Capitolo 13 • Voci
Con il passare delle ore, l'ansia ricominciò a crescere: com'era possibile che non avessi ancora avuto un'altra crisi?
Raggiungemmo Matt in mensa, quando avemmo finito di lavarci. Era intento a leggere e davanti a lui c'erano due grandi plichi di fogli. Fece per parlare, ma subito Rose lo precedette.
«Niente di niente» disse. «Niente svenimenti, paralisi o qualsiasi altra cosa.»
«Oh...» fece Matt. «Comunque... ho usato questo tempo per fare una bozza di un programma per questi mesi.»
Matt spinse verso di noi i due plichi di fogli.
«Abbiamo circa novanta giorni di tempo» cominciò a spiegare. «Penso che in settanta dovresti imparare un minimo di basi di tutti e quattro gli elementi. Purtroppo, per i poteri di un Dominus della Luce non possiamo fare nulla.»
«Novanta giorni in cui dobbiamo addestrarti, tenerti al sicuro dal Re, sperare che tu non impazzisca e portarti a Elyria. Più precisamente a Eylien, un posto leggendario dove nessuno di nostra conoscenza è mai stato. Per non parlare del fatto che dobbiamo trovare un sacerdote che compia il rituale, a meno che io o Matt non ne diventiamo uno nel giro di due mesi e mezzo. Una passeggiata» commentò Rose.
Seguì il silenzio.
Guardai i miei amici demoralizzata, cercando di trovare in loro un po' di supporto. Purtroppo pure loro sembravano lottare contro l'esasperazione proprio come me.
Matt si schiarì la voce, interrompendo quel momento.
«Allora, secondo i miei calcoli abbiamo circa diciassette giorni a disposizione per ogni elemento. Più altri venti per raggiungere Eylien, trovare le statue e marchiarti.»
«In conclusione non possiamo perdere nemmeno un minuto di tempo, giusto?» sospirai sgomenta. «E in tutto questo dovremmo pure andare a scuola?»
«Proprio per questo sarà necessario utilizzare ogni minuto libero che abbiamo. Dovrai anche fare qualcosa a casa da sola.»
«Sembra impossibile...»
«Hai detto bene, sembra» disse Matt, con voce più risoluta. «Ma noi ce la possiamo fare.»
Gli rivolsi un piccolo sorriso.
«Cominceremo con l'Aria. Così, mentre Rose ti insegna, io posso fare qualche altra ricerca. Dopo proseguiremo con la Terra. Ho pensato che per il Fuoco potremmo chiedere a Cesar Soler. È rischioso coinvolgere qualcuno in questa storia, ma mi sembra affidabile.»
Annuii raggiante al sentire il nome di Cesar: mi era sembrato un tipo a posto.
L'unico problema rimaneva l'elemento dell'Acqua. Come se mi stesse leggendo nel pensiero, Matt rispose alla mia domanda silenziosa.
«Per il quarto elemento ci penseremo quando sarà il momento.»
«Va bene» dissi, facendo una smorfia nel tentativo di mangiare quel disgustoso cibo della mensa.
«Stasera ti porterò una delle mie tenute» disse Rose. «Così ti potrai allenare con quella.»
«E quando arrivi a casa continua a leggere quel libro» fece Matt.
«Scherzi?» esclamai. «Quel libro è una figata. Nel giro di cinque giorni te lo finisco!»
«Perfetto, te ne procurerò altri.»
***
Le lezioni di quel pomeriggio le passai di nuovo a leggere il libro che mi aveva dato Matt. Diventava sempre più interessante mano a mano che andavo avanti.
Verso le quattro di pomeriggio, salutai Matt e Rose e raggiunsi la biblioteca, dove avrei scontato la mia punizione. Ad aspettarmi c'era la signora Duncan, una donna sui quarant'anni che per qualche strana ragione rifiutava di tingersi i capelli.
Mi accolse con un'espressione severa e contrariata.
«Riordinerai gli archivi. In particolare quelli dove ci sono i fascicoli degli studenti.»
Mi condusse in una delle file in fondo alla vecchia e ombrosa biblioteca, in un tavolo dove mi attendevano colonne e colonne di cartelle.
