Capitolo 8 • Corte
C A P I T O L O V I I I
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• C o r t e •
Come avevo ben previsto, mio padre non se ne importò più di tanto riguardo alle mie condizioni di salute. Il suo messaggio, dava ordini ben precisi su come procedere, e non accennava affatto al fatto che fossi stato ferito e salvato per un pelo.
Adesso, finita la cena nell'enorme salone da pranzo della Reggia Azzurra, il mio corpo e la mia mente mi intimavano solamente di congedarmi da tutto e da tutti e andarmene in camera mia a dormire. Da quando ero arrivato, non avevo visto altro che la Sala del Consiglio e quella da pranzo. Abbastanza deprimente se consideriamo il fatto che invece mio fratello aveva già visitato almeno quattro taverne.
Mi alzai da tavola prima del previsto, assicurando tutti i commensali di stare bene. Anche se quella era una sorta di cena di bentornato, con tanto di molti parenti e persone importanti di Elyria, dovevo assolutamente andarmene da lì. L'assenza di Gwen a quella cena non aveva migliorato affatto la situazione.
«Grazie a tutti per essere venuti.» dissi sfoggiando uno dei miei sorrisi più falsi. «Ma per me è stato un lungo viaggio, per non parlare della debolezza che mi porto dietro da una settimana a questa parte. Anche se vorrei trattenermi di più qui con voi, devo riposare. Sono sicuro che presto ci sarà l'occasione per onorare il mio ritorno e quello di mio fratello nel migliore dei modi.»
E poi, prima che le persone potessero cominciare a venirmi a salutare, girai sui tacchi ed uscì dalla stanza, senza curarmi di chiamare guardie del corpo. Tirando un sospiro di sollievo, cominciai a camminare automaticamente verso la mia stanza, che si trovava al terzo piano. Gli dei solo sapevano quanto avrei voluto avere le forze per vestirmi come un comune mortale come avevo fatto un'infinità di volte e sgattaiolare in una taverna, divertendomi con l'alcol e gli avventurieri che prendevano alloggio lì.
Quando imboccai l'area della residenza reale, il mio cuore cominciò ad accelerare. Mi sembrava solo ieri che, proprio in quel corridoio principale, io e Weston ci rincorrevamo come due idioti, rischiando anche di cadere dalle scale. Arrivai davanti alla grande porta scura della mia camera e l'aprii piano. Era proprio come la ricordavo: grande due volte la camera che avevo nel mondo degli Umani, una scrivania appena riordinata dalle cameriere, non meno di quattro librerie, ma sopratutto il mio comodissimo letto matrimoniale che in quel momento sembrava chiamarmi disperatamente.
Come quasi tutto il resto del castello, le pareti della mia stanza erano di marmo e, sul muro a cui era appoggiato il maestoso letto color ebano, dietro un pannello di vetro scorreva un altro piccolissimo corso d'acqua.
Mi svestii in fretta e furia, non prendendomi nemmeno la briga di andare nella cabina armadio per prendere un pigiama. Faceva ancora troppo caldo e, visto che nessuno mi avrebbe visto, potevo anche dormire in boxer e a torso nudo. Così, dopo essermi dato una ripulita nel mio grande bagno bianco, mi buttai a faccia in giù sul letto.
Senza curarmi di spegnere la luce, caddi nel mondo dei sogni.
***
Mi svegliai di colpo, relativamente troppo tardi per i miei standard. Almeno, una consolazione era il fatto che nessuno mi fosse venuto a svegliare. Sicuramente, c'era mia madre dietro tutto questo.
Promettendomi che quel pomeriggio avrei organizzato il viaggio per Kratos, decisi che quella mattina mi sarei andato ad allenare. Sì ok, a Boston la mattina facevo qualcosa, ma non era nemmeno lontanamente paragonabile agli allenamenti che seguivo qui.
Dopo essermi vestito e dopo essermi messo in vita la cintura con le armi che dovevo sempre portare, uscii dalla mia stanza e, senza nemmeno passare a fare colazione, uscii dal castello e raggiunsi la caserma, che si trovava sempre dentro le mura. Cercai di ignorare le occhiate che mi rivolgevano tutti i soldati che incontravo. Nel cortile davanti alla caserma, una miriade di Domini si stava già allenando con il proprio elemento.
