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Capitolo 9- La stanza numero dodici

"I dettagli... sono fondamentali"

Valentine si sedette sul divano di pelle candida, dopo aver spento per un attimo il grammofono. Solo per un attimo.

Accese la televisione, e sorrise compiaciuto quando sentì la voce squillante di una giornalista spiegare come la testa ritrovata quattro giorni prima non fosse ancora stata identificata.

Valentine si guardò le mani.
Ora, dopo averle lavate per giorni, erano pulite e perfette come prima.

Tornò a osservare lo schermo del televisore, ma non riuscì a non notare che il bavero della camicetta della giornalista fosse leggermente disallineato verso destra.
E che i boccoli biondi le cadessero in maggior quantità sulla spalla sinistra.
Il suo diadema di perline nere incastonato tra le onde miele era troppo, troppo in contrasto con il colore del suo soprabito marrone.

Valentine cercò irritato il telecomando della televisione, alzando i cuscini con rabbia. Quando lo schermo tornò nero e tutta quella imperfezione scomparve da sotto il suo sguardo, il suo battito accelerato si normalizzò.

Affondò nel divano sospirando, poi osservò il soffitto.
La parete color avorio era la cosa su cui i suoi occhi puntavano quando erano in cerca di perfezione.
Quel bianco compatto, semplice e senza difetti era ciò che ricercava quando voleva un attimo di tregua da ciò che lo circondava e da tutte le sue sbavature.

Valentine si passò una mano sul gilet beige e si soffermò sulla tasca.
Ne tirò fuori un bigliettino da visita.
Sorrise.

Mancava poco.
Mancava poco e loro avrebbero scoperto la sua prossima sorpresa.

Lo scopriranno, pensò Valentine.

Lo scopriranno perché sono brillanti.

Brillanti. Oh, lui lo sapeva che lo erano.

D'altra parte, li conosceva così bene.

«Io... io non riesco a capire!» Xavier stava seduto sul bordo della poltrona di cuoio, guardando l'ennesimo servizio riguardante le indagini.
Era teso, teneva i gomiti poggiati sulle ginocchia e solo gli occhi smeraldini non erano nascosti dai palmi delle mani.

«Stiamo ancora investigando, ma crediamo di star seguendo un'ottima pista. Le informazioni raccolte sono molte, abbiate fiducia in noi e... in me.» Sullo schermo era partita una replica dell'intervista a Carter.

Xavier sbarrò gli occhi, incredulo e furioso.
«Ma che cazzo sta dicendo? Di quali prove sta parlando?» sbraitò lui, alzandosi in piedi e indicando il volto di Carter come se potesse sentirlo.

Zelda stava ingarbugliando tra le dita la sottile collana, sovrappensiero. Teneva lo sguardo basso, mostrando le palpebre coperte di ombretto scuro.
«Non hanno ancora identificato il cadavere, vero?» Si rivolse ad Alma, che stava seduta sulla scrivania nell'angolo della stanza, a sfogliare dei documenti.

La ragazza si girò, facendo stridere i tacchi di plastica sulle mattonelle del pavimento.
«No, assolutamente. Abbiamo contattato tutti i telegiornali e giornali più importanti, lo abbiamo riferito a tutto lo stato... ancora nessuna identificazione» disse preoccupata.
Poi continuò a osservare i fogli che aveva davanti, come se magicamente potessero aiutarla in qualche modo.

Mulder stava davanti alla televisione, le braccia incrociate.
Di schiena, il suo volto era nascosto agli sguardi degli altri.

Il detective si voltò per dire qualcosa, quando la porta si aprì di colpo, con un suono violento e inaspettato che fece sobbalzare tutti.

Un ragazzo affannato, dai capelli sigillati con la brillantina, si guardò un attimo intorno, squadrando gli investigatori. Teneva un foglietto in mano.

«Hotel Fluo Flamingo» porse il foglio a Mulder, «hanno trovato il corpo.»

Zelda e Xavier si rivolsero un'occhiata atterrita.

Davanti al Fluo Flamingo erano presenti già due pattuglie.

Se non ci fosse stata la luce fioca del pomeriggio, la scena sarebbe stata ancora più simile a quella della notte di capodanno.

L'uomo dal cappotto beige, che aveva avvisato i tre detective la sera del primo colpo di Enigma, era appoggiato al muro scrostato dell'edificio, fumando.