«Devi dividere i fascicoli da buttare da quelli che devono ancora essere conservati dalla scuola. Qui metterai quelli vecchi più di cinque anni, che sono da scartare. Qui invece quelli di studenti che ancora frequentano questa scuola e qui quelli dei diplomati che ancora dobbiamo tenere.»
Senza un'altra parola la bibliotecaria si allontanò, facendo rimbombare nel silenzio della biblioteca il rumore assordante dei lupo tacchi.
Mi sedetti e richiamai a me tutta la pazienza di cui avevo bisogno.
Afferrai una cartella a caso e lessi il nome. Stephen Holland, espulso dalla scuola per aver bucato le gomme al preside e aver successivamente dato fuoco a una parte del laboratorio di chimica.
Alzai le sopracciglia e mi ritrovai ad annuire ammirata. Rimasi delusa quando vidi che era risalente a sei anni prima: dovevo assolutamente conoscere quel genio.
Ben presto cominciai a prenderci gusto. Alcuni erano noiosi e privi di note interessanti, ma altri erano così interessanti da meritare una fotografia.
Quando ero alle prese con un fascicolo abbastanza pieno, di una ragazza di nome Giselle, un'idea mi balenò in testa.
Perché diavolo non ci ho pensato prima, pensai di colpo. In tutte quelle colonne poteva esserci pure la cartella di Adam Fallon. Non sapevo nemmeno se avesse frequentato lì la scuola, sempre che ci fosse andato, ma tentar non nuoce.
Mi alzai e presa da un moto di speranza cominciai a cercare il suo nome. Mi capitarono fra le mani i fascicoli di Rose, Matt e persino il mio, decisamente voluminoso. Ebbi la tentazione di darci un'occhiata, ma in quel momento dovevo concentrarmi su Adam Fallon e rendere il più produttiva possibile quella perdita di tempo.
Dopo un po', quando ormai avevo già cominciato a perdere le speranze, mi capitò fra le mani il fascicolo di Will.
Senza pensare e dimenticando il mio obiettivo, lo presi e mi risedetti. Qualche secondo dopo lo stavo già leggendo.
Scoprii che Will stava ripetendo per la terza volta l'ultimo anno di studi. Evidentemente la motivazione per la quale era stato bocciato per addirittura due volte non erano stati i voti insufficienti, bensì una condotta inaccettabile.
Will era nato a Seattle, da padre e madre di cui non si riportava alcuna informazione. A quanto pareva viveva da solo e, in quanto maggiorenne, non aveva nemmeno un tutore legale.
Sarei andata avanti a leggere, ma per qualche ragione mi sentivo a disagio a violare la sua privacy leggendo delle informazioni così... beh, personali. Chiusi il suo fascicolo e mi misi di nuovo alla ricerca di quello di Fallon.
Sentii una fitta al petto quando lo trovai.
Adam Fallon si era diplomato due anni prima. Era della stessa età di Will ma non era mai stato bocciato. Proprio come lui, era nato a Seattle. Aggrottai la fronte quando notai che pure l'identità dei suoi genitori era sconosciuta.
Per essere sicura, rilessi tutto almeno due volte.
La mia mente cercava di elaborare le informazioni che avevo appena appreso: William e Adam avevano la stessa età ed erano entrambi orfani nati a Seattle.
Qualcosa non quadrava.
«Che stai facendo?»
Sobbalzai e mi girai in fretta verso quella voce che mi aveva presa alla sprovvista.
Will era lì e mi stava guardando sorridente.
In fretta chiusi il fascicolo e ci appoggiai il braccio sopra, sperando vivamente di riuscire a nascondere il nome.
«Niente.» Cercai di sorridere.
Lui però allungò in fretta la mano, senza darmi il tempo di pensare e di reagire. Sfilò il fascicolo da sotto il mio gomito, rimanendo colpito nel leggere il nome.
«Mmmmh...» Will aggrottò la fronte. «Adam?»
Alla fine la curiosità e la necessità di capirci qualcosa di più prevalsero sull'essere discreta e delicata.
«Will?» Deglutii, mentre lui mi guardava con uno sguardo che sembrava trapassarmi da una parte all'altra. «Per caso tu e Adam Fallon siete buoni amici?»
