01000 || 8
«Sveglia, moccioso», disse acidamente la donna dai capelli blu. Elijah aprì gli occhi di colpo e la guardò ancora mezzo addormentato, oltre che confuso dal brusco risveglio.
«Che...succede?» chiese tra uno sbadiglio e l'altro.
«Credo sia l'ora di portarti una stanza più...adatta a te», disse la donna con malizia, lo sguardo puntato su di lui. «Prendetelo», aggiunse.
Due uomini robusti varcarono la soglia della stanza del manicomio, schiacciarono un pulsante per far sparire l'enorme vetro che li separava da Elijah e lo raggiunsero.
Il ragazzo provò a dimenarsi per liberarsi dai due, ma la presa era talmente stretta sulle sue braccia che non ci riuscì, ottenendo solo di essere trascinato con forza fuori dalla stanza.
Era ancora troppo confuso per catturare i particolari di quel luogo mentre i suoi sequestratori lo scarrozzavano per il manicomio, e, per altro, la completa monotonia del posto rendeva difficile comprendere dove stessero andando e dove si trovassero.
Vide solo, dopo diversi minuti, delle scale che sembravano scendere in qualche posto nascosto sotto l'edificio; in particolare, sentì quelle scale, come testimoniavano le gambe martoriate.
Una cosa era certa nella sua testa: essere scortato in un posto nascosto, buio, umido e sotto l'edificio principale, non era una cosa buona.
«Buttatelo lì», ordinò la donna a un certo punto, senza alcun tono particolare nella voce.
I due uomini scortarono il giovane fino su una sedia circondata da diversi e strani macchinari. Legato con delle cinghie che impedissero alle gambe e agli di muoversi, i due energumeni abbandonarono il seminterrato, lasciandolo solo con la "dottoressa".
«Cosa vuoi farmi?» chiese urlando, dimenandosi in cerca di allentare la prese delle cinghie.
«Tu, Elijah, sei un giovane molto interessante e in quanto tale ho il dovere di studiarti e approfondire le mie ricerche», rispose sadicamente la sequestratrice.
«Qualcuno verrà a chiedere di me prima o poi!»
«Oh no, tesoro» - disse ridendo con gusto - «Nessuno si preoccuperà di te. Vedi, ho fatto sapere alla tua famiglia che non potrai ricevere visite per una settimana, la tua debole psiche deve guarire da sola. Quindi, mio caro, a meno che tu non abbia qualche piano, sei costretto a stare qui con me». Disse quelle ultime parole con un tono della voce più basso, avvicinandosi lentamente all'orecchio del giovane e leccandone il lobo sensualmente prima di staccarsi da lui.
La donna iniziò a collegare diversi macchinari al corpo del giovane, ma il più importante, a detta di lei, era la corona metallica che gli aveva appena messo intorno al capo e che era collegato a uno schermo su cui apparivano diverse linee piatte.
«Ora, tesoro, ci divertiremo un po' io e te», affermò guardandolo e leccandosi il labbro superiore.
Andò a prendere, da un cassetto della scrivania su cui teneva il C.O.M.P.U.T.E, uno strano bastone metallico, non molto lungo, che terminava con sorta di placca metallica molto simile a un bottone.
Solo il rumore dei tacchi della donna era percepibile mentre quest'ultima tornava verso il ragazzo.
Senza alcun avvertimento colpì Elijah con il bastone, il quale si contorse dal dolore provato: non si trattava di un semplice e freddo bastone metallico, bensì di uno strumento di tortura avanzato che rilasciava elettricità una volta entrato in contatto con una superficie, indipendentemente dal materiale da cui questa era composta.
«Oh, qualcuno ha provato più male del previsto», disse fingendosi sorpresa e voltandosi verso il monitor collegato alla corona metallica: due linee avevano iniziato a muoversi, una più delle altre.
Lo colpì ancora, poi ancora, ancora e ancora. A ogni colpo Elijah si sentiva come se gli stessero togliendo il fiato e, contemporaneamente, i suoi organi stessero bruciando. Iniziò a sudare incontrollabilmente, il corpo irrigidito in attesa del colpo successivo, i pugni stretti per cercare di combattere il dolore sempre più forte.
«Finalmente un dato interessante!» - esclamò - «Qualcuno qui inizia ad avere paura», aggiunse sadica.
In effetti, ora entrambe le linee sul monitor si muovevano alla stessa frequenza: Elijah comprese che dovessero indicare il suo livello di paura e dolore. Ogni linee su quel monitor controllava un particolare parametro emotivo o fisico, ma a che scopo?
La donna posò l'arnese metallico usato fino a quel momento e si avvicinò al collo di Elijah, baciandolo lentamente. Iniziò a far scorrere le sue mani sul corpo del diciottenne, incurante di dove potessero finire.
Nello stesso momento, Elijah provava emozioni contrastanti: una parte di lui voleva lasciarsi andare a quelle nuove sensazioni che stava provando, l'altra parte era terrorizzata da ciò che la "dottoressa" stava facendo.