Quando vide Mulder e i gemelli raggiungere l'hotel, si staccò dalla parete e spense la sigaretta.
«Il corpo è nella stanza dodici» mormorò solo, prima di avviarsi verso l'entrata.

Dodici
Pensò Zelda.
Poteva essersi solo fatta influenzare, ma ricordava di aver prenotato proprio quella stanza, la sera in cui lei e Xavier erano andati a casa di Mulder.

«La nostra camera... non era la dodici?» chiese il ragazzo preoccupato, aspettandosi l'assenso della sorella.

Zelda gli rivolse una rapida occhiata.
«Non lo ricordo.»

Il proprietario dell'hotel era alla reception, parlava e gesticolava con un poliziotto e il suo volto era vermiglio dall'agitazione.
Un uomo di mezza età, dai pantaloni troppo lunghi e dalle bretelle lise.

L'agente con cui stava parlando, vedendo i detective, lo zittì un attimo e si allontanò da lui.
«Il proprietario dice di aver trovato personalmente il cadavere. È lui che fa le pulizie nelle camere» disse l'uomo, mantenendo un tono rigoroso e professionale davanti agli investigatori.

«E si è deciso a farle solo dopo tre giorni?» domandò retorico Xavier, senza ottenere risposta.

«La scientifica? È già nella stanza?» chiese Mulder, guardando una riproduzione degli Effetti Personali di Magritte appesa al muro.

L'altro annuì.

«Va bene» disse solo Oscar, poi si avviò verso le scale.

«Fate sedere quell'uomo» mormorò Zelda, indicando il padrone dell'albergo, «e trattenetelo qui. Dopo torneremo per interrogarlo.»

«Certo, detective.» Il poliziotto si congedò serio, poi si avvicinò al proprietario e lo condusse verso uno dei divani in pelle all'entrata.

Il corridoio stretto e soffocante sembrava ancora più infinito dell'ultima volta in cui Zelda e Xavier lo avevano attraversato.

Camminando, Xavier sentiva le assi del parquet colmo di umidità scricchiolare sotto il peso dei tacchetti dei suoi mocassini.

La stanza dodici era aperta, e si potevano scorgere i flash e sentire il sonoro schiocco delle macchine fotografiche.

Quando Mulder varcò la soglia, si sistemò i bottoni della giacca doppiopetto, poi si avvicinò al corpo decapitato della vittima di Enigma, portandosi un candido fazzoletto a coprire naso e bocca.
Lo copiarono i gemelli, poi tutti e tre iniziarono a squadrare il corpo che gli si presentava davanti.

Xavier iniziò per primo a formulare delle ipotesi, dopo aver preso un lungo respiro.
«La testa è stata recisa con un gesto pulito, unico.» Il ragazzo si avvicinò al cadavere cereo, «Ma è stato decapitato quando era già morto. C'è troppo poco sangue.» Constatò, osservando il liquido cremisi solidificato.

«Ma non c'è nessuna lettera...» sottolineò Mulder.
Non era nello stile di Enigma non lasciare un messaggio, Oscar lo sapeva bene.
Era la sua firma, e non metterla sarebbe stato come non darsi i meriti per il lavoro.

Zelda diede un rapido sguardo alla finestra.
Un camion mortuario era fermo davanti all'albergo, mentre i passeggeri erano già scesi per ritirare il corpo.

«Hanno già avvisato un medico legale?» Zelda tornò a osservare il camion, pensierosa.
Ne aveva visti così tanti di simili, che ormai, ogni volta che ne vedeva uno, provava la stessa identica sensazione di vuoto misto a una rabbia pacata e fioca, che non sarebbe mai riuscita a infrangere il suo muro di distacco e uscire allo scoperto.

Mulder annuì, poi si allontanò dal corpo.
«Avete recuperato delle impronte?» chiese il detective a un uomo della scientifica.

«Sì. Ma sono solo della vittima. Dell'omicida non c'è traccia» dichiarò l'altro, scuotendo il capo.

Xavier si guardò intorno, osservando i mobili di finto legno e le crepe nel muro.
Era la loro camera, ne era certo.
Come era certo che non fosse stata una coincidenza e che Enigma avesse voluto giocare con loro un'altra volta.
Quanto ancora sarebbe durata quella partita immorale?

«Chiamate qui il proprietario e coprite il corpo» ordinò Zelda, mentre due poliziotti scattavano sotto il suo comando.

