Capitolo 36 • Nemici
Quella esecuzione non l'avrei mai scordata.
Non avrei mai scordato il sangue vivido che scorreva sulla piazza, fino a raggiungerci i piedi, e il rumore della spada che recideva di netto la sua testa.
Non riuscivo a smettere di pensare a quella scena.
In quel momento Rose ci stava portando a casa. Chantal si era unita a noi, accettando silenziosamente il passaggio che le aveva offerto la cugina.
Era la più sconvolta del gruppo. Lacrime silenziose non smettevano di scivolarle lungo le guance e i suoi occhi non si azzardavano a incrociare lo sguardo di qualcun altro.
Chiusi gli occhi appoggiando la testa alla mano, mentre procedevamo silenziosi lungo le strade di Boston. Nelle mie palpebre esplosero di nuovo le immagini di ciò che era successo solo un'ora prima.
Hole aveva fatto le cose per bene, assicurandoci un posto d'onore in prima fila. Mi ero scoperta incapace di staccare gli occhi da Wynter, che aveva alzato il mento con orgoglio prima che l'ascia le calasse addosso.
Rabbrividii di nuovo e mi costrinsi a pensare a qualcosa di diverso.
«Siamo arrivati Eve» annunciò Rose atona, spegnendo la macchina.
«Ci vediamo domattina» mi congedai scendendo, ricevendo solo cenni del capo da parte dei Domini.
Rose ripartì e io risalii il vialetto di casa. Quando entrai, scoprii con sollievo che era deserta.
Dentro di me ribollivo di odio, di rabbia per tutti: per i Ribelli, per il Re, per William e per chiunque avesse contribuito in qualche modo a quello che era successo.
Continuai a inveire contro il mondo intero, mentre entravo in camera con l'intento di fiondarmi sotto la doccia per lavare via i residui di sale che avevo addosso dal mio tuffo.
Ma quando aprii la porta mi bloccai di colpo.
William era seduto lì, sul davanzale della mia finestra.
Feci un profondo respiro per mantenere la calma, lasciando cadere la borsa a terra, completamente presa alla sprovvista.
Dopo tutto quello che era successo, trovarmelo lì davanti era l'ultima cosa che mi potessi aspettare. Per l'ennesima volta in quella giornata, mi venne un'improvvisa voglia di urlare e lanciargli addosso ogni cosa presente nella mia camera.
L'avrei fatto davvero se solo ne avessi avute le forze.
«Che cosa vuoi?» esordii, cercando di non far tremare la voce.
Will si raddrizzò, scendendo dal davanzale e mettendosi in piedi. Incrociò le braccia sul petto, guardandomi con occhi tormentati.
«Volevo assicurarmi che stessi bene» ammise.
Stetti zitta per qualche secondo, appellandomi di nuovo a tutte le mie forze per non saltargli addosso.
«Cosa te ne importa?» chiesi infine con voce tagliente, raddrizzandomi con la schiena.
«Evelyn...»
Will sembrò volermi dire qualcosa, ma ci ripensò, facendo cadere la stanza in un silenzio pieno di tensione. Rimasi zitta a mia volta, limitandomi a guardarlo negli occhi.
«Hai ragione.» Dopo un po' scosse la testa, si girò e fece per saltare fuori dalla finestra. «Pessima idea.»
Io, però, feci uno scatto, superando il letto, e lo trattenni per un braccio.
«Non puoi fare così!» sbottai, mentre si girava verso di me sorpreso dal mio gesto.
Mollai in fretta la presa sul suo braccio, come se il contatto con la sua pelle scottasse.
«Così come?» chiese socchiudendo gli occhi, confuso tanto quanto me dal mio comportamento.
«Come se te ne importasse qualcosa di me» gli risposi a bassa voce. «Perchè so che non è vero. Se lo fosse stato non mi avresti mentito in continuazione.»
«E tu hai mentito a me, giusto?»
«Non è la stessa cosa» replicai, facendo un passo indietro e lasciandomi cadere di peso sul letto. «Non posso andare a dire in giro che sono una ragazza in grado di controllare gli elementi della natura. Mi prenderebbero per pazza.»
