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Capitolo 20 • Presagi

Quando notai il fastidioso Liam in paziente attesa della mia ragazza davanti al posto di lavoro, mi pervase una sensazione di mordente irritazione lungo tutto il corpo, specie attraverso le braccia. Strinsi i pugni per evitare di tirargliene uno e mandarlo a stendere una volta per tutte. Odiavo che avesse più occasione di me di ronzarle attorno.

«Ci vediamo stasera?»

Annuii.

«Rimani da me?» fece lei, timida.

Non comprendevo questo suo progressivo ritirarsi e fare ogni proposta con timore: io non vedevo l'ora di trascorrere del tempo insieme, ero tornato in città apposta. Eppure, sembrava non capirlo.

«Rimango quanto vuoi» sorrisi.

Le mie parole parvero finalmente scaldarla, così che potesse raccogliere il coraggio necessario ad avvicinarsi e baciarmi ponendomi una mano sul collo, con l'indice che accarezzava anche la mandibola. Questo semplice gesto mi accese all'istante.

Alzai gli occhi su di lei, dopo aver indugiato un po' sulle sue labbra umide, con desiderio lampante.

«Devi proprio andare a lavorare?» mormorai, roco.

Un angolo delle sue labbra invitanti si sollevò, lo sguardo fisso nel mio.

«A meno che tu non abbia alternative migliori...»

Mi aveva scoccato un colpo decisivo: avvertii i pantaloni stringersi e tirare in corrispondenza del cavallo.

«Sono capace di bloccare la portiera e non farti uscire dalla macchina, riportarti a casa mia e toglierti tutto quello che hai addosso in tre secondi».

Maddie parve sognare, a giudicare dall'espressione che assunse.

«E poi?» continuò a provocarmi.

«E poi...» deglutii, dopodiché la baciai appassionatamente e scesi a succhiare e mordicchiare il collo candido che aveva. «E poi ti farei dimenticare persino di aver avuto dei vestiti, così saresti costretta a rimanere nuda nel mio letto per sempre».

Affondò i denti nel labbro inferiore, tentata dall'immaginario. Purtroppo, questo non fece che sortire un effetto ancora più intenso sulla mia situazione già grave al di sotto del livello della cintura.

«Vai, per l'amor di Dio. Prima che io ti strappi la maglietta qui e ora, vai a lavorare» scongiurai, preso da un impeto di autocontrollo difficilissimo.

Maddie scoppiò a ridere, quindi mi salutò in definitiva e uscì.

Rimasi in macchina ancora per un po', nel tentativo di placare gli spiriti bollenti e riprendere la facoltà di guidare con piena consapevolezza. Nel mentre, lanciai un'occhiata verso Maddie e Liam, che entrarono nel locale scherzando e ridendo. Feci appello a tutta la sicurezza che avevo in me stesso per credere che, nonostante lui le avesse messo il braccio attorno alle spalle, lei non l'avrebbe mai giudicato più rilevante dei miei baci e del mio tocco sulla sua pelle.

Era innamorata di me e non avevo motivo di dubitarne o di farmi prendere dalla gelosia. Tuttavia, una vocina paranoica nella mia testa mi fece notare che lei non aveva fatto nulla per spostare quel braccio dalle sue spalle.

Scossi il capo. Non era il caso di rimuginarci sopra... Giusto?

Eppure, lo feci durante tutta la strada che mi riportò a casa dei miei genitori e per tutto il pomeriggio, quando cercai di concentrarmi sull'elaborazione dei dati che ci aveva assegnato da fare il docente di statistica per il martedì. Naturalmente, venne fuori uno schifo.

Salvai tutto per rimetterci poi mano quando avrei avuto la mente più fresca e chiusi il portatile, frustrato.

Quanto saremmo potuti andare avanti così?

Non era neanche dicembre. Gli anni dell'università erano appena cominciati. Mi sentii male, peggio di prima.

Diedi un'occhiata al cellulare e notai la formazione di un nuovo gruppo, dedicato al compleanno di Jason: la settimana prima di Natale avrebbe dato una festa gigantesca non molto lontano da Washington, dove i suoi genitori avevano una villa piuttosto maestosa, ed ero invitato anche io... Insieme ad un altro centinaio di persone. Sarcasticamente, pensai che affiggere un volantino alle porte di Harvard avrebbe risolto il problema più in fretta, senza stare a salvare tutti i numeri di cellulare e inserirli all'interno di un gruppo.