Non soddisfatta, la donna si spostò davanti a lui e si sedette a cavalcioni sulle sue gambe. Iniziò a strusciarsi contro il corpo del giovane in maniera accattivante, sensuale, cercando di far cadere tutte le sue barriere. Lo baciò ripetutamente, continuando con i movimenti provocatori e passandogli frettolosamente le mani nei capelli ricci.
Elijah era completamente schiavo della donna: qualunque tipo di opposizione era assolutamente inutile, non si sarebbe fermata fino al raggiungimento del suo scopo.
«Dillo che mi vuoi», sussurrò lei al suo orecchio, mentre le mani viaggiavano sotto la maglietta del ragazzo, tastando gli addominali e il petto.
«C-Che cosa?» Le mani della donna sbottonarono i pantaloni del ragazzo e scesero fino a toccare le parti più intime del giovane, che divenne rosso in viso.
«Oh, guarda che bella sorpresa che abbiamo qui!» esclamò, sentendo l'erezione della vittima.
Si staccò di colpo da Elijah, che poté finalmente riprendere fiato e calmarsi, per andare a controllare i valori ricevuti dalla corona metallica.
«Questi dati sono sconvolgenti!» - urlò in preda all'entusiasmo - «Imbarazzo, eccitazione, paura, rabbia. Tutto grazie a me!» disse ancora ridacchiando.
«I tuoi dati devono essere sbagliati, pazza. Il SuperCervello è costruito in modo che non si possano provare così tante emozioni», rispose riprendendosi il giovane.
«Teoricamente avresti ragione, ma sei la prova esistente che non è vero. La domanda è: in cosa sei diverso?»
Dei passi interruppero la loro conversazione, qualcuno li stava raggiungendo. Dalle scale, comparve un ragazzo in divisa, alto, viso spigoloso e barbuto, espressione seria e camminata spavalda. Doveva essere poco più grande di Elijah, ma il viso apparteneva a un uomo decisamente più grande, con un vissuto molto più importante di quello di un normale ventenne di Arcadia.
Quando vide la donna, un sorriso malizioso ruppe l'immagine austera di poca prima.
«Ecco la mia ragione di vita. Come procede la tortura?» domandò l'uomo alla donna che stava studiando Elijah, prima di avvicinarsi e baciarla.
Sul viso del ragazzo si manifestò un'espressione di disgusto.
«Oh, guarda un po' qui! Qualcuno è sia infastidito che geloso» - disse la pazza staccandosi dal nuovo arrivato e con tono puerile - «Non è che anche tu vorresti qualcosa del genere? C'è una giovane T.E.K che è tanto speciale per te?» chiese quasi prendendolo in giro.
Gli occhi del ragazzo si abbassarono per un momento: la donna aveva colpito nel segno.
«Oh cavolo, c'è davvero una lei» - disse stupita - «Fammi indovinare, è quella ragazza...Come si chiama? Ah, sì. Martyna». Nel sentire il nome dell'amica Elijah cercò di liberarsi dalle cinghie buttandosi in avanti con il peso del suo corpo. La donna batté le mani compiaciuta e notò che la linea relativa all'amore aveva fatto un piccolo movimento.
«Devo assolutamente portare queste notizie ai miei superiori! Lyòn, amore, porteresti il mio amichetto nella sua cella?» chiese all'uomo da poco arrivato.
«Qualunque cosa per te». L'uomo aggirò Elijah e, una volta alle sue spalle, lo colpì talmente forte che il ragazzo perse i sensi.
Si risvegliò più tardi, sul pavimento freddo e in marmo di quella che sarebbe dovuta essere la cella. Il ragazzo ci mise alcuni secondi per mettersi seduto e riuscire a vedere nitidamente dove si trovasse, ancora frastornato per la botta ricevuta.
«Che razza di posto è questo?» chiese a voce alta, parlando con sé stesso.
«Le lussuose celle che riservano ai casi di studio speciali come noi», rispose una voce non molto lontana.
Elijah si alzò improvvisamente, la schiena appoggiata al muro dietro di lui, in allerta per la voce appena sentita.
«Sto impazzendo» disse guardandosi intorno.
«No, demente. Di qua». Il muro alla destra del ragazzo sembrò dissolversi e rivelò un'altra "cella" adiacente alla sua dove un ragazzo, all'incirca della stessa età di Elijah e dai capelli rossi, era seduto. «Toccando questa parete si dissolve. Un'invenzione geniale che consente di far vedere agli altri imprigionati come torturano i loro compagni di cella» aggiunse il ragazzo.
Elijah era sconvolto da tutta la situazione, non capiva cosa stesse succedendo, perché lo stessero studiando, cosa ci faceva lì, perché ci fosse un'altra persona.