Quando l'uomo arrivò nella stanza iniziò a mugugnare e imprecare sottovoce, cercando in tutti i modi di distogliere lo sguardo dal lenzuolo sotto cui giaceva il cadavere decapitato.

«Salve.» Lo raggiunse Mulder, «Sono Oscar Mulder, e loro sono i detective Zelda e Xavier  Lynch. Vorremmo farle alcune domande.»

L'uomo guardò i Lynch torvo.
«Uno dei due è un clone? Perché io non ci parlo con quelle cose

I due rimasero impassibili.

«No, siamo solo gemelli.» Chiarì fredda Zelda.
«Quando ha scoperto il corpo, saprebbe dirmi che ore erano?» chiese, stando pronta con taccuino e penna tra le mani.
Lo stesso fecero Xavier e Mulder.

L'uomo si grattò incerto la testa, poi disse:
«Credo fosse intorno alle otto di stamani, sì. Ero venuto qui per fare le pulizie.»

«Quindi lei non fa le pulizie appena un cliente lascia la stanza?» chiese irritato Xavier.

Zelda si lasciò sfuggire un effimero sorrisetto. Suo fratello non sapeva nemmeno cosa voleva dire trattenere le emozioni.
Quando era infastidito da qualcosa iniziava a scandire con durezza ogni parola. Era impossibile da non notare.

«Certo. Io le pulisco solo ogni tre giorni. Se un cliente vuole alloggiare semplicemente gli do un'altra camera. Tanto, non c'è quasi mai nessuno qui» dichiarò l'uomo, come se fosse la cosa più naturale al mondo.

Xavier alzò le sopracciglia, poi guardò il taccuino.

Se solo quell'uomo avesse avuto la decenza di pulire lo stesso giorno in cui Enigma aveva alloggiato, sarebbe stato tutto molto più semplice! Pensò il ragazzo, esasperato.

«Ha notato niente di strano nei clienti degli ultimi quattro, cinque giorni?» domandò Mulder, cercando di far tornare la situazione professionale.

«Ci può dare i nomi, inoltre?» si accodò Zelda.

L'uomo li portò alla reception, poi prese un'agenda enorme e polverosa.
Si mise gli occhiali e iniziò a cercare, facendo scorrere il dito sulla carta ingiallita.

«Allora... negli ultimi tre giorni hanno alloggiato sei persone» annunciò il proprietario, «Malcom Davis, Andrew Wilson, Francis Allen e Maximilian Mitchell. E poi Xavier e Zelda Lynch.»

Zelda lo fermò, «Non ci conti, siamo noi» mormorò distratta, mentre prendeva appunti.

Tutti e tre i detective erano chini sui propri taccuini a trascrivere quei quattro nomi che si sarebbero trasformati subito in indiziati.

Troppo semplice.
Si trovarono a pensare all'unisono.

«Ah, giusto, giusto. Ecco dove vi avevo già visti. Comunque, due hanno alloggiato qui la notte del primo gennaio. I restanti in quella del due. Maximilian Mitchell e Malcom Davis.»

«E lei, in entrambi i casi, non ha sentito nulla di strano? Rumori, eccetera?» Xavier guardò l'uomo speranzoso.
Qualcosa devi pur tirare fuori!

«No»

«No?»

«No, non ho sentito nulla di strano, detective.»

Xavier guardò Mulder, che era rimasto zitto.
«Ma lei ci lavora qui, Non ha visto nulla di sospetto, ne è sicuro?» Xavier aveva iniziato a scandire lentamente ogni parola.

L'uomo sbuffò.
«Sentite, io vi ho già dato i nomi, altro non posso fare. In tutta sincerità, dopo una certa ora non sto più in reception e vado a dormire. Se è successo qualcosa non l'ho sentito, come potevo sapere che ci sarebbe stato un assassinio proprio da me?» sbottò, gesticolando.

Xavier si avvicinò a Zelda.
«Non ci è più utile» sussurrò, mentre l'altra annuiva.

Mulder sembrava pensarla allo stesso modo.
«Va bene, grazie per l'aiuto, signore» si limitò a esclamare Oscar.

«Ah, giusto. Tenete un biglietto da visita, lo do a chiunque passi dal mio albergo.» Il proprietario si sporse verso il bancone e prese due biglietti.

«A voi uno, perché siete insieme» disse, passando il pezzo di carta ai gemelli.

Tutti e tre i detective si guardarono sconfitti.

Adesso avevano solo quattro nomi su cui contare.

