Capitolo 9 • Miniera
C A P I T O L O I X
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• M i n i e r a •
Rimasi ferma per un po', non sapendo che cosa fare. Stetti a fissarlo mentre finiva di rifinire la spada. La permanenza qui a Brennan era già iniziata male, per i miei gusti.
Elias Karlsen ripose gli strumenti e mi fece cenno di seguirlo dentro la casetta scavata dentro la montagna. Arrendendomi a quello che avrei dovuto sopportare e fare durante il mio soggiorno in quel paese, sospirai e lo seguii dentro.
La casa era semplice e ordinata ed era chiaro che lì dentro viveva un'unica persona. Tuttavia, dovetti ammettere a me stessa che era un'abitazione accogliente, con tanto di caminetto nel salotto privo di ogni apparecchiatura elettronica. Con un gesto spiccio, il fabbro mi accennò il tavolo di legno, invitandomi a sedermi.
Obbedii subito, sedendomi su una sedia e facendo cadere inevitabilmente lo sguardo sui giornali che erano abbandonati sulla superficie di legno. Mentre Karlsen raggiungeva la piccola cucina e cominciava a preparare qualcosa ai fornelli, mi azzardai ad allungare la mano e ad afferrare il giornale.
Prima che i miei occhi registrassero realmente quello che mi trovavo davanti, non riuscii a trattenermi dal dire, alla vista di sfuggita di una foto in bianco e nero: «Credevo che non esistessero apparecchi elettronici al di fuori della corrente elettrica, ad Elyria...». Karlsen si girò verso di me, non capendo perché gli avessi detto una roba del genere.
«Diciamo che le macchine fotografiche, insieme alle stamperie e alla corrente elettrica e il gas, costituiscono una delle pochissime eccezioni a questa regola...»
Mentre parlava, sempre con tono burbero e spiccio, mi irrigidii di colpo. Solo allora avevo prestato attenzione all'articolo che occupava tutta la prima pagina di quel quotidiano. Mentre il titolo dell'articolo mi trafiggeva come una spina nel cuore, i miei occhi corsero subito alla foto che occupava la parte superiore.
Will in persona, davanti a quello che supposi essere il castello di Ilyros, o almeno qualche costruzione importante, sorrideva nella foto, nei suoi abiti militari e regali più che mai. Non fu quello a turbarmi, ma il fatto che c'era un'altra ragazza di fianco a lui, che sorrideva alzando una mano per salutare. Non avevo dubbi su chi fosse: la fantomatica Nyves, promessa sposa di Will. Inutile dire che era una ragazza bellissima, fuori dall'immaginabile.
«Bah, a parer mio, questo matrimonio è davvero una spina nel fianco, per il regno.» non mi accorsi nemmeno che il vecchio mi stava porgendo una tazza piena di qualche infuso.
Fece il giro nel tavolo mentre i miei occhi erano ancora a fissare quei due. Anche se la foto era in bianco e nero, potevo quasi vedere lo stesso il colore brillante degli occhi di Will. Non lo avevo mai visto nei panni di erede al trono del regno - a parte durante la crisi - e sentii sciogliermi dentro, prima di ricordare davvero quello che mi aveva fatto. Mi costrinsi a spostare lo sguardo dalla foto e ad appoggiarlo sul titolo, che, a caratteri cubitali, diceva: "Annunciata la data definitiva del matrimonio reale del principe ereditario William.".
«Solo gli dei sanno quanto quei soldi potrebbero aiutare la povertà che affligge questo paese.» continuò.
Con una grande forza di volontà presi il giornale e lo girai, per nascondere quella faccia che, purtroppo, odiavo quanto amavo.
«Quando si sposano?» chiesi piano, alzando lo sguardo su di lui.
«Che importanza ha?» disse burbero, prima di bere un altro po' di intruglio.
«Nessuna, assolutamente nessuna.» scossi la testa, pentendomi anche solo di averglielo chiesto.
William era solo qualcosa di passato, dannatamente presente in ogni cosa che facessi, che pensassi e che vedessi, ma che apparteneva e doveva appartenere al passato.
«Credo l'equinozio di primavera, comunque.»
Marzo, dunque. Novembre, dicembre gennaio, febbraio... poco meno di cinque mesi. Allontanai ogni pensiero, sperando di riuscirci abbastanza da non scoppiare a piangere davanti a quel vecchio.
«Comunque, tralasciando gli affari reali, che in questo momento ci importano relativamente poco, dobbiamo pensare a mantenerti viva il più possibile.»
«Cosa servirà?» chiesi. «Tanto se dovrò stare confinata in questo paese non potrò prendere i marchi e perciò impazzirò. La prospettiva di girare per i maggiori quattro templi di Elyria senza essere presa e rinchiusa in una delle celle più raccapriccianti della Reggia Azzurra è davvero lontana.»
«Il tempio di Eylien non è controllato da nessuno, è disabitato da secoli.» ribatté lui e prima che potessi parlare ricominciò. «Si da il caso che sappiamo da dove partire, piccola vesek. Sappiamo dove cominciare la ricerca per le Vie del Sole.»
«Ah si?» chiesi, quasi ironica. «E dove comincerebbe questa ricerca?»
«A Kratos, l'isola vulcanica di Pyros. La Montagna a Spirale era considerata sacra da quelli della tua specie.»
«E quindi quando comincia la ricerca?» chiesi senza avere troppa fiducia su questo piano.
«Partono domani.» rispose, senza dare troppo peso alle sue parole.
«Partono?» non mi era sfuggito l'uso della terza persona plurale; dovevo partire assolutamente anche io, era della mia sopravvivenza di cui stavano parlando. «E chi?»
«Il figlio del comandante con cui sei arrivata, l'altro accendino vivente sudamericano, una ragazza dai capelli ossigenati e l'Ibrido.»
Spalancai la bocca. Matt sarebbe andato via da Brennan? Domani mattina? Come avrei fatto senza di lui, senza la voce della sua ragione?
«Quanto stanno via?» mi ritrovai a chiedere, cercando di convincermi che non era così male come sembrava; Matt sarebbe stato via per un paio di giorni, poi sarebbe tornato ad addestrarmi con la terra.
«Direi poco meno di un mese.»
«Che cosa?» feci con un filo di voce, non capendo davvero il significato di quelle parole.
«Quasi un mese.» ripeté impaziente, guardandomi come se avessi un deficit dell'udito.
«M-Ma Matt deve aiutarmi a comandare la terra.» protestai, sentendomi un po' spaesata e presa alla sprovvista. «E se anche Cesar va via, chi mi insegnerà il fuoco?»
«Per la terra non c'è problema.» ribatté alzando gli occhi al cielo, essendosi evidentemente aspettato che io capissi più in fretta. «Non ti sei chiesta perché ti abbiano assegnato a me?»
«Ehm... certo.»
«Beh, essendo stato al comando della Legione del Biancospino per vent'anni, ed aver istruito centinaia di ragazzi della tua età costretti alla leva militare, con una ragazza soltanto dovrebbe essere facile»
«Non può essere stato solo per questo» sussurrai piano.
«No, infatti» ribatté. «Si da il caso che io sia anche la persona migliore per istruirti per sopravvivere alla politica di corte contro di te»
«E perché?»
«Perché oltre che ad essere stato a capo della Legione del Biancospino, sono stato membro del Consiglio del Re, prima che mi dessero il benservito, cinque anni fa.»
Alzai le sopracciglia. Come aveva fatto un uomo di corte a finire dentro l'Ordine? Perché lo avevano deposto dal suo ruolo di consigliere? Gli occhi di Karlsen erano impenetrabili. Non riuscivo a vedere nemmeno un accenno di rabbia repressa.
«Ma, come fai a sapere cosa sta facendo il reper catturarmi se non sei più lì da cinque anni?»
«Perché so come lavora la mente di Tiberius Knight, vesek. Dopo essergli stato così tanto vicino, per anni e anni.» disse un po' irritato dalla mia domanda. «E ti consiglio di bere, non ha lo stesso sapore, da freddo.»
Mi indicò la tazza fumante che avevo davanti. Mi ricordai solo allora di quella, essendo stata troppo presa dalla conversazione. Così, piano, per non offenderlo, non sapendo che cosa sarebbe successo a farlo, presi la tazza e me la avvicinai alle labbra. Sorseggiai piano, rimanendo colpita nel assaggiare una sostanza così buona. Non seppi identificarne il gusto, troppo lontano da qualsiasi cosa avessi mai assaporato. Era un intruglio molto dolce.
«Che cos'è?» chiesi piano, chiudendo gli occhi come se fossi in paradiso.
«Tè della Valle dei Sospiri, viene direttamente da Neyms.» rispose, prima di riprendere il suo discorso di prima. «Conosco ogni singola persona di corte, a partire dal più umile dei servitori, ad arrivare ai principi.»
«Conosci William?» non riuscii a trattenermi dal chiedere, sussurrando.
«Se lo conosco?» rise ironico. «Lo conosco fin da quando era solo un esserino pelle e ossa di sei anni, quando correva per i corridoi della Reggia Azzurra per scappare dalle grinfie di suo padre, che voleva costringerlo a presenziare alle riunioni già allora.»
Deglutii, non volendo che la mia mente ricominciasse a vagare su di lui e sulla vita perfetta che ora stava conducendo, al fianco di quella ragazza della quale mi aveva detto non importarsene affatto. Ma come potevo crederlo ancora dopo averlo visto così felice al suo fianco?
«Ti sei lasciata sedurre da lui, vero?» la sua voce si addolcì appena, mentre mi squadrava la faccia in cerca di qualche segno di debolezza da parte mia riguardo a quell'argomento.
Rimasi zitta, non trovando dentro di me le forze per negarlo. Tanto che cosa sarebbe cambiato? Ormai ero ad Elyria lo stesso, senza che William mi ci portasse con la forza non appena avessi compiuto diciott'anni.
«Beh, non è che cambi molto, adesso.» aggiunse, interpretando il mio silenzio come assenso. «Però devi capire che non puoi permetterti di mostrare questa tua debolezza, Lewis. Perché il principe è come suo padre, sfrutterebbe questa cosa e e te la ritorcerebbe contro.»
«È stata solo una cosa passeggera.» dissi convinta, facendo di tutto per dimenticare elle parole di Matt, della sera prima. «Sta già passando, è già passata.»
«Bene.» liquidò la questione con un gesto della mano e recuperò il tono burbero e spiccio che aveva momentaneamente perso. «Perciò durante i prossimi giorni, la mattina lavorerai in miniera e il pomeriggio ti allenerai. Ti chiederai perché, naturalmente. La mattina ci sono continue guardie reali che vengono a controllare il paese: riscossione di tasse, ritiro di certi documenti... e naturalmente, verificare l'assenza di ribelli. Ognuno di voi, durante la mattina, e la maggior parte anche durante il pomeriggio, avranno del lavoro da fare; nei campi, nelle miniere come te, dal falegname... Le guardie non si sono mai prese la briga di imparare tutti i volti degli abitanti del paese. E di certo non conoscono quelle dei ribelli. Nessuna faccia tranne...»
«Sì, lo so, tranne la mia faccia, che conosce tutta l'isola di Elyria.» annuii seccata.
«Perciò, la mattina ti alzerai presto e raggiungerai le miniere prima che una guardia possa vedere il tuo viso. Il pomeriggio, uscirai quando anche la più imbranata delle guardie, sarà fuori dal paese, chiaro?»
«Chiarissimo.»
«Ora è il momento di coricarsi.» disse alzandosi da tavola. «La colazione sarà alle sei e quarantacinque, la tua camera è quella in fondo al corridoio, ti consiglio di farti una bella dormita; forse sarà una delle poche serene che farai durante la tua permanenza qui, vesek.»
Avrei voluto dirgli di smetterla di chiamarmi così, o comunque andava bene anche Lewis. Ma volevo solo andare a richiudermi in camera, sperando che il viso di William non apparisse nei miei sogni.
***
«In quel cunicolo ci dovrebbe essere solamente Rays, raggiungetela e fatevi dire come fare.»
Stavo già sudando, nella miniera faceva un caldo opprimente. Uno dei sovrintendenti dello scavo di argento, mi aveva accolta all'ingresso, quella mattina; poi, mentre mi spiegava velocemente com'era strutturata la miniera, mi aveva condotto nel cuore della montagna, molto, molto lontano dall'entrata. Quando avevamo raggiunto il centro dello scavo, caratterizzato da una caverna gigantesca, piena di carrelli e persone che facevano avanti e indietro, mi mancava già l'aria.
