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Capitolo 51- Deus Ex Machina

Si scoprì che la lettera lo paragonava ad Agamennone, il re dell'Argolide, capo degli Achei e dalla figlia usata come sacrificio per la guerra di Troia.

"Agamennone, la tua Ifigenia è morta da troppo tempo. Come hai potuto permetterlo? Nemmeno Elettra è più dalla tua parte"

Oscar non lo aveva detto, ma Zelda se l'era fatto sfuggire, mentre il vento dalla finestra le scompigliava i capelli e Xavier riversava tutto il suo rammarico di fronte a lei.

"Non dovevi permettermi di dargli la lettera" ripeteva, e lei rimaneva in silenzio, fumando e mangiando nocciole. Poi aveva solo detto:
«Non è colpa tua se sua figlia è morta.»
E Liza l'aveva guardata.
Sospettosa, scolvolta, sbiancata di colpo, quasi stesse per svenire.
Così l'aveva scoperto, e Zelda aveva raccontato.

Le spiegò come Olivia, la figlia unica di Oscar, fosse morta diversi anni prima.
Le disse che era stata assassinata, senza scendere in dettagli che sapeva non le spettasse dire, non in quel momento.
Liza la stava ad ascoltare, inflessibile, senza dire nulla.

Olivia aveva ventun'anni, raccontava poi Xavier. Ventuno, come quelli che portavano fieramente lui e Zelda l'anno che avevano conosciuto Mulder.
Ma Olivia non era come loro, era la sua vera figlia, e lui non ne parlava mai.

Zelda ricordò di colpo un episodio che all'inizio pensava l'avesse colpita molto, talmente tanto che non avrebbe mai potuto dimenticarlo.
In quel momento lo riesumò dalla fitta tela di ricordi che giacevano assopiti nel fondo della sua mente.
Lei e Xavier, insieme a Mulder, seduti sotto l'ombra scarna di un albero spoglio, in un prato davanti a una delle sue prime scene del crimine.
Non ricordava perché, ma lui aveva parlato di Olivia.
Diceva avesse sempre un aneddotto interessante da raccontare.
Così Zelda non ci aveva pensato due volte e gli aveva spiegato come le libellule femmine evitassero i maschi fingendosi morte.
Oscar aveva riso, tanto, e col suo tono graffiante aveva detto che era decisamente un aneddotto interessante.
Forse era da quel momento che aveva iniziato a voler loro bene.
Tutti e tre stavano ricercando qualcosa di perso, e si stavano rendendo conto di averlo trovato.

Mulder non era tipo da esternare il dolore, ma Xavier aveva imparato a leggere persone come lui, aveva dovuto, almeno.
E sapeva che da tanto tempo sulle spalle di Oscar non pesava più quella torbida angoscia che ogni tanto mostrava, velata, anni prima.
Amava convincersi che fosse perché ormai quella morte l'aveva superata, e aveva disperso il suo dolore man mano che i ricordi si offuscavano, lasciando spazio solo a delle dolci memorie amare.

«Io non ne sapevo... nulla.»
Liza, lo sguardo fisso verso un punto cieco della stanza, sembrava disconnessa, immersa in una miriade di emozioni contrastanti.

«Non potevi.» Zelda accese una sigaretta, Xavier gliela rubò prima che potesse aspirare la prima boccata.
Fumò poco, colpevole per quel gesto inusuale e nervoso.

«Ma Oscar. Lui non ne ha mai fatto parola.»

«È perché ha deciso di andare avanti. Anni fa.»Zelda si chiese se davvero fosse così.
A loro, a tutti, aveva sempre mostrato di sì.
La sua vita intera era sbocciata di nuovo, quieta quasi come lo era stata una volta.
E adesso quella lettera, quella memoria che portava con sé l'amaro e la sorpresa di ricordare di nuovo qualcosa che doveva essere stato seppellito da tempo, cancellato dai discorsi e dalla quotidianità.

Enigma lo sapeva: tendere un agguato così sottile, cogliendo tutti con violenza, pungendo carne viva con talmente tanto sadismo.
Enigma sapeva che Olivia era scomparsa dalle conversazioni, diventando il dettaglio nascosto di Mulder.