In faccia aveva un'espressione strana, che non riuscii a interpretare. Non mi diede nemmeno il tempo di riflettere che prese una sedia, sedendosi di fianco a me.
«Adam è stato l'unico a esserci nel momento del bisogno, sin da quando l'ho conosciuto a sedici anni» disse guardandomi negli occhi.
Oh, pensai, nuovamente a disagio.
«Non sei l'unica ad aver passato un periodo della sua vita in orfanotrofio.»
«Non c'è bisogno che...» cominciai.
«Invece sì» ribatté interrompendomi. «Ho capito che tu, Rosie e quell'altro state cercando Adam.»
«Il suo nome è Matt.»
«Quello che non so è perché.» Mi ignorò, continuando con il suo discorso.
Lo disse con un che di dolce, guardandomi dritto negli occhi e allungando una mano per portarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Tutto in lui sembrava spingermi ad ammettergli la verità.
Ma io mi limitai a guardarlo nello stesso modo.
«Se potessi te lo direi» replicai pacata.
Will rimase impassibile e aprì la bocca per parlare, ma io lo precedetti.
«Mi hai mentito.»
Fu una mossa azzardata: non sapevo se a quella storiella che mi aveva rifilato quel giorno nel bagno lui ci credesse veramente o se fosse una bugia. I miei occhi studiarono Will, in cerca di qualche segno di esitazione.
Ancora una volta rimasi delusa.
«Di che cosa stai parlando?» Will aggrottò la fronte, sembrando sinceramente confuso.
Qualcosa però non mi stava convincendo.
«Mi hai detto che Adam se n'è andato dai suoi genitori, in Europa. Ma qua c'è scritto che non ha i genitori.»
Sorprendentemente Will mi sorrise. Rimasi spiazzata da quella reazione, e di colpo cominciai a dubitare del ruolo che avevo in quella conversazione.
«Quel documento non è sbagliato, e io non ti ho mentito» disse. «Due anni fa, Adam è stato contattato da una coppia. Loro abitavano a Londra e dicevano di essere i suoi genitori. Gli dissero che quando nacque erano troppo giovani e non erano in grado di mantenere e accudire un bambino. Da quel momento, Adam ha cercato di recuperare un po' i rapporti e ha cominciato a viaggiare spesso a Londra per incontrarli.»
Cercai di non assumere un'espressione confusa. Era questa la storiella che Adam aveva rifilato a Will per spiegare le sue assenze da Boston? Non ero convinta, non lo ero per niente.
Avevo la sensazione che, almeno per il momento, da Will non avrei ottenuto altre informazioni. Era troppo disinvolto, troppo sicuro nel parlare che io non avevo idea di come continuare la conversazione senza sembrare sospetta.
Non ci stavo capendo più niente.
«Sei stato bocciato due volte, Will?» Questo fu quello che uscì dalla mia bocca.
Cambiai quindi argomento, arrabbiata con me stessa per aver abbandonato così facilmente la mia indagine.
«Per motivi assolutamente ingiusti.» Will assunse un'espressione teatralmente contrariata.
«Quindi quanti anni hai? Venti? Diciannove?»
«Venti» rispose ridacchiando. «Li ho compiuti lo scorso venti giugno.»
«Mmmh... mi ricordo una festa vagamente importante alla quale Bella doveva assolutamente partecipare quella sera.»
«Se avessi saputo della tua esistenza, ti avrei invitata.»
«Non sarei venuta» replicai. «Era una delle prime serate che passavo qua e non ero in vena di uscire.»
«Beh avresti potuto sfruttare l'occasione per conoscere nuove persone.»
Scossi la testa. Negli ultimi anni avevo imparato a stare da sola, a conoscere meno persone possibili. Cambiando così tante volte famiglia e di conseguenza città, era meglio non affezionarsi.
«Comunque...» dissi. «Facevi così schifo a scuola che ti hanno bocciato?»
«Perché pensi questo?» disse guardandomi un po' incuriosito.
Non volli ammettere a me stessa che in realtà stavo paragonando William a Weston: il mio ex ragazzo era sempre stato troppo interessato al basket, all'alcol e alle ragazze per studiare. Aveva sempre rischiato di ripetere l'anno. Superficialmente la mia mente tendeva a vedere Will nello stesso modo.
«In realtà studiare non è un problema» disse. «Ho bei voti e mi piace leggere. Il problema è...»
«Il comportamento?» lo interruppi. «Sai, non ci avrei mai scommesso.»
«Non mi crederesti se ti dicessi che non è colpa mia.» Sorrise.
«No, infatti...»
«Ma tu non dovevi lavorare?» la voce squillante della signora Duncan ci fece sobbalzare. «Cosa ci fa qui, signor Cole?»
«Me ne sto andando» disse Will, alzando le mani con fare colpevole. «Noi ci sentiamo dopo.»
Dopo che seguì la signora Duncan verso l'uscita, mi rimisi all'opera. Dedicai una buona mezz'ora a fare le foto al fascicolo di Adam e, quando ebbi finito il resto della punizione, uscii dalla biblioteca.
Stremata, raggiunsi Rose, che mi stava aspettando nel parcheggio della scuola.
«Sì, sì lo so...» stava dicendo al telefono quando salii in macchina. «Ma stasera non posso. No...»
Mi rivolse un cenno di saluto e, appoggiandosi alla spalla con il telefono, mise in moto la macchina.
«Patrick, non posso!» Rose chiuse la chiamata, probabilmente senza lasciar finire di parlare il povero ragazzo.
«Patrick?» La guardai con un sorrisetto complice. «Chi è? Non mi sembra di di aver mai sentito parlare di un certo Patrick.»
«È quel ragazzo della festa di Adam» mi spiegò, sventolando la mano per dirmi che non importava. «Voleva uscire con me, stasera.»
«Ma vacci!» protestai subito, quasi strillando per l'emozione. «Possiamo anche cominciare io e Matt con la terra...»
«In realtà no. Le basi dell'Aria sono più semplici da apprendere, e visto che un minimo le hai già usate...» Come era già successo nello stanzino, cominciai a sentire la sua voce ovattata.
Mi lasciai sfuggire un lamento. La testa cominciava a pulsare dolorosamente.
«Che cosa?» chiese subito Rose girandosi allarmata, quasi in preda al panico. «Sta per succedere di nuovo? Oddio, siamo in mezzo al traffico!»
Cercai di dirle che l'ultima cosa che ci serviva era che perdesse il controllo della macchina, ma non trovai le forze di dire una sola parola. Stranamente, a differenza delle altre volte, non mi sentii svenire.
Mi girava la testa in modo impressionante e cominciai a sentirmi come se fossi isolata dal resto del mondo.
«Prendila!» urlò una voce femminile nella mia testa, tanto risoluta quanto disperata.
No, non era nella mia testa. Quella voce sembrò rimbombare in tutta la macchina. La sua eco continuava a ripetersi incessantemente.
«Non posso» ribatté una voce profonda tormentata, vagamente familiare.
A quel punto sentivo la testa spaccarsi in due dal dolore.
«Fallo per me, Elwyn.» La voce supplicante della donna si fece più forte ed insistente. «Prendila, salvala...»
Mentre le voci risuonavano nella macchina e mentre Rose mi guardava preoccupatissima, trovai le forze per guardarmi allo specchietto. Avevo gli occhi completamente neri.
«Alya, che ne sarà di te....»
Le voci scomparvero improvvisamente. Non mi ero nemmeno accorta che nel frattempo Rose aveva parcheggiato di fronte ad un bar.
«Eve?» fece Rose in un sussurro, appoggiandomi una mano sulla spalla per assicurarsi che stessi bene.
Scossi la testa. Lottai contro la nausea e continuai a tenermi la testa fra le mani. Era stata la crisi più dolorosa e destabilizzante di tutte, peggio ancora della paralisi della sera prima.
Aspettai con paura un attacco di rabbia, ma incredibilmente non arrivò.
Chi diavolo era Elwyn? Perché la sua voce mi sembrava così familiare?
Quando vidi allo specchietto che il colore delle mie iridi era nuovamente grigio, riuscii a calmarmi.
«Conosci qualche Elwyn?» chiesi a Rose, quasi in un sussurro.
La mia amica parve presa alla sprovvista. Aveva la faccia di una che non ci stava capendo nulla.
«Elwyn? Il padre di Matt si chiama così...»
Ecco perché avevo l'impressione di aver già sentito quella voce, pensai.
Aprii il finestrino per prendere aria e Rose sembrò interpretare quel gesto come il permesso per mettere di nuovo in moto la macchina. Mi squadrò ancora una volta per assicurarsi che stessi bene e partì.
«Ho sentito delle voci» le dissi fra un respiro e l'altro, sporgendomi dal finestrino. «Credo che appartenessero a mia madre e, a questo punto, al padre di Matt.»
«Che cosa dicevano?»
«Era tutto così confuso...» spiegai. «Era come se mia madre stesse dicendo al signor Davis di portare via e salvare qualcuno. Credo che stessero parlando di me. Devo...»
«Lo so cosa stai pensando, Eve» mi interruppe Rose. «Non possiamo parlare direttamente con il signor Davis. In quanto comandante è tenuto alla massima fedeltà all'Ordine e dovrebbe riferire qualsiasi cosa che ti riguarda. Matt potrebbe scoprire qualcosa indiscretamente riguardo alla questione.»
Arrivammo davanti a casa mia e Rose spense il motore.
«Ora cerca di riposare, ne riparleremo dopo. Da stasera ci sarà da morire...»
«Credevo di aver già cominciato a morire» commentai stanca mentre uscivo dalla macchina.
Con la testa che ancora girava, percorsi il vialetto sentendomi addosso gli occhi preoccupati di Rose. Entrai e, come avevo sperato, non incontrai nessuno.
In casa c'era solo Shaun, che si affacciò dalla porta del bagno quando passai di lì per andare in camera mia. Mi sentii avvampare quando notai che aveva solo un asciugamano attorno alla vita. Aveva la schiuma da barba sulla faccia.
«Ah, sei tu...» disse. «Per stasera dovrai ordinarti qualcosa, Evelyn.»
«Certo» fu l'unica cosa che riuscii a dire.
Cavoli Shaun, chi poteva immaginarlo, cercai di non guardare i suoi addominali. In quel momento vedevo il mio fratello affidatario con occhi diversi: era proprio bello e davvero, davvero sexy.
«Va bene allora» disse facendo per rientrare nel bagno.
Però io, presa da un moto di coraggio, mi slanciai, lo afferrai per una mano e lo bloccai.
«Shaun?»
«Si?» disse alzando le sopracciglia.
«Un filo di barba ti sta bene, non dovresti raderti sempre.»
«Lo terrò a mente» disse con un sorriso sghembo, prima scivolare via dalla mia presa e chiudersi la porta alle spalle.
Entrai in camera pensando a quello che avevo appena visto. Quanto cavolo ero stata cieca in quei mesi?
È bello, sì... ma mai come William, disse una vocina insidiosa nella mia testa.
L'azzittii subito, non potendo imprecare contro me stessa per aver confrontato l'ennesimo ragazzo con Will.
Cos'è diventato? Una specie di unità di misura? Più bello di William Cole, meno bello di William Cole...
Entrai in camera mia stremata, senza notare che la finestra era aperta. Mi ci volle un po' per accorgermene e mi raggelai, quando la vidi.
Qualcuno era entrato in camera mia.
Un'orribile sensazione prese vita dentro di me e, ignorando il dolore alla testa, mi buttai sul letto, alzando i cuscini e pregando tutti gli dei possibili e immaginabili che non lo avessero rubato.
Come avevo temuto, il dossier era sparito. Quel importantissimo raccoglitore di informazioni se ne era andato, lo avevano rubato.
Ci misi un po' a realizzare che chiunque lo avesse preso aveva lasciato al suo posto un biglietto.
Con le mani tremanti lo presi e lo lessi.
Ho preso io il tuo dossier. Se lo rivuoi e desideri più informazioni di quanto i Ribelli ti stiano dando, incontriamoci. Lunedì prossimo alle sei del pomeriggio, al Carmen Park. Se parlerai a qualcuno di questo messaggio, non ci sarò. Saprò se lo hai fatto.
M.L.
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