Cercando di ricordarmi com'era organizzato un allenamento tipico per dei comuni soldati, pensai che dovessero essere almeno le dieci di mattina.
Entrai dentro la caserma, sentendomi nel mio habitat naturale. Sicuramente, se mia madre avesse scoperto che mi stavo allenando dopo aver ricevuto una ferita così grave, avrebbe cominciato ad urlare. Ma io ero un combattente e, in salute e i malattia, dovevo mantenere allenato il mio corpo, considerando anche che era più di una settimana che ero in una sorta di crisi d'astinenza.
Senza curarmi delle occhiate che mi riservavano tutti i Domini, andai in armeria, sperando che allenarmi un po' mi avrebbe distratto come aveva sempre fatto.
***
Verso l'una, ero sceso nella piccola e sconosciuta a molti baia che usavo per correre sulla spiaggia, per nuotare in pace, ma sopratutto che usavo quando avevo bisogno di stare da solo. Si trattava di una piccola baia facilmente raggiungibile da una stradina appena fuori le mura della Reggia Azzurra, che entrava sottoterra e percorreva tutta la città fino al mare. Era il mio posto, solo pochissimi altri al di fuori di me ne erano a conoscenza. Non avevo idea di chi avesse scavato quel sentiero, ma doveva essere molto, molto vecchio.
Rinvigorito e anche un po' stanco per l'allenamento che avevo fatto quella mattina, ero passato in camera mia, avevo preso un taccuino, poi mi ero fatto preparare un pranzo al sacco veloce, prima di scendere lì.
Non era una novità per me passare quelle due orette durante e dopo il pranzo lontano da tutti, prima di ritornare a svolgere i miei compiti. In effetti, questa era una delle poche giornate relativamente libere che avessi. Mi ricordavo fin troppo bene i tempi in cui ero stato costretto più volte ad alzarmi all'alba per poter almeno ritagliarmi un piccolo spazio di tempo per correre.
Il mare aveva questo effetto calmante per me, mi dava un certo senso di pace. Sarebbe stato così anche quel giorno, se quella pace non fosse stata improvvisamente spezzata dalla voce che meno volevo sentire in quel momento.
«Mi chiedevo quando mi avreste cercata, vostra altezza.» la voce di Nyves Ryan mi colpì in pieno.
Prendendo un respiro profondo e cercando di ricoprirmi con quel velo falso che ormai era diventato il mio compagno inseparabile, mi costrinsi a girarmi e a rivolgere un sorriso alla mia promessa sposa, rispondendo le educato: «Lo avrei fatto se ne avessi avuto il tempo.».
Nyves sorrise, ma sapevo anche il suo era un sorriso falso. Purtroppo, da quando ero arrivato a Ilyros, avevo capito che era questione di pochi giorni, prima che lei si facesse viva. Se, prima del nostro fidanzamento la vedevo di rado, ora che si era trasferita a corte con la sua famiglia, non c'era nemmeno più il mondo degli Umani che mi aiutasse a fuggire dalle sue grinfie.
Nyves avanzò sulla sabbia leggiadra e muovendo i fianchi sensualmente, come sempre. Non mi sarei stupito affatto se nel mondo degli Umani avessero scambiato Nyves per una donna ricca - com'era anche in realtà, in effetti - ed estremamente influente. Dovevo ammetterlo, quella ragazza di soli diciannove anni, attirava l'attenzione di tutti su di sé. Aveva lunghi capelli castani scuri e occhi verdi chiari, che stavano alla perfezione sul suo viso ben definito. Era bella, ma non quanto Evelyn.
Mentre si avvicinava a me, estraendo dalla sua borsa un telo da mare, non potei non chiedermi come mi avesse trovato. In quel posto, prima di allora, non avevo mai incontrato nessuno, e sopratutto non ero mai stato raggiunto da qualcuno che non fosse Gwen. Provai un moto di sconforto al pensiero che il mio posto fosse stato violato proprio da lei. Chissà cosa avrei potuto fare per tenerla alla larga, in futuro.
