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Capitolo 16 • Corsa mattutina


Mi svegliai all'alba del sette dicembre in preda a brividi di freddo. Sfruttai subito i miei poteri per riscaldarmi, consapevole che, comunque, ormai sveglio non sarei riuscito a riaddormentarmi.

L'insonnia mi accompagnava ormai da tre anni a quella parte, rendendomi complicato il prendere sonno e facendomi svegliare nel bel mezzo della notte, talvolta senza speranza di riaddormentarmi di nuovo. Perciò, come ogni altra volta prima di quella, decisi di sfruttare a mio favore l'orario in cui mi ero svegliato per andare a correre.

Ci trovavamo nella stessa osteria da due notti ormai: era l'unica nel giro di chilometri e chilometri e, attorno a essa, credevamo ci potesse essere abbastanza persone da reclutare nella nostra causa. Ci trovavamo nel bel mezzo delle Montagne dei Meandri, la catena montuosa che divideva il feudo di Volcus dal resto dell'Isola Ferrosa.

Erano montagne poco ospitali, sulle quali, al massimo, erano stati costruiti quattro o cinque villaggi. Per la loro posizione poco accessibile erano i primi a sentire la crisi e i primi a morire di fame.

Decisi, visto l'orario, che non avrei fatto un giro troppo lungo, limitandomi a correre su e giù per lo stretto sentiero che entrava nel cuore delle Montagne dei Meandri. In quel giorno eravamo riusciti a parlare con tre famiglie. Non avevamo idea però se ci avessero ascoltato o meno.

Chiusi piano la porta, cercando di non far rumore per non destare attenzioni indesiderate. Non mi accorsi nemmeno che, proprio in quel preciso momento, qualcuno aveva avuto la mia stessa identica idea.

«Cesar?»

Girai lo sguardo, trovando Gwenyth nel mio stesso gesto di chiudersi la porta alle spalle. Raddrizzai automaticamente la schiena, mentre, con un piccolo sorriso, replicavo: «non riesco a dormire».

Gwen annuì, facendomi capire che lo stesso valeva per lei.

Cominciammo a muoverci insieme verso le scale che scendevano al salone dell'osteria.

Che lo volessi ammettere o meno, Gwenyth non mi dispiaceva affatto. Gwenyth non aveva pregiudizi, non ti guardava dall'alto in basso come poteva fare qualsiasi altro Dominus di alto rango. Per l'ennesima volta mi chiesi come fosse possibile che fosse diventata così amica di uno come Cole.

Scendemmo le scale continuando a rimanere zitti, venendo investiti dal calore del focolare ormai spento che era arso per tutta la notte. Le osterie avevano sempre avuto un qualcosa che mi affascinava: erano il luogo d'incontro di centinaia di persone ogni giorno, ognuno con una storia diversa da raccontare e da condividere con gli altri. Era il luogo del pettegolezzo, del gioco e del vino, dove i signori e i giovani uomini trascorrevano la serata fino a notte fonda.

L'oste, stanco e con delle profonde occhiaie che gli segnavano gli occhi, stava sicuramente aspettando il cambio turno.

Uscimmo senza rivolgergli una parola. Non ero nemmeno sicuro che ci avesse notati, tanto era assorto ad asciugare con un panno un bicchiere superstite della sera prima. Mi chiesi se si fosse accorto che ormai era pulito, così lucido che sarebbe potuto essere presentato al cospetto del re pieno del vino più pregiato dell'isola.

«Non sono mai stata qui.»

Non appena avemmo sceso i bassi scalini che uscivano dall'osteria, costruita a ridosso del versante di una delle montagne rocciose e prive di vegetazione, respirai l'aria buona e fresca del mattino, impossibile da trovare nel Mondo degli Umani.

«Nemmeno io. Ma non mi dispiacerebbe passare un po' di tempo qui, isolato da tutto e da tutti.»

Come Gwen cominciò a correre verso lo stretto sentiero che procedeva in salita, mi rispose.

«Sono ben pochi i rifornimenti di risorse che arrivano. Da quello che ho potuto sentire ieri sera ora arrivano al massimo due carri al giorno da questa pendice della montagna. Una volta ne arrivavano almeno sei.»

La seguii subito, sentendomi leggero nel camminare in mezzo a quei sentieri rocciosi. Attorno a noi non avevamo boschi, non avevamo i versanti dolci di una montagna: c'era solo il vuoto e, al di sotto di parecchi metri, altri sentieri.

