Capitolo 36 • Sconosciuti
Al mio risveglio, ebbi due consapevolezze: stavo sprecando una marea di tempo inutilmente e dovevo mettere a posto la famiglia di Maddie, così che lei potesse avere la mente più libera e potesse scegliere da sé come gestire la propria vita, senza necessariamente pensare a chi avrebbe badato a Charlie, a chi avrebbe pagato l'affitto e a chi avrebbe curato sua madre.
Partii proprio da lei per capire quanto grave fosse la situazione e mi diressi alla clinica dove andava sempre Maddie per accompagnarla alle visite: la trovai, dopo un lungo giro all'interno della struttura, in un angolino del cortile, da sola. Incapace di avvicinarmi, osservai per un po' la sua aria cupa e desolata.
«Una volta se ne occupavano di più i figli: adesso che si sono allontanati, sta diventando difficile aiutarla persino per noi».
Mi voltai verso la giovane infermiera che aveva parlato, di passaggio nell'evidente tentativo di portare in un'altra sala del materiale per iniezioni varie.
«Non vengono più a trovarla tanto spesso? Da quanto tempo è qui?» domandai, avido di informazioni.
«Non saprei, io sono qui soltanto da un mese... Quello che so dirti è che le ultime settimane sono state molto, molto solitarie per lei e, non so quanta confidenza hai con la depressione, ma la solitudine può essere fatale. Credo che l'abbiano ricoverata proprio perché ha tentato di togliersi la vita, ma non vorrei confondermi con un'altra paziente... Ad ogni modo, sta talmente male che nessuno la rimanderebbe a casa lasciando che provi ad ammazzarsi. O che ci riprovi, se la memoria non mi inganna. Sai, mi sto giusto ambientando...»
Cominciai a pensare che ci stesse provando, ma ignorai deliberatamente l'ipotesi perché non provavo alcuna attrattiva nei suoi confronti e, oltretutto, ero lì per motivi ben più seri.
«Assume psicofarmaci?» chiesi, a bruciapelo.
L'infermiera mi rivolse un'espressione dispiaciuta e fece un cenno ad un collega in fondo al corridoio prima di salutarmi.
«Sai bene anche tu che non sono autorizzata a diffondere informazioni così private. Oh, guarda: quello là dovrebbe essere il figlio. Chiedi a lui, magari... Anche se non capisco perché ti interessi il suo quadro clinico. Siete parenti?»
Scossi il capo.
«Tengo molto a sua figlia, tutto qua».
Ottenni un'aria scettica in risposta.
«Io di persona non la conosco, ma mi pare che abbia bisogno d'aiuto anche lei e non poco».
«Perché?»
Lei si guardò attorno e colse il richiamo del collega in fondo al corridoio.
«Uhm... Sarà merito del mio lavoro, ma ormai riconosco quando una persona non ha una bella cera e quella ragazza non sta bene, per niente. Fidati. Ad ogni modo, devo andare, ti auguro buona fortuna» mi liquidò, correndo via con pacchetti e pacchettini di utensili ad uso sanitario.
«Grazie. Grazie davvero...»
Mi voltai nuovamente verso la madre di Maddie e fu come se il tempo di quella chiacchierata con l'infermiera non fosse affatto trascorso: era rimasta identica, nella stessa precisa posizione, senza che si fosse mosso un capello. Mi colpì la costanza con cui teneva fisso lo sguardo nel vuoto.
Dopodiché mi resi conto che, in effetti, era proprio Charlie il ragazzo che mi si stava avvicinando.
«Ehi» salutai, neutro.
Lui mi rispose con un cenno, quindi si appostò al mio fianco, col naso appiccicato al vetro della finestra esattamente come me.
«Che ci fai qui?» indagò lui, con voce strana.
Mi presi il mio tempo per pensare a come rispondergli.
"Amo ancora tua sorella e voglio risolverle ogni problema nella vita per riaverla al mio fianco, possibilmente più simile a com'era prima" non era socialmente accettabile, giusto?
Mi piombò addosso tanta di quella pesantezza che rimpiansi di avere impressi nella memoria i sogni che avevo fatto. Ancora non riuscivo a spiegarmi perché fosse stata Flo ad illuminarmi, ma cominciai a capire che, nella vita, non c'era una risposta a tutti i perché. Non aveva senso pretendere di trovarne sempre una.
Optai ugualmente per la verità, solo espressa in maniera più elaborata.
«Sono preoccupato. Per Maddie e per te» confessai a bassa voce.
Charlie si voltò di scatto a guardarmi e non riuscì a celare la lucidità negli occhi.
D'istinto, lo presi e lo abbracciai forte: scoppiò a piangere come probabilmente non si era concesso di fare da un'eternità.