«Come state, William?» chiese in tono falsamente formale, mentre stendeva il telo accanto a me e ci si sedeva sopra, sistemandosi gli occhiali da sole sulla testa e armeggiando nella borsa per estrarre della crema da sole.
«Bene.» risposi educato, cercando di spostare lo sguardo dal suo corpo lasciato mezzo nudo dal costume; sapevo bene quanto sarebbe potuto essere devastante essere maleducato e compromettere questo matrimonio.
Senza dare troppo peso alla questione, Nyves mi porse la crema da sole, dicendo con voce leggera: «Mi aiutereste a spalmare la crema sulla schiena, non vorrei rovinarmi la pelle.». Sospirando, non potendo da uomo quale sono dispiacermi per quella richiesta, afferrai la crema, mentre si girava per darmi le spalle.
«Sapete, non vorrei arrivare al nostro matrimonio bianca come il latte, in previsione dell'inverno preferisco usare questi ultimi giorni per prendere un po' di sole.» disse mentre cominciavo a spalmarle la crema sulle spalle.
Direi che la cosa più strana del ritorno ad Elyria era farsi dare del voi dalla maggior parte delle persone. Mi ero dimenticato che effetto facesse.
«Come mi avete trovato?» chiesi senza troppi giri di parole, cercando di virare l'attenzione via da qualcosa che non fosse il nostro imminente matrimonio.
«Non è stato difficile.» rispose lei, portandosi i capelli da una parte e inclinando il collo per permettermi di spalmarle meglio la crema in quel punto. «Vi ho visto prendere quel sentiero e vi ho seguito..»
Annuii, ritrovandomi a pensare a quanto fosse assurda quella situazione. Conversare così pacificamente con una persona che in realtà desideravo detestare. Non che non detestassi già l'idea di lei, sia chiaro.
«Allora, mi hanno detto che vi siete divertito nel mondo degli Umani.» nonostante non la stessi vedendo in faccia, potevo ben immaginare che stesse sorridendo falsamente di nuovo.
«Sì, divertito...» sicuramente, se mi fosse stata davanti, avrebbe capito che stavo nascondendo qualcosa.
«Quindi William non ce l'avete...»
«No, per la milionesima volta, no.» mi ritrovai a dire brusco, prima di rendermi conto che dovevo mantenere questa situazione stabile e pacifica per il mio stesso bene. «L'ultimo sole non si è innamorato di me.»
«Davvero?» chiese lei; sembrava non credesse alle mie parole. «Perché ho sentito dire che invece sembra che siano stati proprio i sentimenti che questa fantomatica Evelyn Lewis prova per voi a guarirvi.»
Feci del mio meglio per non irrigidirmi, mentre Nyves inclinava la testa dall'altro lato. Cercando di mettere nelle mie parole più noncuranza possibile, risposi: «Non ha più importanza adesso, in qualsiasi caso ora mi sarà impossibile raggiungerla.».
«Vorreste farlo però, dico bene?»
A sentire quelle parole, dovetti far ricorso a tutto il mio contegno per non dare a Nyves un motivo di conferma alla sua domanda. Ma la cosa più difficile, fu mentirle spudoratamente come feci cinque secondi dopo.
«Davvero lo credete?» scoppiai a ridere, in una recita che mi risultò perfetta. «Provare qualcosa per la persona che odio di più al mondo per principio? Per il fatto che se ne avesse possibilità mi ruberebbe il mio regno, la mia vita? No, no... Ma devo ammettere che è stato davvero divertente guardarla mentre cercava di resistermi, scoprire come una persona al dire così potente sia più debole del più infimo servo di tutta l'isola...»
Ancora una volta, anche se non la vedevo, potei vederla quasi sorridere compiaciuta dalla mia risposta. Dovevo ammettere però, che dire quelle cose mi rendeva ai miei stessi occhi la persona più falsa del mondo. Pazienza, dovevo riabituarmi ad ingannare le persone, proprio come faceva mio padre, in effetti.
«Felice si sentirvelo dire, William.» rispose lei. «Perché questo regno, il nostro futuro regno, deve essere preservato da un pericolo del genere. Io apparterrò a voi e voi apparterrete a me, non ci deve essere nessun ultimo sole di mezzo a mettere a rischio questo.»