Will mi guardò per qualche secondo, prima di aggrottare la fronte e storcere il naso. Fece un passo avanti e si inginocchiò davanti a me.
«Cos'è successo?» mi chiese, appoggiandomi le mani sulle ginocchia.
Non risposi subito. La mia attenzione era stata attirata dalle sue mani.
«Niente» dissi, distogliendo lo sguardo dal suo.
«Evelyn, sei ricoperta di acqua marina. Riesco a sentirlo anche se sei asciutta...»
«Cosa te ne importa?» ripetei scuotendo la testa.
Sentii la presa sulle mie gambe serrarsi leggermente.
«Non lo so.»
Mi resi conto che stavo guardando Will in modo diverso, per quello che era veramente. Il modo in cui si muoveva e quello con cui parlava tradivano la sua origine nobile. Imprecai mentalmente contro me stessa per non essermi mai accorta di niente.
«Perchè non ti sei lasciato ferire?»
«Non lo so» disse di nuovo, costringendomi con il tono tormentato della sua voce a guardarlo.
Mi ritrovai per la milionesima volta a fissare i suoi occhi d'oro. Ero consapevole che avrei dovuto cacciarlo da camera mia, ma non ci riuscivo.
«C'è qualcosa che sai?» gli chiesi sottovoce, con un piccolo sorriso privo di gioia.
«So che è sbagliato essere qui, so che finirà male.»
«Allora vattene» sbottai, alzando una mano e spintonandogli una spalla. «Vattene al posto che ti aspetta, di fianco a tuo padre.»
Sentii immediatamente l'effetto che le mie parole fecero su di lui. Si irrigidì di colpo e sul suo viso comparve per un instante un'espressione addolorata, quasi desolata.
Feci un'enorme fatica per continuare a guardarlo negli occhi.
«Avevo ragione, vostra altezza» continuai prima che potesse parlare. «Avevo paura di scoprire di te, e giustamente.»
«Non chiamarmi così» protestò, storcendo il viso in una smorfia.
«Per quale motivo non dovrei?» gli domandai. «Infondo perchè non posso chiamarti col titolo che ti spetta quando tu mi chiami da settimane principessa?»
«Non volevo che lo scoprissi così.»
Will si passò una mano davanti al viso.
«E come volevi che lo scoprissi? A Elyria? O al tuo matrimonio, magari?»
Le parole uscirono dalla mia bocca irrefrenabili. Dentro di me stavo implodendo: perchè cavolo mi stavo comportando così? Non doveva importarmene, non poteva importarmene.
Al solo sentire la frase, Will girò leggermente la testa e chiuse gli occhi, come se gli avessi dato uno schiaffo. Sentii il cuore stringersi e, soffocando la voce della mia ragione, mi ritrovai a prendergli le guance fra le mani, costringendolo a voltarsi di nuovo verso di me.
«È così che non puoi fare» mormorai. «Mi stai distruggendo, dannazione.»
«Come fai a sapere di Nyves?»
«Me lo ha detto Wynter Sullivan» risposi sincera, prima di rabbrividire di nuovo al ricordo. «Prima della sua esecuzione.»
Quando vidi le mie mani cominciare a tremare, presi un respiro profondo.
Cercai di non piangere, era l'ultima cosa che mi serviva per perdere completamente la dignità.
«Esecuzione?» ripetè incerto, come se non capisse il significato della parola.
«Dovresti conoscerle bene.»
«Più di quanto avessi mai voluto» replicò lugubre.
«Ti dovrei odiare» sussurrai, parlando quasi fra me e me. «Ma non ci riesco davvero. Per quanto ci provi, non ci riesco...»
I miei occhi si mossero su tutto il suo viso, in cerca di qualche segno, di qualche indizio che potesse suggerirmi ciò che lui stava pensando.
«Evelyn» mi chiamò, storcendo il viso in una smorfia indecifrabile. «Dovresti togliermi le mani di dosso.»
«Che cosa?» chiesi confusa.
«Per quanto dovrei desiderarlo, in questo momento non voglio che il mio sangue venga davvero versato su questa terra.»