Però, almeno, non avevo sonno. Quella notte mi ero riaddormentata di nuovo come un sasso, convinta che il svegliarsi presto di Karlsen volesse dire le cinque del mattino.
Invece, il vecchio fabbro mi aveva svegliato alle sei e mezza, relativamente tardi per quello che mi ero aspettata. Così, avevo cominciato la giornata con un umore abbastanza buono. Ovviamente, prima di scoprire che Matt era già partito senza salutarmi. Lì si che il mio umore era crollato a picco. Doveva salutarmi, doveva spiegarmi che cosa pensavano ci fosse a Kratos. Per me era inimmaginabile non vedere Matt per così tanto tempo, dopo non aver passato un solo giorno lontana da lui da quando lo avevo conosciuto.
Almeno c'era ancora Rose, che il vecchio mi aveva assicurato avrei visto quel pomeriggio, alla mia prima sessione di allenamento. Karlsen mi aveva detto che Rose era stata assegnata alla stalla del paese ed io non avevo potuto trattenere un risolino; Rose in mezzo ai cavalli? Comunque, sicuramente le avrei chiesto come mandare un messaggio a Matt.
In quel momento stavo camminando dentro ad un cunicolo, palesemente scavato alle pareti, trascinando il piccone pesante che mi avevano dato. Mi chiesi chi fosse Rays, mentre camminavo da sola, cominciando a sentirmi mancare davvero l'aria. Non appena cominciai a sentire il suono del piccone che si abbatteva contro la vena di argento, mi pentii di non aver camminato più piano. Erano solo le otto di mattina e, fino alle due di pomeriggio, dovevo rimanere nascosta in quella miniera.
Rays era una donna sulla trentina d'anni, con i capelli biondi scuri legati in una lunga treccia che le ricadeva sulla schiena. Stava canticchiando qualcosa ed io volli essere in un qualsiasi altro posto al di fuori di quello; la sensazione di disturbare si fece subito viva. Mi feci forza e attirai la sua attenzione.
«Scusi, sono stata assegnata qui...»
La donna si girò subito e mi rivolse un sorriso gigantesco. Guardandomi disse: «Lo sapevo, l'ho visto.». Aggrottai la fronte, guardandola in cerca di qualche cosa di strano, in lei. Magari degli occhi dietro la testa, o qualcosa del genere...
«L-L'ha visto?» chiesi piano, non capendo.
«Sì» rispose come se fosse la cosa più normale del mondo. «L'ho visto dentro la mia mente.»
Ok, va bene. Mi avevano mandato dalla pazza. Non potei non immaginare quella donna come una Sibilla Cooman, l'insegnante incompetente di Divinazione di Harry Potter. Cos'era una specie di veggente?
«Va bene.» dissi piano, avvicinandomi a lei.
«Lo so che cosa stai pensando. Lo pensano tutti qua dentro. Ma non mi importa, io so di possedere questo dono, non me ne frega se gli altri pensano che io sia solo una pazza.»
«Non penso che tu sia una pazza.» le dissi, nemmeno convinta dalle mie stesse parole.
«Beh, almeno sei gentile a mentire e a non dirmelo in faccia.» mi sorrise. «Purtroppo lamia abilità di chiaroveggenza si ferma a queste piccole cose, come per esempio il fatto che il re sia in viaggio verso la capitale. Vedi, io lo sapevo già molto tempo fa, ma ora, visto che è noto a tutti, nessuno mi crede. Oh tesoro, stai tranquilla, il renon passerà di qui!»
Ero sbiancata quando mi aveva detto quello.
«Il re viaggerà con uno dei velieri più veloci del regno, guidati da Domini dell'Acqua e dell'Aria che velocizzano un sacco la navigazione. Io sono Maxim Rays, ma puoi chiamarmi Rays. Tutti mi conoscono così.» allungò la mano ed io, sorpresa dalla sua gentilezza, gliela strinsi.
«Ora, scommetto che tu stia per chiedermi come si usa quest'affare, vero?» mi disse alzando con una mano il suo pesantissimo piccone.
«Lo hai visto...» cominciai a chiedere, ma lei mi interruppe con una risata.
