Capitolo 40- L'etica va rispettata
Si era svegliata lentamente, rimanendo a occhi chiusi sotto al raggio di luce calda proveniente dalla finestra.
Le tende si muovevano, spirali inconsistenti che si attorcigliavano una all'altra, quasi fossero i burattini del vento.
Zelda si passò una mano sul viso, scacciando a poco a poco una tranquillità più simile allo specifico non sentimento anestetizzante che si prova appena ci si è svegliati, per qualche attimo dimentichi del mondo reale.
L'orologio di ceramica ticchettava, fermo sul muro. Il tavolo era ancora apparecchiato, i vetri riuniti un un mucchio all'angolo del pavimento.
Si alzò.
Sarebbe andata a trovarli, prima della partenza? No. Quel pensiero non la sfiorò nemmeno, mentre camminava lungo la cucina e rimetteva al suo posto l'unico calice sopravvissuto della coppia.
Ma un biglietto, pensò.
Un biglietto di buona partenza.
Sarebbe stato come spremere del limone su una ferita appena aperta, ma in quel momento le sembrò l'idea più sensata che le fosse venuta in mente da molto tempo.
Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa per mettere lei un sigillo a quella situazione, per darsi l'illusione di avere tutto sotto controllo.
Alzò il fermacarte di madreperla per prendere un foglio dalla piccola pila che teneva in salotto, e scrisse qualche riga a penna rossa, velocemente, in corsivo.
Ripiegò il biglietto con un gesto deciso e affilato, prima di aprire la porta di ingresso, quasi scocciata con se stessa.
Rimase a guardare ai suoi piedi, immobile sul pianerottolo.
Un pacchetto regalo giaceva vicino al suo zerbino. Era color caramello, con il logo di un negozio d'abiti che conosceva molto bene.
Un biglietto era stato attaccato con una graffetta sulla carta del sacchetto, e sembrava essere scritto controvoglia, velocemente, senza nessuna cura.
Una grafia sottile e nervosa esprimeva una serie di coincise frasi:
"È il vestito che volevi. Avrei dovuto dartelo prima. Non scrivermi, lo farò io."
C'era qualcosa di feroce in quel messaggio più simile a un telegramma, una passiva violenza dietro al rivelare di cosa si trattasse il regalo, un apposito distacco nell'ordine di non scrivergli.
Sarebbe dovuto partire il pomeriggio come le aveva detto, ma gli ombrelli del suo pianerottolo erano stati tolti, come succedeva sempre prima che Xavier partisse per un viaggio.
Se n'era andato mentendole e lasciandole davanti a casa, quasi fosse un cavallo di Troia, quell'abito color pesca che Zelda aveva sognato d'indossare tutte le volte che passava davanti alla vetrina per osservarlo.
Lo stese davanti a sé, e le sembrò il vestito più insulso del mondo.
"Treno in partenza per Lansig sul binario dodici" disse il megafono, mentre Zelda saliva le scale, sbucando sul binario tredici della stazione di Detroit.
Vicino a una panchina di plastica graffiata giaceva un distributore automatico di libri dall'aspetto trasandato. Al suo interno, uno dopo l'altro come tessere da domino, c'erano dei romanzi dalle copertine sbiadite e dalle pagine arriciate per l'umidità.
Zelda voltò a destra, superando la panchina e guardandosi intorno.
Binario quindici. Pensò.
Lo vide: era davanti a lei, due binari più avanti, preceduto da gallerie ed erba incolta crescente lungo il cemento della stazione.
"Treno in partenza per Lansig sul binario dodici" ripetè la voce artificiale.
Zelda sentì un vento fresco smuoverle le punte dei pantaloni, poi con l'irruenza di un lampo lontano e assordante il treno era già passato, scorrendole alle spalle.
Teneva ancorato allo sguardo il binario quindici, facendosi spazio tra quel caotico mosaico di persone, una attaccata all'altra, tra chi scendeva con valige ai piedi e chi saliva con una terribile fretta addosso.
Vicino al centro assistenza, luminescente nei suoi neon gialli, esistevano immobili due ologrammi di consulenza dalle sembianze di Louis e Auguste Lumière.
«Treno delle dieci e trenta per Chicago. Deve ancora arrivare?» chiese Zelda, lanciando un'occhiata al binario e notando che non c'era nessuno.
Louis le sorrise, dopo essersi tolto il cappello. «Spiacente» disse, «il treno delle dieci e trenta per Chicago è partito cinque minuti fa.»
Lei imprecò sotto voce, prima che l'altro chiedesse, cortese:
«Desidera altre informazioni?»
«No.»
L'ologramma sorrise, prima di scomparire e lasciare spazio alla classica scena del treno in arrivo de L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat.
«Cazzo!» sibilò Zelda, guardando la fermata vuota davanti a lei.
Cinque minuti, pensò.
«Hai parlato con Zelda, alla fine?»
Liza sedeva sul posto vicino alla finestra, davanti a Xavier.
Leggeva con noia una rivista di moda, in copertina una modella con un costume intero per l'estate.
«Sì.»
«E?»
«E ci siamo chiariti. Nulla di strano.»
Xavier diede un'occhiata dal finestrino, per poi distogliere la vista con un vago senso di nausea.
«Sono contenta.» Liza non alzò lo sguardo dal giornale.
Nella fila vicina alla sua, un uomo leggeva un quotidiano di Detroit.
Xavier non rispose.
Sentiva un mal di testa appena accennato strisciargli lungo le tempie, confondendosi con il rumore sottile e assillante del treno.
«Mi dispiace solo che non sia venuta a salutarci, alla fermata.» Lei voltò pagina.
«Avrà cambiato idea all'ultimo.»
Lui scosse la testa, distendendo le labbra in un mezzo sorriso rassegnato.
Sai com'è fatta, sembrava voler dire.
Liza annuì, dopo avergli scoccato una lunga e inespressiva occhiata, «può darsi» disse in un sospiro, prima di ritornare a leggere.
«No, non mi frega un cazzo se quelli della Buoncostume ti hanno detto così, della Omicidi non ci mandiamo proprio nessuno.»
Mulder girovagava per l'ufficio, parlando con un'ologramma voltato di spalle.
Zelda rimase sull'uscio, appoggiandosi a braccia incrociate sullo stipite della porta.
«No, no, ascolta» disse Oscar, «non mi importa se non avete uomini disponibili. Hai presente il puttanaio che sta succedendo qui, vero? Abbiamo in media un omicidio ogni tre giorni, non puoi chiedermi uomini.»
E buttò giù, imprecando un "'fanculo" sommesso.
«Fammi indovinare» disse Zelda, esausta, «è tornato quel giro di prostituzione a Delray.»
«New Center, questa volta.»
Lei si sedette sulla poltrona vicino alla finestra spalancata.
Contrasse i lineamenti in un'espressione infastidita quando sentì gli spifferi freddi sulla schiena, «non c'è bisogno di aprire tutte le finestre, lo sai, vero? Non è agosto.»
«Non trasformarti in mia moglie, ti prego.»
Zelda rise per pietà, e in uno sfarfallio di ciglia era di nuovo seria.
«Abbiamo finito di catalogare le evidenze a casa di Wilson»
Mulder le mostrò il tavolo, cosparso di buste di plastica deturpate da scritte di pennarello indelebile. «C'erano almeno trenta libri sulla mitologia greca e una lettera» indicò una busta, contenente una lettera stilata a mano, quasi simile a un testo antico per l'intensità della scrittura, fitta e appassionata.
«Non assomiglia manco per un cazzo a quella che aveva usato per il test della polizia» disse, riferendosi alla calligrafia.
«Ha davvero studiato grafia per modificarla, alla fine.» Zelda si sporse a guardare.
La Metamorfosi di Ovidio svettava su una pila di libri ingialliti da titoli quali "Dizionario della mitologia greca" e "Il teatro in Grecia" fino a passare a una raccolta sui testi teatrali di Eschilo.
Le pagine di quei libri erano sottolineate, ferocemente deturpate da appunti, scarabocchi, criptici punti esclamativi lasciati vicino a paragrafi o frasi, quasi avessero un'importanza sacra.
Vicino a quella monocromatica collezione di volumi c'era una busta aperta contenente la lettera.
Zelda la prese tra le dita, leggendone velocemente qualche riga.
«La perfezione non è un difetto, ma il miglior pregio che si può desiderare di avere...» ripetè quella frase con la nausea, quasi l'avesse ascoltata troppe volte, come un disco rotto che si ripete all'infinito.
«Lo so, ne era ossessionato» Oscar scosse la testa, «era l'unica lettera che ha tenuto. Nel camino hanno trovato carta bruciata. Questa la teneva nascosta.»
"Si impara soffrendo. Si capisce finalmente quale sia il nostro posto nel mondo, la nostra essenza, il nostro scopo. La nostra identità."
Zelda lesse quelle poche righe, senza dire niente.
«Perché? Perché bruciare tutte le altre e tenere solo questa?» domandò infine, mormorando assorta.
"L'etica va rispettata. L'etica a cui nessuno deve astenersi, cui tutti devono seguire per migliorarsi. Quella che ci permette di essere saggi, consapevoli di quale sia la nostra missione. L'omicidio. L'omicidio è la chiave per l'etica.
L'omicidio fa parte del perfetto ed equilibrato circolo, meccanismo che controlla tutto. Fa parte delle nostre colpe da scontare e i nostri obiettivi da raggiungere."
Filosofia.
Zelda ne fu sicura nel momento in cui capì i meccanismi di quel criptico discorso.
Era una versione grottesca e distorta di quella che era stata l'etica del comportamento umano per i Greci.
Una reinterpretazione personale e decisamente più brutale.
«Non lo so. Forse ha cercato di bruciarle per nascondere le evidenze, ma non è riuscito a distruggerle tutte» poi Mulder si attorcigliò le maniche della camicia sui gomiti, «quante lettere hai ricevuto negli ultimi giorni, a proposito?» chiese, passandole un piccolo mucchio di lettere indirizzate a lei, dopo averle controllate.
Zelda le prese senza degnarle di uno sguardo, «non ricordo» disse.
Oscar rise, «io ne sto ricevendo molte di meno. L'attenzione si è spostata su di voi.» Poi si zittì.
«Liza è venuta a salutarmi, ieri.»
«Davvero?» Zelda abbassò lo sguardo, accarezzando le lettere che teneva in mano.
«Allora sono davvero andati a Chicago.»
Sembrava che si fosse trattenuto fino a quel momento per parlarne.
Guardava in giro con indifferenza, aspettando risposta.
«Sì.»
«Credi che staranno di più?»
«Non lo so.»
«Xavier mi ha parlato solo di due settimane. Ha preso ferie.»
«Non lo so, Oscar.» Zelda lo guardò dritto negli occhi per qualche pungente secondo, prima di voltarsi a prendere la giacca.
Lui annuì, consapevole, in silenzio.
«Dai, aiutami a sistemare 'sto casino» disse infine, quasi fosse l'unica manifestazione di vicinanza che fosse in grado di dimostrarle.
Iniziò a raccogliere le evidenze, una dopo l'altra, sottili e disordinate come le tessere di un macabro gioco.
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