuosa e così brillante che neppure la mia scoperta sul genoma dei Sapiens è bastata a levarle i riflettori dei nostri superiori di dosso. La mia pari, è così che la definisce Franz. E questo titolo pare divertirlo come nessun'altro.

- Klein Venedig, - prosegue, ammiccando allo scenario del quartiere, - la piccola Venezia: è stata soprannominata in questo modo perché qui lavoravano tutti gli artigiani della città. In questo punto le bachle sono più grandi che nel resto di Friburgo. Dopotutto i conciatori avevano bisogno dell'acqua del fiume Dreisam per lavorare.

Lilith torna a studiare l'architettura incantata della via, con l'edera che ricopre gli edifici e i fiori appesi ai balconi e i colori pastello dell'intonaco: - Non credevo ci fossero coccodrilli in Germania, - dice alla fine e senza volerlo i miei muscoli mimici giocano un brutto tiro, costringendomi a sorridere. Indico il centro esatto del canale, dove la testa di un alligatore spunta minacciosa dalla superficie dell'acqua.

- È una statua di bronzo, - spiega Franz: - c'è stata messa da uno studente di storia dell'arte. Non io, se te lo stai chiedendo.

Il suono di un campanello ci fa quasi sobbalzare. Alle nostre spalle, un uomo in bicicletta sfreccia sulle pietre ottagonali del terreno, scoccandoci uno sguardo diffidente. Potersi muovere liberamente e non doversi nascondere agli occhi dei Sapiens è ancora spiazzante per i miei simili: ci fa sentire potenti, ma quasi impacciati sulle nostre stesse gambe, come bambini in età di apprendimento. Solo Lilith sembra perfettamente a proprio agio, come se il Mondo intero le appartenesse da una vita.

- Deve essere stato meraviglioso crescere in un posto come questo, - riprende, poi lascia che Franz ci guidi lungo una via parallela, più raccolta e immersa nel verde rispetto alla precedente. Nessuno fa più riferimento a Sybil Crowford dopo l'ennesima delle mie reazioni incaute, ma per quel genere di vessazione, del resto, c'è la Fazione. L'unica ragione per cui non mi considerano un traditore e non mi sbattono in prigione è perché sono il loro eroe: ho trovato la chiave della nostra specie, certo, ma ne ho consegnato lo stampo nelle mani dei nemici che ci oppongono resistenza. Per pietà, dicono alcuni. O per qualcos'altro di innominabile che non ho il coraggio di chiamare con il proprio nome. Franz lo sa, Lilith lo sospetta. Per tutti gli altri, sono solo un adolescente vigliacco e troppo compassionevole.

Puoi migliorare, Reichenbach. Puoi fare di più, Reichenbach.

Ti è stato concesso di sbagliare così da non ripetere lo stesso errore in futuro, Reichenbach.

Inalo abbastanza ossigeno da farmi girare la testa, pinzandomi l'attaccatura del naso.

Il perdono del Consiglio è arrivato troppo presto perché io riesca a fidarmene ciecamente. Quello che ho fatto – portare in salvo gli studenti della Villa e permettere al nostro obiettivo di scappare – è stato a dir poco imperdonabile. Ha messo a repentaglio la riuscita del piano a cui abbiamo lavorato giorno dopo giorno, da anni a questa parte. E allora perché non sono ancora stato punito?

- Casa dolce casa! - esclama Franz, spalancando le braccia con la testa reclinata all'indietro. Mi impongo di rimanere concentrato e accelero l'andatura per stargli al passo. In breve tempo raggiungiamo una piccola abitazione costruita secondo lo stile tipico della Foresta Nera, con il tetto spiovente per scaricare la neve e gli infissi di legno di due colori.

- Questa? – domanda Lilith, sbattendo piano le ciglia. Cerca la mia conferma da sopra una spalla, ma la sua incredulità non mi stupisce. La famiglia Crowford non ha mai avuto grosse possibilità di viaggiare e gli unici Novi che Lilith conosce li ha incontrati negli Istituti in cui la Fazione l'ha tenuta nascosta. Forse si aspettava che vivessimo tutti nello stesso posto.

- Nel bel mezzo di un centro storico, - mormora, - lontano da qualunque laboratorio?

L'occasione di scimmiottarla capita troppo di rado perché uno come me se la lasci scappare.

- È qui che ti sbagli, - dico, inarcando un sopracciglio: - il laboratorio c'è eccome.

Lilith fa sporgere leggermente la bocca.

- Vedere per credere, - ribatte e non v'è alcun dubbio che la sua attitudine sia quella di una scienziata.

Io e Franz ci scambiamo una smorfia complice di intesa, senza fornire a Lilith ulteriori spiegazioni. Mi frugo nel taschino della giacca, afferrando l'anello di una chiave, poi calcolo la traiettoria del mio lancio e lascio che schizzi verso l'alto come previsto.

- A te l'onore, Kopplen. Wir gehen nach Hause15.