«Benjamin Khalos», disse un certo punto il ragazzo nella cella vicina, una specie di smorfia compiaciuta stampata sul suo volto. Elijah lo guardò perplesso.
«Beh? Non è così che ci si presenta?»
«Non ho voglia di parlare con nessuno ora, sto pensando se ci possa essere una via di fuga. Quindi, perché non rimani in silenzio?», rispose duramente il ragazzo riccio.
«Devi essere uno simpatico tu, pieno di amici» lo stuzzicò Benjamin. Elijah sbuffò spazientito, cosa che fece sorridere il ragazzo della cella vicina, che si appoggiò con la schiena a quello strano muro trasparente.
«Beh, se dovessi trovare una soluzione, fammelo sapere. Io mi faccio un sonnellino», aggiunse ancora, conscio del fatto che non si potesse scappare da una prigione del genere.
«Come mai ti trovi qui?», chiese dopo poco Elijah, incuriosito dal personaggio particolare.
«Fino a due minuti fa non avevi voglia di stare in silenzio e trovare una via di fuga?», domandò Benjamin voltandosi verso Elijah, con lo stesso sorriso beffardo di poco prima.
Il ragazzo riccio volse gli occhi al cielo, segno di disperazione che fece sorridere ancor di più l'altro coetaneo.
«Sono finito qui esattamente come ci sei finito tu, solo che sono nato all'interno del M.A.N.I.A.K». Elijah rimase stupito da quelle parole: esisteva un altro Umanoide come lui, della sua stessa età, ma nessuno lo sapeva?
«Q-Quindi sei un Umanoide pure tu?» chiese con gli occhi spalancati.
«Din din din, abbiamo un vincitore signori. Pensavi di essere l'unico speciale al mondo?» Il cuore di Elijah sembrò placarsi per un attimo, come i suoi pensieri. Sapere che c'era qualcun altro simile a lui che lo poteva capire e comprendere era un sollievo.
«Come mai sei nato qui?»
«Mia madre era una disertrice, forniva informazioni ad alcuni R.E.S accampati poco lontano dalle mura, nascosti nella Foresta. La rinchiusero qua dentro perché era già incinta di cinque mesi e rinchiuderla nelle Prigioni sarebbe stato controproducente per il Governo, uno scandalo. Quando nacqui la uccisero, senza alcun tipo di pietà».
Elijah rimase attonito da quelle parole e il pensiero che suo padre avesse contribuito a un omicidio del genere lo faceva rabbrividire. Non disse nulla, non esistevano parole adatte per quella situazione.
«Mi studiano da quando sono nato, da quando hanno visto che ero un Umanoide. Mi tengono qui fin da quando ne ho memoria».
La conversazione tra i due fu interrotta da Lyòn, che entrò bruscamente nella stanza in cui si trovavano le due celle.
«Benjamin, guarda che bello! Finalmente hai un amichetto con cui parlare», disse il giovane schernendo il nuovo amico di Elijah.
«Ciao, Lyòn. Piaciuta la scopata con Cynthia? D'altronde, per voi T.E.K l'amore si tratta solo di quello».
Lyòn si buttò in avanti verso Benjamin, ma le mani furono fermate dal campo di forza che chiudeva la cella.
«Stai zitto! Io la amo!» sbraitò, infuriato con il ragazzo rosso.
Elijah, nel frattempo, vedendo quella scena, aveva notato che il giovane infuriato aveva indosso la giacca della divisa che aveva visto poco prima: lo stemma raffigurante il corpo governativo a cui apparteneva era lo stesso che lo stava perseguitando da settimane, il volto di profilo interamente grigio.
Doveva solo cogliere il momento giusto in cui poter fare delle domande al giovane sequestratore, così da poter apprendere delle nuove informazioni.
Intanto, aveva trovato anche un modo per uscire di lì: era il momento di manomettere alcuni campi di forza.
~•~
Da qualche parte nel Palazzo di Governo...
«Theodosio, quanto tempo», disse l'uomo mascherato entrando nell'enorme salone.
«Signore, è sempre un piacere rivederla. A cosa devo la sua visita?» Ci furono alcuni secondi di silenzio prima la figura misteriosa riprendesse parola.
«Abbiamo condotto degli studi su suo figlio minore. Abbiamo ottenuto risultati interessanti...», iniziò.
«E-Elijah? Signore, io non lo considero nemmeno mio figlio», intervenne prontamente l'ex Governatore.
«Fai bene, Theodosio. Oltre ad aver scoperto che il ragazzo prova delle emozioni a noi sconosciute, abbiamo ricontrollato il suo DNA per sicurezza...» Calò il silenzio nella sala, entrambi aspettavano di vedere cosa avesse l'altro da dire.
«Il DNA di Elijah non è stato modificato secondo la norma T.E.K e non abbiamo trovato geni coincidenti con i suoi, ma solo con quelli di sua moglie», disse finalmente l'uomo mascherato.
«Quindi...»
«Quindi Elijah non è suo figlio».
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro