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Epilogo

E P I L O GO

Nella mia breve vita ero stato molte cose: soldato, principe, menefreghista, donnaiolo... Ma mai, mai prima d'ora pensavo di poter essere anche un bugiardo. Avevo sempre cercato di essere sincero con tutti e, se non avevo potuto esserlo, avevo sempre cercato di omettere la verità, così non sarei stato bugiardo.

Tutto era cambiato quando mi avevano imposto di essere bugiardo, di manipolare una persona, minacciando di diseredarmi. In effetti, era quasi scontato che mi chiedessero di rimediare al mio errore cercando di ottenere la chiave di tutto questo casino.

Lei, l'ultimo sole.

All'inizio, mi ero imposto di farlo per lei, Juliet, che si era sacrificata per scoprire l'intera profezia, quella di cui tutti ignoravano l'esistenza. Era convinta che centrassi anche io, in qualche modo, con la profezia. Però, gli dei avevano deciso di portarmela via prima del tempo; non che potesse durare, fra di noi... lei era una Dominus del Fuoco, d'altronde.

Ma l'avevo amata così tanto che non potevo mandare a rotoli tutto il suo lavoro. Avrei dovuto trovare e tradurre la seconda parte della profezia. Se non per me, per lei.

E quale altro modo migliore che ottenere la fiducia dell'ultimo traduttore vivente di quella pergamena? Così, la volontà di mio padre e il mio senso di colpa si erano uniti e mi avevano fatto partire, per un mondo sconosciuto, insidioso, ma, devo ammetterlo, pieno di distrazioni.

Infondo, mio padre aveva sempre saputo che i Ribelli non avrebbero mai versato il mio sangue, perciò, se non avesse scoperto la relazione con Juliet, a quest'ora sarei stato al suo fianco, ad imparare come si governa un regno. In qualche modo gli àuguri erano riusciti a capire che l'ultima Figlia del Sole sarebbe passata sia da Seattle che da Boston, due città così distanti... E che cos'altro poteva venire in mente a Gladwyn II, re di Elyria, oltre che mandare i suoi due affascinanti figli maschi a conquistarla?

Uno per punizione, l'altro, beh, l'altro per placare la sua indole ribelle. Ma non avrei mai creduto che questa punizione potesse trasformarsi in un inferno. Perché non potevo innamorarmi di lei, non potevo. Però lei doveva innamorarsi di me, perché quello era l'unico modo per portarla via dal mondo degli Umani senza il suo consenso. E così, quando Weston aveva fallito e aveva capito che ormai aveva mandato a puttane la sua possibilità di riscatto, era toccato a me risolvere la situazione. Come sempre, infondo...

Ma gli sarebbero bastati altri otto mesi, altri fottuti otto mesi, e poi se la sarebbe potuta portare via con sé, salvandomi da questo inferno che quella ragazza dagli occhi grigi mi aveva creato. Occhi come la tempesta, che avevo visto più di una volta diventare neri come la pece. Quella volta della paralisi, quella volta in infermeria... Ripensare a quanto fosse stata male, quella sera, mi faceva rigirare lo stomaco anche adesso, mentre stavo guardando il rivolo di sangue che stava scorrendo dalle nocche della mia mano.

Dovevo ammettere che quella non era la prima volta che perdevo la calma, anzi... Ma era la prima volta che lo facevo per un giusto motivo. Sicuramente, se fossi stato un'altra persona - cosa che in quel momento stavo desiderando con tutto me stesso - avrei sfogato la mia disperazione con il pianto. Ma io ero William Cole, erede al trono di Elyria e non potevo permettermi di piangere.

«Sono le femminucce che piangono.» mi aveva detto mio padre quando, all'età di sei anni, ero caduto sul sentiero di ciottoli dell'enorme viale della Reggia Azzurra. «Asciugati le lacrime e non piangere più, sei un uomo, un principe. E i principi non piangono.»

Ma in quel momento, nonostante le parole di mio padre mi rimbombassero nella testa come se fossero martelli, avrei voluto tanto farlo. Peccato che preferissi sfogare la mia rabbia dando pugni al muro del bagno dei maschi di quella stupida scuola umana.

Quando tutto era iniziato, non era programmato che io mi lasciassi coinvolgere così tanto da Evelyn Lewis, la ragazza off limits per eccellenza. Ripeto, dovevo solo farla innamorare di me e poi, esattamente il sette dicembre di quell'anno, portarla con me ad Elyria, dove sicuramente mio padre l'avrebbe fatta rinchiudere in una cella ad aspettare la sua Caduta.

