6
Mi svegliai per via di una percossa alla spalla
-...Ley... Halley!-
La voce di Grace mi rimbombò nell'orecchio.
La guardai confusa, ancora sdraiata sul letto.
-Che succede?- dissi con la voce impastata
-Guarda-
Mi sollevai. Gli altri erano già svegli a osservare qualcosa fuori dalle sbarre.
Seguii il loro sguardo
-Sono... due guardie?-
Le guardie non si muovevano mai all'interno della stanza. A meno che...
-C'è un altro marchiato?- chiesi
-Sembrerebbe di sì. Però non è quello il problema...- rispose Dennis.
Lo guardai
-Che intendi?-
Mason e Rachel si voltarono verso di me
-Stanno indicando nella nostra direzione-
Sgranai gli occhi.
Non era possibile, non di già, non a quell'ora. Erano venuti per me, ne ero sicura.
Qualcuno aveva intenzione di marchiarmi.
-Non correre con la mente- mi rassicurò Robert -Siamo in sei, il marchiato potrebbe essere ciascuno di noi-
No, non potevo credere o sperare in quelle parole, non dopo ciò che era successo ieri. Non dopo ciò che mi aveva detto quell'uomo.
Stavo per finire nelle mani di un mostro.
Il mio respiro cominciò a tremare.
-Sta tranquilla, andrà tutto bene- provò a tranquillizzarmi Rachel
-Pensa al piano, pensa al fatto che saremo presto liberi- disse Dennis
-Tu e le altre ragazze siete importanti tasselli, dovete essere forti- disse Robert.
Annuii. Volevo sembrare coraggiosa, ma non ci riuscivo. Non riuscivo neanche a far finta di esserlo. Le guardie scomparvero per alcuni minuti, per poi tornare verso di noi.
-State indietro- ordinarono prima di aprire le sbarre, con delle pistole puntate verso di noi -Poggiate le schiene contro il muro-
Ci scrutarono uno per uno, assicurandosi che non facessimo mosse sbagliate. Fermarono il loro sguardo su di me
-È lei?- chiese uno dei due.
L'altro lesse un foglio sopra una cartellina
-Donna, capelli scuri, occhi blu, corporatura esile, piano B1, cella 107. Corrisponde alla descrizione-
-Bene. Muoviti-
Mi fece segno di uscire dalla stanza, continuando a tenere la pistola dietro la mia schiena.
Lanciai un ultimo sguardo agli altri ragazzi che avevo lasciato indietro, chiedendomi quando li avrei rivisti, o se li avrei mai rivisti.
I due soldati mi portarono in una piccola stanza dalle pareti scure illuminate di rosso. All'interno di esso vi erano due fabbri e diversi aiutanti che lavoravano il ferro. Il rumore dei martelli che batteva sulle lame roventi era assordante
-Baron, il marchio-
Uno dei due fabbri, con la lunga barba nera, si voltò a osservarci
-È pronto, venite-
Con fare zoppicante ci guidò verso un tavolo di ferro con uno sgabello davanti ad esso.
I due soldati mi fecero sedere sulla sedia e sollevarono il mio braccio sul tavolo. Inizialmente non capii cosa stessero facendo. Poi lo vidi. Il fabbro estrasse una sottile sbarra di ferro, con in cima uno strano simbolo, dal fuoco vivo. Quello era il loro marchio, un marchio di fuoco.
Mi dimenai tirando indietro il bracco, ma i due soldati riuscirono a trattenerlo saldamente sul tavolo
-No! Aspettate, fermi! Vi prego, no!-
Fu inutile. Il ferro ardente fu premuto sul mio polso destro.
Le mie urla furono sovrastate dal clangore assordante del ferro caldo.
¬ ¬ ¬ ¬
Anche dopo l'acqua congelata versata sul mio polso, il dolore non passò totalmente. Ero in un bagno collegato ad una camera da letto disabitata. I soldati mi avevano portato qui dentro, dandomi un nuovo vestito di colore bianco e una borsa con dell'intimo, dicendomi di aspettare che il mio "padrone" tornasse. L'avevano proprio definito padrone. Appartenevo davvero a qualcuno, da quel momento.
Mi sedetti sul letto e osservai la stanza. L'enorme letto era rifatto, i pochi libri erano sistemati sulle mensole e la scrivania era in perfetto ordine. C'erano alcuni fogli sopra di essa, ma preferii non cominciare il mio lavoro da subito. Questo fantomatico padrone sarebbe tornato da un momento all'altro, ed io non potevo farmi scoprire dopo neanche un giorno. Avrei mandato tutto all'aria, perfino il piano iniziale. Era vitale che nessuno di noi si facesse scoprire.
Alcune ore dopo la porta cigolò.
Puntai il mio sguardo su di essa e trattenni il fiato. I pochi secondi passati ad aspettare che si aprisse totalmente parvero infiniti.
Sgranai gli occhi. Mi sarei aspettata chiunque, ma non lui.
Era il soldato spaventoso.
Mi notò e rimase anche lui a fissarmi
-Ah, sei già qui- disse, forse con sorpresa.
Chiuse la porta dietro di sé e si tolse la giacca con nonchalance, appendendola su un attaccapanni. Fece lo stesso con gli stivali, lasciandoli accanto alla porta. Osservai tutti i suoi movimenti con terrore, sicura che avrebbe fatto qualcosa o mi sarebbe saltato addosso all'improvviso. Invece aprì l'armadio davanti al letto, prendendo alcuni vestiti e dirigendosi verso il bagno
-Ho solo due regole: fai tutto ciò che ti ordino e non andare a spasso dove ti pare senza il mio permesso-
Chiuse la porta del bagno, lasciandomi nuovamente sola coi miei dubbi e pensieri. Era una prova, un messaggio o cosa? Perché non mi aveva neanche sfiorata? Mi aveva marchiata, no? Ero sua, adesso. Qualunque cosa stesse pensando, avrei dovuto obbedire ai suoi ordini senza esitare, senza oppormi o fare domande. Eppure di domande ne avevo tante.
Il tempo passò più in fretta del previsto e il ragazzo uscì dal bagno con dei normali abiti civili. Aveva finito il suo turno, probabilmente. Prese un libro dagli scaffali e si buttò sul letto, aprendolo su una pagina segnata da un segnalibro.
Lo osservai con sbigottimento. Mi stava davvero ignorando.
Lo osservai così a lungo che si accorse del mio sguardo, spostando gli occhi su di me. Mi voltai immediatamente nel lato opposto
-Come ti chiami?- mi chiese.
Ruotai leggermente la testa verso di lui. Stava ancora leggendo il libro
-H... Halley...- riposi.
Annuì, come a farmi intendere di aver capito
-Io sono Allen. Preferisco che tu mi chiami così, piuttosto che "padrone"- disse con disprezzo l'ultima parola.
Accennai un sì con la testa.
Per un paio di minuti non aprii bocca, limitandomi a osservare il comò davanti a me
-Pe... perché mi hai marchiata?- chiesi.
Forse avrei preferito non saperlo, ma lo chiesi ugualmente
-Sono un tipo vendicativo-
Rabbrividii. Voleva vendicarsi di qualcosa che avevo fatto? Ma cosa? A togliermi il dubbio fu lo stesso ragazzo
-Non preoccuparti, non voglio vendicarmi di te. Quel pezzente ti desiderava a tutti i costi, e adesso non potrà più averti. Questa è la mia vendetta. Devo accontentarmi di questo, non posso fare ciò che ho realmente in mente-
Il pezzente. Stava parlando del soldato dal sorriso da maniaco?
-Io... io sono una vendetta?- chiesi.
Volevo assicurarmi di ciò
-Sono davvero solo questo? Non... non mi darai strani ordini o...-
Il ragazzo fece un rumoroso sospiro e chiuse il libro, mettendosi seduto.
Afferrò il mio braccio e mi tirò verso di sé.
Mi baciò.
Un bacio casto e lieve, di quelli che non avrei mai pensato potesse mai dare una persona come lui. Un bacio fugace che durò pochi secondi, ma che aveva arrestato ogni mio pensiero. Si stacco con delicatezza dalle mie labbra e mi guardò con quei suoi occhi chiari e insensibili, ma allo stesso tempo pieni di emozioni.
-Sei contenta ora?-
Non riuscii a rispondere.
Il mio cervello continuava soltanto a dirmi di fissarlo.
Fece un suono seccato con la bocca, rimise le scarpe e uscì dalla stanza.
Mi accorsi di ciò che era successo soltanto quando la porta si chiuse.
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