Per un bel po', rimanemmo fermi così, in silenzio, con Charlie che si appoggiava finalmente a qualcuno e con me che mi sentivo, per una volta, empatico.
«Hai voglia di raccontarmi cosa sta succedendo? Voglio solo aiutarvi» mormorai.
Charlie annuì, ma era chiaramente a disagio lì in corridoio.
«Vieni, andiamo nella sala d'attesa di un reparto poco affollato» proposi, con successo.
In una di quelle stanzette bianche con il linoleum grigio e le seggiole in plastica blu, un tavolino con tutte le riviste sparse sopra, scoprii finalmente che cosa stava accadendo nella vita di Maddie da quando aveva cominciato ad avere segreti con me.
Charlie mi raccontò innanzitutto del tracollo emotivo della madre: una caduta libera verso la depressione vera e propria in seguito all'abbandono dell'ex marito, un personaggio non poco problematico a quanto risultava dalla descrizione. Abbandonata la famiglia, costui si era trasferito altrove con l'amante cambiando tutti i recapiti e diventando irraggiungibile, senza mai versare un centesimo per l'istruzione o il sostentamento dei figli. La madre aveva perso definitivamente il lavoro più di un mese prima, non molto tempo dopo che io e Maddie ci fossimo definitivamente allontanati: consumata dalla solitudine, dall'insoddisfazione, dalla freddezza di due figli abbandonati a se stessi, si era quindi gettata dal quarto piano di un edificio in città, ma proprio in quel momento era passato il camion che trasportava la spazzatura e le aveva impedito di impattare brutalmente col suolo. Non che ne fosse uscita indenne, anzi: gambe e braccia piene di contusioni e qualche frattura, per un pelo non aveva rischiato la paralisi. L'abbandono effettivo da parte del padre e quello tentato da parte della madre avevano fatto a brandelli la stabilità mentale di Charlie, ancor più scombussolata poi dall'arrivo di Liam nella vita di Maddie.
«A lui non frega un cazzo di noi, non è come te. Le ho sempre detto che ha fatto una cazzata a mollarti. Vedi? Sei l'unica persona a cui importa veramente qualcosa di noi. Lui non ha fatto altro che allontanarla, portarla in giro, dirle che io so badare benissimo a me stesso e che alla mamma ci pensano i medici qua. E lei non ha la forza di imporsi, di non lasciarlo fare. Mi fa una rabbia che non hai idea» si sfogò Charlie.
Chiedere o non chiedere? Quanto entrare nel merito? Mi agitai un po', ma alla fine decisi che volevo sapere e che quella poteva essere la mia unica occasione per ottenere informazioni non contaminate.
«Come la tratta?» domandai a bruciapelo.
Charlie sospirò. Stava cercando le parole.
«La tratta come un oggetto che si può rigirare come gli pare. Mia sorella non pensa più con la sua testa, Peter. Non so neanche dove l'abbia messa, la testa».
Quelle parole mi fecero male, perché tenevo a lei come non tenevo a nessun altro al mondo. Assistere alla sua disfatta, inerme, mi faceva sentire impotente, un incapace. Dovevo assolutamente rimediare. Dovevo trovare una soluzione. Non le avrei permesso di rovinarsi e mandare la propria vita e quella di Charlie in malora.
«E lui cosa fa nella vita? Perché, in tutto questo caos, non si è ben capito» indagai ancora.
«Ufficialmente, lavora al bar. Sottobanco, credo proprio che abbia dei giri loschi di psicofarmaci. Un ragazzo così giovane dove trova i soldi per pagarci tutte le spese senza chiedere niente in cambio se non la compagnia di mia sorella?»
E fin lì, più o meno c'eravamo arrivati: il bagno di casa loro era un magazzino, in sostanza. La vera domanda era: che cosa stava dando Maddie a Liam in cambio? Mi auguravo che non si stesse svendendo perché avevo di lei un'opinione molto più elevata di così e speravo che nessun livello di disperazione o povertà l'avrebbe spinta a compiere un'azione così immorale.
«Andrò in fondo a questa storia non preoccuparti. E... Se dovessi aver bisogno o se dovessi notare qualcosa di molto strano, rivolgiti a me. Ti prego, non avere paura di chiedermi aiuto. Va bene?»
Charlie annuì e ci salutammo con un altro abbraccio molto significativo, scambiandoci da ultimo gli auguridi buon anno nuovo.
Seguii da lontano la visita alla madre, mentre la raggiungeva nel cortile interno della clinica: da quella distanza, praticamente due sconosciuti.
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Mi dispiace aver gettato una luce triste su questa vicenda, ma doveva andare così. La famiglia di Maddie è sempre stata un disastro, poteva solo peggiorare.
Al prossimo capitolo!
Baci ✨
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