Per i primi tempi era stato facile: sapevo come conquistare una ragazza, sedurla e farla innamorare di me. Ma nessuno aveva pensato che Weston potesse incidere così tanto su di lei. Perché se la prima volta, per lui, era stato facile sia conquistarla sia non farsi coinvolgere emotivamente, per me entrambe le cose si erano rivelate quasi impossibili. Perché una ragazza testarda, che non cade ai tuoi piedi come fanno tutte, bella ed incredibilmente diffidente, per non parlare della sua minima delicatezza nel fare le cose, non pensi che ti possa conquistare prima che tu lo faccia con lei.

Eppure, era successo così.

Seduto sul pavimento del bagno, di quel lurido bagno, non avrei mai creduto di potermi sentire così male. Perché averla vista lì, piangere per colpa mia, aveva distrutto non solo il suo, di cuore, ma anche il mio. E lo avevo capito, di averla ferita. Mi era quasi sembrato di sentire il suo cuore spaccarsi in mille pezzi, come se fosse fatto di vetro. Ma era così che era dovuta andare. O almeno, mi era sembrata la cosa giusta da fare in quel momento, con lei distrutta e sopraffatta da tutti i problemi e da tutte le emozioni che la stavano opprimendo in quelle ultime settimane. Quello che avevo dovuto fare era stato sferrare il colpo di grazia.

E in quel momento, mi odiavo per averlo fatto, sapendo che probabilmente mio padre sarebbe andato su tutte le furie se lo avesse saputo. Magari avrebbe ritirato fuori la frusta, quella vecchia frusta che aveva lasciato cicatrici indelebili sulla mia schiena. Non potei non pensare al fatto che Evelyn non se ne fosse nemmeno accorta. Ma quando l'avevo vista lì, fra le lacrime nel vedere me e Weston, fratelli di sangue, ridere della nostra famiglia, non avevo potuto fare a meno che salvarla.

Salvarla da me.

E avrei dovuto essere felice, se davvero mi importava qualcosa di lei, nell'averla allontanata da me. Ma invece mi odiavo, perché ormai la conoscevo abbastanza bene per capire che questa cosa poteva essere stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso già colmo. Qualsiasi persona ordinaria, sarebbe crollata non appena si fosse presentata la sua prima sfida, ma Evelyn era resistita fino ad adesso ed ogni nuovo problema poteva rappresentare quell'ultima goccia.

Mi odiavo anche per me stesso. Perché sapevo che fare quella cosa era stato da masochisti. In quel momento non potei non ricordare l'ultimo bacio che le avessi dato; non potei non ricordarmi tutte le emozioni che mi si erano riversate contro come un fiume in piena.

«Cazzo.» mormorai mentre mi trattenevo a stento dal dare un'altro pugno alla porta del gabinetto che avevo affianco.

Forse adesso quell'altro amico suo e di Rose, Matthew, l'avrebbe consolata. Forse Evelyn si sarebbe dimenticata di me...

Era la cosa giusta. Per salvarla. Per condannarmi.

In quel momento, mentre cercavo di aggrapparmi a quella frase, l'ho salvata, il pavimento cominciò a tremare. Non potei non scattare in piedi, preoccupato. Quasi risi istericamente al notare il mio primo pensiero.  'Dei, fate che non sia Evelyn.'.

Il terreno continuò a tremare, mentre io cercavo di catapultarmi fuori dalla porta, per andare ad assicurarmi che stesse bene. Sicuramente non avrei dovuto farlo, ma visto che questa era la scossa di terremoto più lunga della storia, dovevo assicurarmi che stesse bene. Da lontano, indiscreto, ma dovevo farlo.

Lo avrei proprio fatto se non fossi inciampato e caduto a peso morto sul pavimento, proteggendomi per fortuna la faccia con la mano buona. Feci per girarmi e vedere che cosa mi avesse fatto inciampare e mi accorsi che qualcuno mi stava stringendo la caviglia con la mano.

Con orrore, pronto ad usare il mio potere se fosse stato necessario, mi girai verso quella persona. La riconobbi subito: era quella ragazza che aveva cercato di uccidermi, la mattina precedente.

Sarei stato in grado di agire subito, se non fosse stato per il fatto che quella ragazza era appena sbucata da un grande buco del pavimento. Aveva un aspetto orribile: capelli infangati, occhiaie blu profonde, occhi completamente neri e una ferita al collo, che sembrava essere stata cucita con del filo rozzamente.

«Ci rivediamo, principino.» disse con voce bassa ed incredibilmente inquietante.

Mentre il terreno continuava a tremare, capii una cosa.

Quella ragazza era appena resuscitata dal mondo dei morti.

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