Franz la afferra al volo: è così eccitato al pensiero di poter rivedere l'edificio in cui ha trascorso la sua infanzia che scavalca il cancello verniciato di bianco in un unico salto. Si precipita verso l'ingresso prima ancora che abbia il tempo di ammonirlo, ma Lilith è abbastanza educata da rimanere indietro ad attendere il mio arrivo. Si arresta sul ciglio del cortile, aspettando che la raggiunga e per un breve istante il dorso scoperto della sua mano sfiora il mio. C'è la distanza di un guanto a separarci, ma è come se una pioggia torrenziale di potenziali d'azione scaricasse lungo le mie fibre nervose dopo essere stato colpito in pieno da un fulmine. Sento le mie falangi contrarsi in preda ad un crampo e il peso del corpo spostarsi lontano dal suo. Lilith se ne accorge e per qualche istante credo che sia sul punto di affrontare il dilemma che ristagna nella mia coscienza da settimane: perché continuo a respingerla? Sono stato io il primo dei suoi simili a recarsi da lei. Sono stato io quello che ha violato la legge della nostra Specie per andare a cercarla e che fin dall'inizio ha lavorato ininterrottamente per tenersela stretta. Ho costruito il mio futuro a immagine e somiglianza di Lilith Crowford, ma adesso che è al mio fianco non riesco nemmeno a tollerarne la vista.

- Non può essere semplice, - dice invece, adeguando il suo passo leggero al mio. Lo scalpiccio delle nostre scarpe sopra la breccia del vialetto è l'unico suono distinto dallo scorrere dell'acqua.

- Tornare qui? – mormoro, schiarendomi la gola.

Prima o poi dovrò lasciare che Lilith entri nelle mie confidenze, come è riuscita a fare con tutti gli altri. Ho bisogno di lei e in ogni caso la Fazione ci vuole sulla stessa identica lunghezza d'onda: le nostre menti, i nostri ideali e le nostre risorse gli servono perfettamente uniti, come quelli di un unico scienziato. È lei che posso avere, nessun'altro.

Ci avviamo verso la porta principale della vecchia casa in un silenzio quasi religioso. Prima di attraversarne la soglia, però, Lilith mi si piazza di fronte, guardandomi dritto negli occhi: è come se osservasse attraverso la lente di un microscopio e cercasse qualcosa di vivo sul fondo di un contenitore vuoto.

- Chiudere con il passato, - spiega.

- Non può essere semplice. Ma io e te siamo i migliori per un motivo, Nicholas. Nessuno si aspetta qualcosa di semplice da persone come noi.

***

Franz se ne sta dritto al centro del soggiorno, come l'ho visto migliaia di volte da bambino, quando aveva qualche decina di centimetri in meno e nessuna sigaretta appesa alle labbra. Ha l'aria confusa di qualcuno che ha smarrito la strada ed è finito in un posto che ha solo i contorni di quello che era un tempo.

- È come se qualcuno ci avesse dipinto sopra, - borbotta, spostando lo sguardo sopra i teli di cotone che ricoprono i mobili. Avrei potuto tenere lontana la polvere con i migliori materiali sintetizzati dai Novi negli ultimi anni, ma non potevo correre il rischio qualche Sapiens si introducesse in casa e se ne domandasse la provenienza.

- Sembra tutto più –

- Più piccolo, - lo precedo, - e vecchio.

- Diverso dall'originale.

Franz spalanca tutte le finestre con la scusa di voler scacciare l'odore di chiuso che aleggia nella stanza. La verità è che l'unica cosa capace di tenere sotto controllo la sua nostalgia alla vista delle nostre vecchie cose è la nicotina.

- Non lasciare cenere in giro, - sibilo e lui mi rifila un signorsì signore esageratamente plateale.

A guardarla adesso, la casa appare per quella che è sempre stata: una villetta dalle dimensioni contenute, con spazio a sufficienza per un massimo di quattro persone. C'è un primo piano occupato da cucina, bagno, un minuscolo soggiorno in cui consumavamo i pasti e un salotto dalle pareti tappezzate di libri. Le camere da letto sono tutte posizionate al secondo piano, dove poco prima di ammalarsi mio padre aveva fatto spostare un letto per Franz. La mia stanza ci sembrava già stretta all'epoca; figuriamoci adesso, dopo anni di viaggi intercontinentali spesi nelle migliori camere d'albergo della Fazione e negli Istituti di ricerca messi a disposizione per i giovani studenti.

Sento la presenza leggera di Lilith alle mie spalle, fino a raggiungere il vecchio orologio a cucù appeso sopra il caminetto. Ne ammira i particolari perfettamente intagliati e le lancette ferme alle nove meno un quarto di sera, perché deve aver letto da qualche parte che tutte le famiglie della Foresta Nera ne hanno uno.

- Sembra la casa di un Sapiens qualunque, - osserva e quasi mi sento in colpa dell'imbarazzo con cui finisco per confermarglielo. Effettuo un controllo rapido di tutte le stanze, per assicurarmi che ogni cosa sia ancora al proprio posto e nel frattempo alzo il volume della voce per farmi sentire da un punto all'altro della casa.