«Xavier, gli uomini della scientifica stanno portando le impronte in laboratorio, noi andiamo con loro.» Zelda gli si affiancò, mordendosi l'interno della guancia, mutando i suoi lineamenti in un'espressione pensierosa e divertente al contempo.

«Quella era la nostra camera, Zelda» mormorò Xavier, cercando di scacciare l'agitazione che si arrampicava lungo la sua gola.

Zelda continuò a guardare davanti a sé.
«Lo so. Ma non bisogna pensarci.» La ragazza si allontanò dal fratello, disse qualcosa a Mulder e poi insieme uscirono dall'hotel.

Un ragazzo giovane, sulla trentina, li fece entrare nel laboratorio della scientifica e li accompagnò fino al computer, dove erano seduti ad aspettare due uomini.
A fianco a loro, le impronte digitali rinvenute sul cadavere.

I cappotti lunghi e scuri dei tre detective, insieme al fermaglio decorato con una piuma smeraldo che Zelda si era concessa di mettere, stonavano in maniera esagerata con tutte le sofisticate apparecchiature elettroniche del laboratorio.
Ma era ancora più surreale vedere che tutti, alla scientifica, portavano camicie, gilet e bretelle incrociate, soprabiti vestiti a vita bassa, mentre sugli appendiabiti riposavano impermeabili e cappelli di feltro.

In realtà, tutto quello stile, tutto quel modo di vivere stonava con il mondo.
In quel loro pazzo mondo in cui la genetica era riuscita a clonare le persone e la tecnologia si era sviluppata estremamente, ma in cui la gente vestiva con la moda degli anni ruggenti e a volte era difficile ricordarsi che si era nel futuro e non nell'età del Jazz.

«Ora procederemo con l'identificazione» annunciò con un sorriso di cortesia uno dei due poliziotti, mettendosi al computer, mentre l'altro gli passava le impronte.

Zelda osservava lo schermo impietrita.
Una parte di lei si aspettava che sul monitor apparisse un volto sconosciuto.
Lei lo avrebbe squadrato per qualche momento, lo avrebbe memorizzato e la faccenda sarebbe finita lì, come sempre.
Ma dall'altra parte, allora, perché sentiva un'angosciante agitazione schiudersi tra le sue interiora?

Xavier si avvicinò a Mulder, mettendosi alle spalle dell'agente al computer.

«Ci vorranno pochi minuti» affermò quest'ultimo, come se quella frase l'avesse ripetuta un'infinità di volte.
Probabilmente era davvero così.

Xavier guardava a terra, battendo freneticamente il tacco della scarpa sul pavimento.
Quando sentì l'asse di legno scricchiolare sotto il suo peso e gli tornò alla mente il corridoio del Fluo Flamingo, si fermò subito. Possibile che stesse provando tanta ansia per un'identificazione? Non aveva mai visto quel morto in vita sua.

Mulder guardò Xavier. Sapeva che era preoccupato, come era in tensione Zelda, anche se lo faceva notare di meno.
Oscar guardò lo schermo che scannerizzava l'impronta, e sentì una sensazione strana percorrergli la spina dorsale, fino a raggiungere il petto. Poteva essere paragonata a una densa nebbia che si spostava sotto la spinta del vento, tra le sue viscere. O la si poteva chiamare con il suo vero nome: Angoscia.

E quell'angoscia, quell'ansia, quella tensione che in quel momento accomunava tutti e tre i detective, esplose quando davanti a loro comparve il volto della vittima.

Zelda spalancò la bocca e annaspò in cerca d'aria, voltandosi per non farsi vedere dagli altri.

Xavier si portò entrambe le mani alla bocca e le fece scorrere fino alla fronte, disfando l'acconciatura certosina, mentre ciocche di capelli ramati si aggrovigliavano nelle sue dita.

Mulder rimase ancorato alla sedia, immobile dietro al poliziotto. Stringeva lo schienale con talmente tanta forza che le sue nocche impallidirono per tutta la pressione esercitata.

Non era possibile.

«Marcus Rivera» riuscì solo a dire il poliziotto, guardando Mulder con occhi colmi di smarrimento.

Tutti i presenti si voltarono nella loro direzione, avvicinandosi, silenziosi, agli investigatori, come uno sciame di lucciole attratte da una torcia.

Sullo schermo, immobile, era proiettato il volto di Marcus Rivera.
Ancora sorrideva sornione, ignaro di aver perso, alla fine, anche lui.

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