***
«Voglio una nave pronta per domani, la più veloce.» la mia voce risultò autoritaria e perentoria.
«Vostra altezza, sono sicuro che vostro padre non approverebbe questo viaggio. Siete appena rientrato, dovreste rimanere.» il giovane cercò di dissuadermi. «Vostro padre farebbe ritorno nella capitale, nel frattempo. Non credo che a sua maestà farebbe piacere non trovarlo qui...»
«Decido io cosa devo o non devo fare.» dissi subito con tono che non ammetteva repliche ad uno degli innumerevoli funzionari che in quel momento stavano cercando di dissuadermi dal partire l'indomani per Kratos. «Perciò, Montague, veda di trovare una barca che riesca a portarmi a Kratos in dodici ore o saprò chi far chiamare quando ci saranno da ripulire le stalle.»
Il giovane funzionario, spaventato, fece un cenno e se ne uscì dalla stanza. Mi trovavo nella Sala dell'Immacolato. Stavo organizzando la mia spedizione a Kratos, per raggiungere l'ultimo tempio dei sacerdoti scarlatti, in cima alla Montagna a Spirale. Se Gwen non avesse dovuto passare il pomeriggio alle terme con sua madre, sarebbe stata lì, ad aiutarmi. Doveva essere un viaggio lampo, che non durasse più di dieci giorni, in effetti.
«Tu madre non approverà di sicuro.» Tiberius Knight mi parlò senza alzare lo sguardo dal suo taccuino.
«Infatti non deve approvarlo.» ribattei. «Partirò lo stesso.»
«E come credi che reagirà tuo padre?» ribatté lui, usando quel tono ragionevole che mi aveva aiutato tanto da bambino. «Probabilmente la notizia di questa tua decisione di partire gli arriverà nel giro di due ore. Le voci corrono velocemente qui a palazzo, ragazzo.»
«Lo so bene.» dissi, guardandomi attorno e scoprendo che eravamo rimasti solo noi due in quella stanza. «Ma sappiamo entrambi che ormai non sono più il ragazzino sedicenne che si lascia frustare.»
Deglutii al ricordo della frusta che si abbatteva sulla mia schiena. Knight era una delle due persone che sapeva quello che mi aveva fatto mio padre per aumentare la mia disciplina, quando ero più giovane. Peccato che mio padre non aveva mai capito che con la frusta non aveva fatto altro che aumentare indole ribelle, anche se pur sempre contenuta e silente. Con gli anni, però, mi ero visto costretto ad assecondare tutte le sue richieste. Era sempre mio padre, dopotutto.
«Come sappiamo entrambi che è troppo rischioso svegliare la rabbia di tuo padre, ragazzo.» la voce di Knight si addolcì appena. «Potrebbe fare ben peggio che obbligarti a sposare una nobile ragazza.»
«Partirò lo stesso. Gli parlerò io stesso. Al mio ritorno, sarò l'erede del regno perfetto. Mi sposerò e gli garantirò una discendenza, pronto a seguire ogni suo ordine e a subentrare a lui quando sarà il momento.»
«Ma perché vuoi partire?» mi chiese, senza troppi giri di parole.
«Perché a Kratos ho qualche questione lasciata in sospeso da quel mese passato là.»
«E proprio in un momento così cruciale devi partire?»
«Sì, è fondamentale risolverle prima che sia troppo tardi per tutti, Knight.» replicai chiudendo il discorso. «E adesso ti prego, aggiornami sull'invasione agli istituti.»
***
«Naturalmente la vostra uniforme sarà quella militare.» Lady Ryan, la madre di Nyves, mi aveva fermato lungo il corridoio, prima che io potessi arrivare in camera mia e chiudermi lì dentro fino alla cena. «Mentre mia figlia credo che si sposerà in bianco, come da tradizione...»
«Certo, Lady Ryan.» replicai senza sentire davvero quello che mi stava dicendo.
