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Epilogo

Le grandi città il giorno di San Valentino erano invivibili.

E non solo perché straripassero di coppiette che si tenevano per mano e si scambiavano effusioni amorose di continuo, sentendosi legittimate a farlo apertamente anche davanti a chi magari non aveva nessuno con cui poter fare lo stesso, ma anche perché bastavano già le pubblicità dei marchi che producevano cioccolata a far venire l'orticaria. Cartelloni giganteschi tappezzavano le vie di baci e abbracci, cioccolatini tutti attorno o regalati con amore, peluche sporadici qua e là col cuore in mano.

Io, con quel che era rimasto del mio cuore, ero fuggita lontano. Più precisamente, ad Aspen. Ero tornata dove ero stata amata, almeno nel mio immaginario personale, per poi essere piantata in asso subito dopo, senza avere nemmeno il tempo di fare il brindisi di mezzanotte e guardare i fuochi d'artificio per l'avvento dell'anno nuovo. Un anno che si era aperto in solitudine e tale si ostinava a rimanere. Anche se, a proposito di ostinazione, quella ostinata ero io alla fine della fiera.

Sarebbe stato ipocrita da parte mia non riconoscere che una marea di ragazzi della mia età avrebbe fatto carte false per trascorrere con me la giornata dedicata all'amore e sarebbe stato scorretto da parte mia non ammettere che, in quella marea, c'erano anche ragazzi che avrei preso volentieri in considerazione, se solo non mi fossi persa dietro a Peter, l'unico in tutto il campus che non mi voleva e che non mi aveva mai davvero voluta.

Ma perché mi ostinavo a pensare a lui?

Al modo urgente con cui mi afferrava le natiche quando eravamo da soli in camera, al modo in cui adorava il mio seno, il mio corpo intero... Al modo in cui accarezzava i miei capelli e non diceva niente, ponendomi l'accattivante sfida di far sì che si aprisse con me, che mi lasciasse entrare nel suo mondo contorto ed enigmatico.

Era così che mi aveva fottuta.

Mi aveva sempre dato uno spiraglio di speranza con quegli occhi freddi e, quando non riusciva a trattenere le emozioni, si nascondeva, piangeva in bagno, andava alla ricerca disperata di un volo che gli riportasse indietro un po' di stabilità emotiva. E io, come un'allocca, mi ero illusa di potergli dare tutto l'amore di cui aveva bisogno.

Non lo voleva. Non l'aveva mai voluto. Non l'aveva mai chiesto. A dire il vero, non mi aveva mai chiesto niente.

Indipendente fino al midollo, faceva tutto da sé ed era abituato così, gli andava bene così. Salvo poi accorgersi che l'essere umano vive in una società non soltanto perché gli piace fare amicizia e in solitudine non è felice (l'affermazione non si applica a Peter), ma anche perché da solo non riesce a raggiungere tanti traguardi che in gruppo diventano invece possibili. L'essere umano ha bisogno di aiuto. E io morivo dalla voglia di aiutare Peter. Morivo dalla voglia di aprirgli gli occhi e dimostrargli che quella Maddie che amava tanto era solo una scappata di casa con la famiglia disastrata e due spicci in tasca. Cosa c'entrava lei con noi, pargoli di buona stirpe che non avevamo quasi idea di quanto sborsassero i nostri genitori ogni anno per consentirci di studiare alla prestigiosa Università di Harvard?

Le scuole superiori sono sicuramente un periodo importante per tutti quanti, possono forgiare legami molto duraturi o causare traumi di lunga e difficile elaborazione, ma è all'università che si trovano gli amici per la vita, i mariti o le mogli da incontrare sull'altare dopo tanti esami sostenuti nelle stesse aule centenarie, a seguito di grossi sacrifici nel conciliare lo studio di volumi immensi con la fantasia di esplorare la reciproca eroticità.

Dovevo ammettere che io ero anche stata molto fortunata. Modestamente, mi ritenevo fra le ragazze più attraenti in circolazione, ero stata cresciuta ed educata da una famiglia con sani princìpi, avevo frequentato le scuole migliori della costa atlantica del nord degli Stati Uniti e non avevo mai avuto problemi economici o di salute. I miei genitori mi avevano insegnato ad aspirare al meglio perché io ero il meglio e non concepivo che qualcuno non se ne accorgesse. O che non volesse il meglio. Chi è quel matto?!

Peter mi aveva al contempo affascinata e irritata. Da morire. Era un gran bel ragazzo. Ricci morbidi e luminosi, fisico asciutto benché non inutilmente pompato, altezza ideale, tratti lievemente spigolosi del viso che rendevano il taglio della mascella particolarmente invitante, labbra saccenti che invitavano a zittirle con un bacio irruento e occhi che per me erano magneti. Quando non mi guardava, desideravo ardentemente che lo facesse. E mi perdevo ad osservare il profilo liscio e perfetto del suo naso elegante, su cui spesso calcava occhiali sottili che gli davano un'aria ancor più arrogante e sensuale.

Nessuna giacca di pelle, nessun motorino, nessuna sigaretta.

Peter era il bravo ragazzo per eccellenza, con una facciata di marmo davanti e il fascino dipinto negli occhi. Pronto a frantumare qualsivoglia speranza di mantenere intatto il tuo cuore. E l'impatto faceva ancora più male perché, da uno come lui, uno che conquista tua madre e si fa raccomandare da tuo padre, non te lo aspetteresti mai.

Eppure, mi aveva rapita. Le sue iridi mi parlavano in un linguaggio oscuro. Avevo mai capito quando tendevano al verde e quanto al grigio? Probabilmente no, non c'erano state transizioni metereologiche sufficienti.