Per tutto quel tempo Liza lo aveva conosciuto senza sapere nulla del suo passato, come se desse per scontato che non ci fosse niente da tenere segreto. Quasi i suoi trascorsi non fossero quelli davvero importanti, tra le dinamiche del gruppo.
In quel momento comprendeva quanto si fosse sbagliata a credere che Mulder, solo perché non aveva fatto qualcosa per dimostrarlo, fosse esente dalla sofferenza.

«Non c'è problema, ormai, se gli dirai che ti abbiamo detto tutto» disse Xavier.

«Non si arrabbierà, davvero.»
Zelda accese un'altra sigaretta, coprendo il fuoco dell'accendino con il palmo della mano.
I suoi occhi brillavano di fiamme e lei sembrava pensare, pensare senza darsi tregua a qualcosa di incredibilmente specifico.

Liza non disse altro.
Rimase seduta, il mento incastonato tra le dita, dedita a osservare il nulla davanti a lei. Improvvisamente tutto le parve vuoto.
La strada deserta, i lampioni spenti, le ultime mensole spoglie della libreria.
Quella vacuità che sembrava estendersi all'esterno la sentiva anche tra i polmoni, lungo le spalle, tra le viscere, mentre la richiamava a sé e lei non faceva nulla per opporsi.
A un tratto divenne quasi rasserenante, o forse si abbandonò soltanto a quel niente che sembrava cullarla nella sua tiepida apatia.
Sapeva che non era solo per via di Mulder.
Lo sapeva, ma non riuscì più a a dirselo, troppo assuefatta a non pensare.

«Forse hai ragione.» Zelda la guardò.
Eterea, quasi spettrale dietro alla cortina di fumo. «Dovremmo parlare con i sospettati.»

Un manto di nuvole grigie si stendeva su quel cielo nero, allo stesso modo in cui il fumo di una sigaretta si espanderebbe nel buio di un ufficio. Poche le auto per strada, tantissime le persone lungo i marciapiedi.
Una fauna eccentricamente variegata si muoveva, dissimile e al contempo uguale, come un'unica entità vivente.
Qualcuno aveva coperto un vecchio graffito di Andrew con la scritta "Assassino", ma vicino a quell'atto di ribellione era presente una nuova opera, un nuovo Wilson portante in una mano una fiaccola. Sotto di lui era scritto: "Prometeo".

L'auto davanti a loro non faceva che cambiare corsia, e Zelda di tutta risposta non faceva che suonarle, infastidita.
«Ma perché non riesce a mantenere una direzione, cazzo» disse, suonando un'ennesima volta.

«Non stargli troppo vicino» le suggerì Xavier, che, seduto vicino a lei, leggeva per la prima volta dopo giorni un quotidiano.
«Sai che hanno fatto un'intervista alla moglie di Carter?»

«Non mi dire.»

«È finita con un racconto della sua vita.»

«Chissà come lo sospettavo.»
Zelda si girò verso i sedili posteriori alla ricerca di qualcosa, tenendo una sola mano sul volante.

«Cosa stai cercando? Faccio io» si offrì Xavier, intimorito dall'idea che lei non guardasse la strada.

«È uguale, era la fondina. Devo averla dimenticata in ufficio.»

Lui si scostò la giacca, liberando la beretta dalla sua custodia di cuoio.
«Prendi la mia.»

«Ma lascia stare.»

«Dai.»
Lui la lasciò sul cruscotto, prima che lei l'afferrasse con un gesto rapido e forzatamente infastidito. «Non serviva.»

Lui tornò a guardare la strada, mentre il mezzo sorriso che gli inarcava le labbra iniziava a scomparire. Il gomito appoggiato al finestrino, le luci del marciapiede riversate nei suoi occhi.
«Non credo tornerò a Chicago, Zelda.»
Ammise d'un colpo.

Lei sbattè le palpebre, velata di una sopresa nascosta.
«Perché?» chiese solo, limpidamente.

Xavier espirò, abbassando lo sguardo. Si porto una mano alla tempia, quasi avesse mal di testa.
«Perché non è andata bene. Credo tu l'abbia già capito.»

«Probabilmente.» Zelda gli scoccò una breve e acuminata occhiata.