Prima che cominciassi a salire, vidi il cartello: quel sentiero portava verso il villaggio di Syerna, che si trovava a due chilometri da lì. 'Perfetto' pensai, mentre decidevo immediatamente che quella sarebbe stata la nostra meta.

«E come fanno dei carri a salire per questi sentieri? Ci passa a malapena un uomo» commentai.

Gwen concordò.

«Appunto. E, francamente, il regno non si farebbe... non si fa scrupoli ad abbandonare luoghi come questi.»

Rimasi un attimo in silenzio. Mi sembrava innaturale sentirla parlare così del regno per il quale la sua famiglia viveva, per il quale avrebbe combattuto fino alla morte. Anche se non sembrava, dopotutto lei era una di loro.

«Perché non riuscivi a dormire?»

Decise di cambiare discorso.

«Insonnia. Non è una novità, mi capita spesso, sopratutto in tempi come questi.»

Il battito accelerò e ben presto non sentii più quel freddo pungente che dominava ancora l'aria, nonostante l'alba stesse già portando con sé un po' di calore. Tutto era roseo e rossastro, ogni singola cosa era illuminata dalla prima luce del sole, che si faceva strada in mezzo alle rocce. Sorgeva da dietro le dune del Grande Deserto, che si trovava alla nostra sinistra.

Quella era una limpida mattina di dicembre. Quella notte c'era stato il temporale. L'acqua, nello Stretto di Lapis che da quel punto era visibile molto chiaramente, doveva essere cristallina quella mattina, ripulita da tutte le alghe e da tutti i rifiuti, ora adagiati sulle piccole dune delle due spiagge.

«A Ilea c'era una vecchia, una volta. In molti dicevano che fosse in grado di curare l'insonnia. Mio padre, che ha il tuo stesso problema, dice però che a lui non cambiò di una virgola. La considerò una truffatrice e la denunciò alla guardia del feudo, che indagò.»

«Ilea?» chiesi corrugando la fronte, mentre la strada si rifaceva un po' più pianeggiante. «Credevo fossi di Ilyros.»

«La mia famiglia è di Ilyros, ma per cinque anni mio padre fu costretto a trasferirsi a Telyn e noi con lui. Solo quando compii sei anni, mio padre fu assolto dall'incarico e richiamato a corte. Da quel momento svolge il ruolo di Primo Precettore dell'Esercito Azzurro» disse dopo qualche secondo, concentrata a saltare oltre un sasso che stava bloccando il sentiero. «Coordina gli addestramenti di tutti i soldati delle caserme di Ilyros.»

«E ora vivi a corte?»

«Non proprio dentro alla Reggia Azzurra, per fortuna» ridacchiò nonostante la fatica che cominciava a farsi sentire. «Ma in una delle prime case della Via dell'Oro, l'immenso viale che precede la Collina dell'Imperatore su cui si erge il castello. Quella via ospita le case dei funzionari e dei nobili più importanti di Elyria.»

«Però io cerco sempre di rimanere lontana il più possibile da Ilyros» aggiunse con più amarezza, dopo qualche minuto di silenzio. «Da quando ho finito l'addestramento e sono diventata maggiorenne. Da quel momento mi sono dedicata a viaggiare per Elyria, tornando ad Ilyros di tanto in tanto per cercare di placare l'ira di mio padre. Finché al suo fianco avrà le mie perfette, obbedienti sorelle procederà tutto regolarmente, come sempre.»

«Hai delle sorelle?»

«Due. Sono l'emblema della ragazza nobile in cerca del marito perfetto e, se possibile, di un rango ancora più alto» ridacchiò amaramente. «I miei, come puoi ben capire, furono ben felici di sapere che sarei stata una femmina, visto che il Re e la Regina aspettavano un maschio lo stesso anno. Credo che dentro di loro i miei genitori abbiano sempre sperato che venissi data in sposa a William.»

Non potè trattenersi dal ridere.

«Io moglie di William? Non lo farei nemmeno se lo amassi da morire. Non riuscirei a vivere un'intera vita al suo fianco, come regina. Costretta a un milione di cose e prigioniera della stessa corona. Credo che compiuti quattordici anni i miei si siano arresi al fatto che la famiglia reale non mi avrebbe mai scelta come promessa sposa dell'erede. Per non parlare che sarebbe strano sposare lui, avere dei figli da lui.»

Gwen rabbrividì al pensiero, mentre continuava a correre.