Nelle rare giornate di sole dell'autunno avevo notato anche una leggera spruzzata di lentiggini sui suoi zigomi e sul naso a dargli un'aria sbarazzina. A lui che di sbarazzino non aveva niente. Sembrava la creatura più tranquilla del mondo e invece prendeva e partiva, si faceva due ore di aereo il venerdì sera o il sabato mattina per rincorrere quella poveraccia che non sapeva più quale familiare salvare, per poi tornare la domenica sera in tempo per presentarsi a lezione il lunedì mattina con la stessa perfezione di sempre. E scriveva. Scriveva degli appunti impeccabili con una grafia chiara, sottile e lineare, facendomi desiderare che quelle dita affusolate si muovessero con tanta maestria sulla mia pelle come facevano sulla carta.

A volte socchiudeva le labbra. Allora immaginavo la sua lingua tracciarmi tutta dalla testa ai piedi, soffermandosi particolarmente sulle mie zone più sensibili. E sospiravo, sognando che mi prendesse e mi sbattesse al muro con quella stessa ostinazione che aveva a credere in una storia d'amore ormai conclusa nella sua vecchia scuola.

Piansi a lungo sui cioccolatini di San Valentino che mi ero comprata da sola. Poi mangiai anche quelli che mi avevano regalato, perché il pensiero che quella sciattona si stesse facendo coccolare dall'unico ragazzo che volevo io mi fece deprimere. E la cioccolata, si sapeva, rilasciava l'ormone della felicità.

Perché, allora, mi sentivo triste come prima? Anzi, guardandomi attorno, forse anche di più. In camera mia c'erano ancora dei vestiti che Peter aveva dimenticato lì, fuggendo in fretta e furia per andare a salvare la sua amata a Capodanno, piantandomi in asso allo stesso tempo con un lieve dispiacere sul viso.

Mi voleva lasciare un biglietto. Un insulso biglietto. A me che l'avevo accolto come un re nella mia vita, che l'avevo portato sulle stelle, che l'avevo reso l'invidia dell'intero campus universitario, che lo avevo ascoltato, accudito, amato come quell'altra non avrebbe mai neanche immaginato di poter fare. Perché io ero il meglio a cui chiunque potesse aspirare e solo un idiota si sarebbe fatto sfuggire una come me.

Chissà che risate ci saremmo fatti, autoironizzando sulla reciproca arroganza...

Per me, rimanevamo comunque compatibili al cento per cento e, col tempo se ne sarebbe accorto. Speravo che per allora sarebbe stato tardi. Speravo che venisse a piangere al mio cospetto per singhiozzare più forte notando una fede nuziale al mio dito. E che maledicesse in eterno il giorno in cui aveva scelto lei al posto mio.

In quel momento, venni distratta dal campanello di casa.

«Disturbo?»

Davanti alla porta della mia casa di montagna c'era Jason. Il mio compagno di università e amico Jason. Colui a cui avevo raccontato la storia della presa in giro di Peter nei miei confronti a modo mio, rovinando anche la loro amicizia.

«Ho portato la cena, pop-corn e patatine, bibite varie con tanto di versione dietetica, dolci di pasticceria, una torta al cioccolato, cioccolatini di quarantanove gusti diversi e persino un peluche, che spero sia ancora carino quando lo tirerò fuori dal bagagliaio dell'auto. Posso entrare?» sproloquiò.

Rimasi colpita. Con quale audacia si era presentato lì? Non mi ero neanche degnata di rispondere ai suoi messaggi... Non che avesse mai avuto chissà quale priorità, per me. Gli rivolsi uno sguardo affranto.

«Ehi... Non dovevi, lo sai. Mi sento immensamente in colpa a presentarmi così, in pigiama, con questa faccia, mentre tu ti sei fatto un sacco di chilometri per portarmi il mondo».

Lui scosse il capo.

«Lo so. So che stai ancora male per Peter. Ma sei di una bellezza sconcertante, pigiama o non pigiama, trucco o non trucco, felice o triste. E io ti chiedo solo di lasciarmi la possibilità di starti accanto e di cambiare il tuo San Valentino. Anche se solo per una sera. Poi tornerò a casa e ti lascerò in pace».

Esitai.

«Ascolta, questo è forse uno dei giorni peggiori per chi ha il cuore spezzato... E chi meglio di me lo sa! Ma, proprio per questo, sono qui a migliorare le cose. Saperti da sola, isolata e sconsolata mi stava uccidendo, okay? È stato più forte di me prendere e partire».

Scoppiai a piangere. Aveva toccato la mia sensibilità con un tatto tutto particolare e non me la sentii di chiudergli la porta in faccia. Non sarebbe stato umano. Lo abbracciai forte e gli feci cenno di entrare.

Gradualmente, il mio salotto venne sommerso di doni. Era come un Natale più romantico, anche se non ero innamorata di lui.

E forse potevo lasciarmi amare. Non dalla persona giusta, non senza avvertire che non potevo promettere niente, non senza sentirmi almeno un pochino in colpa, ma potevo lasciarmi avvolgere dal calore umano più potente che ci fosse.

Anche se solo per una sera.

THE END

Piaciuta??????? 😍

Lasciatemi un commentino, se vi va, così che io capisca che cosa vi ha suscitato questa storia 🥰

Grazie a tutti per il tempo dedicatomi nella lettura e vi auguro un roseo prospetto di traguardi e soddisfazioni personali 🎀

Mi troverete sempre qui dopo la laurea a pubblicare qualcosa di nuovo... fino ad allora, in bocca al lupo per esami, verifiche, interrogazioni, concorsi, etc. 🍀

Baci ✨

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