Lo guardai per qualche istante prima di accorgermi che il contatto con le sue guance si era fatto improvvisamente incandescente. Mi ritrassi immediatamente, rimanendo sorpresa quando vidi due grosse impronte rosse sulla sua faccia, proprio dove si trovavano le mie mani fino a qualche secondo prima.
Le aprii davanti a me, girandole da una parte all'altra. Sobbalzai quando vidi che stavano ancora sfrigolando, come se sulla mia pelle ci fossero delle braci invisibili.
Alzai di nuovo lo sguardo su Will, che non si era mosso di un millimetro come se non gli importasse.
«Direi che infondo me lo sono meritato» commentò cercando di sdrammatizzare.
«Non avevo mai controllato il fuoco» ammisi sussurrando.
«C'è sempre una prima volta» disse, alzando un braccio e sfiorandomi lo zigomo con un dito per raccogliere una lacrima.
Mi scrollai la sua mano di dosso, asciugandomi in fretta il viso con la manica della felpa.
«Non c'è nulla di male nel farsi scappare qualche lacrima.»
«Qualche?» replicai, facendomi scappare una piccola risata. «Negli ultimi giorni ne ho versate talmente tante da riempire una piscina.»
Will sorrise lievemente e io sentii un'altra, dolorosa, stretta al petto.
«Fai così anche con lei?»
«Con Nyves?» chiese confuso. «No...»
«Ti aspetti che ci creda?» domandai piano, senza trovare la forza di sembrare dura con le mie parole.
Non deve importarmene, non deve importarmene.
«Non mi aspetto che tu lo faccia. Non dopo tutte le cose che ti ho nascosto...»
«Ma?» dissi, leggendo sul suo viso la volontà di dire di più.
«Ma se me lo permetti, vorrei raccontarti un po' di cose. In questi ultimi momenti che ci concederemo insieme, voglio fare finta di essere un normale ragazzo di Boston e raccontarti di me.»
Non valutai davvero se accettare o meno quella proposta. Dentro di me sapevo che mi sarebbe stato impossibile dirgli di no.
Perciò mi spostai leggermente sul letto, facendogli spazio per sedersi di fianco a me. Prendendo il mio gesto come un assenso, Will si alzò e si lasciò ricadere sul materasso.
«Non dovrei parlarti di me, non dovrei e basta» esordì. «Probabilmente finirei in grossi guai se qualcuno dovesse venire a sapere che ti sto per parlare di me, della mia famiglia...»
«Perchè lo stai facendo, allora?» sussurrai.
«Perchè che io lo voglia ammettere o meno, Evelyn, mi sono affezionato a te più di quanto avrei dovuto fare.»
Mi obbligai a rimanere ferma, a non dire una parola. Al mio cuore era mancato un battito.
«E gli dei solo sanno quanto non vorrei fare quello che devo fare» continuò, guardando dritto davanti a sé.
«Non so se dovresti rimanere qui» trovai la forze di dire, con la voce vacillante. «Stiamo complicando solo le cose. Io... Io dovrei cacciarti, dovrei saltarti addosso per la rabbia e chiamare qualcuno...»
«Ma non lo stai facendo» replicò. «Non stai facendo quello che dovresti fare proprio come me. Vorrei solo essere un Umano qualsiasi, un ragazzo qualunque che prova attrazione verso una ragazza qualunque.»
Will si buttò all'indietro sul materasso, e io lo imitai.
«Non avrei voluto riconoscerti quella mattina. Avrei voluto notarti nei corridoi per altri mille motivi, per la tua bellezza, per la tua intelligenza, per il tuo sorriso e per il tuo coraggio» disse. «Avrei voluto prenderti in giro per le espressioni buffe che fai quando cerchi di nascondere qualcosa ai tuoi amici, avrei voluto dirti di smettere di morderti il labbro fino a farlo sanguinare e avrei voluto, con tutto me stesso, avere la possibilità di conoscerti in ogni tuo piccolo particolare, in ogni tuo difetto.»
Fece una pausa.
«Ma la prima volta che ti ho vista, appunto, ti ho riconosciuta subito. Sono dovuto scendere a patti con me stesso, capendo che non avrei potuto fare tutte quelle cose, per proteggermi da te.»
