Capitolo 1 • Sfinita
Quando aprii gli occhi mi ritrovai un cerchio di teste sopra di me.
Rose, Matt, Cesar, Chantal e Colton mi stavano fissando preoccupati e incredibilmente confusi. Ci misi qualche secondo per capire chi fossi, dove mi trovassi e perchè fossi distesa per terra.
«Credevo che le crisi si sarebbero fermate per un po'» commentò Rose, titubante e rivolta a Matt, la nostra fonte di verità e informazioni.
Mi portai la mano alla testa e socchiusi gli occhi, cercando di raddrizzarmi a sedere. Non potevano essere già ricominciate: era troppo presto. E qualcosa dentro di me sembrava dirmi che quella, come la visione che avevo avuto alle Fauci del Lupo, non era stata affatto una crisi.
Rose si chinò, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Che cos'hai visto?» mi chiese. «Stai per dare di matto?»
Scossi la testa in fretta. Non ci sarebbero stati effetti collaterali se non il sentire un'enorme vuoto nel petto e la consapevolezza che quello che avevo visto sarebbe potuto accadere realmente.
«Evelyn?»
Quando Matt parlò, con uno slancio mi tirai su in piedi, allungando su di lui una mano per reggermi.
«Niente, non ho visto nulla. Ho avuto solo un capogiro.»
«Un capogiro?» La voce di Chantal, che era arrivata la sera precedente per ragioni a me ancora ignote, non mi era affatto mancata. «Pensi davvero che ci crediamo?»
Le riservai un'occhiataccia, senza risponderle.
«Ora sto bene, dovremmo allenarci.»
Chantal fece per protestare, ma Cesar la interruppe.
«Se stai davvero bene non dovremmo perdere un minuto di più» disse.
La ragazza sbuffò incredula, spostando lo sguardo da me a Matt come se il mio amico potesse darle ragione nel suo indagare. Si congedò da noi e il fratello ci rivolse un'occhiata di scuse, prima di seguirla fuori dalla stanza.
«Vuoi...»
Matt, con i piedi di piombo, cercò di chiedermi anche lui che cosa avessi visto.
Scossi la testa, con un'occhiata eloquente.
«Ne parliamo dopo... prima... prima devo schiarirmi le idee.»
Il rumore di una porta che cigolava ci fece girare tutti di scatto.
Elias Karlsen, con indosso abiti da nobile che a parer mio non gli si addicevano per niente, entrò nella palestra con passo spavaldo e schiena dritta. Ci guardò alzando le sopracciglia, chiedendoci implicitamente il perchè fossimo lì a non fare nulla.
«Avreste già dovuto cominciare l'allenamento» esordì.
«Stavamo proprio per farlo» rispose Cesar.
Annuii, deglutendo e avviandomi verso lo spogliatoio. Mentre camminavo, mi sentii addosso lo sguardo di tutti i presenti. Cercai di eliminare dalla mia mente l'immagine terribile e dolorosa della visione che avevo appena avuto.
Mi cambiai in fretta, continuando a tentare invano di non pensare a quello che avevo visto.
«D'ora in poi seguirò ogni tuo singolo allenamento» disse Karlsen, non appena fui di nuovo nella palestra. «Soler e il principe continueranno ad aiutarti con gli elementi del Fuoco e dell'Acqua, mentre io ti allenerò fisicamente.»
Mi senti quasi mancare di nuovo. Il fatto che il vecchio fosse stato il comandante di una legione militare del regno non faceva altro che mettermi ansia. Se Will mi era sembrato un duro insegnante, non volevo pensare a Karlsen, che avevo sperimentato solo con l'insegnamento dell'elemento.
Matt e Rose erano usciti dalla palestra mentre ci stavamo allenando. Era rimasto solo Cesar assieme l vecchio, che mi guardava con braccia conserte.
Quell'orribile giornata sarebbe continuata nel peggiore dei modi. Ne ero sicura.
«Bene» commentai sarcastica fra me e me.
«Ora, se William Cole ti è sembrato un insegnante duro ed esigente, questo sarà decisamente peggio» disse, continuando a guardarmi imperscrutabile. «A differenza di tutti gli altri tuoi coetanei hai passato tutta la tua vita a non fare nulla come i ragazzi umani: devi recuperare questi anni persi il più velocemente possibile. Questo significa che comincerai subito con trenta giri di palestra di corsa.»
Aggrottai subito la fronte, guardandolo come se fosse pazzo. Mi sentivo svuotata e incredibilmente debole per la visione che avevo appena avuto, come potevo anche solo pensare di essere in grado di fare trenta giri di palestra?
Dovevo comunque ricordarmi che il vecchio non sapeva e non doveva sapere della visione.
«Perché sei ancora ferma?»
***
Trascinavo i piedi lungo il corridoio provando il bisogno impellente e il forte desiderio di scivolare lungo il muro e di piangere. Il dolore che avevo provato ai muscoli dopo gli allenamenti di William era nulla a confronto di quello.
Mi facevano male muscoli che non pensavo nemmeno di avere.
Karlsen si era congedato in modo autoritario, dicendomi che sarei dovuta tornare in palestra per le due per allenarmi con Cesar. La mia mente non sembrava in grado di immaginare come avrei fatto a concentrarmi dopo lo sforzo di quella mattina.
Non so come riuscii ad arrivare al bagno di camera mia per darmi una ripulita. Rimasi un'infinità di tempo sotto la doccia calda in cerca di un po' di sollievo. Solo il ricordo nitido di Volkihar e del corpo senza di vita di Will mi impedì di addormentarmi contro le piastrelle della doccia.
Mi ridestai di colpo quando sentii qualcuno bussare alla porta. Il sonno perso di quella notte si stava facendo sentire.
Quando tornai in camera, avvolta in un accappatoio bianco, mi avvicinai all'entrata, senza chiedermi chi fosse a bussare così incessantemente.
Rimasi un po' spiazzata quando la vidi sulla soglia. Il suo viso lasciava intendere che Will le aveva raccontato tutto. Era sconvolta, stravolta da quello che aveva scoperto proprio come lo eravamo stati io e il principe la sera prima.
Com'eravamo tutt'ora.
Alla vista della sua espressione di rabbia e di odio tutta la stanchezza che avevo addosso sembrò abbandonare il mio corpo. Non riuscii a trovare una sola parola da dirle. Rimasi a guardarla, aprendo la bocca molte volte, prima di parlare.
«Gwenyth...» sussurrai piano. «Mi dispiace...»
«Ti dispiace?» ripetè con voce tremante. «Lo ucciderai.»
Il suo tono di accusa mi fece contorcere lo stomaco in modo doloroso. Mi morsi il labbro e ricacciai indietro le lacrime. Aveva ragione, aveva dannatamente ragione.
«Ucciderai mio fratello.»
«Non lo posso fare» mugolai, arretrando per sedermi sul letto, sentendo le gambe cedere.
«Farà di tutto per lasciartelo fare» replicò acida. «Farà di tutto perchè tu lo uccida, Evelyn Lewis.»
Disse il mio nome caricandolo di tutto l'odio di cui fosse capace e io non potei biasimarla. Rimasi a guardarla, sicura che se avessi abbassato gli occhi sulle mie mani avrei visto di nuovo il sangue vivido di William.
Contrassi le dita.
«Lui... lui te lo lascerà fare.»
Sembrava che non riuscisse a dire di più di quella semplice frase. Ero sull'orlo del pianto, ma le lacrime non c'erano.
«Mio fratello, l'unica vera persona che mi abbia voluto bene davvero, che abbia mai creduto in me, morirà per mano tua» disse, puntandomi un dito tremante contro il petto. «Per colpa tua.»
«Come credi che mi senta io?» non riuscii a fare a meno di sussurrare, mortificata e sfinita.
«Stai paragonando la nostra amicizia di una vita... di una vita con la vostra storiella di scopamicizia da due soldi?»
Aveva cominciato ad alzare la voce. Perchè era venuta lì a parlarmi, che cosa pensava avrebbe potuto risolvere facendo così? Se la sua unica intenzione era quella di farmi sentire ancora più colpevole, beh, ci stava riuscendo benissimo.
Mi alzai da letto, e la guardai duramente.
«Non è una scopamicizia da due soldi» replicai scandendo bene le parole, lentamente.
«Ma fammi il piacere. Lo conosci da troppo poco tempo, tu credi solo di amarlo...»
Feci per aprire bocca e protestare, ma lei non me ne lasciò il tempo.
«Dovresti stargli lontano. Gli stai rovinando la vita, ci stai rovinando la vita. Maledetto il giorno in cui sei entrata nella sua vita, maledetta te e quello che sei...»
«Gwen!»
Will irruppe nella stanza con un tono incredulo. Non potei guardarlo, non ce la feci. Rimasi a fissare la sua amica. Tutto ciò che aveva detto, dall'inizio alla fine, era giusto. Ero solo una maledizione per loro, e lo stavo diventando anche per me stessa.
Vidi una mano di Will serrarsi sul braccio di Gwenyth.
«Sei impazzita?»
Gwenyth se lo scrollò di dosso, cominciando a muoversi di gran carriera al di fuori della stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
Non appena uscì, vidi con la coda dell'occhio il principe avvicinarsi. Prima che potesse toccarmi la spalla con la mano allungata, mi ritrassi di colpo, rischiando di inciampare fra i miei piedi.
Ero terrorizzata. Tutto quello che era successo e la conversazione con Gwenyth in quel momento mi facevano desiderare di essere il più lontana possibile da lui. Era come se con il mio solo tocco potessi porre fine alla sua vita.
«Evelyn, stai bene?»
Mi girava la testa. Avevo bisogno di rimanere da sola.
«Vai da lei» mi ritrovai a dire. «Ha bisogno di te...»
Ero confusa, mi sentivo disorientata. Volevo salvarlo, era l'unica cosa che desiderassi al mondo. Tutto in quel momento mi ricordava che avrei dovuto ucciderlo.
«Evelyn...»
Quando lui si avvicinò ancora, scossi la testa.
«Per favore...» lo supplicai, guardandolo in faccia per la prima volta da quando era entrato.
Will si fermò e si raddrizzò. Non riuscii a sopportare il suo sguardo preoccupato, così abbassai lo sguardo. Non lo vidi girare sui tacchi e uscire dalla stanza, veloce quasi come quando era entrato.
Non appena la porta della mia stanza si chiuse, mi sedetti per terra dove mi trovavo, portandomi le ginocchia al petto.
Non riuscivo a pensare ad altro che non fosse quella stupida, dannatissima profezia. Se questo era solo l'inizio, come sarei arrivata in fondo a questa storia?
***
«Sei in ritardo» mi accolse Rose con un sussurro, mentre mi sedevo di fianco a lei a pranzo.
Scrollai le spalle e iniziai a mangiare in silenzio. Mi costrinsi a farlo, non avevo fame, mi sentivo lo stomaco chiuso.
Alzai lo sguardo sui commensali, vedendo la famiglia del Reggente. La piccola Ariadne mi stava riservando uno sguardo eloquente, come per invitarmi a stare dritta e a parlare con qualcuno.
Era strano essere lì con una delle famiglie più importanti di Elyria. Non riuscivo ancora a capacitarmene e, di conseguenza, non riuscivo a comportarmi come avrei dovuto, per esempio arrivando in orario.
Ero stanca, ero sfinita e avevo bisogno di dormire. Il pensiero che avrei dovuto allenarmi con il Fuoco mi dava molto da fare, ma almeno sarebbe stata una scusa per rimanere lontana da William.
Continuando a guardarmi attorno, vidi che Gwenyth si era unita a noi. Era lontana da dove mi ero seduta io, per fortuna. Non sarei più riuscita a rivolgerle la parola.
Quando lo vidi con la coda dell'occhio entrare nella senza, distolsi ancora una volta lo sguardo, lasciandolo ricadere inevitabilmente su Matt, che si trovava seduto davanti a me.
Mi stava fissando dritta negli occhi, come se stesse cercando di capire che cosa mi passasse per la testa. Sentii quasi vagamente Lord Blain e tutti gli altri alzarsi dalle proprie sedie in segno di rispetto. Un po' in ritardo, mi costrinsi a imitarli.
Mi alzai molto goffamente, sbattendo con le ginocchia contro il tavolo e spostando rumorosamente la sedia all'indietro.
«Vista la situazione, dei convenevoli potremmo anche farne a meno» disse William.
Non appena si sedette lo facemmo a nostra volta. Mi lasciai sfuggire un sospiro stanco. Anche il solo alzarsi dalla sedia era un supplizio per i muscoli delle mie gambe e per i miei addominali. Mi chiesi per quanto avrei sofferto così tanto per gli allentamenti.
