Capitolo 8 • Uniti
Il supermercato diventò il nostro parcogiochi. Maddie riempì il carrello di caramelle, biscotti e ingredienti per fare dolci, lasciando a me il compito di scegliere frutta, verdura e alimenti sani. La spedii più volte a pesare pomodori, carote, broccoli e chi più ne ha, più ne metta. Ad ogni ortaggio, il suo viso si contorceva in una smorfia disgustata da bambina e mi faceva scoppiare a ridere.
Era tanto che non mi sentivo bene così.
Rinunciai a litigare quando arrivammo alle casse: non volevo rovinare tutto e confidai che pagare la spesa non fosse problematico quanto un biglietto aereo oppure la fattura del dentista di Charlie, il fratello minore. A quel punto, domandai di sua madre.
«Lavora?»
Maddie sospirò mentre sistemava gli articoli nelle buste, sotto pressione per colpa del cliente successivo, che pareva avere una certa fretta di pagare e andarsene. Velocizzai io stesso il passaggio del cibo dal rullo della cassa alle sue mani.
«Poco. Il suo capo vorrebbe licenziarla, ma l'ho supplicato di resistere finché non avessi trovato un buon lavoro io stessa, dovendo mantenermi gli studi e provvedere anche a Charlie. Mio padre ha trovato un modo per venire meno al pagamento degli alimenti, appigliandosi a chissà quale clausola: onestamente, non abbiamo né tempo né denaro per rivolgerci ad un buon avvocato che faccia giustizia, quindi ho lasciato correre. Come vedi, sono sull'orlo della pazzia» spiegò.
Finalmente, ci togliemmo dai piedi con un un'esclamazione di sollievo da parte del cliente che ci stava sollecitando con gli occhi da un po'. Gli augurai di trovare un intenso traffico stradale, una volta uscito dal supermercato.
«Ho notato, ma appena appena. Posso assicurarti che non si nota» commentai, ironico.
«Oltretutto, devo andare a prendere mia madre fra venti minuti, quindi dobbiamo sbrigarci».
«Andarla a prendere dove?» chiesi, curioso.
Lei esitò.
C'era qualcosa che non si era tenuta dentro, ultimamente? Faticai a trattenere l'irritazione.
«Uhm... Le è stato diagnosticato un disturbo depressivo. Non è mai stata particolarmente stabile di umore, ma da un paio di mesi a questa parte fatica a portare a termine anche compiti semplicissimi e meccanici, come stendere una lavatrice. Rimane a letto per gran parte del tempo, dorme tantissimo e, quando non lo fa, sembra in dormiveglia. A momenti, non ha voglia neanche di lavarsi. Oggi dovrebbero averle prescritto dei farmaci, finalmente».
La notizia mi lasciò a bocca aperta. Quanti problemi stava affrontando da sola Maddie, senza voler chiedere l'aiuto di nessuno? Quella sera stessa avrei cominciato a telefonare in giro per trovarle un impiego che le semplificasse la vita.
Guidò fino a casa propria con calma, come se non mi avesse appena rivelato che sua madre era patologicamente disturbata e che senza gli adeguati farmaci costituiva, essenzialmente, un peso non indifferente. Non riuscii neanche ad immaginare cosa volesse dire vivere con una madre così.
Casa mia era sempre stata una dimora glaciale, abitata da persone gelide e priva dei rumori felici di pentole sul fuoco, risate attorno al camino o, persino, urla di litigi feroci. Nessuno litigava mai: a nessuno importava sprecare energie per farlo. Erano tutti assorbiti da se stessi, dalla propria immagine, dai propri impegni... Parlare era quasi concepito come fastidioso. L'unico suono che si udiva era quello del pianoforte, quando mio padre era particolarmente triste, spesso interrotto non appena i tacchi di mia madre vi si avvicinavano, esprimendo al posto della sua persona tutto l'astio che lei provava per qualsiasi cosa avesse disturbato la sua quiete. Alle cene d'affari raccontava, invece, che si era innamorata di mio padre proprio grazie a quella musica soave, che toccava le corde del suo cuore ad ogni tasto premuto. Ogni volta, soffocavo le risate tra me e me: che spiritosa che era, a raccontare di avercelo, un cuore!