Will girò la testa verso di me e mi sorrise piano.
«Pensai che non sarebbe stato troppo difficile, in un primo momento» continuò. «Sembravi un pesce fuor d'acqua, completamente spaesata. Non sapevi nulla della tua vera natura, delle tue origini. Un gioco da ragazzi, insomma. Ma ben presto cambiai idea: sei una ragazza così ostinata, così testarda che arrivai a chiedermi se fossi mai potuto riuscire a ottenere la tua fiducia.
«Continuavo a ripetermi di continuo che non avrei dovuto per nulla al mondo lasciarmi coinvolgere emotivamente. Mi sarei solo incasinato le cose, a causa di mio padre, a causa della guerra, del regno...»
«Del matrimonio» aggiunsi.
«Non puoi credere davvero che me ne importi qualcosa» replicò. «L'avrò vista sì e no cinque volte.»
Fece una piccola risata vuota, mentre alzava in aria le mani, come per studiarsele.
«Ho delle domande» dissi, maledicendomi in partenza per quello che avrei detto.
Will lasciò ricadere le mani sul suo petto, girandosi di nuovo a guardarmi.
«Perchè sei qua? E cosa è stato per te questa mattina?»
«Non lo so» ammise a disagio dopo qualche secondo. «Vorrei con tutto me stesso che fosse solo una storiella, come tutte le altre... ma non lo so. E per il momento non voglio scoprirlo, le conseguenze sarebbero troppo devastanti.»
«Credo di trovarmi nella tua stessa situazione» dichiarai con un sussurro.
«Ogni volta che mi trovo da solo con te, non vorrei fare altro che baciarti, toccarti. Stringerti fra le mie braccia e proteggerti da tutto quello che dovrai affrontare... Ma quando sono da solo, mi viene in mente chi sei davvero, chi sono io e sopratutto chi siamo l'uno per l'altra. In quei momenti torna fuori il principe, quello che deve solamente obbedire agli ordini del padre.»
Allungai una mano sulla sua guancia, ritraendola subito dopo quando mi ricordai di quello che era successo poco prima. Will chiuse gli occhi, prima di guardarmi addolorato.
Prese un profondo respiro, prima di parlare di nuovo.
«E... E il ricordo di lei è troppo forte.»
Mi sgonfiai come un palloncino, lasciando ricadere di fianco a me la mano.
«Rose?» gli chiesi cauta.
«No, non Rose. Ma non vorrei entrare nei dettagli, ora che sono qui con te.»
Mi ritrovai ad annuire, lasciando che la mente si riempisse di domande silenziose.
Chi è lei?
«Beh, passando ad argomenti un po' più allegri, vorrei raccontarti della mia famiglia.»
«Allegri?» Alzai le sopracciglia, ripensando a suo padre.
«Vuoi sentire quello che ho da dire o no?» fece una piccola risata.
«Racconta» dissi con un sospiro, girandomi su un fianco.
«Sono il primo di tre fratelli» cominciò. «Un maschio della tua età e una femmina di quattordici anni. I miei genitori, dopo di lei, avrebbero dovuto avere altri figli, ma mia madre diventò sterile.»
Will mi rivolse un sorriso triste.
«Mi dispiace davvero di averti detto di essere orfano come te» mormorò, allungando una mano e accarezzandomi la guancia. «Ma non c'era modo per spiegare il fatto che fossi da solo. Mi sono pentito subito dopo di averti detto quella frase.»
Chiusi gli occhi al tocco delle sue dita delicate.
«Sono cresciuto ad Ilyros, nella città che è diventata capitale dopo la distruzione di Koleos. Penso che ti piacerebbe» disse. «Mi mancano in modo esagerato i tempi in cui scorrazzavo innocente fra le strade argentee della città, correndo come un pazzo e scappando dal castello.»
«Sono così contenta che tu abbia avuto un'infanzia così spensierata» mi ritrovai a dire con sarcasmo, non riuscendo a non pensare alla mia, di infanzia.