«Siamo riusciti a convincere Edvard il Cieco a spostarsi in una camera.» Non appena fummo tutti seduti, Lord Blain parlò. «Passerà lì dentro gli ultimi giorni della sua vita. Non credo che manchi molto.»
Ascoltai per quanto potei la conversazione. Saremmo partiti verso l'una di quella notte, dirigendoci verso sud. Lord Blain ci aveva concesso due carrozze per raggiungere il lontano porto a sud dell'Altopiano del Fuoco.
Chantal, seduta di fianco a Matt, aveva tirato un sospiro di sollievo quando il Reggente aveva detto che un certo Cammino del Gigante era troppo pericoloso.
Le carrozze del Reggente sarebbero state esentate da ogni tipo di controllo nella regione di Pyros. Avremmo viaggiato nascosti lì dentro sia di notte che di giorno, grazie a cocchieri che si sarebbero dati il cambio.
«Qual è la destinazione?»
Mi resi in quel momento conto di non aver chiesto a Joanne dove si trovasse la Via del Sole. Ero stata travolta da una serie di altre cose che mi avevano fatto proprio dimenticare quel piccolo particolare.
«La Via del Sole a me conosciuta è quella che si trova vicino a Volcus, la cittadina più a nord dell'Isola Ferrosa...»
«Volcus?» ripetè Chantal dubbiosa. «È troppo vicino a Lapis...»
Tutti si girarono verso di lei.
«Comandante Davis, lei lo sa. Ci sono Richard Hole e mia madre lì...»
«Sì, lo sappiamo bene» disse il signor Davis. «Abbiamo studiato il viaggio in modo tale da arrivare di notte a bordo di un veliero commerciale ben camuffato.»
Ci fu un attimo di silenzio, prima che il signor Davis continuasse.
«Chantal e Colton potranno andare dalla loro famiglia e tenere d'occhio loro e le loro intenzioni.»
«Dove credono che tu sia finito?» gli domandò Colton. «Non sei più in contatto con lui?»
«Hole non hai riposto molta fiducia in me. Nonostante io sia.. io fossi uno dei comandanti, in momenti come questi non mi metterebbe mai al corrente dei loro reali piani. Stava già pensando di depormi prima che succedesse tutto questo...»
Matt rivolse al padre uno sguardo sorpreso.
«Ogni importante membro dell'Ordine ha reciso la connessione con me qualche giorno dopo l'attacco di Brennan. È stata l'occasione perfetta per distaccarmi dai Ribelli. Credo che mi stiano dando per disperso.»
Matt rimase in silenzio, preso alla sprovvista. Doveva essere strano non potersi più considerare un Ribelle dopo aver passato tutta la propria vita a farlo. Era come rinnegare quella che era stata la sua vita tutto d'un tratto.
Questo rendeva Matt e Will più simili di quanto potessero ammettere.
«Per me va bene, comunque» Colton intervenne prima che Matt potesse parlare.
Si girò verso la sorella, che annuì.
«Non state azzardati, ragazzi» disse Karlsen. «Non cercate di convincere la vostra famiglia della nostra causa se non siete davvero sicuri che l'accetteranno a braccia aperte. Più tempo rimaniamo in incognito meglio è.»
«Colton, Chantal...» La voce del signor Davis lasciava intendere quello che lui pensava a riguardo ancor prima che lo dicesse. «Sappiamo tutti e tre quanto vostra madre creda in Richard Hole. Non penso che cambierebbe idea solo perchè glielo chiedono i suoi figli poco più che maggiorenni.»
Nella sala calò il silenzio. Io, che ero cresciuta sempre con l'idea di essere sola al mondo, ritenevo improponibile il pensiero di dover allontanare la mia ipotetica famiglia in quel modo. Come potevano riuscirci Colton e Chantal che avevano sempre vissuto con loro, che erano cresciuti con quelle persone?
Come poteva anche solo essere accettabile per loro?
***
Alle nove di quella sera, dopo una cena alla quale mi ero rifiutata di presenziare, stavo commettendo di nuovo lo stesso identico errore.
Mi avevano detto di provare a riposare, visto che i viaggi in carrozza non prevedevano veri e propri sonni ristoratori come quelli che concedevano i morbidi e caldi letti del castello. Ma quando un'ora prima mi ero messa a letto, non appena ero crollata avevo avuto un incubo.
Avevo ancora il cuore che batteva a mille per quello che avevo appena visto e mi bruciava ancora il polso, come se anche nella realtà mi avessero costretta a tatuarmi la stessa mezzaluna che avevo visto quella mattina.
Era stato un incubo orribile, terrificante. Qualcuno mi aveva legata a una sedia con corde dolorose che mi tagliavano la pelle e mi aveva trascinata davanti alla statua di un imponente, austero e spaventoso uomo in armatura nera.
Non avevo fatto in tempo a guardarlo bene. Mi avevano tagliato le corde che mi tenevano imprigionate le mani e mi avevano preso il polso sinistro per avvicinarlo al dito teso della statua di pietra.
Avevo urlato di dolore del sonno, mentre la mia pelle veniva bruciata, marchiata dalla pietra. Mi era sembrato che qualcuno mi stesse accoltellando con migliaia di piccoli coltelli. Avevo sentito le mie ossa spezzarsi più volte.
Quando la porta che avevo davanti si aprì, distolsi ancora una volta lo sguardo. Come potevo essere lì se non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi?
Will non disse nulla e si limitò a guardarmi interrogativo. Mi azzardai a restituire lo sguardo, sentendo subito una fitta la petto. Mi faceva male guardarlo, farlo mi ricordava solamente quello che sarebbe successo.
Mi afferrò la mano e mi fece entrare nella sua stanza, chiudendo la porta alle mie spalle. Mi accompagnò fino al grande letto, dove si sedette e mi invitò a fare lo stesso.
«Dovresti essere a dormire» disse. «Non reggerai ancora per molto.»
«Credo di avere problemi d'insonnia» risposi. «Se potessi dormirei, credimi.»
«Non puoi permetterti di lasciare che tutto questo ti impedisca di dormire» ribatté. «Lo so che è difficile, ma abbiamo una lunga e faticosa strada davanti a noi. Se non riposerai, per quanta forza di volontà tu possa metterci, non resisterai.»
«Ho degli incubi, Will» gli confidai, continuando a guardare le mie mani. «Credi che io non ci provi a prendere sonno?»
«Sono sicuro che tu ci stia provando, principessa» ribatté.
«Sono stanchissima Will» mugolai, dopo qualche minuto di silenzio. «Il mio corpo, la mia mente... chiedono pietà. Non faccio altro che pensare alle parole del sacerdote, a quello che succederà. Non riesco nemmeno a guardarti negli occhi...»
«Non sei allenata.» Ebbe la faccia tosta di ricordarmelo, con voce dolce. «Non faccio fatica a credere come siano faticosi per te gli allenamenti di Karlsen, lui non scherza.»
Riuscì a strapparmi un piccolo e breve sorriso.
Dopo qualche minuto Will si alzò e si sdraiò sul letto come se dovesse dormire. Al contrario di come avevo fatto per tutto il giorno, lo seguii con lo sguardo, senza staccare per un solo attimo gli occhi da lui.
Aprì la mano e batté sul materasso davanti a lui, continuando a rimanere sdraiato su un fianco. Non appena capii quello che mi stava invitando a fare, portai i piedi sul letto.
Mi trascinai fino a lui, girandomi su un fianco imitando la sua posizione e dandogli la schiena. Will allungò il braccio e appoggiò la mano aperta sulla mia pancia, attirandomi a sé. Chiusi gli occhi, mentre Will si sistemava meglio. Non potei fare altro che afferrare il suo braccio con il mio, portandomi la sua mano davanti al viso. Non oppose resistenza, sollevandosi leggermente e sporgendosi per qualche secondo sopra al mio collo.
«Riposa principessa» mi sussurrò all'orecchio. «Qui nessuno ti può fare del male.»
Appoggiò la testa sul cuscino. Così vicina a lui, potevo sentire il suo cuore battere forte e regolare contro la mia schiena.
Mentre la stanchezza e il sonno avevano la meglio, riuscii a calmarmi. Prima che l'oscurità mi portasse via con sé, pregai e sperai di non dover assistere di nuovo a quella visione ora che ero lì fra le sue braccia.
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