Capitolo 17- Selezionare il proprio segno zodiacale, prego
Andrew stava seduto, il volto coperto da un sacchetto colmo di ghiaccio, davanti a lui una schiera di fazzoletti sporchi di sangue rappreso.
Guardandolo, a Zelda venne in mente Isaac Jensen.
Almeno Wilson non si era rotto nulla.
«Andrew, siamo veramente dispiaciuti per quello che é successo. Sei in grado di continuare l'interrogatorio?» Liza gli si sedette davanti, parlandogli cordiale.
«Sì, va bene.» Wilson rispose con un chicco di arroganza nel tono, ma tutta la superbia che aveva usato contro Carter fino a qualche attimo prima sembrava essersi dissipata.
«Perfetto. Se hai bisogno di qualcosa diccelo.»
Si ritirò così, abbandonandosi allo schienale della sedia e lasciando la parola a Xavier.
«Andrew, innanzitutto vorrei chiederti perchè trovavi il signor Allen teso.» Mentre parlava si sistemò una sottilissima ciocca, simile a del filo di rame, riallineandola con il resto dei capelli.
Andrew gli scoccò un'occhiata seria, osservandolo mentre riordinava la chioma, «non so spiegarlo. Sembrava nervoso, come in attesa di qualcosa. E quando mi parlava... non lo so. Rideva alle mie battute, ma i suoi occhi erano sempre da qualche altra parte.»
Liza lo ascoltava con estrema attenzione.
I suoi occhi erano fissi sul volto di Wilson.
«Quindi era solo una tua sensazione.»
«Può darsi» disse Andrew, alzando le mani in segno di dubbio, «ma voi mi avete chiesto se avessi notato qualcosa di strano... e io ve l'ho detto.»
Liza sorrise, arrendendosi alla logica pulita dell'attore, «giusto. Ti ricordi se Allen ti abbia detto qualcosa di particolamente...» cercò la parola adatta.
«Particolarmente da killer?»
«Particolarmente da killer. Sì, mettiamola così.»
Wilson arricciò il naso in un'espressione contrariata, poi si lasciò sfuggire un sibilo di dolore.
«In realtà qualcosa ci sarebbe, ma non ne sono sicuro» si fermò qualche secondo, incerto se continuare o no, «l'ho sentito discutere al telefono, fuori. Saranno state le undici, mezzanotte. Non ricordo. Io ero sul marciapiede a fumare, e l'ho sentito dire...» si zittì.
«L'hai sentito dire che cosa, Andrew?» Mulder entrò nella stanza, quasi maestoso, domandandolo.
Xavier spiò dalla porta e vide Zelda, seduta, che guardava nella loro direzione. Lui si alzò, «ti lascio il posto» disse a Mulder.
«No, non devi, tranquillo.»
Xavier gli scoccò un'occhiata che non ammetteva repliche.
"lasciamelo fare" sembravano sibilare i suoi occhi preoccupati.
Oscar sembrò intuire qualcosa, così annuì e, mentre l'altro usciva, riformulò la domanda:
«Che cosa ha detto Allen, Andrew?»
Lui temporeggiò, poi ammise: «Esclamava che non ci sarebbe mai riuscito. Urlava che non aveva il coraggio.»
«Vuoi che ti porti un tè?» Xavier si chiuse la porta alle spalle, sforzandosi di sorridere.
Zelda aspirò un'ultima boccata, poi spense la sigaretta nel posacenere, a fare compagnia ad un'altra, a un'altra e a un'altra ancora.
«Del caffè, grazie.»
Xavier la guardò, lei di rimando lo squadrò.
Si osservarono per diversi attimi con sguardi di natura totalmente diversa.
«Va bene.» Xavier terminò quel terribile silenzio, poi svanì dietro alla porta di ferro dalla maniglia impolverita.
«E non gli hai sentito dire altro?» Mulder si sporse verso Andrew, come se la sua vicinanza potesse fargli confessare qualcosa di più.
«No... ha iniziato a parlare in tono più sussurrato. Poi ha buttato giù.»
Liza lasciò cadere con un sorrisetto i resoconti, notando come tutte le domande di Carter fossero state copiate da lì, poi chiese: «Ancora non ricordi cosa hai fatto dalle venti alle ventidue del trenta dicembre?» Sembrava che sapesse già la risposta.
Lui sospirò, «forse qualcosa ricordo» sorrise sornione, «ero di ritorno da uno spettacolo che avevo presentato al Pandora. Per adesso ci esibiamo lì, ma sognamo il Dionysus» poi si riscosse, pensando che quelle non fossero cose attinenti, «comunque, sono stato fino alle, credo, venti e trenta insieme alla compagnia. Poi mi sono incamminato verso casa, abito vicino al teatro.»
«Ha testimoni che possano confermare che lei stesse effettivamente tornando a casa?»
Andrew sbuffò.
Solo adesso, dopo tutto l'interrogatorio, sembrava veramente preoccupato, «non credo. No.»
Xavier guardava lo sportello aperto e le mensole sperando di non posare mai lo sguardo sul barattolo del caffé.
E invece eccolo lì, appena riempito, colmo fino all'orlo.
Non poteva nemmeno usare la scusa che fosse finito.
Quando ormai stava sfiorando il recipiente, spostò lo sguardo verso un barattolo nascosto sul fondo, coperto dagli altri.
Osservò la piastrina metallica al centro.
Dentro era stato inserito un bigliettino.
"Decaffeinato"
Xavier sorrise in un misto di sollievo e paura.
«Ecco a te.»
Zelda si voltò quando sentì lo schiocco secco della tazzina che veniva appoggiata sul tavolo. Sul volto, tra la stanchezza, riuscì a farsi spazio un pallido sorriso, «grazie» disse, per poi prendere la tazza e berne un lungo sorso.
Xavier la osservava mentre beveva, scrutava ogni sua minima espressione, mentre batteva il tacco della scarpa sul pavimento, in attesa e in ansia.
«Va bene?» Non riuscì a trattenersi.
Se poi sospetterà di qualcosa, sarà solo perché non sai stare zitto.
Lei prese con il cucchiaino le ultime gocce, poi annuì.
Sul volto portava un'espressione leggermente corrucciata.
Lo ha notato, pensò Xavier, e per un attimo fu tentato di dirgli la verità trovando una scusa, ad esempio che il caffé vero era finito.
O che non lo aveva trovato.
Ma rimase in silenzio, perché fu Zelda a parlare.
«Va bene. É solo più amaro del solito. Avranno cambiato marca. O sarà colpa dell'umidità.»
Non ci diede la minima importanza.
Per lei l'unica cosa importante é avercelo, il caffé, concluse Xavier, risentito, amaro o dolce che sia.
«Come va, oggi?» chiese, incerto se volesse veramente una risposta.
Zelda, fino a quel momento assorta a osservare l'interrogatorio, si voltò.
«Bene. Come ieri e come l'altro ieri.»
Rimasero entrambi in silenzio.
Cosa posso dire, d'altro? Si domandò Xavier, mi ha già zittito. Messo al mio posto.
«Mi dispiace per ciò che ti ho detto su Liza.» Doveva dirglielo.
«Per cosa, scusa?» Zelda sorrise.
Le sue palpebre pallide si abbassarono in un impercettibile battito di ciglia.
Xavier si alzò. Lo sta facendo apposta?
«Perché ho pensato che potesse metterti in soggezione.»
Lei rilassò le labbra, fermando con violenza il sorriso e tornando seria.
«Non ricordo la discussione, ma accetto comunque le tue scuse.» Sembrava perplessa.
Sembra, pensò Xavier.
La conosceva troppo bene.
Era brava a mentire, ma quando lo faceva il suo portamento cambiava.
Stava sempre seduta sul bordo della sedia, come in quel momento.
Era una cosa microscopica, che si imparava col tempo.
«Eppure dovresti ricordarlo.»
Lei aprì la bocca per dire qualcosa, si ammutolì, poi esclamò, frivola:
«Non sarà stato nulla di importante, se non me ne ricordo!»
«Perché non hai voluto parlare con Carter, Andrew?» chiese Liza, intenzionata a carpire, fino alla fine, ogni minima scelta di Wilson.
«Beh...» sul viso di Andrew comparse un acceso sorrisetto, «non mi sembrava molto simpatico.»
«Non ti sembrava molto simpatico?»
«No... voglio dire, mi trasmetteva qualcosa di irritante.»
«È questa la tua motivazione?»
«Sì.»
«Vorrei farti un'ultima domanda, Andrew.»
Liza gli guardò le mani.
Si contorcevano come anguille fuori dall'acqua.
Lui annuì soltanto.
«Di cosa parlano i tuoi spettacoli?»
A sentire quella domanda, la nube che avvolgeva lo sguardo di Wilson sembrò rischiararsi e una nuova e sollevata luce gli illuminò gli occhi.
«Quello appena concluso, al Pandora, era un elogio al Jazz. Abbiamo raccolto varie biografie e le abbiamo fuse in un'unica sceneggiatura. Mentre per il nostro nuovo spettacolo...» il tono era colmo di orgoglio, «per il nostro nuovo lavoro abbiamo pensato di basarci su vari riferimenti ai libri di Thelma Grant.»
«Thelma Grant?» domandò Mulder, confuso. Spero non sia qualcuno di troppo importante, si disse, o risulterei più ignorante di quanto già non sia.
«È una scrittrice di storie brevi, molto spesso ognuna con una morale. Credo di aver letto qualcosa di suo.» Liza lo informò con gentilezza.
Mulder sospirò mentalmente, storie brevi.
No, poteva anche non conoscerla.
«Sì, esatto. Citeremo alcuni dei suoi pezzi migliori e ci costruiremo una storia sopra.»
«Molto interessante!» esclamò Liza.
Poteva sembrare veramente affascinata dall'idea di Wilson.
O forse era solamente una delle sue infinite tattiche.
«Mi piacerebbe venirvi a vedere. Sono curiosa.»
Andrew sorrise, poi si passò una mano sul fermacravatta, «ne sarei felice.»
«Facciamo il punto della situazione.» Mulder si staccò dal muro ingrigito del suo ufficio, prese a girare, lentamente, per tutta la stanza.
Una vecchia sigaretta, prontamente rimpiazzata, si consumava nel portacenere.
Il fumo, esile e annoiato, scivolava fino al soffitto.
Regnava una quiete estrema.
Perfino la luce pallida che filtrava dalle imposte chiuse sembrava stanca.
Le giacche scure, i cappotti di tweed, i soprabiti adornati di raso e pelliccia e i cappelli di feltro decoravano l'appendiabiti e lo coprivano come della tappezzeria.
Sembrava che fossero stati fatti apposta per stare lì.
Immobili e inutilizzati.
Liza stava seduta su una delle due poltrone di velluto, i tacchi delle scarpe decorate con una singola piuma ciascuna sfioravano il tavolino vicino a lei.
Le muoveva in un movimento irrisorio, lento e tranquillizzante.
Due figure, alte e sottili, osservavano la scena dal fondo della stanza.
Una era coperta da un denso velo di fumo. L'altra lanciava occhiate scrutatrici prima a Mulder, poi a Liza, rimandendo a osservare, stregata, i suoi impercettibili movimenti.
Così, lontani dagli altri e vicini tra loro, Xavier e Zelda davano quasi l'impressione di star tramando qualcosa di segreto.
Mentre l'unico discorso che avevano intrapreso da quando erano entrati in quella stanza riguardava il meteo.
«Sta piovendo da almeno tre giorni, credi che si fermerà, prima o poi?»
«Credo di sì.»
«Non che mi dispiaccia. La pioggia mi piace.»
«Per me non fa differenza.»
La gente si manteneva sempre neutrale nei loro confronti.
Per timore. Per rispetto. O perché ne era affascinata, forse.
Non importava. L'importante erano le apparenze che esercitavano sugli altri.
Quelle che li salvavano dal vero giudizio.
Mulder si muoveva pacato, quasi assaporando ogni minimo dettaglio del suo ufficio, dal suono sordo dei cubetti di ghiaccio che sbattevano tra di loro nel bicchiere al rumore pungente della sigaretta che si carbonizzava.
E tutto in quella stanza quieta si mostrava come fermo, immutabile, tiepido.
Sembrava di assistere a un quadro di David Hopper in leggero movimento.
«Andrew ha implicitamente dichiarato che sospetti di Allen. Lui dalla sua parte non ha nulla. Nemmeno un alibi.» Mulder terminò il suo assente girovagare, sedendosi sull'angolo della scrivania.
«Nemmeno Allen ha testimoni» lo corresse Zelda, avvicinandosi a lui con lentezza, calibrando ogni passo come se fosse in equilibrio su una fune.
Si mantenne alla giusta distanza da Liza.
«Per ora.» Aggiunse.
«Dobbiamo parlare con Scott Ryan. Il prima possibile» Mulder si rivolse a Zelda, «e poi sua moglie... non mi convinceva.»
«Nemmeno a me.» Lei allungò il braccio verso il posacenere e spense la sigaretta senza delicatezza.
«Come faceva a essere così certa che suo marito non potesse rispondere?»
«Mio marito non fa mai caso alle cose importanti.» La imitò Zelda.
Era un particolare che l'aveva lasciata perplessa.
«Ha detto così? Questa frase esatta?» Liza si alzò dalla poltrona con uno scatto.
Il filo di perle che le si attorcigliava al collo e scendeva per tutto il vestito si mosse e continuò a tintinnare anche quando lei fu immobile, in piedi.
«Credo di sì, è un dettaglio rilevante?» Non sembrava esserci sarcasmo nel suo tono.
Zelda sospettava qualcosa della Ryan e si sentì quasi sollevata nel sapere che anche Liza avesse intuito qualcosa.
«È una frase molto ambigua. Come se nascondesse qualcosa di implicito.»
«Forse non va d'accordo con il marito» ipotizzò Xavier, rimanendo lontano dal gruppo.
«Forse» Liza annuì, «o forse é proprio lei a sapere qualcosa su Allen e si rifiuta di collaborare.»
Tutti si trovarono a riflettere sulla situazione nello stesso momento, senza rendersene conto, in silenzio.
«E Wilson? I suoi spettacoli?» Mulder cambiò discorso con rapidità.
Voleva parlare di Andrew. Non gli piaceva.
«È già tanto che abbia voluto continuare l'interrogatorio dopo che Carter gli ha quasi spaccato la faccia» esclamò Xavier, ancora scosso dall'azione impensabile del detective capo.
«Carter... cazzo, mi ha spaventata.» Zelda sorrise, facendo passare la sua angoscia per semplice ironia.
L'aveva spaventata, e non per scherzo.
C'era un chiodo, appuntito e arrugginito, che si stava infilzando nel suo cervello sempre più a fondo e gridava confuso.
E spesso le ripeteva la solita frase, sussurrando: "Non sarai mai tranquilla".
Carter glielo aveva fatto capire.
Enigma glielo aveva fatto capire.
Anche lei stessa lo aveva capito, molto presto. Ma non aveva fatto niente per ribellarsi a quella certezza.
«Carter é da reparto psichiatria, Zelda. O da abbattere. O da elettroshock. Scegli tu.»
Mulder iniziò a gesticolare, imbastendo il suo teatrino di battute.
Era uno spettacolo estremamente stupido e divertente al contempo.
Xavier scoppiò a ridere.
Quella era la parte di Mulder che lo imbarazzava e lo divertiva in una maniera unica e quasi speciale.
Liza, a quella risata, sorrise a sua volta e si voltò in direzione di quelle risa fresche e contagiose, e per un secondo si stupì che potessero appartenere a Xavier.
In un attimo realizzò che non lo aveva mai sentito ridere veramente.
Aveva visto i suoi occhi e le sue labbra sorridere, ma era sempre stato un qualcosa di elegante, contenuto, forse addirittura di cortesia.
Anche al Lullaby, era cortesia? Si trovò a pensare, meravigliandosi di aver potuto porsi una domanda così infantile e acerba.
«Carter o non Carter, Andrew ha risposto bene a tutte le domande che gli abbiamo posto» Liza si impose di partecipare alla conversazione per smettere di pensare, «non me la sono sentita di metterlo troppo in difficoltà. Anche se...» si fermò, cercando di ricostruire la scena nella sua mente, «anche se ha reagito in maniera strana quando Carter lo ha colpito.»
«Intendi che la prima cosa a cui ha pensato sia stata la sua camicia?» Zelda si avvicinò a Liza il minimo indispensabile, cauta.
Lei annuì, mostrandosi ammirata, «esattamente!»
Zelda serrò le labbra in un'espressione seria e abbassò gli occhi, osservandosi le mani.
La gioia nel tono di Liza l'aveva destabilizzata. Era impossibile che l'ammirasse davvero.
Se avesse scoperto qualcosa di lei?
Se sapesse e volesse farsela amica per sezionarle la mente?
Zelda deglutì.
Sentì un senso di vuoto comprimerle la bocca dello stomaco.
Se Xavier le avesse detto qualcosa?
Quella era l'ipotesi che temeva di più.
La cosa che veramente non avrebbe sopportato era che lui, a costo di aiutarla, si fosse servito di Liza per farla parlare.
«Xavier, voglio che tu domani vada a consultare la moglie di Allen.» Era Mulder ad aver parlato, e Zelda ringraziò che il discorso fosse continuato senza che nessuno avesse fatto caso a lei.
«E torna anche a casa dei Ryan. Senti Scott, e se non c'è fai altre domande alla moglie» poi sulle labbra di Mulder comparve un sorrisetto, «magari col tuo fascino riuscirai a farti dire ciò che non ha voluto confessare a me e a Zelda.»