- Mio padre preferiva che mantenessimo la nostra copertura, - le spiego. Non ho mai amato questo edificio nel modo in cui amo Friburgo, ma l'assenza di soprammobili e cornici alle pareti mi fa venire il mal di testa. È come ritrovarsi in mezzo al mare, senza il punto di riferimento dell'orizzonte a segnalare al cervello la mia posizione.

- Voleva che ci fosse un posto per noi indipendentemente dalle scelte che avremmo preso da adulti.

Quando lo dico, Franz smette di girovagare senza sosta e si fa scurissimo in viso. Aspira una lunga boccata di fumo, poi sguscia fuori dalla cucina e schizza al piano di sopra come una freccia, senza aspettare di esser eseguito. Scommetto che abbiamo pensato la stessa cosa: l'unica persona sulla faccia della Terra disposta ad accettare una Sapiens al mio fianco, era mio padre. Ne sarebbe stato fiero, perfino, per il semplice fatto di sapermi felice. Lui avrebbe amato Syb –

- Mi aspettavo di trovarla in condizioni peggiori, - ammette Lilith e ormai ho perso il conto delle volte che è riuscita a cogliermi alla sprovvista. La vedo passare le dita sulle poche superfici sprovviste di coperte e ficcarsela sotto gli occhi in cerca dello sporco.

- Nel corso degli anni ho sempre mandato qualcuno a pulire i primi due piani, - ingoio e lei piega la testa da una parte come se l'avessi incuriosita. Si slaccia i primi due bottoni del cappotto, poi comincia a trotterellarmi dietro con sincero interesse.

- Una mossa rischiosa, - commenta: - l'arredamento sarà pure diverso da quello di un'agenzia spaziale, ma che mi dici delle vostre abitudini? Dubito che abbiate vissuto da persone comuni per tutto questo tempo.

La ragazza è fin troppo perspicace.

- Mio padre riteneva che fuori da qui avremmo avuto accesso alle migliori tecnologie del Pianeta e che a Friburgo non ci sarebbero servite. Gli unici strumenti di ricerca si trovano sotto il livello del terreno, ma dubito che qualcun altro a parte me riesca ad accedere al seminterrato senza far scattare l'allarme. Per il resto, questa casa sembra una delle tante qui in città.

Senza sfarzi, né oggetti di design da migliaia di dollari. Un posto semplice a cui né io né Franz siamo più abituati da anni. Ci dev'essere stato un momento, dopo la nostra separazione, in cui questo edificio ha smesso di appartenermi ed è diventato quello di un Nicholas Reichenbach ormai perduto.

- Parli come se a tuo nome non ci fossero almeno otto proprietà da milionario sparse nelle capitali più avanzate del Mondo, - sbuffa Franz, saltando di nuovo giù dalle scale. Quando mi passa vicino gli tiro un pizzicotto nelle costole che lo fa quasi urlare.

Lilith continua la nostra conversazione quasi sovrappensiero.

- Questa è casa tua, - decide: - tutte le altre invece no.

La sua è una deduzione apparentemente impeccabile, ma non ho bisogno di rifletterci sopra per confutarla. Lo era, forse; adesso non più.

- Sono cambiate troppe cose, - rido amaramente e Franz si gratta la tempia per nascondere la tristezza. Per lui queste quattro mura erano quelle di un castello delle favole.

Lo sguardo di Lilith è attento e preciso: sfila sui divani, sui tavoli di noce e sulle sagome che un tempo racchiudevano i nostri quadri, mentre il mio non si sofferma mai abbastanza a lungo da razionalizzare il tempo che è passato dall'ultima volta che ho vissuto in questo posto. Interrompe la sua analisi dettagliata della stanza solo per rivolgere un sorriso di conforto a Franz.

- La luce viaggia a una velocità di trecentomila chilometri al secondo, - gli dice, - trasportando l'immagine di quello che vediamo nello spazio e nel tempo. Solo che lo fa con il ritardo che serve ai fotoni per coprire le distanze tra i corpi celesti.

Franz si ritrova a pendere dalle sue labbra.

- Questo significa che a cinque anni luce da qui ci sono infiniti punti nell'Universo in cui, se guardassi verso la Terra, vedresti questo posto per come l'hai sempre conosciuto. Vedresti casa tua, nell'esatto modo in cui esisteva in passato.

Io rimango a corto di parole, invaso da un senso inspiegabile di fastidio. Gli anni luce non sono una misura del tempo e il passato è passato. È stata Lilith a chiedermi di chiudere con esso, dopotutto. C'è qualcosa, però, che mi impedisce di contraddirla con la peggiore delle mie risposte stizzite: perché la definizione di Lilith, almeno secondo i principi dell'astrofisica, è esatta. E ad ogni modo Franz le sta sorridendo, curioso come non l'ho mai visto durante una lezione di astronomia.

- Dici sul serio? – domanda.

- C'è un luogo nello Spazio in cui tutto è ancora com'era prima?

Io e Lilith rispondiamo all'unisono: - Sì.