«No, tesoro.» disse. «Non l'ho visto con una visione. Mi sembra abbastanza palese da come lo hai trascinato lungo il cunicolo.»
***
Per la pausa pranzo, mi ero ritirata dalla vita della miniera, nascondendomi in un cunicolo, tenendo fra le mani il mio panino e cercando di dare sollievo ai miei muscoli doloranti.
Tenere un piccone in mano e usarlo contro la roccia, mi avrebbe, nel giro di poche settimane, regalato dei forti muscoli delle braccia. Come aveva detto Rays: «Tenere un piccone in mano è come tenere uno spadone della cavalleria pesante dell'esercito.».
Avevo venti minuti di pausa, prima di riprendere a lavorare per un'altra ora e mezza. Lavorare in miniera era davvero stancante e non invidiavo affatto chi doveva farlo a vita.
Mentre addentavo un morso di quel misero panino, davanti a me apparve una figura. Prima di realizzare davvero chi fosse, allo stesso sbuffai e sospirai sollevata: almeno la crisi sarebbe arrivata lontano da tutti, che sennò mi avrebbero presa per pazza com'era successo per Rays.
Mentre le tempie cominciavano a pulsare, abbassai lo sguardo sulla figura seduta dall'altra parte del cunicolo, appoggiata alla parete e con l'inconfondibile sorriso ghignante che mi guardava.
«Perché non la smetti di tormentarmi?» sussurrai, cercando di trattenermi dall'urlargli contro, sapendo che tanto era solo la magia della crisi.
«Principessa, non credo che tu voglia davvero che io la smetta di tormentarti.» Will si sistemò meglio contro la parete, facendo una smorfia di dolore.
'È solo una visione Evelyn, è solo una visione.'
«Invece sì.» ribattei acida, senza prendermi la briga di girarmi verso il cunicolo per paura che qualcuno mi vedesse farneticare. «Mi mancano tanto i miei vuoti di memoria e le mie paralisi, li preferisco di gran lunga al vedere te anche quando non ci sei.»
William sorrise ed io, dentro di me, continuavo a ripetermi che lui, reale o frutto della mia immaginazione che fosse, mi aveva solo sfruttata, mi aveva ingannato proprio come aveva fatto suo fratello. Si era impossessato del mio cuore e lo aveva disintegrato in mille pezzi. Forse non del tutto, ma abbastanza da convincermi di non volergli più parlare.
«Sei così bella quando sei arrabbiata.»
Rimasi zitta, sapendo che tanto quella visione sarebbe rimasta per pochi minuti, per poi svanire nell'aria. Dopo un po' che avevo continuato a mangiare il mio panino, cercando di lasciar cadere lo sguardo su quella visione di William, che invece continuava a guardarmi, sbuffai.
«Perché sei ancora qui?» gli sbottai, cercando di non lasciar vagare la mente su quanto mi sarebbe piaciuto che ci fosse il vero William, lì.
L'immagine di Will alzò le spalle, dicendo: «Non sono io a decidere quando svanire, principessa.». Si portò una mano al petto, proprio dove avevo visto sgorgare tutto quel sangue.
«Beh, scommetto che puoi decidere di alzarti da questo cunicolo e tenerti a debita distanza, aspettando di scomparire.» dissi cercando di mantenere il tono controllato, alla vista di lui sofferente.
«Credo che sia impossibile, principessa.» rispose. «È la tua mente a controllarmi.»
«E allora perché nella mia mente sei apparso tu e... non so... magari qualcuno che non vorrei uccidere.»
«Non credi nemmeno tu alle tue stesse parole» rise sonoramente. «Non mi vuoi uccidere. Non lo hai mai voluto, principessa.»
«Tornatene da dove sei venuto, principe.» calcai sull'ultima parola.
«Tre giorni fa eri disperata, per me, principessa.»
Rimasi zitta, non volendo far trapelare una qualsiasi emozione da offrire come arma al mio stesso subconscio.
«Tre giorni fa stavi morendo fra le mie braccia.» dissi cercando di tenere controllata la voce. «Era una situazione diversa ed era prima che scoprissi il perché mi hai sedotta. E il perché lo ha fatto anche tuo fratello.»