«Sarebbe sbagliato, come se sposassi mio fratello» concluse. «E sono sempre stata convinta che lui la pensasse come me.»

Gwenyth, da quello che avevo capito, era uno spirito libero, che mai si sarebbe arreso a una prigionia forzata come quella di un matrimonio reale.

«Nessuno potrà scegliere chi dovrò sposare» constatò. «Se mai lo riterrò necessario e lo desidererò, cosa di cui dubito, sceglierò volontariamente di unirmi in matrimonio a un'altra persona.»

«Non credi nel matrimonio?» aggrottai la fronte.

«È solo uno stupido rito. L'amore non è in funzione di un legame matrimoniale, è solo un'inutile, sciocca abitudine.»

Io la pensavo diversamente da lei. Aveva ragione a dire che l'amore non dipendeva dal matrimonio, ma era quello a sancire l'eterna unione fra due persone. Era un vincolo, un patto sottoposto alla dea dell'amore che legava indissolubilmente due persone per l'eternità.

Percorremmo il resto della strada in silenzio, concentrandoci solo e unicamente sul correre e sull'entrare tutt'uno con la natura che ci circondava. Solo quando fummo quasi all'arrivo, la strada si fece più larga, venendo affiancata da due versanti rocciosi che continuavano a salire più in alto. Decidemmo di fermarci lì, trovando abbastanza spazio per riposare qualche minuto prima di ripartire.

Il mondo sembrava essere immerso nel più completo silenzio. Gli unici rumori che lo infrangevano erano i nostri passi e i nostri respiri affannati. Non potei fare a meno di chiedermi il perché non avessimo incontrato nessun forestiero, nessuna guardia.

Gwen sembrava pensare alla stessa cosa e, allo stesso tempo, liquidare la questione in fretta, dando nuovamente la colpa alla situazione economica.

«Sei un tipo molto silenzioso, lo sai?»

Gwen attirò la mia attenzione mentre si piegava a toccarsi la punta dei piedi per stendere i muscoli.

Ridacchiai.

«Se posso permettermi, io ti difinirei abbastanza logorroica.»

Gwen si raddrizzò in fretta, guardandomi vagamente offesa. Cercai di rimediare subito.

«Non in senso negativo, non fraintendermi. Mi piacciono le persone che parlano molto.»

Gwen sbuffò e scosse la testa ridacchiando.

«Io parlo troppo e tu parli troppo poco. Almeno c'è equilibrio.»

«Concordo» riuscii a dire prima che lei ricominciasse a parlare di tutt'altro argomento.

«Oggi è il sette dicembre» disse. «È il compleanno di Evelyn Lewis. Mi chiedo dove possano essere adesso...»

«Con un po' di fortuna si trovano già a Eylien» dissi, avvicinandomi a lei. «Spencer continua a scriversi con Rose, perciò penso che, se fosse successo qualcosa di particolarmente rilevante, lo avremmo saputo.»

«Sai, mi sarebbe piaciuto andare con loro» ammise. «Vedere una Terra Dimenticata è una delle cose più belle che possano accadere nella vita. Le persone che possono dire di esserci stati davvero si possono contare sulle dita della mano.»

«Ci sarà l'occasione per andarci.Quando tutta questa storia sarà finita potremo andarci.»

«Quando tutta questa storia sarà finita sì...» Gwen fece una piccola, amara risata. «La gente muore ogni giorno. Per quel che ne sappiamo potremmo essere le prossime vittime di questa guerra.»

Rimasi in silenzio, non riuscendo ad ammettere ad alta voce che aveva ragione. Erano decisamente di più le possibilità di non sopravvivere che quelle di farlo, era così per tutti.

«Se... se davvero il padre di Evelyn Lewis sta progettando un invasione di massa, Elyria ne uscirà decimata.»

Gwen sospirò, aggrottando la fronte come se avesse mal di testa.

«Ci sarà un'altra Grande Guerra, ma, quando questa arriverà, Elyria sarà già devastata dall'imminente guerra civile che il re sta per dichiarare.»

Gwen scosse la testa, guardandomi da sotto le sue ciglia lunghe come se volesse mettersi ad urlare e a gridare a squarciagola tutto quello che pensava. Mi fermai di fianco a lei.

«Hai ragione. Non possiamo aggrapparci solamente alla convinzione che andrà tutto bene» ritrattai le mie parole precedenti. «Ma un pizzico di ottimismo serve. Non riusciremo ad andare avanti se non ce lo avessimo.»