«Non era il mio ambiente, tutto qui.»

«Ma è quello di Liza» ammise lei, quasi a se stessa. Era una sentenza che faceva male ad entrambi, nello stesso identico modo.

«Non lo so. Perché ne stiamo parlando adesso, comunque?» domandò poi Xavier, esausto e contradditorio.

«Perché hai iniziato te.»
Zelda lo guardò di nuovo, deridendolo con un sorriso di tiepido, e forse più tenero sarcasmo.
Uno dei due doveva dire qualcosa, sapevano entrambi che c'era troppo di non chiarito per essere davvero in pace con loro stessi.
Un pensiero fulmineo, lacerante, la colpì a tradimento.

Ti odio.

Lo pensava, se non lo aveva ancora smentito.

«Ascolta.» Xavier era tornato serio, -terribilmente serio- e avrebbe potuto dirle qualcosa, se lei non avesse esclamato:
«Ecco il palazzo!» quasi per tacere una conversazione che aveva troppo timore ad affrontare.

Scesero entrambi dall'auto. Il cielo, di un buio ultraterreno, sembrava vegliare su di loro.

Il telefono della stanza accanto squillava, nessuno rispondeva.
Sembrava non esserci nessuno al terzo piano, tranne qualcuno di solo passaggio, diretto ai piani inferiori. Mulder guardava la tabella dei sospettati, i fogli oscillare, la foto di Andrew al centro di tutto quel mosaico di evidenze.

«Ti ho portato della carta. La stai per finire.»
Liza aggiuse dei fogli sotto il portacarte che giaceva, impolverato, sul bordo della scrivania.

«Grazie.» Oscar sembrò sorpreso.
Alzò lo sguardo dalla tabella, gli occhi piccoli e scuri dietro le lenti degli occhiali.

«Allora li avevi» scherzò lei, indicandoli.

«Sì, volevo far leggere i gemelli, prima. Pensavo li avrebbe divertiti.»

Cadde il silenzio, mentre Liza rimaneva a contemplare quelle parole, così sbagliate e terribilmente innocenti, che quasi le diede fastidio il fatto che fosse stato proprio Mulder a pronunciarle.
«Si chiamava Olivia» disse, senza pensarci.

«Sì. Piaceva a mia moglie. Significa frutto dell'ulivo, simbolo di pace.»

«È un bel nome.»

Lui annuì.
«All'inizio nemmeno mi convinceva» disse.
«Ma a lei stava particolarmente bene.»

Liza si sedette sul bordo della poltrona.
Fece per parlare, ma Oscar la precedette.
«Ti hanno già raccontato, vero?»

«Cosa?»

«Xavier e Zelda. Ti hanno raccontato ogni cosa.»

Lei rimase in silenzio, rigida sul posto.

«Lo sospettavo. Quando parlano tra loro, sono allucinanti: si potrebbero lasciar sfuggire di tutto»ammise, con un orgoglio sprezzante e al contempo divertito.
Si tolse gli occhiali, passandosi una mano sugli occhi affaticati.
Poi sospirò, colmo di una placida stanchezza.
La lettera di Enigma giaceva vicino a lui, intrappolata in una busta di plastica.

«Mi hanno detto poco. Volevano solo chiarire la situazione.»
Liza cercò una qualsiasi cosa da fare, non trovando nulla che la facesse sfuggire dal quel silenzio stazionario e opprimente.

«Ma non ce l'ho con loro, figurati» lui sorrise.
«Ne hanno fatte di molto peggio» dichiarò, e davanti agli occhi sembrarono passargli interminabili brevi memorie.
«È che non sento il bisogno di ricordare. Almeno non in maniera dolorosa» confessò.
«È per questo che non ti ho detto nulla, Liza.»

Lei scosse la testa.
«Non dovevi. È un tuo fatto personale.»

«Forse.» Lui scrollò le spalle, tranquillo.
«Ma ora che lo sai, mi farebbe piacere parlarti di lei.»

Liza annuì, e lui le raccontò di Olivia.
Lasciò che ogni memoria, dalla più dolce alla più aspra, fluisse viva, lungo le sue parole.
Le disse di come alle elementari era stata sospesa per aver picchiato un suo compagno, -era vivace, ma non nel torto, volle specificare- e che arrivata al diploma fosse stata bravissima.
A ventun anni, l'ottobre in cui era morta, si stava preparando per l'esame di diritto.
Studiava per diventare avvocato.
«Le avevo trasmesso il senso per la giustizia. Ma per quanto fosse di gran lunga più intelligente di me, era troppo gentile per seguire la mia strada.> Aveva detto Oscar, ricordando, ormai senza rimorso, di quanto all'inizio lui avesse premuto per farla entrare in Accademia.

Disse che lo chiamava ogni venerdì alla stessa ora per raccontarle la sua settimana, e che a nove anni avesse insistito per avere un serpente domestico.
«Il suo colore preferito era il bianco, piace anche a Zelda.»
Mulder si versò una tazza di caffè.
«Ma preferiva la limonata, all'espresso.»

Olivia era andata a vivere da poco in affitto, da sola. Sua madre aveva insistito perché portasse un po' di argenteria, da usare per qualche evento.
Lei aveva riso, spiegandole che gli unici eventi che avrebbe potuto ospitare nel suo monolocale erano delle serate tra amici, ma aveva accettato comunque.

Coi suoi capelli in movimento, i suoi vestiti tinta unita, Oscar la ricordava pulire il salotto da sola, pensando a dove avrebbe potuto mettere i quadri che le avevano regalato.

«Quando è morta, in casa c'erano ancora degli scatoloni chiusi» disse Mulder. «Si era trasferita da troppi pochi mesi. L'argenteria era sul tavolo, e i ladri che sono entrati devono averla trovata subito. Ma l'hanno uccisa comunque a coltellate.»
Non li avevano trovati per un anno intero.
Poi, quando tutto sembrava essere tornato statico, e ognuno lasciava che il dolore scorresse sordido, era arrivato l'arresto.
Uno di loro, al tempo dell'omicidio, era minorenne. Oscar si era presentato a tutti gli appelli, come testimone diretto.

«L'avevo trovata io, quella sera. No, non guardarmi così» rise quasi, di fronte allo shock di Liza, che intanto se n'era stata ferma ad ascoltare con gli occhi patinati di lacrime.
«Ormai è passato. So che può essere difficile da pensare, ma è così.
Sai, per queste cose credo sia solo un semplice terno al lotto naturale.
C'è chi riesce a superare, e chi solo si convince.
Io sento di esserci riuscito, o almeno, è capitato che io riuscissi a superare tutto questo.
Ma siamo diversi. Nessuno ha lo stesso modo di far fronte a qualcosa di un altro, e non tutti hanno la stessa fortuna che ho avuto io. Ci sono avvenimenti, dolori, che sono troppo personali per essere uniformati a un unico modo di affrontare e di soffrire. E credo tu lo sappia bene.»

Liza annuiva.
Si sentiva sopraffatta da un'emozione forte e totalizzante, l'esplosione di un sentimento opprimente.
Ma era qualcosa di più simile alla commozione che alla tristezza, di fronte alla tranquillità sincera di Oscar.

«E poi, adesso, non sono da solo» confessò lui, sorridendo con una ruvida dolcezza.

«Xavier e Zelda.»
Liza incrociò le braccia, mentre si passava una mano sull'angolo dell'occhio.

«Sono entrati nella mia vita sfondando la porta a calci.» Mulder rise, divertito di fronte a quell'assurda verità.
Se Olivia avrebbe per sempre lasciato uno spazio vuoto, volutamente non rimpiazzato, i gemelli erano qualcosa di diverso, sì, ma che lo faceva semplicemente stare bene.
A discapito delle loro dinamiche inafferrabili e di tutti i problemi che si portavano appresso, Oscar aveva semplicemente accettato il fatto che loro servissero a lui, quanto il contrario.
Con discrezione, silenzio, pacatezza, come era solito per tutti e tre dimostrare i sentimenti più profondi, ma era così.

«Non vuoi che ti dica mi dispiace, vero?» chiese Liza infine, mentre sorrideva, malinconica.

«No, manco per il cazzo» lui scoppiò a ridere, rassegnato.
«Piuttosto ringraziami per averti raccontato tutto e basta.»

«Allora grazie.»
I suoi occhi rifletterono una luce vivida e riconoscente, quasi in quel momento fosse stata finalmente consapevole di un importante segreto.

«Dammi una mano a riordinare la tabella» disse all'improvviso lui, alzandosi e stirandosi come un orso, ormai tornato al suo classico modo di sempre. «Che qui non fa un cazzo nessuno, altrimenti.»

Liza, riscossa da un torpore amaramente delicato, si avvicinò allo scatolone delle prove.
«Ti servono gli oggetti personali di Andrew?»chiese, meccanicamente, indicando una pila di libri. Con la mente vagava ancora a quell'assurdamente intima conversazione.
L'aveva scossa in una maniera viscerale, e presto si rese conto che la sua vita avesse davvero conosciuto emozioni profonde solo da poco.
Forse prima erano state semplici anteprime, sentimenti coperti da uno strato di accecante apatia.

«La roba di Wilson?» Mulder assottigliò lo sguardo.
«Vabbè, passamela. Anzi, solo la lettera che gli ha scritto Enigma, quella sull'etica.
Dobbiamo rileggerla almeno altre trenta volte per capirla» scherzò, mentre Liza gli passava il foglio.

«Sposta le informazioni degli ex sospettati, levale, per adesso» suggerì lei, la lettera tra le mani, pronta per essere attaccata con una puntina vicino alla foto di Andrew.

«Francis Allen...» Oscar tolse il suo identikit, insieme al test grafologico.
Appoggiò entrambi sul tavolo.

«Maximilian Mitchell... Malcom Davis... Andrew pezzo di merda, tu rimani lì...»

Tutte le evidenze caddero sulla scrivania, una attaccata all'altra, come una fila ordinata di volti e scritte a mano.
«Passami un po' la lettera.»

«Aspetta.»

Oscar si voltò, brusco.
Liza stava davanti a lui, immobile allo stesso modo di un camaleonte mimetizzato in mezzo alle foglie vivaci di una pianta.
Teneva tra le dita il foglio, e stava comparando la scrittura con uno dei test grafologici.

«Questa è l'unica lettera che avete trovato a casa di Andrew?» chiese, la voce spezzata, lo sguardo saettante da una scrittura all'altra.
Si guardava intorno, sconvolta.
Gli occhi sbarrati, le gambe molli.
Un brivido di terrore le percorse la spina dorsale. Paura che, da inconsapevole adrenalina, si stava trasformando in puro orrore.

«L'unica...» Oscar si avvicinò, seguendo con attenzione le occhiate dell'altra.
«Liza» esclamò alla fine, scioccato.
«Liza, Liza, porca di una troia!»

«Prego, accomodatevi» disse il sospettato, mentre faceva entrare Xavier e Zelda nel suo appartamento.

Un vinile di Chet Baker roteava sul giradisci, liberando nell'atmosfera le note sognati di My Ideal, quasi una trillante ninna nanna che scorreva lungo le pareti chiare e i mobili di legno.

Li condusse lungo un sottile corridoio dalle stretti pareti, quasi opprimenti.
Poi sbucarono, come frutto di un'illusione, in una piccola cucina color crema.
Un bollitore fischiava sul fornello acceso, due tazze erano già riempite di un tè passato, ormai freddo.
Una delle due era ancora colma.

«Vive con qualcuno?» chiese Zelda, mentre osservava l'ambiente intorno a sé.
In un calendario con foto di cocktail erano segnate diverse date per il mese di aprile.
Il lavandino era pulito, le stoviglie sistemate un un asciugapiatti vicino.
Uno dei ripiani della cucina era, curiosamente, occupato da dei volumi di fisica.
"Relatività" "Meccanica classica e quantistica" e altri titoli dai caratteri cubitali.

«Sì, ma non c'è sempre. A volte sono da solo.»
«Volete del tè?» domandò poi, quasi a cambiare discorso.
Xavier negò, seguito da Zelda.

«No?» chiese lui, di nuovo.
«Allora magari posso offrirvi uno cherry.»

I gemelli si scambiarono un'occhiata tesa, quasi a domandarsi se fosse stato socialmente accettabile rifiutare una seconda offerta.

«Allora due cherry, va bene» accettò Zelda, sempre sull'attenti.

Lui sorrise, compiaciuto.
«Benissimo, ne ho uno di ottima qualità, davvero»annunciò, mentre scompariva nella parte della cucina coperta da due spesse mura ad arco.

I giornali erano disposti su una panca vicino al divano, divisi per gradazione del colore delle copertine.
Vicino alla finestra era abbandonata una cornice senza specchio, priva di polvere, quasi fosse stata comprata da poco e lasciata inutilizzata.
Alle pareti erano appesi dei quadri esibenti quelle che sembravano essere detti o frasi motivazionali.

La curiosità è l'inizio della sapienza.

La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione sfuggevole, l'esperimento pericoloso.

«Così la Grant le ha chiesto di testimoniare per il suo libro.»
Iniziò Xavier, mentre vagava lungo quell'assurda stanza pentagonale, da cui sembrava iniziare l'appartamento.
Tre porte gli si paravano davanti, tutte e tre chiuse.

«Sì, vuole fare una parte interamente dedicata ai sospettati, credo.»

«E lei ha intenzione di accettare?»
domandò Zelda, alzando leggermente la voce, dal fondo della stanza.
Si era avvicinata a una delle porte, e l'aveva aperta.

«Zelda!» sibilò Xavier, sbarrando gli occhi.
Lei non disse nulla, mimò solo un'espressione disinteressata e scacciò quel rimprovero con un'alzata di spalle, voltandosi a guardarlo ancora una volta, di sottecchi, in segno di sfida.

«Sì, credo che accetterò» disse il sospettato, dall'altra stanza.
«Alla fine, sono solo poche righe. E credo mi spetterà una somma.»

«Capisce che per noi è un fatto molto più serio di una semplice intervista» dichiarò Xavier, sganciando lo sguardo da Zelda.
«Sarebbe preferibile se dessimo noi la versione dei fatti, essendo stati in prima linea.»

Zelda lo richiamò, annoiata.
Guardò la terza porta e, tranquilla, l'aprì.

Un'intensa luce blu le si riversò sul viso, inondandole i lineamenti di bagliori profondi e luminosi, facendola risplendere di un'aurea marina ed elettrica.
I suoi occhi lampeggiarono di un'emozione indecifrabile, prima che si portasse le mani alla bocca.

«Cosa?» sussurrò Xavier, preoccupato.
«Cosa?» ripeté, più teso, avvicinandosi.

La stanza era buia, ma l'acquario al centro era perfettamente visibile, accecante e sacro nella sua rilucenza.
Delle meduse nuotavano al suo interno, ipnotiche e inconsistenti, ignare del mondo al di fuori di quel rettangolo d'acqua.
I tentacoli brillavano come tanti fili di sottilissimi zirconi, lunghi ed esili, e loro li trascinavano appresso come strascichi di un vestito prezioso.

Xavier e Zelda si scambiarono un'occhiata intensa, confusa, puramente terrorizzata.
Uno sguardo raro e atterrito, di come pochi se n'erano scambiati nel corso delle loro vite.
Lui si allontanò di qualche passo, arretrando senza pensare.

«Giusto. Ma, sa, anche io ho assistito ai fatti in prima linea.»

Il cane della pistola schioccò, secco.
Xavier trattenne il respiro, paralizzato, mentre continuava a fissare Zelda.
Lei, cerea, sembrava non aver ancora compreso bene ciò che stava succedendo.

«Ascolti» esclamò Xavier, con un tono talmente inflessibile da rimanerne sorpreso lui stesso.
«Ascolti» ripetè.
«Non ha tempo per uccidere entrambi. Sta arrivando una pattuglia.»

Valentine scosse la testa.
«Non credo.»
Poi si avvicinò ancora di più, e Xavier sentì il freddo della pistola posarsi sulla sua scapola in parallelo al cuore, palpitante in maniera schizofrenica.
Sussultò, chiudendo gli occhi, serrando le labbra in una supplica muta.
Guardò l'interno della sua fondina vuota, poi punse Zelda con un disperato sguardo.
Lei dischiuse la labbra, sentendo la beretta scontrare contro il suo avambraccio.