William sorrise, rimanendo zitto, in attesa che continuassi a parlare. Ma io rimasi zitta: non valeva la pena scannarmi contro un fantasma e riaprire ferite che stavo cercando di cicatrizzare.
Per fortuna, la sua immagine cominciò a tremare, come un ologramma disturbato. Prima che svanisse nell'ombra, lo sentii dire: «Ci rivedremo prima di quanto tu pensi.». Sospirai, sperando di non dover più assistere ad una visione del genere. Al mio corpo mancava William, lo sentivo e potevo anche accettarlo, lui sarebbe mancato a tutti. Il problema era: mancava anche alla mia mente e mi mancava il parlare con lui?
La risposta era sì, e sarebbe stata quella ancora per molto tempo.
***
Quando uscii all'aria aperta, fu come tornare a respirare. All'ingresso della miniera, trovai Rose, con un faccia stravolta, ma contenta di vedermi. La raggiunsi e subito incominciammo a scendere la stradina della montagna.
«Allora Matt è partito.» dissi con voce vuota, cercando di nascondere la mia delusione.
«Si, sono partiti prima dell'alba.»
«Tu lo hai visto stamattina?» le chiesi, sempre con voce controllata.
«No Eve. L'ho visto solo prima che raggiungessimo le nostre famiglie, questa notte.» disse, senza riuscire a nascondere una nota di scusa, nella sua voce.
«Perché è dovuto partire lui?»
«È intelligente, è bravo... è Matt.» rispose con un piccolo sorriso.
«E tu?»
«Io sono più utile qui.» rise piano, sarcastica. «A raccogliere sterco di cavallo e a cercare di non prendere uno zoccolo in faccia.»
«Lo so che potrebbe sembrare brutto, ma sono felice che almeno tu sia rimasta, Rose.» le dissi dolcemente. «Anche se ti invidio un po': preferirei di gran lunga lavorare alle stalle che in miniera.»
«Lo so Eve, ma...»
«Sì, lo so» la fermai subito. «Il vecchio mi ha spiegato queste misure di sicurezza...»
«A proposito del vecchio.» ridacchiò Rose. «Adesso dobbiamo raggiungerlo, in una radura poco fuori dal paese. È ora che tu impari a padroneggiare anche la terra.»
«Già, anche se tutto quello che vorrei fare sarebbe una bella e lunga dormita.»
Ero di nuovo stanca e la testa pulsava ancora dalla crisi. Mentre continuavamo a scendere la montagna, non me la sentii di dirglielo, sapendo tuttavia che avrebbe voluto che io le dicessi tutte le mie singole crisi.
«A proposito Eve, oggi non hai avuto la crisi?» sembrò ricordarsele tutto d'un tratto ed io arrivai anche quasi a credere che Rose avesse doti di chiaroveggenza come Rays. «Matt mi ha lasciato il calendario, sta notte, e secondo quello ne avresti dovuta avere una stamattina, verso l'ora di pranzo.»
Cercai di non dare a vedere nessun segno particolare, mentre inventavo su due piedi una crisi che non avesse nulla a che fare con William Cole.
«Infatti ce l'ho avuta.» replicai, cercando di tenere un tono di voce normale. «Sempre le solite cose, Rose. Ho visto sempre il re, solo che era da solo e stava scrivendo alla scrivania, nulla di che. Direi che è stata la crisi più inutile fino adesso. Ero anche da sola quando è arrivata.»
Rose sembrò crederci subito, ed io esultai dentro di me, ammirando per l'ennesima volta le mie doti da bugiarda patentata.
«Beh, l'importante è che nessuno ti abbia visto impazzire, svenire, perdere il controllo e sopratutto che nessuno abbia visto una tua alter-ego assassina.»
«Già, ma che ne dici di darmelo, quel calendario?» le dissi chiedendomi il perché non lo avesse fatto prima.
«Giusto.» Rose frugò dentro la sua giacchetta di jeans e mi porse l'ordinato calendario di Matt riguardo alle mie crisi.
Lo lessi in fretta, vedendo che, la prossima crisi sarebbe stata la sera successiva. Inutile dire che pregai con tutta me stessa gli dei di non avere un'altra crisi su William.
Se volevo davvero farla finita, non dovevo più vederlo, né sui giornali, né in nessun'altra parte.
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