«Se non fossi ottimista non continuerei a fare quello che sto facendo, non credi?» sussurrò come se si stesse convincendo che una piccola speranza, per quanto piccola potesse essere, c'era.

«Hai ragione» le concessi. «Inutile girarci attorno, è vero che la maggior parte di noi non ce la farà, che potremmo morire e finire schiavi degli oscuri. Ma dobbiamo mettere tutti noi stessi per cercare di salvarci. Se ci arrendessimo non avremmo nemmeno quella piccola possibilità di uscirne sani e salvi e di salvare questo regno, il nostro regno. La vita è troppo breve per non fare nulla.»

«La vita è troppo breve» ripeté Gwen, distogliendo lo sguardo dal mio e girando la testa, voltandosi verso la direzione in cui si trovava il paese di Syerna.

Mi voltai anche io a quel punto. Ebbi una bruttissima sensazione, un pensiero fugace che mi spinse a fare un passo verso l'inizio della discesa del sentiero, da dove sarebbe stato visibile lo spiazzo in cui si doveva trovare quel piccolo paese.

A farmi venire quella brutta sensazione fu il completo silenzio che regnava tutto attorno a noi. Se davvero, come dicevano i cartelli, ci trovavamo a circa duecento metri di distanza dal paese, perché non sentivamo un solo rumore? Solitamente, a una distanza così vicina, si sarebbero dovuti sentire i suoni di un paese vivo: i bambini che schiamazzavano nel tragitto per andare a scuola, i versi degli animali, il suono sordo delle fucine del fabbro...

Nonostante il freddo inverno ormai alle porte, non c'era camino da cui uscisse la classica colonna di fumo. Camminai verso l'inizio del sentiero fino a fermarmi sul dirupo.

Il paese era desolato.

Non c'era nessuno solo odore di bruciato e inconfondibili sagome di cadaveri abbandonati per le vie. Sentii una morsa al petto. Che cosa diavolo era successo?

Sentii molto vagamente Gwen raggiungermi, attratta dal mio silenzio, e affiancarmi. Trattenne il fiato non appena le si stese davanti agli occhi quell'orribile verità.

«O dèi...» fece piano, sconvolta.

Deglutii, cercando di immaginare a che cosa potessimo trovarci davanti. Non era un villaggio distrutto: nonostante l'odore di bruciato, tutte le case di legno erano completamente integre. Dappertutto, però, regnava morte e silenzio. Non so per quanto rimanemmo fermi a guardare quella desolazione.

Eravamo entrambi senza parole.


***


«Alt.»

Aggrottai la fronte quando una guardia, che si trovava proprio davanti ai gradini della taverna, allungò una mano verso di noi, tenendosi a debita distanza.

Era un uomo con capelli quasi rasati e il mantello color corteccia che gli sventolava sulla schiena. Il naso aquilino e le folte sopracciglia gli donavano un che di serio e di arrabbiato

Rimasi ancora più confuso quando quella alzò una mano a coprirsi la bocca e il naso.

«Chi siete voi? Da dove provenite?»

Gwen, naturalmente, fu più pronta di me.

«Cesar Soler e Gwenyth Avon, arriviamo da Syerna.»

«Avete fatto male ad avventurarvi verso il villaggio, Lady Avon.»

La guardia riconobbe subito il cognome, inclinando il capo in avanti in segno di rispetto.

Mi girai per un momento a guardarla, notando subito come non avesse avuto reazioni particolari.

«Per quale motivo? Lei sa perché Syerna è disabitata, vero?»

La guardia annuì.

«Non potete entrare, Syerna è stata distrutta dalla peste.»

Gwen si irrigidì e io feci lo stesso. Prima che potessi metabolizzare davvero quello che disse, la guardia continuò.

«Per quello che ne sappiamo potreste già esserne stati contagiati: vi siete inoltrati troppo nelle vicinanze di Syerna, entrando nella zona infetta. Per la sicurezza nostra e di tutta Elyria non dovete procedere oltre.»

Per una volta Gwen rimase senza parole, lasciando a me il compito di parlare per primo.

«E lo avete scoperto nel giro di poche ore?» mi costrinsi a strappare fuori dalle mie labbra le parole. «Ieri sera, quando siamo usciti di qui... nessuno aveva idea di quello che stava succedendo? Nessuno ci ha avvertiti?».

In quel momento, più che preoccuparmi della mia salute e di quella della mia compagna, ero arrabbiato, molto arrabbiato. Avevo gli occhi socchiusi dall'ira che stava prendendo piede dentro di me, anche se non mi sarei dovuto stupire. La guardia non rispose alle mie domande.