«Fottiti, Oscar.» Xavier sorrideva, ma il pallore del suo viso fece spazio, solo per un momento, a un pigmento roseo.
Le guance si dipinsero di un pesca sottile, come se per colorarle fosse stato usato un acquerello.
Mulder incassò l'offesa sghignazzando, poi prese la giacca e con ancora un sorriso sornione sul volto si congedò.
«Mi è simpatico, Mulder.» Liza osservò Xavier, poi, rapida, rivolse il suo sguardo verso la porta aperta.
«Andrew ha mai parlato di denuncia? Per Carter, intendo.» Aveva esordito Xavier, per recuperare il discorso e far cessare subito il silenzio.
Involontariamente, con l'unico scopo di continuare la conversazione, aveva fatto una domanda che ancora nessuno si era posto.
«Non lo ha nemmeno accennato.» Zelda prese il posacenere e spense l'ultima sigaretta.
Le pozzanghere erano a tratti scure, di un blu profondo, e a tratti variopinte, quando illuminate dai led lucenti delle insegne.
La via era viva, disordinata, caotica e splendente.
I locali si fronteggiavano, tutti rischiarati da illuminazioni diverse, opache e lucide, lampadine da cabaret gialle, semplici fili di luce bianca o neon ronzanti.
La scritta "Lullaby" era stata accesa da talmente poco che ancora sfarfallava.
Ma tra tutti quei bagliori, quello che interessava a Xavier si trovava in un vicolo che si estendeva, sottile e curvo, come uno dei tanti rami di quella strada.
Lì, in mezzo all'oscurità e vicino a un bar i cui vetri erano tappezzati da piccole insegne sfavillanti, c'era un telefono pubblico. Completamente nero, bordato nei dettagli da esili fili di neon giallo sbiadito, e con una scritta bianca e luminescente posizionata in alto, sul muro, intrappolata nella proiezione di un cerchio.
Oroscopo telefonico, c'era scritto, e quella frase volteggiava nel vuoto, pacata.
Xavier vi si avvicinò, con due monetine che tintinnavano in mano, mentre voltava l'angolo con un fruscio e calpestava, di sbieco, una pozzanghera.
Lasciò che quella luce sintetica gli attraversasse il viso, rendendo i suoi occhi chiarissimi e la pelle lucente e spettrale.
Il cappotto, un tempo nero, ora veniva inondato da quei colori pallidi e invadenti.
La sua ombra, fino a poco prima scura, si fece sempre meno visibile man mano che si avvicinava alla cabina.
Xavier osservò per qualche attimo il telefono che gli si mostrava dinanzi.
Un modello simile a uno d'epoca, dei primi in commercio, era fissato al muro.
Ai lati, due vetri sottili ed opachi e una specie di piedistallo trasparente.
Prese una delle monete per pagare, osservando il piccolo cartello che recitava:
"Oroscopo telefonico, ovunque a Detroit!
Tariffe:
Oroscopo semplice: 10 cents
Divinazione: 25 cents
Lettura delle carte/ cartomanzia: mezzo dollaro"
Xavier alzò la cornetta, «Oroscopo semplice» disse.
Dall'altra parte della linea si udì una voce artificiale e limpida rispondere:
«Attendere in linea, perfavore.» Poi, qualche attimo di silenzioso nulla.
«Selezionare il proprio segno zodiacale, prego.»
Una figura era apparsa su quello che poteva sembrare un piedistallo, ma che si era rivelato essere una piattaforma per ologrammi.
Il busto illuminato e chiaro di una donna si girò nella direzione di Xavier.
Era l'ologramma di Hedy Lamarr in Ziegfeld Girl.
Portava un abito candido e dai morbidi drappi, decorato con piccoli dettagli bronzei.
Intorno al capo, come una specie di aureola degli astri, era tempestata da una miriade di appuntite stelle.
Dietro di lei, sullo sfondo, comete simili a piccoli puntini di luce cadevano di continuo e s'infrangevano nel vuoto e nel buio.
Il suo sguardo era solenne, e quando mostrò la mano su di essa comparvero, in cerchio, tutti i segni dello zodiaco.
«Leone.»
Lei sorrise per una frazione di secondo, per un momento l'ologramma ebbe un'interferenza che fece distorcere la sua figura.
Poi partì a illustrare l'oroscopo.
«Ottime notizie per il Leone.»
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