Nonostante si trattasse di una festa piena di persone, sperimentai per la prima volta un certo entusiasmo all'idea: forse era la location, decisamente lontana dai luoghi che frequentavo di solito, oppure la prospettiva di potermi isolare in un angolo e giudicare gli altri per evitare di pensare alla mia vita. Poi riflettei sul caos, la musica a palla, le luci stroboscopiche... No, non ero più così galvanizzato.

La sera, a cena, notai che mia madre indossava un abito a fiori e mi venne in mente che non regalavo a Maddie un mazzo di fiori da un'eternità. Ma dove potevo trovare dei fiori a quell'ora?

Estrassi velocemente il cellulare dalla tasca e scorsi tutti i fiorai della zona: il più lontano avrebbe chiuso nel giro di dieci minuti. Panico. Ansia. Paura. Non ce l'avrei mai fatta.

Se rimango seduto qui con le mummie ad aspettare la seconda portata, sicuramente no, pensai. Mi alzai di scatto.

«Vado a comprare dei fiori. Non aspettatemi» annunciai, fulmineo, e uscii dalla cucina per andare a recuperare le chiavi.

«Tutto bene?» domandò mia madre.

«Possiamo mandare qualcuno, torna a sederti!» la seguì mio padre.

Arrabbiato, feci due falcate indietro.

«Non voglio nessuno che faccia nulla. L'amore si dimostra mettendoci impegno, senza pigrizia e senza pagare gli altri per prendersi la briga di fare regali che vanno pensati in maniera personale. Ma cosa ne sapete voi!» sbottai.

Carico di adrenalina per la sfuriata appena fatta, mi fiondai in auto e premetti l'acceleratore, non badando ai limiti di velocità e guardando appena la segnaletica stradale: arrivai dal fioraio per il rotto della cuffia.

«Buonasera, ha ancora delle rose?» blaterai, sbrigativo.

L'uomo, anziano ma molto sveglio, mi lanciò un'occhiata rapida dall'alto al basso.

«Cosa devi farti perdonare, giovanotto?»

Ripresi un briciolo di fiato e ci pensai su.

«Niente? Tutto? Non lo so più nemmeno io... So solo che non le porto dei fiori dall'anteguerra e... E ho questa sensazione che la sto perdendo... Indipendentemente da quanto io mi stia impegnando, me la sento scivolare dalle mani ed è una sensazione bruttissima e io... Io non so cosa fare. Non so mai cosa fare, quando si tratta di lei. Sono anni che mi chiedo come io abbia fatto a conquistarla. Sono anni che mi chiedo che cosa l'abbia fatta innamorare di me».

Mi sentii profondamente a disagio ad esprimere tutto ciò che mi stava passando per la testa, ma a tenerlo dentro ancora per un po' sarei esploso. Sbrodolare tutto addosso ad uno sconosciuto che vendeva piante e fiori non aveva comunque senso, ma mi ero arreso, non volevo più cercare nessun senso, nessuna logica: volevo solo distendere le pieghe della mia anima, senza sentirmi più un groviglio di emozioni mai lette e mai risolte. Non potevo più vivere nella confusione, nel provare sentimenti e lasciarli lì, a causa della paura che avevo di affrontarli. Volevo essere libero, leggero, felice.

«La brutta notizia è che nessun mazzo di fiori ti restituirà il cuore di una donna che ha smesso di credere nel vostro amore... La buona notizia è che queste rose sono ancora molto belle e profumate: riceverle non la lascerà indifferente» mi sorrise l'anziano.

Annuii, ringraziandolo e pagando ben più del dovuto, quindi tornai in auto e guidai con calma fino a casa di Maddie.

Osservai con attenzione il mazzo di rose rosse elegantemente sistemato sul sedile del passeggero e sospirai: non sapevo se avrebbe messo a posto le cose, ma sapevo che lei quei fiori li meritava e che regalarli mi sembrava la cosa giusta da fare, a sentimento. Fossero serviti anche solo a sollevarle l'animo, sarei stato ben più che contento.

Verificai di aver tirato bene il freno a mano e scesi dall'auto impugnando l'unica mia arma rimasta a disposizione, infine suonai il campanello.

Era giunta l'ora della verità.

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E dire che Peter non si definirebbe mai un tipo romantico...

Come reagirà la nostra fanciulla?

Appuntamento al prossimo capitolo per scoprirlo 😘

Baci

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