Tolti la solitudine e l'algore con cui ero stato cresciuto, tuttavia, non potevo certo lamentarmi di un fattore come la pesantezza, a me sconosciuto: dover badare ad una persona che si supponeva in grado di farlo da sé e di provvedere anche ai figli, motivarla ad alzarsi la mattina e svolgere attività del tutto automatiche, assumendosi persino la responsabilità di incaricarsene al suo posto, non era un contesto che potevo figurarmi così, su due piedi, con la sola forza dell'immaginazione.
Supposi che l'aspetto tirato e stanco di Maddie parlasse anche di questo, più di quanto potessero fare le parole.
In seguito al mio lungo silenzio, in cui non avevo trovato nulla di confortante da dire (spesso, lo reputavo un mio grande difetto), attesi che l'auto fosse ferma e parcheggiata, quindi presi la mano di Maddie dal cambio e la racchiusi fra le mie.
Lei impiegò un istante per capire.
«N-non sono bravo... A trovare le parole... Lo sai, insomma, mi conosci...» farfugliai.
Sorrise.
«Va bene così, non pretendo che qualcuno mi consoli perché mia madre sta attraversando, forse, il periodo più buio della sua vita. Probabilmente, dovrei cercare di farmene influenzare un po' meno anche io. Voglio dire, essere depressa è una malattia che affligge lei, non deve assorbire anche me, no?»
«Inevitabilmente, viverci insieme ti influenza, è logico e non è colpa tua. Ricorda, però, che soltanto lo psichiatra può aiutarla in maniera significativa: senza una terapia psicoterapeutica e farmacologica, non è fattibile uscirne».
Maddie annuì, rincuorata.
«Non devi farti carico di tutti i problemi del mondo, okay?» asserii, serio. «Va bene anche se deleghi a me, allo psichiatra, a Chloe e al resto del mondo qualcosina. Non dico tutto, perché a quel punto te ne staresti approfittando, ma rifletti nei termini di una distribuzione equa e, soprattutto, ragionevole delle responsabilità. Tu devi pensare a studiare, prima di ogni altra cosa. Puoi controllare che Charlie faccia altrettanto, che tua madre segua la terapia, che ci sia ancora ossigeno sul pianeta, ma tutto questo soltanto dopo. La tua priorità sei tu, amore mio».
«Non so come ringraziarti. Stai sempre in silenzio, ma al momento giusto tiri fuori esattamente le parole che ho bisogno di sentire» sospirò Maddie, commossa.
Le accarezzai una guancia.
«In realtà, penso che la tua priorità sia baciarmi, in questo momento. Non sei d'accordo?»
«Mi rifiuto di discordare con te. Non intendo ascoltare nessuna filippica su come gli scienziati abbiano dimostrato che Peter Goodwin ha sempre ragione: ti credo sulla parola» rise Maddie.
Sul punto di controbattere con una retorica micidiale, venni zittito prima del tempo dalle dolci labbra di Maddie. Dio, se mi erano mancate!
Le mordicchiai il labbro inferiore, tenendo fermo il suo viso con le mani, seppur tentato di spostarle altrove. Al contrario, lei non si pose tanti problemi a riguardo e cominciò una vertiginosa discesa a partire dalla mia nuca, costeggiando il collo con abilità consolidata. Cominciava a fare caldo nell'abitacolo dell'auto.
Improvvisamente, si staccò tutta presa dal panico.
«Mia madre!»
Confuso, mi limitai a fissarla.
«Dobbiamo andare a prendere mia madre!» esclamò lei, agitata.
«Abbiamo ancora la spesa da sistemare e...» obiettai, aggiungendo mentalmente un "i miei ormoni da placare".
Frustrata, sbuffò.
«Oh, al diavolo! Vieni qui e fammi dimenticare il disastro che è la mia vita in questo momento».
Non riuscii a ricordare niente di più erotico che le sue labbra mi avessero mai detto.
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Eccoci qua con un capitolo carino. Pacifico. Come probabilmente non ricapiterà quasi più 😂😂
Scherzo, scherzo...
Comunque, volevo condividere con voi la mia ansia nell'essermi beccata un'influenza quando ogni colpo di tosse per gli altri è chiaramente sintomo di covid-19.
Anche se hai completato il ciclo vaccinale e stai prendendo un antibiotico che funziona.
Apro una piccola parentesi: un antibiotico funziona solo sul batterio/ceppo di batteri per cui è stato pensato; per i virus (come il covid-19) serve uno specifico antivirale. Così, in maniera super iper mega sintetica 😂
E niente, buon pomeriggio a todos e al prossimo capitolo!
Baci ✨
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