Stavamo continuando a camminare per i corridoi ed io stavo cercando di andare veloce, anche per poter seminarla e rinchiudermi nel mio rifugio. Non ero sicuro che sarei potuto resistere in quella situazione, con la mia futura suocera che cercava di parlarmi del matrimonio ogni volta che mi vedeva.
«E come tempio, non credo che abbiamo molte alternative, i matrimoni reali si sono sempre svolti al Tempio di Quarzo, vero?» disse, e poi senza aspettare una risposta continuò. «Dopotutto, è il tempio più grande ed antico di Elyria.»
«Certo, Lady Ryan.» replicai di nuovo, trattenendomi dall'alzare gli occhi al cielo.
«Perfetto, sono felice che la pensiate così, perché ho già prenotato il tempio pochi giorni fa ed è stato pubblicato l'annuncio sul giornale con una foto vostra e di mia figlia, risalente a questo luglio...» lo disse con una tranquillità che mi lasciò senza parole; questa frase, mi era arrivata chiara e forte alle orecchie.
Perché doveva importunarmi se tanto aveva già deciso tutto lei? Per fortuna eravamo arrivati davanti alla mia camera ed io, appoggiandomi alla porta, le dissi cercando di trattenere l'irritazione: «Scusate, Lady Ryan, ma se avete già deciso tutto perché dovete sprecare il mio tempo? Sappiamo entrambi quanti sia impegnato, sopratutto in questo periodo.».
Come se non fosse successo nulla, Lady Ryan sorrise, rivelando il suo sorriso pressoché perfetto, uguale a quello della figlia. Nel suo vestito color blu, quella donna non poteva essere più regale di così. Immaginai che fosse già entrata nell'ottica di essere un membro della famiglia reale.
«Mi era sembrato giusto chiedervelo lo stesso, principe William.» ribatté. «In realtà vostra madre mi ha dato tutti i permessi di cui avevo bisogno per cominciare ad organizzare questo matrimonio.»
«E allora non vorrei offendervi, Lady Ryan, ma ho molte altre cose che devo fare in questo momento, molto più imminenti del mio matrimonio.» senza darle il tempo di rispondere, aprii la porta della mia camera, ci scivolai dentro e chiusi fuori l'autoritaria Mary Ryan.
Non appena fui dentro camera mia, non potei non chiedermi il perché quella notizia di essere in prima pagina del giornale con Nyves mi avesse turbato così tanto. Infondo, finivo sui giornali almeno un giorno sì ed uno no. Purtroppo, le macchine fotografiche erano una delle poche cose elettriche che funzionassero ad Elyria ed ora la mia faccia era apparsa nero su bianco a fianco a quella della ragazza che dovevo sposare.
Inevitabilmente, non potei non chiedermi se Evelyn l'avesse già vista. Sicuramente in qualche modo i quotidiani arrivavano all'Ordine... No, no... impossibile. Dovunque si stessero nascondendo, avrebbero limitato i contatti con Elyria, per qualsiasi ragione.
Mi ritrovai a tirare un sospiro di sollievo e allora capii che mi importava che lei lo vedesse. Non riuscii a trattenere una risata vuota, maledicendomi in tutti i modi. Patetico, William, davvero patetico.
Mi avvicinai alla scrivania, decidendo che avrei cominciato a studiare un po' quel tempio, per il quale sarei partito il giorno dopo. Cercando di mantenere la calma, feci quella cosa che avevo considerato fuori discussione per ben tre anni: con mani tremanti presi la cartellina in cui conservavo tutti i nostri progetti, le nostre foto, e tutto quello che avevamo riportato nero su bianco in quel periodo passato insieme. Ero sicuro che lì dentro fosse contenuta una mappa del tempio dei sacerdoti scarlatti dal quale era uscita Juliet la prima volta che l'avevo vista.
Però, non feci in tempo a trovare il coraggio per aprire il fascicolo che sentii la porta aprirsi di scatto. Mentre riponevo il fascicolo più in fretta possibile al sicuro, maledii me stesso per essermi dimenticato di chiudere la porta a chiave. Ero già pronto ad urlare contro chiunque stesse entrando in camera mia senza permesso e senza invito quando vidi entrare l'unica persona che poteva permettersi di farlo.