«Credimi, è durata poco. Da un giorno all'altro mi vidi costretto a seguire mio padre per tutto il castello, per imparare i miei doveri da erede. Cominciai a viaggiare, per missioni diplomatiche e per conoscere nel modo migliore possibile il regno che, un giorno, sarebbe diventato mio» replicò. «E credimi, anche se potrei sembrare poco modesto, ero davvero portato. Sono davvero portato. Ho sacrificato tutto per imparare a governare. Ho sacrificato pure la mia libertà.»
Non potei non provare compassione per il bambino che era stato William.
«A sette anni ho conseguito il Rituale Azzurro» riprese, alzando la mano e guardandosi il polso.
Per la prima volta notai anche io il Marchio del Mare, una goccia nera, risaltare nero nell'interno del suo polso.
«Come ho fatto a non accorgermene?»
«Sono stato molto attento» rispose. «Sapevo che prima o poi Rose e quell'altro ti avrebbero istruita. Ho rischiato un po' troppo quando ballavamo, l'altra sera.»
«E il giglio?» gli chiesi, mentre alzava l'altro polso. «Non ha solo il significato di purezza, dico bene?»
«No, in effetti è lo stemma della mia casata» ammise. «I Cole.»
«Mi sarei aspettata un cognome meno comune per la famiglia reale» commentai con un piccolo sorriso.
«Nemmeno quello di tuo nonno era molto regale» replicò deglutendo. «E lui discendeva direttamente dai veri eredi al trono.»
«È strano sentirlo dire da te» gli dissi. «Veri eredi...»
«Non lo nego, Evelyn» disse. «Nonostante la corona sia stata ceduta alla mia famiglia secoli fa, tu sei la vera erede al trono, non io.»
«Io non posso rivendicare nessun diritto» protestai scuotendo la testa. «Io non sono nessuno, fino a una settimana fa non sapevo nemmeno chi fossi davvero. Non ho nessun diritto di regnare su un regno che non ho mai visto, che non conosco. Non so nemmeno un milionesimo delle cose che dovrei sapere per farlo.»
«Noi, Domini dell'Acqua, non siamo destinati a regnare, principessa» replicò Will, facendo un piccolo sorriso. «Non siamo portati a preservare la pace, sono quelli come te che devono farlo. Si è visto, nel corso dei secoli.»
«Sembra quasi che tu non voglia il trono.»
«Sono nato per questo, e non voglio essere io a porre fine al regno dei Cole» disse, aggrottando le sopracciglia. «Ma di certo preferirei non dover governare sulle ceneri del regno che mio padre sta distruggendo.»
«Mi sembra ragionevole» commentai. «Comunque, vostra altezza, sono contenta che in questo momento non abbiate l'intenzione di uccidermi.»
Will sospirò, guardandomi serio.
«Con quello che ti ho detto ho solo grattato la superficie delle cose che dovresti sapere» disse, con la voce che diventava roca. «Sono un pericolo per te e tu lo sei per me.»
«In questo momento non me ne importa» sussurrai, non riuscendo a ignorare la familiare sensazione di desiderio che si stava impadronendo di me.
«Nemmeno a me» replicò, girandosi su un fianco e sporgendosi verso il mio viso.
Sulla sua faccia prese vita l'accenno di quel sorriso sghembo che non vedevo da quella che mi sembrava una vita.
«Sai, ho avuto una crisi l'altra sera. Una delle crisi della Caduta» confessai, mentre le nostre bocche si avvicinavano pericolosamente.
«Ah sì?»
«Ti sei trasformato proprio in un principe.»
«Allora hai potuto apprezzare il principe William in tutta la sua bellezza ed eleganza!»
«Mi era mancato il tuo egocentrismo.»
Ridemmo sommessamente, prima che tornassimo di nuovo seri. Sulla faccia di Will riapparve l'espressione sconsolata.
Non potevamo ridere per più di qualche secondo prima che tutti i nostri problemi ci ricadessero addosso come pietre pesanti, portandoci tremendamente alla realtà.
E quella realtà era che non eravamo altro che nemici.
«Non riuscirò a fermarmi, questa volta» mormorò a un centimetro dalle mie labbra.
«Non è quello che voglio, principe.»
Quando le sue labbra si posarono sulle mie, mi sentii davvero spacciata.
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