«Questa volta sarà diverso» mormorò Valentine, mentre faceva segno a Xavier di entrare nel salone. Poi puntò la pistola verso Zelda, con una strana eleganza dei gesti, alienata, sbagliata, quasi volesse in qualche modo rendere il tutto più manierato e scenografico.
«Entrate entrambi» esclamò.

«Questa volta» continuò poi, «questa volta sono io a controllare tutto.»
Il suo sguardo era puntato verso un angolo della stanza, il suo tono derisorio e irato.

Quasi stesse mostrando il suo ultimo operato a qualcosa di incomprensibile, indicò Xavier e Zelda. «Loro sono opera mia. Solo mia» affermò, con una psicotica solennità, mentre le luci dell'acquario gli si riflettevano in volto in una tela scura e oscillante.

Zelda la posizionò con le spalle al muro, Xavier lo tenne vicino a sé, la pistola ancora bruciante contro le sue spalle.

«Hai visto?» chiese, ma non sembrava rivolgersi a nessuno dei due.
«Hai visto quanto il tuo aiuto sia superfluo?»

Xavier guardò Zelda, lei di rimando fece scorrere la mano lungo il proprio cappotto, silenziosa e lenta come una serpe.
Cercava alla ceca la fondina, mentre teneva gli occhi ancorati al sospettato. A Enigma.

Xavier sussurrò qualcosa di incomprensibile. Chiudeva gli occhi a ogni sbalzo di tono del suo sequestratore, impietrito sul posto, mentre pregava solo che Zelda facesse la cosa giusta.
Ti supplico, pensò, qualsiasi cosa, purchè finisca.

Nessuno dei due era mai stato così vicino, materialmente, alla morte.
Niente era paragonabile al senso di completo buio,
che si provava una volta realizzato che la realtà sarebbe potuta finire da un momento all'altro.
La loro vita conclusa, senza un attimo di preavviso, un momento per riflettere e rendersi conto di quello che stava succedendo.
Il sentimento di star per morire era semplicemente giunto senza nessun tipo di avvertimento, e si era schiantato sulle loro coscienze come un sasso sul fondale di un fiume.

Valentine parlava, continuava a dire cose che Xavier nemmeno più ascoltava.
Se c'era davvero la possibiltà che venisse ucciso, voleva passare gli ultimi secondi della sua vita pensando a qualcosa di confortante.
Il sorriso di Liza.
La risata di Mulder.
Il profumo alla vaniglia di Zelda.

Poi calò il silenzio, senza che nemmeno se ne accorgesse.
Pensò che Enigma stesse per sparare, e quelle fossero le frazioni di secondi necessarie per prendere la mira.

Ma non successe.
Non successe nulla, e la cosa che riuscì a sentire, rompendo quel silenzio, fu solo il rumore dei passi di Zelda avvicinarsi, il suo respiro irregolare e spaventato vicino a lui.

Ora gli puntava la pistola.
Stava puntando la beretta contro Enigma, col suo sguardo impassibile e vuoto, e si trovata a dover formulare parole che non riusciva a dire.

«Se mi spari, avrò tempo di farlo anche con lui.»
Valentine la guardava, coscio che da quella situazione non avesse via d'uscita, come sapeva sarebbe stato.
Lei non disse niente, fece solo un passo in più.

In quella sfida silenziosa e fatale tutti guardavano tutti, lanciando febbrili e nervose occhiate da una parte all'altra della stanza.
L'acquario illuminava Zelda, pallida sotto la sua luce, la beretta che brillava.
I suoi lineamenti visibili, torbidi e sdoppiati, lungo il riflesso del vetro.

«Se mi spari» ripetè Enigma lentamente, mellifluo.
«Avrò tempo di farlo anche con lui.»

Xavier la osservò, lei fu incerta sul significato dietro quello sguardo.
Le stava chiedendo di non credere a quelle parole, oppure di crederci, e rischiare lo stesso?
Pensò di impazzire, di fronte a quel dilemma troppo confuso e crudele per avere una soluzione.

Non poteva farlo.
Non poteva rischiare, non poteva assumersi una responsabilità talmente inumana.
Per un momento credette di cedere, tanto era diventata insopportabile la tensione e la realtà iniziava lentamente a disfarsi, troppo brutale per essere affrontata.

«Zelda» soffiò Xavier, e lei, osservando la richiesta silenziosa dietro i suoi occhi, capì.
Le stava chiedendo di rischiare.

Inspirò, figura diafana sotto quei bagliori artificiali. Guardò l'uomo davanti a lei, distrutta come la Pandora a cui l'aveva associata.

Lui la osservò di rimando.
«Avanti.»
Sfida la sorte, sfida il Fato, sembravano dire i suoi occhi sorridenti, mentre alle sue spalle, lungo il vinile, iniziavano a scorrere delle note che conosceva bene.

My Funny Valentine
Sweet comic Vaentine

Xavier le aveva lanciato un'altra occhiata supplicante, le labbra contratte in una linea tesa e sofferente.
Le stava chiedendo l'impossibile, qualcosa a cui non c'era modo di essere preparati.
Zelda scosse la testa, disfandosi in una richiesta atrocemente frustrata.
«Cosa devo fare?» sussurrava a se stessa, annegando in un pianto confuso che sapeva l'avrebbe fatta sbagliare.
Sbatté le ciglia umide, alzando lo sguardo, solo per un attimo, verso l'acquario dietro di loro.

Fare la scelta giusta.
Aveva sempre ricercato quell'idea, ovunque andasse, qualsiasi cosa facesse.
E in quel momento, trovandosi davanti all'unica vera decisione importante che avesse mai dovuto prendere, si rimproverò per tutte quelle volte in cui si era condannata a non scegliere.

Fai la scelta giusta.

Strinse l'indice contro il grilletto.
Rimpianse troppe cose, in troppi pochi secondi. Prese la mira.

Mi dispiace.

Poi le luci si erano accese, violente e crude, rivelando la stanza.
La porta aperta, il rumore forte dei passi che entravano e salivano lungo il corridoio.

«Maximilian Mitchell, è in arresto per duplice omicidio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale» aveva ansimato Oscar, di colpo, mentre una schiera di agenti gli sfilava accanto, massiccia e rapida.

Xavier aveva espirato, sfinito, mentre rimaneva immobile.
Le gambe pronte a cedere, i frammenti della paura di morire ancora presenti ad affollare i suoi pensieri.
Tutto gli era tremendamente distante, inconsistente, appannato come da uno spesso strato di condensa.

Zelda si era allontanata, di getto, mantenendo la beretta puntata contro Mitchell.
Si sciolse in un sospiro teso, nascondendo il volto tra le spalle, versando lacrime di pura agitazione.
La prima cosa che le venne in mente una volta chiusi gli occhi fu l'acquario: stazionario, luminoso, ipnoticamente riflesso di fronte al buio delle sue palpebre abbassate.

Dieci armi puntavano su di lui, e Maximilian abbassò la pistola, mentre rimaneva a osservare un punto cieco della stanza.
Le luci del lampadario illuminavano finalmente quell'anfratto, luogo di dimora di una statua. Scolpita nel marmo si snodava una figura femminile dai lineamenti antichi, coperta da drappi.

Is your figure less than Greek?

E dall'enigmatico fine sorriso.

Is your mouth a little weak?

Aveva due meduse di quarzo sugli occhi, che le donavano la sacralità di una Musa fusa a quella di un cieco Aedo.
In lei abitava una strana dualità, quasi il mortale e il divino si fossero fusi per dare vita a qualcosa che, semplicemente, risiedeva nel mezzo.

Valentine sembrò sorriderle di rimando, ormai disilluso.
Si stava arrendendo a qualcosa che credeva non potesse esistere, e che infine gli si era rivelato come vero.
Aveva sperimentato quell'arroganza che tanti eroi prima di lui avevano esibito, e ne aveva pagato le divine conseguenze.

Ma di fronte a quella tragica situazione, lui vide il perfetto e amaro finale della sua opera.
L'ultimo atto della sua personale rappresentazione, concluso con l'intervento improvviso che aveva ribaltato le carte in tavola.

«Deus Ex Machina.»

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