«Cavolo Will, devi vedere la tua faccia.» la figura di Gwen mi fece rilassare di colpo.
«Non si bussa più?» protestai debolmente, mentre il battito del cuore ricominciava a tornare normale.
«Sembra che tu abbia visto un fantasma.» continuò lei, senza rispondere alla mia domanda. «Che cosa è successo? Ho appena visto Mary Ryan allontanarsi da qui...»
«Lei non centra nulla.» liquidai la questione con un gesto della mano. «Stavo solo... studiando il posto in cui dovremo andare a Kratos.»
«E quindi?» chiese lei non capendo, avvicinandosi a me e fermandosi quando mi fu di fianco. «Perché sembri così stravolto?»
«Perché stavo per prendere la... ehm... mappa che Juliet mi disegnò quattro anni fa.» replicai. «Nessuno sa che sto ancora conservando le nostre cose, quello che scrivevamo insieme, i progetti che avevamo fatto... Non so per quanto potrebbero sopravvivere se mio padre venisse a scoprire che li ho ancora.»
Gwen rimase zitta, limitandosi a guardarmi, prima di lasciare scivolare lo sguardo oltre, sui fogli che avevo cercato di nascondere frettolosamente. Di colpo mi venne in mente un'idea per non essere costretto a ripercorrere quel periodo felice della mia vita imbattendomi per sbaglio in foto che mi ero sforzato, per quanto doloroso fosse stato, di dimenticare.
«Sei capitata al momento giusto, Gwen.» le dissi piano, prendendo la cartellina e porgendogliela. «Cerca tu la mappa, per favore.»
Lei capendo il perché fossi così riluttante a farlo, l'afferrò e l'aprì, cominciando a sfogliare gli infiniti fogli di pergamena raccolti lì dentro per trovare la mappa disegnata da Juliet. Io non staccai gli occhi da lei, osservando ogni sua reazione alla vista di una foto o un foglio diverso dalla mappa. La vidi sorridere più volte malinconicamente, prima di vedere il suo viso aprirsi in un'espressione incredula e ridacchiante.
«E perché questa è qui?» disse estraendo una foto e porgendomela prima di ricominciare a cercare la mappa.
L'afferrai, sapendo che comunque, da come Gwen aveva reagito, non si trattava di qualcosa mio e di Juliet. Infatti quella foto fece sorridere anche me: eravamo io e lei, quando avevamo appena sette anni. Gwen era una ragazza pelle e ossa con una folta chioma di capelli biondi, molti dei quali andavano a coprire la mia faccia. Entrambi stavamo mostrando l'interno del nostro polso, nel quale era stato impresso poche ore prima che scattassero la foto il Marchio del Mare. Di sicuro quella foto era stata scattata di nascosto dai nostri genitori, sopratutto dai miei. Mi chiesi chi ce l'avesse scattata.
«Eravamo davvero belli.» fu il mio commento.
«Ero più bella io.» replicò ridacchiando, mentre estraeva finalmente un foglio di pergamena dal fascicolo che aveva fra le mani. «Credo che sia questa.»
Mi porse il foglio e io lo afferrai. Era proprio la mappa di quel tempio, disegnata dalla mano abile di Juliet. Deglutendo, con il cuore che mi ricominciava a battere più velocemente del normale, dissi a Gwen: «Puoi riporre il fascicolo là, dentro quel cassetto.».
Quando Gwen, dopo aver riposto la cartellina, tornò da me, che ero ammutolito. Il sentire Juliet di nuovo così vicina, dopo tutto quel tempo, aveva creato dentro di me sentimenti che non avrei pensato di trovare. Vergogna in primis; come avevo potuto dimenticarmi di lei pensando ad Evelyn?
«So che cosa stai pensando William.» disse Gwen prima che potessi scavare più a fondo nei miei pensieri. «Ma non puoi vergognarti per aver pensato ad un'altra ragazza. È normale, assolutamente normale.»
Scossi la testa, girandomi a guardare Gwen, che ricambiò il mio sguardo con affetto, allungando una mano e posandomela sulla spalla.
«Non puoi rimanere attaccato al ricordo di Juliet per sempre Will. Lei non avrebbe voluto che lo facessi.»
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