«Fra qualche minuto giungeranno qui guaritori attrezzati per portarvi in quarantena. Da questo momento ogni loro singola parola è un ordine. Venir meno anche solo ad un piccolo ordine farà di voi immediatamente degli individui considerati pericolosi e minacciosi per il Regno di Elyria.»

Sentii Gwen spalancare la bocca per protestare, ma io allungai una mano e la invitai a rimanere in silenzio: non aveva senso peggiorare le cose adesso. Per quanto mi costasse ammetterlo la guardia aveva ragione: se davvero ormai eravamo stati infettati, non c'era nulla che potessimo fare. Se invece miracolosamente eravamo ancora sani, qualche giorno di quarantena e saremmo potuti tornare alla nostra missione.


***


«Moriremo qui.» Gwen, tragica, lasciò cadere la testa contro una balla di fieno, guardandomi con occhi. «Moriremo prima che ci sia un vera ragione per farlo. Tutto questo per cosa? Un'inutile corsa mattutina per cominciare bene la giornata? Bel modo di lasciare questo mondo: morendo in un lurido e caldo fienile. Tu non senti caldo? Credi che siano i primi sintomi della peste?»

Girai la testa verso di lei, guardandola tremare come se fosse febbricitante.

«Sono passate solo due ore da quando siamo qui. E circa quattro o cinque da quando ci trovavamo a Syerna. I primi sintomi si manifestano non prima di due o tre giorni, al massimo uno se si tratta di peste polmonare.»

«E allora perché mi sembra di avere la febbre e di stare andando a fuoco?» ribatté. «E... e tu come le sai tutte queste cose.»

«Nel Mondo degli Umani avevo molto tempo libero» risposi tranquillo. «Avevo molto tempo di leggere. Secondo me tu ti stai convincendo da sola di provare cose che in realtà non esistono. Prova a tranquillizzarti e vedrai che starai di nuovo bene.»

Gwen rimase zitta, guardandomi con occhi frenetici e corrugando la fronte, come se dubitasse di quello che avevo detto. «Sai, invece io ho letto che i morti di peste venivano gettati in fosse comuni da alcune persone immuni. Faremo quella fine, ci butteranno in una buca assieme agli abitanti di Syerna e ci seppelliranno così, senza una degna cerimonia.»

Mi guardai attorno, mentre lei continuava a farneticare, osservando quel fienile. Cercai di fare una stima di quante probabilità avessimo di aver contratto la peste. Mi trattenni a stento dal ricordarle perché Syerna fosse stata così vulnerabile alla peste. Era stata la povertà, la fame che tutti quei poveri cittadini avevano dovuto patire. Era colpa del regno che stava lasciando il suo popolo a morire.

Avevo solo una domanda che da anni mi tormentava i pensieri: perché?

La povertà dilagava nel regno, e la famiglia reale non sembrava importarsene.

«... Will. Che cosa penserà quando gli diranno che siamo morti? Ci sono tantissime cose che avrei dovuto dirgli ma di cui non ho mai avuto il coraggio. Come anche a i miei genitori... a un sacco di persone. Sarei dovuta andare anche nel Mondo degli Umani a viaggiare. Ma ora non potrò più farlo.»

«Se pensi che ti farà sentire meglio dille quelle cose» buttai lì, interrompendo la lista di cose che avrebbe potuto fare. «Sai, la stessa cosa varrebbe per me. Come hai avuto modo di ripetere non meno di cinquanta volte, querida, forse moriremo qui in mezzo a balle di fieno e a odori nauseanti.»

«Sai, il fatto che tu lo abbia proposto davvero è più assurdo di trovarci davvero qui in quarantena.»

«Credo che sarebbe decisamente più interessante che rimanere qui per giorni a sentire quello avresti potuto fare se fosse andato tutto diversamente» mi giustificai, non riuscendo a trattenere una piccola risatina. «Non ci saranno filtri e giudizi. Tu, la logorroica ragazza di corte, e io, il silenzioso ribelle solitario.»

Gwen mi guardò dritto negli occhi.

«Se non siamo stati contagiati, nel caso qualche entità divina abbia avuto pena di noi e ci abbia salvati dalla triste fine della peste, ciò che diremo, per quanto stupido e insignificante possa sembrare, non uscirà dalle mura di questo fienile.»

Ridacchiai ancora.

«Come vuoi.» 


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