A settantotto giorni, nove minuti e quaranta secondi luce da qui, sto ancora compiendo la scelta più folle che abbia mai preso in vita mia. E a settantotto giorni, nove minuti e quarantuno secondi luce da qui, io e Sybil Crowford ci stiamo dicendo addio. Anche se qualche centinaio di migliaio di chilometri più in là, nelle profondità del Cosmo, siamo ancora insieme. Dentro e fuori dalla mia memoria.

Franz mi tira la manica del cappotto, costringendomi a rimanere focalizzato sul presente. È di nuovo contento, come se l'aver scoperto il funzionamento delle onde luminose lo facesse sentire rincuorato.

- Guarda cosa ho trovato in camera nostra, - cantilena, sventolandomi un piccolo oggetto di legno davanti alla faccia. Glielo prendo dalle mani con una cura del tutto opposta alla sua costante disattenzione.

- Questo maledetto affare, - sospiro, accarezzandone i particolari dipinti.

Si tratta di una barchetta in miniatura, come se ne vendono ovunque qui a Friburgo, solo che questa porta il mio nome tracciato sopra in linee di tempera dorata. A guardarla da vicino, se ne notano tutte le migliorie che ho apportato da bambino per renderla capace di risalire la corrente delle bachle e le decorazioni attraverso cui Franz l'ha trasformata in un'opera d'arte. Attaccato alla prua c'è ancora il filo di spago con cui la trascinavamo in mezzo all'acqua.

- Era la più veloce della città, - sussurro ed è strano che qualcosa di così inutile contenga la storia di un'intera infanzia. Franz impiega poco prima di disinteressarsene e tornare a fare il ruffiano attorno a Lilith.

- Sarai la prima persona esterna alla nostra famiglia a mettere piede nello studio di Ephraim, - le dice e lei sostiene la mia reticenza con una serenità disarmante. Chissà se si è mai arrabbiata in vita sua.

- Sempre che a Nicholas non dispiaccia, - dice pacatamente, ma c'è una nota di sfida nella sua voce che mi convince a strisciare fuori dall'antro di apatia in cui sono scivolato dopo l'Apertura: è così che chiamano la successione di eventi che ha visto i Novi uscire allo scoperto, ma ancora non realizzo di esserne stato l'artefice principale.

- Potrebbe non essere alla tua altezza, - ribatto, giusto per provocarla.

Lilith mi invita a farle strada: - Io parto dal basso, Nicholas. Così, a differenza tua, non corro il rischio di cadere.

Franz emette un fischio talmente acuto da perforarci la membrana timpanica e io lo tolgo di mezzo con una spinta violenta. Ero solito pensare che il sarcasmo inestinguibile dell'altra sorella Crowford fosse la cosa più divertente che mi fosse mai capitata, come una partita di scherma in cui il duello si giocava sempre sull'equilibrio perfetto di affondo e parata. La facilità con cui Lilith manda a segno i suoi colpi, invece, non nasconde alcuna ironia: è chirurgica, come un taglio di bisturi. Lei assalta sempre per vincere.

- Spostati, - sibilo a Franz, facendogli cenno di mantenersi a debita distanza. Devo pensare a un contrattacco più elegante di quello che ho in mente e per adesso mi toccherà battere in ritirata.

L'ingresso del laboratorio di mio padre sembra quello di un semplice scantinato scavato nel sottoscala, ma in realtà questo è l'unico punto della casa provvisto di un codice d'accesso. Ne inserisco le sei cifre e aspetto lo scatto della serratura con la torcia del telefono già attivata.

- Igitt!16- tossisce Franz, sbirciando da sotto il mio braccio: - C'è puzza di muffa, qua dentro.

- Le pareti del laboratorio dovrebbero essere isolanti, - dico, - ma siamo comunque sotto il livello dei canali.

Scendiamo lungo i gradini del seminterrato mantenendoci in fila indiana. Lilith è l'ultima a raggiungere il laboratorio, ma la prima a individuare l'interruttore dell'elettricità. Avevo dimenticato quanto fosse pessima l'illuminazione in questa parte della casa, ma mio padre aveva tanti di quei progetti per le mani che i propositi di fare della sana manutenzione non lo sfioravano mai veramente.

Nonostante la penombra, comunque, riconosco ancora la disposizione degli oggetti nella stanza, come fosse stata replicata all'interno dei miei ricordi. Ho memorizzato la taratura delle bilance e i diametri di tutte le provette; conosco le password dei computer e posso elencare a occhi chiusi ogni singola molecola conservata su questi scaffali, quasi ce l'avessi appena impilata.

- Tuo padre, - comincia Lilith, guardandosi intorno: - a che cosa lavorava, qui dentro?

Il significato delle sue parole è semplice da interpretare: questo luogo assomiglia più a un garage che a un laboratorio di chimica. La superficie a disposizione, di per sé, non è angusta, ma il soffitto è troppo basso per garantire il ricircolo dell'aria e il disordine regna sovrano su librerie e banchi da lavoro. C'è ancora un baker pieno di qualche strano solvente in uno dei lavandini. Mio padre non era di certo lo scienziato più metodico della Specie.

Franz disegna un rettangolo aureo17 passando un dito sullo sporco, poi si pulisce i palmi sui pantaloni.

Questa è l'unica delle proprietà di mio padre a non essere stata toccata dopo la sua morte. Tutto il resto è stato riordinato, chiuso in un cassetto e messo da parte: il suo laboratorio invece è qualcosa che ha dovuto piegarsi alle leggi della relatività senza nemmeno rendersene conto.

- Progettazioni teoriche, - dico, - esperimenti minori. Basilea è così vicina che poteva raggiungerne i centri di ricerca senza alcuna difficoltà. Questo era il suo studio personale, niente di più. Mio padre eseguiva qui gli esperimenti che non gli venivano finanziati dalla Fazione.

Franz guida Lilith verso una delle pareti. Ci sono ancora le nostre impronte colorate sopra, come pitture rupestri risalenti ai nostri antenati.

- Era la nostra Isola del Tesoro, - ridacchia, premendo la mano sul cemento umido. Com'era piccola, milioni di replicazioni cellulari fa.

- Qualche volta ci permetteva di giocarci dentro mentre lavorava. In effetti, dentro questa casa era proibito studiare.

Lilith rimane piuttosto interdetta. La vedo spostare lo sguardo da me a Franz – quel suo sguardo vivo, che sembra scomporre tutto ciò su cui si poggia – e mordersi il labbro inferiore in un'adorabile riflessione.

- Proibito?

Franz annuisce: - Ephraim diceva che doveva essere il luogo sicuro in cui la Fazione non aveva alcun potere sul futuro di Nicholas.

- Non mi meraviglio del fatto che patteggiasse per l'altra Fazione, - risponde Lilith, ma su questo punto non accetto alcuna speculazione.

- Mio padre patteggiava per la pace e l'armonia, - sibilo, incrociando le braccia intorno al petto, ma lei non sembra prendersela a male. La maggior parte delle volte, il mio cattivo umore non ha alcun effetto sulla sua calma piatta.

- Ci sono così tanti scatoloni, - azzarda: - ci hai mai guardato dentro?

- Ovviamente. Perlopiù si tratta di progetti o review a cui stava lavorando, ma dentro c'è un po' di tutto. Rullini, disegni, poesie e traduzioni. Mio padre era un genio piuttosto eclettico.

Franz utilizza un mortaio per spegnere il mozzicone dell'ennesima sigaretta, ma Lilith mi interrompe prima che possa urlargli contro di farla finita: - Potresti continuare gli studi che stava conducendo, - propone.

- Perché dovrei?

- Per portare a termine quello a cui stava lavorando.

Si sistema un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, percorrendo ogni millimetro quadrato di laboratorio come se l'avessero chiamata a ispezionarne la messa in sicurezza. La Fazione le riempie il guardaroba di vestiti tra i più raffinati e costosi, ma il suo stile è sempre delicato, dalle tinte chiare e il taglio adorabile. La fa sembrare più piccola di quello che è.

- Mio padre era geloso dei suoi studi almeno quanto me, - ingoio, serrando la mandibola. Sento di dover rimanere sulla difensiva.

- Non mi permetterei mai di rubare le sue idee, visto che nel suo testamento non c'era nessuna indicazione a riguardo.

Lilith unisce gli indici come quando è intenta in uno dei suoi calcoli, poi conclude: - Hai paura che potresti trovarci dentro qualcosa di inesatto. Che con il livello di conoscenza che hai oggi le sue ricerche, che tanto ti affascinavano da piccolo, ti sembrerebbero stupide e sconclusionate.

Scarico il peso del mio corpo contro una cappa aspirante, fissandola senza tradire alcuna emozione. Il risultato più inatteso non è il fatto di doverle dare ragione, ma che Lilith Crowford sia arrivata alla soluzione di un rompicapo su me stesso prima che ci riuscissi da solo. Né per empatia, né per familiarità con le mie vicende personali, ma per pura e semplice abilità intellettiva.

- È così che appaio io? – chiedo a Franz, con tono strafottente.

- Come qualcuno che crede di sapere tutto?

Lilith fa finta di guardarsi la punta degli stivaletti, ma non c'è traccia di timidezza nei suoi movimenti. Deve aver percepito una nota di ammirazione nella mia voce e questo basta ad accontentarla.

- No, - scherza Franz, - tu sei molto peggio. Perché almeno lei è carina, mentre tu –

Uno scricchiolio proveniente dal piano superiore ci fa scattare sull'attenti, con le orecchie tese e il sangue che si ridistribuisce ai muscoli degli arti nell'eventualità di doverci difendere. Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, poi cominciamo a bisticciare.

- Non hai richiuso la porta d'ingresso? – dico a Franz. Come ho potuto anche solo pensare di lasciare le chiavi a uno come lui?

- C'eravamo solo noi in tutta Friburgo, - sbraita, sgattaiolandomi dietro. Gli viene da ridere, ma è solo un modo per alleviare la tensione. Lilith invece sembra essersi rilassata.

- Non dovreste preoccupar -

- Silenzio, - la interrompo: - non fiatate.

Afferro una bottiglia dal deposito di vecchi reagenti, scegliendo quella con il pH più basso a disposizione: acido cloridrico, leggo, ignorando l'orrore sul volto di Franz. Qualcuno sta scendendo la scala che conduce al laboratorio, realizzo. Abbiamo passato mesi interi con le guardie del corpo alle calcagna e la prima volta che otteniamo un permesso dai nostri Superiori ci facciamo circondare in un luogo che non ha via d'uscita. Sto per prendere la mira quando Lilith esclama: - Siamo qui sotto!

A Franz per poco non prende un infarto miocardico. Siamo troppo esterrefatti dall'uomo che compare sulla soglia della porta per imprecare contro di lei.

- Forse non vi è chiaro, - sputa il Capitano Aucan Sobràl.

- Ma non mi pagano per fare da balia a un branco di neonati.

***

Rinfila la sua pistola nella fondina appesa sotto l'ultima costola. Da quando l'ho incontrato, più di un anno fa, non credo di aver mai visto il Capitano Sobràl senza un'arma da fuoco addosso, infilata nella cintura o sulle cinghie che gli si incrociano sulle spalle come un accessorio d'abbigliamento all'ultima moda. Se c'è un aspetto del proprio lavoro che Zelda ha sempre detestato è l'eventualità costante di dover ricorrere alla violenza. Aucan, al contrario, porta su di sé l'aspettativa di una punizione corporale come se non vedesse l'ora di piantare un proiettile nel fegato di un essere umano.

- Vi era stato ordinato di mantenervi in contatto, - sibila, avanzando verso il centro dello studio con il naso arricciato e una vaga smorfia di disgusto sulla faccia. Allunga le nocche verso uno dei neon appesi sul soffitto del laboratorio, rifilandogli qualche colpetto nel tentativo di rianimarlo.

- Quello lì è fulminato, - dice Lilith, ma io finisco per ringhiarle sopra con una certa esasperazione.

Il solo fatto che la Fazione mi faccia pedinare ovunque vada basta a sentirmi come un animale al guinzaglio.

- Questa è casa mia.

Sobràl mi punta addosso i suoi occhi piccoli e vispi, poi si pettina la barba come se dovesse soppesare la possibilità di picchiarmi. Durante l'attacco alla Villa, del resto, ho rischiato di far fuori alcuni dei suoi uomini: se fosse dipeso dal Capitano, l'aver sabotato la sua missione sarebbe stata una colpa sufficiente a garantire un'epurazione immediata di tutti i Reichenbach sulla faccia del Pianeta.

- La porta era aperta, - dice, tradendo il proprio accento, - e chiunque avrebbe potuto saltarvi addosso e ficcarvi un pezzo di piombo nel cranio.

Franz sbuca dalle mie spalle con un broncio ben in vista: - Siamo a Friburgo in Brisgovia, - strepita, - non a Città del Messico. Qui la gente non tiene fucili a canne mozze sotto il cuscino!

Lo riprendo per la cintola per impedirgli di gettarsi sotto il muso di Sobràl e stuzzicarlo come al suo solito. Per qualche strana ragione, Franz è convinto che l'essere stati assegnati a una delle massime autorità militari della Fazione ponga me e Lilith un gradino sopra il Capitano. In un certo senso, il tipo di rapporto che mi legava a Zelda deve avergli inculcato un'idea profondamente distorta sulla persona che ne ricopre il ruolo all'interno del nuovo Sistema. Aucan ha ricevuto l'ordine di tenerci vivi, non di prendersi cura di noi.

- Il tempo per il giro turistico è scaduto, - scandisce Sobràl, scoprendo i canini.

- Non farmiti prendere in braccio come un bambino cattivo, Kopplen, va bene?

- Potrebbe piacermi, - soffia lui, - magari facciamo un tentativo.

- Franz, - abbaio e il mio stomaco si intirizzisce su sé stesso come se l'avessero accartocciato. È tutto un gioco, per lui, poco più che un giorno di scuola passato tra amici. Dal giorno in cui l'ho trascinato dentro il mio piano condiviso con la Fazione, Franz si è limitato a eseguire i compiti che gli venivano assegnati senza opporre la benché minima discussione: non si è mai reso conto di quello che stava davvero accadendo; del fatto che le persone in questa stanza sono alcune di quelle che hanno in mano il Destino della Specie Umana.

- Di sopra, - gli ordina Sobràl e detesto il modo in cui il Capitano si rivolge a lui: come se stesse pregustando il momento in cui la mia supervisione subirà una distrazione e lui potrà tendergli una trappola. Delle volte sembrano pungolarsi a vicenda con una nota di divertimento, quasi Sobràl l'avesse preso in simpatia; in altre occasioni, invece, pare che il Capitano voglia strangolarlo davanti ai miei occhi.

- Subito. Ci sono delle novità e i Dottori hanno bisogno di vuoi due nei Laboratori della Capitale.

Lilith emerge dal fondo della stanza con la speranza di strappare qualche dettaglio al Capitano. Con una manciata di centimetri di tacco sotto i piedi, si troverebbero alla stessa altezza.

- Che genere di novità? – gli domanda, ma Sobràl è impegnato a fischiare ordini ai suoi scagnozzi raccolti in soggiorno. Non vuole che perdano d'occhio Franz nemmeno per un secondo e conoscendolo non posso dargli torto: potrebbe filare via da una finestra se fosse certo di far venire un'ulcera agli agenti di Polizia.

- Ci sono delle cose che voglio portare con me a Berlino, - intervengo, stingendo i denti: - ho bisogno di qualche ora per organizzarne il trasporto.

Ho preso una decisione avventata, lo ammetto, ma Lilith è stata brava a mettermi la pulce nell'orecchio.

- Di qualunque cosa si tratti, i miei uomini devono controllarla da cima a fondo. Conosci le regole, Reichenbach: niente entra alla Base se non è stato approvato dal Consiglio.

- Sono solo ricordi della mia famiglia, - insisto, - vecchie fotografie, schizzi o archivi di appunti. E in ogni caso sono privati.

L'orologio al polso di Aucan, perfino più accessoriato del mio, lampeggia per segnalare l'arrivo di una nuova comunicazione: il Capitano si tira la manica verso il gomito e preme ripetutamente lo schermo come se il messaggio che ha appena ricevuto costituisse un torto personale.

- Per essere il genietto della Fazione sei fin troppo duro di comprendonio, - abbaia, ma non si degna neppure di guardarmi in faccia. Sto per spaccargli in testa la mia bottiglia di corrosivo quando Lilith si frappone tra di noi.

- Si tratta solo di un controllo superficiale, - mi rassicura: - sono certa che te li restituiranno non appena si renderanno conto che sono innocui.

- Non che tu abbia molta scelta, - taglia corto Sobràl: - puoi lasciarli qui a marcire, oppure portarti tutto dietro a patto che venga esaminato. Il tempo di caricare le tue cianfrusaglie nei furgoni e partiamo per Berlino.

- Capitano, - sorride Lilith.

Al piano di sopra, Franz ha cominciato a lamentarsi come se lo stessero prelevando di peso, ma lei mantiene i nervi saldi e la voce dolce come il miele: - Sono sicura che possiamo attendere ancora un paio d'ore. Io e Franz abbiamo intenzione di fare un ultimo giro della città e mi sentirei molto più sicura se lei venisse con noi. Non vorrà sopportarne i piagnistei per tutto il viaggio, giusto?

Sobràl si arriccia le punte dei baffi in un momento di indecisione. Non riserva alla perla della Fazione alcuna aggressività, perché se c'è qualcuno di intoccabile in mezzo a noi, quella persona è Lilith Crowford. Il DNA avvolto all'interno dei suoi nuclei cellulari è fin troppo prezioso. Pur di convincerla, il Capitano si limita a rivelare l'informazione che stavamo aspettando dal giorno esatto in cui siamo usciti allo scoperto.

- Hanno selezionato il primo carico, - scandisce e Lilith salta un respiro.

Faccio un passo per raggiungerla e sento la temperatura della sua pelle precipitare per l'emozione.

- Il primo carico di che cosa? – mormoro. Pianissimo, come fosse un segreto.

Sobràl invece non nasconde l'euforia: - Di pazienti, - ghigna, come se fosse scontato.

- Li stanno tenendo sotto stretto monitoraggio in attesa che voi diate inizio alla procedura di conversione.

Le dita di Lilith si chiudono attorno alle mie, mandandomi in cortocircuito.

La pressione del sangue si alza e le orecchie mi ronzano ininterrottamente e so che dovrei sentirmi elettrizzato al pensiero di essere così vicino all'esperimento più ambizioso che la storia della nostra civiltà abbia mai concepito. Perfezionare l'essere umano; renderlo superiore; trasformarlo in un Uomo Nuovo. Quello che provo, invece, assomiglia a un salto nel vuoto.

Ricambio la stretta di Lilith perché è l'unica persona capace di sorreggere l'enormità di quello che ci è stato appena comunicato.

- Così presto? – esala.

- Ci avevano detto che avrebbero impiegato un altro mese prima di riuscire a trovare dei volontari che rispettassero i nostri criteri d'inclusione e fossero disposti a prendere parte alla sperimentazione.

Sobràl ci fa cenno di seguirlo.

- I Sapiens non vedono l'ora di diventare come noi, - dice solo.

- Si sono stufati di essere degli animali.




Angolo dell'autrice: da mesi ho sviluppato l'idea folle di scrivere una parte dei capitoli dal punto di vista di Nicholas; del resto è uno dei due protagonisti della storia e non potevo sopportarne la mancanza. Forse avrete notato che lo stile della sua narrazione è molto più "complesso" e articolato rispetto a quello di Sybil, ma non sarebbe stato possibile procedere altrimenti. Nicholas pensa spesso in termini scientifici e scompone quello che vede con la mente di un vero scienziato. A Franz, invece, sono ricondotti tutti i termini che parlano di storia dell'arte, campo a cui la vostra autrice è incredibilmente appassionata. Che ne pensate di questa scelta?

Ebbene, il primo capitolo è ambientato a Friburgo, uno dei miei posti preferiti al Mondo; la Fazione è approdata in Europa (tranquilli, vi verrà tutto spiegato) e nella mia testa è sempre esistita una scena d'apertura del sequel in cui Nicholas si trovasse davanti alla tomba di suo padre. Tra parentesi, l'incisione sulla sua lapide è la frase che ha ispirato Entropy, nonché uno dei mantra della mia vita. Non vedo l'ora di tatuarmene una parte sulla pelle!

Anyways, darvi un'idea della magica struttura di Freiburg è un'impresa titanica, quindi allegherò sul fondo della pagina delle fotografie scattate nel mio ultimo soggiorno in città.

Avrei potuto scrivere un capitolo introduttivo più denso di informazioni su quello che Nicholas ha combinato per arrivare a servire la Fazione, ma le rivelazioni arriveranno a tempo debito e non avrebbe avuto senso fargli pensare certe cose in questo momento: scoprirete come e perché è avvenuto il suo tradimento e avrete modo di seguirlo nel suo tentativo di modificare il DNA dei Sapiens per trasformarli in Homini Novi grazie ai suoi studi su Sybil. Quando vi dicevo che i suoi sentimenti per Sybil erano veri, non mentivo. Vi sarà suonato un po' depresso ed effettivamente lo è: se lo merita, aggiungerei. Chissà come evolverà il suo rapporto con Lilith, a questo punto. Intanto mi piace il modo in cui lei gli dà una batosta dopo l'altra xD

Il concetto scientifico alla base del capitolo è complesso, ma molto celebre. Cercherò di farvi un esempio pratico per sintetizzarvelo: se vi trovaste su Proxima Centauri, la seconda stella più vicina a noi dopo il Sole, vedreste la Terra per come esse appariva 4 anni fa, perché quello è il tempo che la luce impiega a coprire la distanza che ci separa.

Come sempre, ringrazio tutti per il supporto, soprattutto i miei lettori di fiducia che lasciano sempre un commentino. Ormai vi considero parte integrante di Entropy! Nell'ultimo periodo sono arrivati tante nuove persone e spero di non deludere troppo le aspettative.

Vi mando un bacione enorme <3


Vi lascio alle note:

1. Cellule gliali: sono delle cellule di supporto che coadiuvano i nostri neuroni per farli funzionare correttamente. Alcune di esse ripuliscono il cervello dalle sostanze di scarto prodotte dal metabolismo neuronale. 

2. Elettroni: particelle di carica negativa che orbitano attorno al nucleo positivo di un atomo. 

3. Tassonomia: disciplina che si occupa della classificazione di piante e animali. Le Ericacee sono una famiglia di fiori che sicuramente avrete visto. Le ho scelte perché popolano un famoso cimitero tedesco.

4. Vasospasmo: contrazione dei vasi sanguigni di un distretto corporeo; a livello della pelle può accadere a causa del freddo.

4. Appiattimento affettivo: incapacità di provare emozioni; può riscontrarsi nelle persone depresse.

5. Sistema di conduzione: insieme di cellule che generano e propagano il battito del nostro cuore, determinandone il ritmo.

6. Radiazione elettromagnetica: Nicholas is a nerd; la battuta ha senso perché le radiazioni elettromagnetiche servono a studiare il corpo umano nelle più comuni tecniche di imaging, quali la risonanza magnetica, i raggi x, la TAC.

7. Vati: "papà" in tedesco.

8. Schlossbergturm: una torre panoramica immersa nel bosco che circonda Friburgo.

9. Apparato propriocettivo: insieme di strutture anatomiche che ci consentono di rimanere in equilibrio; tra queste, alcune vanno in tilt nei famosi attacchi di vertigini, di cui ahimè soffro da una vita. 

10. Sisley: famoso pittore impressionista; la frase con cui lo descrive Lilith è stata scritta da un suo conoscente, Gustave Geffroy.

11. Stato ipnagogico: momento in cui si passa dalla veglia al sonno.

12. Bachle: sono gli splendidi canaletti che attraversano la città di Friburgo. I tedeschi li usano per rinfrescarsi d'estate o per far giocare i bambini con delle barchette di legno.

13. Endorfine: sostanze rilasciate dal nostro corpo quando facciamo qualcosa che ci provoca piacere.

14. Wir gehen nach Hause: "andiamo a casa".

15. Igitt: "che schifo" in tedesco.

16.  Rettangolo aureo: rettangolo costruito sulla proporzione della sezione aurea, considerata un simbolo della perfezione. Il rapporto ottenuto misurando le sue parti è un numero molto ricorrente in natura.



QUARTIERE DI GERBERAU - LA PICCOLA VENEZIA

GERBERAU DI NOTTE: esatto, c'è davvero un coccodrillo di bronzo nell'acqua.

LE FAMOSE BACHLE + AUTRICE VENTENNE CHE TRASCINA LA SUA BARCHETTA ROSSA

IL SEEPARK: il più grande parco di Friburgo, con uno splendido lago in cui fare il bagno.

E PER FINIRE, LA FORESTA NERA: 

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